La mafia delle aste

LE VENDITE GIUDIZIARIE NELLE MANI DI COMITATI D’AFFARI, LOGGE, MAFIE E SPECULATORI, CHE CONTROLLANO DAL SECOLO SCORSO IL RACKET DEI FALLIMENTI E LA MAGISTRATURA, OVVERO LA SCOMMESSA PERDUTA DELLA GIUSTIZIA ITALIANA.

Da Nord a Sud, un sodalizio criminale è in grado di condizionare l’attività giudiziaria attraverso la collusione di intranei ai centri di comando della magistratura, sino alla Suprema Corte di Cassazione, al C.S.M. e all’Autorità Nazionale Anticorruzione, controllando indisturbatamente le vendite giudiziarie e i fallimenti, e garantendo assoluta impunità ai magistrati collusi con banche, finanziarie, usurai, immobiliaristi, partiti di regime, logge massoniche o parareligiose e criminalità organizzata.

Un mercimonio legalizzato in continua espansione, dove spesso sono gli stessi magistrati, funzionari di cancelleria, consulenti tecnici, avvocati e notai delegati a trarne illeciti vantaggi, speculando sia sulle sempre più crescenti difficoltà di molte famiglie italiane a pagare i ratei dei mutui accesi presso le banche, sia sull’irrefrenabile incremento dei fallimenti di imprese e società di piccole e medie dimensioni, alimentato dagli stessi tribunali.

Un sistema perverso che, sulla carta, in apparenza, offre mille garanzie di trasparenza ma che gli operatori per primi considerano una prateria per le scorribande di abituali frequentatori delle aste e mafie. Faccendieri che si propongono come consulenti alle aste si infiltrano tra le pieghe delle regole che governano gli incanti, ne pilotano gli esiti e fanno incetta di immobili, spesso di pregio, a valori di vera e propria ricettazione, grazie anche al recente D.L. 83/2015, convertito nella Legge 132/2015, che accelerando i tempi del recupero offre la possibilità, per la prima volta nella storia delle esecuzioni italiane, di fare offerte inferiori alla base d’asta, seppure nel limite del 25%, eliminando le aste con incanto. Agenzie immobiliari e speculatori senza scrupoli che operano alla luce del sole (spesso legati a doppio filo alle banche creditrici e a magistrati locali), che dopo essere riusciti ad accaparrarsi le prime case in aste semi-deserte, a valori infimi, in genere compresi tra i 10.000 e i 50.000 euro, li offrono con sovrapprezzo agli stessi esecutati, a volte superiore al 50% del valore di aggiudicazione, come di recente accaduto in uno dei casi da noi seguiti, in cui la Procura di Milano, competente territorialmente, ex art. 11 c.p.p., anziché indagare i faccendieri e magistrati del Tribunale di Alessandria, ha vergognosamente perseguito le vittime della denunciata estorsione e i loro difensori, ipotizzando a loro carico, a fini palesemente ritorsivi, i reati di “diffamazione” e “calunnia”!

Questa è la giustizia ambrosiana, l’erede di “mani pulite”, che mette il bavaglio e punisce gli imprenditori e i professionisti onesti che denunciano i reati e non coloro che li commettono, i quali hanno avuto così modo di costituirsi parte civile, a partire dalla Presidente del Tribunale di Alessandria, oltre ad altri giudici e allo stesso aggiudicatario dell’immobile, fiduciosi di poter ottenere ulteriori profitti dal malcapitato imprenditore, questa volta sotto la voce “risarcimento danni morali”, aggravando maggiomente la sua già difficile posizione economica.

UNA GIUSTIZIA CHE FUNZIONA ALLA ROVESCIA DA MILANO A BRESCIA, COME NEL RESTO DI GRAN PARTE DEL PAESE.

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Dopo oltre 30 anni di attività abbiamo compreso che il sistema delle aste è strutturalmente marcio e privo di dialettica interna e controlli esterni: solo una rivoluzione civile dal basso potrà cambiarlo, trattandosi di un sistema autoreferenziale dove ogni rimedio giurisdizionale risulta vanificato dall’assoluta discrezionalità nell’interpretazione delle leggi e nell’esercizio dell’azione penale, su cui viene ipotecato un controllo capillare e selettivo da parte dei Procuratori capo, a loro volta selezionati con rigidi criteri di fedeltà e obbedienza agli apparati clientelari dei partiti.

In passato, a partire dall’esperienza pilota del Tribunale di Milano, oltre 15 anni orsono, stampa ed istituzioni hanno dato grande risalto alla pretesa “innovazione” del sistema delle vendite giudiziarie, dedicando intere pagine, anche di pubblicità a pagamento, sui quotidiani nazionali, cercando di farci credere che con gli 8 arresti di avvocati e pubblici funzionari della c.d. “compagnia della morte“, si sarebbe posto fine al cartello di speculatori, in grado di condizionare le gare d’asta per l’acquisto degli immobili pignorati e svenduti a valori vili ai soliti “amici degli amici” (cfr. la Repubblica 11/11/2003).

Una massiccia operazione di marketing giudiziario per recuperare la credibilità perduta e riavvicinare i cittadini al sistema delle aste giudiziarie.

Istituzioni e media di regime si affannarono a spiegare ai cittadini che per svariati anni una banda di “professionisti” aveva potuto agire in assoluta impunità, scoraggiando la partecipazione alle aste del pubblico, che veniva intimidito e minacciato, imponendo il pagamento di una tangente o “pizzo” pari al 10-15% del valore dell’immobile pignorato, ovvero pilotando le assegnazioni su prestanomi, società fantasma e professionisti, i cui interessi ci veniva però sottaciuto risultatavano spesso riferibili agli stessi magistrati o loro parenti, come nei casi da noi vanamente denunciati, tra quello dell’ex Presidente della Sezione Esecuzioni immobiliari, Gabriella D’Orsi, in seguito applicata alla Commissione Tributaria, senza che il C.S.M. nè la Procura di Brescia, a quanto consta, abbiano mai adottato alcuna sanzione o provvedimento neppure di carattere disciplinare.

Ma ora (sic!) – ci veniva fatto credere già ben 15 anni fà – le cose sarebbero cambiate (…?).

LA NOSTRA ESPERIENZA CI PORTA A RITENERE IL CONTRARIO.

Si è trattato solo di una operazione di “maquilllage giudiziario” per rilanciare il sistema delle aste e sostituire al volto corrotto della giustizia italiana, uno più credibile agli occhi degli utenti, senza alcuna seria intenzione di cambiare in concreto i criminogeni equilibri di base. Lo dimostrano l’alto numero di denunce che interessano pressoché tutti i tribunali italiani, senza trovare risposta e soluzione da parte degli organi giurisdizionali preposti, compresa l’A.N.A.C. (Autorità Nazionale Anticorruzione), che si è dichiarata incompetente a valutare casi corruttivi che coinvolgono i magistrati, in base ad una recente direttiva dello stesso Presidente Raffaele Cantone, dello scorso 27.4.2017, al quale dal suo insediamento abbiamo segnalato molteplici casi di malagiustizia e vendite pilotate, radicati presso le sedi giudiziarie italiane.

Gli immobili per lo più pignorati dalle banche continuano così a venire svenduti a valori infimi a società contigue o soggetti privati legati a doppio filo agli interessi degli stessi istituti di credito e alle loro clientele politico-affaristiche dedite alla speculazione e allo strozzinaggio legalizzato, come insegna il caso eclatante dell’associziazione a delinquere denominata Monte dei Paschi di Siena, anello di congiunzione tra il malaffare berlusconiano e quello delle cooperative rosse, su cui si arenò anche “mani pulite”. Attraverso gli sportelli MPS, come di altri Istituti bancari accreditati ad aprire agenzie all’interno dei tribunali italiani, passano, tra l’altro, senza alcun controllo, il ”riclicaggio” e “l’autoriciclaggio” di ingenti capitali di illecita provenienza, con il beneplacito degli stessi magistrati che dispongono la vendita e l’assegnazione degli immobili pignorati, grazie a una legislazione costruita ad hoc, che, dopo le recenti riforme, nonostante la crisi economica, ha ristretto sempre più le possibilità e gli strumenti di difesa dei cittadini esecutati, lasciati in balia delle mafie locali che controllano i tribunali, sebbene spesso risultino oberati da pretese illegittime e tassi anatocistici e/o usurari.

I casi da noi raccolti e in parte pubblicati nella mappa della malagiustizia vedono tra i tribunali più corrotti Milano, Treviso, Alessandria, Brescia, Firenze, Lucca, Roma, Perugia, Napoli, Catania, Palermo, oltre a quelli segnalatici da ogni altra parte d’Italia, tra cui Padova, Verona, Pordenone, Udine, Trieste, Torino, Genova, Imperia, Bordighera, Pavia, Cremona, Mantova, Sondrio, Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Grosseto, Bari, Lecce, Caserta, Salerno, Reggio Calabria, Catanzaro, Palmi, Messina, Ragusa, Agrigento, Sassari, Cagliari, etc.). .

A Palermo, nel 2008, era addirittura il potente clan dei Madonia che tramite un legale riusciva a rientrare “legalmente” in possesso degli immobili appresi a fallimento che, riacquistati all’asta, attraverso prestanomi sfuggivano alle misure di prevenzione patrimoniale a carico dei padrini.

In Calabria, come emerso da diverse indagini del Ros e del procuratore Pignatone erano le cosche degli Imerti-Condello e dei De Stefano-Tegano-Libri, sotto l’egida di Cosimo Alvaro di Sinopoli, a gestire tramite società immobiliari create ad hoc il riacquisto degli immobili confiscati per conto degli affiliati.

In Puglia, erano le famiglie di Salvatore Padovano di Gallipoli e di Coluccia di Galatina a costituire vere e proprie agenzie di intermediazione d’affari, in grado di restituire i beni alle parti inssolventi, dietro pagamento di una provvigione.

In Sicilia, di recente, è emerso l’intreccio tra massoneria, mafia e aste giudiziarie, che ha portato all’arresto di un boss e del gran maestro della Gran loggia italiana Federico II, a seguito dell’operazione della Guardia di finanza di Catania che ha decapitato la cosca Ercolano. L’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e turbata libertà degli incanti. Il gran maestro è accusato di avere pilotato, grazie all’intervento intimidatorio della mafia, e in particolare di Aldo Ercolano, un’asta giudiziaria relativa a un capannone che al massone era stato sottratto in seguito al suo fallimento. L’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania è stata denominata “Brotherhood” (fratellanza’).

Particolarmente emblematico del fenomeno delle aste è l’aspetto del riciclaggio e dell’usura. Per poter partecipare a un’asta bisogna infatti disporre di contanti in tempi molto stretti, versando assegni circolari, cosa che di certo non agevola i compratori comuni e le famiglie che possono contare sul solo reddito da lavoro, tenuto conto dei tempi medi per ottenere un mutuo dalle banche, nonchè dell’assoluta incertezza dell’esito dell’asta, in quanto l’aggiudicazione può venire disposta in favore di terzi. E qui c’è un altra grave falla, a prescindere dal fatto che all’acquisto si arriva solo con assegni circolari, il sistema delle aste giudiziarie non prevede alcuna forma di controllo sulla provenienza dei soldi che costituiscono il capitale per l’acquisto. In tal modo si rende possibile aggirare le norme antiriciclaggio. Per trasformare il denaro sporco in assegni circolari, ritrovandosi in mano soldi puliti coi quali acquistare all’asta immobili che alla fine rientranno nel circuito legale, basta disporre della compiacenza di un funzionario di banca. Il legislatore, preso dalle logiche del mercato, non si domanda né va veramente a controllare come si sia costituito quel capitale: se provenga da un mutuo, da leciti risparmi e guadagni o dalla massiccia immissione di contante ripulito in banca. La lavanderia di attività e proventi illeciti ha così l’imprimatur e il beneplacito del Giudice dell’Esecuzione …

Lo stesso dicasi per quanto attiene l’ambito delle procedure fallimentari controllate da un vero e proprio racket di professionisti delle estorsioni, che con il caso del maxi-ammanco negli uffici giudiziari del Tribunale di Milano (Radio 101), da cui sono stati sottratti in 10 anni da una cinquantina di fallimenti, circa 35 milioni di euro, mietendo oltre 7000 vittime, ha messo a nudo una ultradecennale capacità di delinquere interna agli uffici giudiziari locali, in grado di resistere ad ogni denuncia-querela, forma di controllo ed ispezione ministeriale. Fatti per i quali si è cercato, anche in questo caso, di farci credere che tutto sarebbe avvenuto all’insaputa dei magistrati, dei vertici del Tribunale di Milano e degli organismi di controllo preposti (C.S.M., Ministero di Giustizia, Procura di Brescia, Procura Nazionale Antimafia), i quali, invero, seppure edotti di tutto, dagli anni ’80, hanno sistematicamente insabbiato anche le stesse segnalazioni di magistrati onesti, come la dr.ssa Gandolfi, occultando solo nel periodo di riferimento svariate decine di migliaia di esposti a carico di avvocati, magistrati e curatori fallimentari, nei cui confronti sono rimasti del tutto inerti, giungendo, persino, a tollerare la dolosa elusione dell’obbligo di registrazione delle denunce nell’apposito Registro delle notizie di reato (obbligo tassativo previsto dall’art. 335 c.p.p.).

Al riguardo, basti ricordare i ben 26.000 procedimenti mai registrati e occultati in soffitta dalla sola Procura di Brescia, sotto la reggenza dell’ex Procuratore Capo, piduista, Francesco Lisciotto, che anche dopo il ritrovamento, dietro nostra denuncia, sono rimasti inesaminati, portando al mero trasferimento/promozione del magistrato con tessera P2, salito alla Corte di Cassazione, senza ricevere alcuna sanzione. Ciò, mentre i P.M. vengono continuamente sollecitati a rinviare a giudizio i cittadini che denunciano prove alla mano i misfatti di magistrati e pubblici funzionari corrotti, forze dell’ordine e altri soggetti in posizione dominante, accusandoli a scopo dissuasivo, come ai tempi del fascismo, di diffamazione, calunnia, oltraggio a magistrato in udienza, resistenza a pubblico ufficiale e altri similari inesistenti reati di natura prettamente ideologica, scaturenti dalle loro stesse inesaminate denunce su cui viene sistematicamente omessa qualsiasi forma di investigazione.

Un fenomeno che caratterizza la cd. “malavita legale” in ogni parte del Paese, mettendo in evidenza come quella che abbiamo a ragion veduta definito “mafia giudiziaria” non sia una questione legata alle sole zone del sud a forte concentrazione criminale, ma una condizione connaturata all’esercizio stesso della giurisdizione e al modo di gestire le funzioni giurisdizionalia tutela di interessi particolaristici, corporativi e lobbistici –, ovvero al modo di intendere le stesse finalità del diritto, secondo una visione deviata rispetto ai principi dello stato di diritto, ormai storicamente entrata a fare parte della cultura dominante e delle perverse logiche di amministrazione della cosa pubblica, ad esclusivo appannaggio di partiti e gruppi affaristici trasversali, corporazioni, logge massoniche e parareligiose, che della giustizia e del suo capillare controllo hanno fatto strumento di arricchimento occulto e fonte di finanziamento illecito, in base ad un codice non scritto, secondo cui, indipendentemente dalle latitudini, vince chi ha le giuste aderenze e riesce ad entrare a fare parte del “giro

Analoghi insabbiamenti sono toccati alle denunce di onesti magistrati fallimentari romani, come nel caso del Dott. Paolo Adinolfi, il quale è stato addirittura fatto fisicamente sparire. Un caso di lupara bianca insabbiato dalla Procura di Perugia ad alta densità massonica, trattato anche dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto”. (cfr.: http://www.duralexsedlex.it/index.php?zone=19&sottosezione=107&spag=&id=342). Secondo quanto riferito dal magistrato Giacomo De Tommaso, Adinolfi gli confidò il timore di essere seguito e spiato. La moglie di Adinolfi, Nicoletta Grimaldi, rivelò che il marito aveva acquisito prove e documenti che avrebbero potuto far affondare l’intero Tribunale di Roma. Inoltre Adinolfi pochi giorni prima della sua scomparsa aveva chiesto ed ottenuto un appuntamento con il P.M. di Milano Carlo Nocerino, davanti al quale avrebbe dovuto testimoniare quale persona informata sui fatti, senza poi riuscire a presentarsi come accadde anni prima, nel 1993, a Raoul Gardini, di cui venne invece inscenato il falso suicidio, unitamente a quello di Gabriele Cagliari, allo scopo di impedirgli di rivelare il perverso sistema di finanziamento illecito dei partiti di regime e il connubio con la mafia di Totò Riina. (https://www.avvocatisenzafrontiere.it/?p=1760).

In conclusione, a ns. avviso si tratta di un “codice ” imposto dalla politica e dall’asservimento della magistratura, il cui fine è quello di arricchirsi indebitamente, fare carriera negli apparati della burocrazia statale e ottenere illeciti vantaggi, ovvero di un fenomeno di elevatissima pericolosità sociale e allarme per la stabilità democratica e la sicurezza nazionale, riferibile alle logiche predominanti di gestione del potere e del finanziamento illecito dei partiti, che dal malaffare giudiziario si alimentano, attingendo ingenti risorse, consenso, protezione e scambio di favori, grazie ai legami con la massoneria e la criminalità organizzata e mafiosa.

Un malaffare legalizzato e tollerato dallo Stato-mafia, che pur cercando di mostrare il volto migliore e apparentemente legale dei propri tribunali, non riesce a celare, alla prova dei fatti, il largo coinvolgimento nel racket delle aste e dei fallimenti da parte di magistrati ed infedeli funzionari. Non crediate, dunque, di essere gli unici ad avere subito un’ingiustizia dallo svolgimento delle aste giudiziarie o da anomale procedure fallimentari. Si tratta di un sistema criminale istituzionalizzato, da nord a sud del Paese, voluto ed alimentato da banche, partiti, colletti bianchi e mafie locali che controllano il territorio.

Segnalateci gli abusi subiti da banche, società immobiliari, giudici, curatori, notai delegati, avvocati, pubblici ministeri, od anche, i casi di cui siete a conoscenza, gli daremo voce, pubblicandoli in tempo reale nella mappa della malagiustizia in Italia.

E’ l’unico modo per spezzare il silenzio di Stato e impedire ai poteri criminali di nasconderci la verità, creando una rete di solidarietà e informazione che man mano, sensibilizzando l’opinione pubblica. permetterà di mettere a nudo le contraddizioni del sistema, restituendo la Giustizia ai cittadini onesti e alla forze sane del Paese.

Hanno venduto la Vostra casa ad un prezzo irrisorio?

Hanno venduto all’asta il Vostro immobile senza avvertirvi?

Vi hanno fatto fallire ingiustamente?

I Vostri ricorsi non sono serviti a nulla o il Vostro difensore vi ha abbandonato e nessuno vuole più prendere la Vostra difesa?

Vi hanno impedito di esaminare il fascicolo o sono spariti gli atti? Hanno archiviato senza indagini e senza farvi sapere nulla?

N.B.: Se volete avere assistenza prima di tutto associatevi e scrivete ad Avvocati Senza Frontiere, cercheremo di aiutarvi nei limiti delle nostre possibilità. A causa dell’elevato numero di richieste proveniente da ogni parte non siamo in grado di dare informazioni telefoniche e, per regolamento, possiamo rispondere solo agli utenti registrati e in regola con i versamenti delle quote che ci hanno inviato la necessaria documentazione di supporto.

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LA MAFIA DELLE ASTE IN NUMERI

Nel 2016 quasi 270 mila le aste immobiliari giudiziarie in Italia.

Le aste giudiziarie sono radoppiate negli ultimi 5 anni. Due su tre riguardano case. Come riferisce il Sole 24 Ore, il 45% delle procedure si è svolto nel Nord Italia, con un boom in Lombardia e Piemonte. A dirlo è il rapporto “Sofferenze bancarie e aste immobiliari”, realizzato da Oid, l’Osservatorio immobiliare digitale nato nel 2016.

Per l’esattezza, secondo l’ultimo studio redatto da Astasy, società di consulenza specializzata in esecuzioni immobiliari, anticipato su Milano Finanza, il cui sistema di analisi incrocia i dati di tutti i tribunali e prende in considerazione sia le esecuzioni nate dai pignoramenti sia quelle derivanti dai fallimenti e dai concordati, pubblicati da curatele e commissari, sono state ben 267.323 le aste giudiziarie su immobili a garanzia di crediti andati in default (esecuzioni immobiliari) condotte nel 2016 nei vari tribunali di tutta Italia nel 2015, in aumento del 18,33% dalle 225.891 unità del 2015 (un dato quello che si confrontava con quello dei 480 mila immobili complessivi compravenduti in Italia nello stesso 2015).

E’ come dire che l’anno scorso, ogni giorno, weekend compresi, si sono tenute 730 aste immobiliari (oltre 30 aste all’ora, incluse le ore notturne) contro le 620 aste dell’anno prima. E attenzione, il conto considera soltanto un’asta per immobile, nel senso che se la prima non è andata a buon fine, la seconda o la terza non sono state inserite in questo conteggio .

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Al primo posto della classifica delle esecuzioni immobiliari del 2016 c’è la Lombardia che, con oltre 54 mila esecuzioni pubblicate, concentra oltre il 20% del totale delle aste. Seguono la Sicilia (9,4%) e il Piemonte (7,9%), che con Lazio (7,5%) e Veneto (6,25%) arrivano a concentrare quasi il 52% di tutte le aste sul territorio italiano. Sul fronte delle province, in 10 da sole su un totale di 110 controllano quasi il 30% del totale delle aste su base nazionale, con in testa Milano (4,47%), Roma (4,29%) e Bergamo (4,08%).

Quanto ai controvalori degli immobili passati di mano, il 78% delle esecuzioni immobiliari è costituita da immobili il cui valore di base che non supera i 125 mila euro, mentre un altro 13% di aste è stata relativa a immobili di valore compreso tra i 125 e i 250 mila euro, il che significa che il 91% delle aste ossia oltre 243.264 esecuzioni , sono state relative a case destinate a nuclei familiari e non a macro investimenti .

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L’analisi ha consentito di stabilire in 8,5 il numero medio degli immobili in asta ogni mille abitazioni a livello nazionale nel 2016 contro i 7 immobili di media nel 2015. In particolare, ci sono 10 province che evidenziano un dato superiore alla media, a significare che in queste province aree negli anni passati c’è stato un eccesso di accesso al credito e un incremento di concessioni edilizie spropositate rispetto alle reali esigenze del territorio.

Tra queste province c’è anche Bergamo, con quasi 10 immobili all’asta ogni 330 abitazioni e che con poco più 1.100.000 residenti e 10.900 i lotti esperiti in asta vanta una delle più alte percentuali di esecuzioni pro/capite (per esempio in provincia di Milano ci sono 3,18 milioni di residenti e si sono registrate solo 10.040 aste).

In questo caso dall’esame degli atti pubblici degli immobili in esecuzione si evince che il problema principale è stato il troppo facile accesso al credito avvenuto a cavallo degli anni 2003- 2009 per l’acquisto medio dell’immobile: spesso è stata effettuata una iper-valutazione del bene da acquistare ed è stato erogato più credito rispetto all’effettivo valore posto a garanzia.

Il report sottolinea infatti che, analizzando le carte, si inciampa molto spesso «in beni immobili il cui valore effettivo dell’epoca era 100, finanziati sino a 120-130, probabilmente a fronte di valutazioni forse non proprio eque, fatte a 150». Così facendo, conclude Astasy, «si è creato un effetto domino che serviva solo a creare, quello che poi abbiamo visto, un mercato bolla».

Il tutto, ad esclusivo appannaggio di chi controlla i mercati finanziari nei quali vengono trattate azioni, obbligazioni e titoli derivati, in esclusivo danno dei piccoli imprenditori e delle famiglie che necessitano di accedere al credito per l’acquisto della prima casa.

A cura dello staff di Avvocati senza Frontiere

Articolo aggiornato il 16 giugno 2017