Vorrebbero farci creedere con buona pace dei risparmiatori gabbati che la “banda dei ragionieri di Collecchio” per anni è riuscita a prendere per il naso società di revisione, società di rating, banche nazionali e internazionali, analisti finanziari, fondi di investimento, Consob e la “ignara” magistratura.
Ed è così che il braccio della legge e dell’economia corrotta che la controlla si abbatte sulla Parlamat con oltre 20 anni di ritardo, rispetto al crac annunciato, previdibile secondo gli analisti già dagli anni ’80, onde mettere in campo la solita sceneggiata secondo cui la magistratura “solertemente” fa la sua parte (nella commedia), in difesa dei cittadini e della legalità.
Il 17 dicembre 2003 la Bank of America fa sapere a un’Italia imbambolata dalle menzogne e dai numeri, che il conto corrente intestato a Bonlat presso la sede di New York non esiste. Non c’è. Non c’è mai stato (forse, come vedremo). Come non ci sono i 3, 95 miliardi di euro che avrebbero dovuto esserci a sentire gli amministratori della Parmalat e i revisori dei bilanci. E’ il sorprendente, straordinario, inaspettatissimo schianto dell’ottavo gruppo industriale italiano. Dieci giorni dopo. 27 dicembre 2003. Sono le otto della sera. Milano. Un investigatore della Guardia di Finanza chiede a un signore ingobbito ma sorridente, reduce da sette giorni in giro per il mondo (Parma, Lisbona, Fatima, Lisbona, Madrid, Quito e Guayaquil ? in Ecuador ? Madrid, Zurigo, Milano, Collecchio): ¨è lei, il dottor Tanzi?¨. Calisto Tanzi trova la forza (o l’avventatezza) di fare ancora un mezzo sorriso e ciao ciao alle telecamere prima di infilarsi nell’auto degli investigatori e trasferirsi nel carcere di San Vittore. Novantauno giorno dopo. 17 marzo 2004. Procura di Milano. I pubblici ministeri appaiono stanchi del tour de force, ma alquanto soddisfatti. Ancora 24 ore e sono in grado di chiedere il giudizio immediato contro Calisto Tanzi, i manager di Collecchio, i dirigenti delle sedi estere della Parmalat, i revisori ¨primari¨ (Deloitte) e ¨secondari¨ (Grant Thornton), i ¨controllori¨ (internal auditors), e tre dirigenti di Bank of America, l’avvocato d’affari Gianpaolo Zini e, infine, come ¨persone giuridiche¨ Bank of America, Deloitte e Gran Thornton. Ipotesi di reato: aggiotaggio, ostacolo alla Consob e concorso nel falso dei revisori. Il reato di aggiotaggio è disciplinato dall’art. 501 del codice penale: ¨Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo dei valori ammessi nelle liste di borsa è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da uno a cinquanta milioni di lire?.¨. Dicono in Procura: ¨Sarà un processo senza storia perché gli imputati, da Calisto Tanzi al vero dominus finanziario della società Fausto Tonna, hanno confessato e dimostrato di aver falsificato i bilanci, deformandone le poste, occultandone le perdite, inventato di sana pianta liquidità inesistenti¨. A giudicare dalle facce rassegnate degli avvocati delle difese i pubblici ministeri non esagerano: l’esito del giudizio appare molto prevedibile. Tira un sospiro di sollievo soltanto Gian Piero Biancolella, avvocato di Tanzi. Il patron di Collecchio, seduto accanto agli uomini di Bank of America, intravede una possibilità di poter ridimensionare le sue responsabilità. Da Milano a Parma. Qui i pubblici ministeri ipotizzano contro Tanzi & soci la bancarotta fraudolenta, la truffa aggravata, il falso in bilancio.
Come a Milano, i procuratori non hanno incertezze sulla conclusione del processo. ¨Le distrazioni di denaro dalle casse della Parmalat sono dimostrate per tabulas e di conseguenza la truffa e il falso bilancio. Contiamo di andare a giudizio entro giugno¨. Dicembre 2003/Giugno 2004. In soli 180 giorni, indicando responsabilità e assegnando colpe, la giustizia italiana offre una (prima) conclusione al crac industriale e finanziario più clamoroso della storia italiana, un default pari a 14,4 miliardi di euro (quasi 28 mila miliardi di lire), lo 0,7 per cento del nostro prodotto interno lordo. Anche in quest’ultimo atto della Parmalat, come in molti degli atti precedenti, il padrone della scena (e della sceneggiatura) è il ragioniere Fausto Tonna. Tanzi (pare) gliel’ha lasciata volentieri. Gli interrogatori di don Calisto sono sempre zoppicanti, monchi di circostanze e punti fermi. Si sviluppano come un tormentone. Di questo tipo: ¨E’ vero, con promissory notes verso terzi, cambiali finanziarie insomma, abbassavamo l’indebitamento delle società, ma per i dettagli di questa o quella operazione dovete chiedere a Tonna, lui sa tutto? E’ vero, per aumentare l’attivo di Bonlat abbiamo fatto degli swaps con il fondo Epicurum che avevamo creato apposta. No, non ricordo quanti. Uno, forse tre, forse quattro? Dovete chiedere a Tonna, queste cose le sa lui?¨. Alter ego e doppio di Calisto Tanzi. Arrogante. Irascibilissimo. Decisionista. Consapevole di sé fino al punto da coltivare, con la nipote del patron Paola Visconti, l’ambizione di ¨scippare¨ al ¨padrone¨ addirittura la società (come è emerso in alcuni interrogatori), Fausto Tonna indica ai pubblici ministeri di Milano e di Parma la strada da percorrere e undici tappe da seguire e vagliare. Undici come ¨i protocolli¨ per creare dal nulla voci attive nel bilancio e cancellare nel nulla le perdite. Gli interrogatori di Fausto Tonna, le sue visite negli uffici della Parmalat in via Oreste Grassi a Collecchio, diventano così il canovaccio dell’inchiesta e l’intreccio della pubblica ricostruzione della truffa. Il ¨servo padrone¨ di don Calisto ha in mano tutti i fili dello spettacolo, quali che siano spettatore e attore. Delle magie finanziarie che hanno tenuto in vita e sui mercati Parmalat, conosce i segreti e il doppio fondo. Dell’inchiesta giudiziaria è il pivot. E’ consapevole di poter dire, tacere o dissimulare piegando nella direzione voluta le indagini. Soprattutto sa di poter rallentare o accelerare il gioco del disvelamento. Quanto tempo occorrerebbe ai pubblici ministeri per decrittare i ¨protocolli¨ della falsificazione dei bilanci, ammesso che senza il suo aiuto l’impresa riesca? E quanto ancora sarebbe il tempo necessario agli investigatori per correre in tre continenti, dove è presente Parmalat, per rintracciare le prove della truffa e le ragioni del crack? Fausto Tonna regala preziosissimo tempo ai magistrati – non v’ha dubbio – e i magistrati, tra Milano e Parma, non stanno lì a tormentarlo più di tanto. Per il momento, anzi, gliene sono addirittura grati.
Chi con entusiasmo (¨La collaborazione di Tonna all’inchiesta ha avuto anche un segno etico¨, si sente dire). Chi con più diffidenza e maggiore pragmatismo: ¨Sappiamo che Tonna non ci ha detto tutto. Come sappiamo che la sua confessione non scioglie il garbuglio. Semplicemente stiamo facendo di necessità virtù perché non abbiamo le forze né il tempo per dare una risposta a tutte le domande dell’affare e ci accontentiamo, dobbiamo accontentarci delle risposte che ci permettono di istruire il processo con solide fonti di prova¨. Buona ragione, perché economica, se si ha la toga sulle spalle. Non una ragione adeguata se si vuole capire che cosa è accaduto a Collecchio. Come è potuto accadere? Domande essenziali per comprendere dove il ¨sistema¨ finanziario (con i suoi controlli e le sue istituzioni e le sue regole) non ha funzionato. Il tableau disegnato da Fausto Tonna, nella lunga confessione, è minimalista fino al grottesco. Una banda di ragionieri di Collecchio per anni prende per il naso società di revisione, società di rating, banche nazionali e internazionali, analisti finanziari, fondi di investimento, Consob e soprattutto risparmiatori, con pochi tratti di penna, un computer e uno scanner. E’ uno scenario che, accanto al buon senso, lascia in un canto troppe questioni. Non solo quella che naturalmente fiorisce sulla bocca di tutti: come è potuto accadere? Ma soprattutto, se Tonna non la racconta tutta, quella essenziale: che cosa è accaduto; da quanto tempo accadeva, e perché? Altri interrogativi ne sono il necessario corollario: chi è davvero Calisto Tanzi? Di quali protezioni ha goduto? Di quali capitali si è avvantaggiato per sopravvivere, e come? ¨Chi è davvero Calisto Tanzi?¨ pare la prima domanda da affrontare. Cominciamo con definirlo furbissimo, e non per (non solo per) i trucchi dei bilanci della Parmalat. Tanzi è un furbissimo soprattutto perché ha fatto lievitare di sé, intorno a sé, su di sé, un’immagine efficacissima per il suo marketing personale e vincente per il marchio dell’azienda di famiglia. Religiosissimo. Morigeratissimo. Perbenissimo. Attaccatissimo alla moglie e ai figli (che poi curiosamente coinvolgerà nella catastrofe e rovinerà). Modernissimo imprenditore: non per caso, si diceva, Parmalat è l’unico marchio ¨globale¨ del Paese. Unicamente interessato ai prodotti delle sue fabbriche, e a null’altro. (Null’altro, se si esclude il football). Bene, ma era, è davvero così Calisto Tanzi? Per dirne una. Leggi che, nella cena di celebrazione in Italia dei cento anni della Chase Manhattan Bank, lo avevano sistemato alla sinistra di David Rockfeller che aveva alla sua destra Gianni Agnelli. Quella seggiola accanto al banchiere americano lo assegna a un empireo industriale, ne testimonia il successo e il prestigio personale, la collocazione in un ambito internazionale che nessun industriale italiano ha mai toccato, se non l’Avvocato e per via diciamo così ¨dinastica¨. Scopri poi, però, che non è vero niente, che quella storia è una delle tante favolette della storia di Tanzi. Chi c’era quella sera ricorda: ¨La cena è del 1994 e Tanzi non era seduto né alla destra né al tavolo di Rockfeller, per l’ovvia ragione che nessuno è tanto matto o scortese da far sedere chi non parla una parola di inglese accanto a chi parla solo inglese. Sicuramente Tanzi sedeva a uno tavolo importante, ma non accanto a Rockfeller. Quel che è certo è che la cosa non sembrò allora dare a Calisto alcun brivido o gratificazione. E’ un pessimo conversatore e le occasioni mondane in società servivano soltanto ad appagare la sua ansia di offrire un’immagine di sé e del suo nome. Non aveva alcun interesse a conoscere Rockfeller, né era curioso di scambiarci due parole¨. Così era fatto, così è fatto don Calisto. ¨Apparire¨ è apparso a Tanzi sempre più essenziale che ¨essere¨. Apparire ¨liquido¨, molto ¨liquido¨ era, poi, il primo degli imperativi della sua strategia. Liquido, Tanzi? Anche questa era una bufala. Parola di un banchiere: Gianmario Roveraro, che organizzò per Parmalat la quotazione in borsa alla fine del 1990. ¨La collocazione delle azioni – racconta Roveraro (prima di venire ammazzato) – aveva avuto, prima del nostro arrivo, qualche difficoltà per un motivo noto a tutti: Tanzi non pagava i fornitori. Lo sapevano tutti tra l’Emilia e la Lombardia, così le banche erano sul ¨chi vive¨ e prudenti i risparmiatori¨. Tanzi non pagava perché le casse della Parmalat erano stente, perché – in quel 1989 – era già ridotto maluccio. Tanto che, appena due anni dopo la quotazione in borsa, è costretto a chiedere, con un secondo aumento di capitale, ancora denaro fresco al mercato. L’aumento di capitale è di 430 miliardi. Per la metà lo avrebbe dovuto conferire la famiglia di Collecchio. Ma lo fece e, se lo fece, dove prese il denaro? ¨Mah! – sospira Roveraro – Allora Tanzi mi disse che aveva attinto al patrimonio della moglie¨. Per 215 miliardi? ¨Così mi disse e io gli credetti anche se cominciai ad avere dei dubbi quando, subito dopo, chiese a me come all’avvocato Sergio Erede e a Renato Picco (Eridania-Ferruzzi) di lasciare libero il posto nel consiglio d’amministrazione che da quel momento è stato sempre composto da familiari di Tanzi o da dipendenti della Parmalat¨. Le manipolazioni di bilancio cominciano in quell’anno, dunque, con le poste che la famiglia doveva conferire all’aumento di capitale. ¨E’ – scrivono i pm di Milano – riscontrare oggettivamente che la contabilità del gruppo Parmalat è stata totalmente falsificata quanto meno dal 1990¨. A voce un pubblico ministero dice di più: ¨Saremo in grado di dimostrare che, già alla fine degli anni Ottanta, la Parmalat era tecnicamente fallita¨. Tecnicamente fallita alla fine degli anni Ottanta. Si sa come don Calisto si salvò in quell’occasione. Ricorse ai buoni uffici di Giuseppe Gennari, un finanziere tanto oscuro quanto aggressivo che gli fu presentato da Mario Mutti, gladiatore dello ¨stay behind¨ e massone.
Meno di pubblico dominio è che la società di Gennari, la Finanziaria Centronord (Fcn), come ricorda Florio Fiorini che vi investì una parte della sua liquidazione dell’Eni, fosse ¨più o meno una società di strozzo che erogava modesti prestiti a piccoli imprenditori, a commercianti e artigiani scontando i crediti presso il Monte dei Paschi di Siena dov’era direttore generale Carlo Zini che la Fcn aveva fondato e poi abbandonato¨. Sarà per questi nomi e questi metodi e questa storia che il 1989 e il 1990 sono gli anni più oscuri dell’avventura di Tanzi. In una delle principali merchant bank del tempo si ritenne (lo ha ricordato Marco Vitale), che la società fosse ¨opaca, la natura dei nuovi capitali entrati ambigua, la fiducia nell’imprenditore Tanzi bassa¨. Non si comprende infatti con quali risorse Tanzi sia entrato, con la finanziaria di famiglia (la Coloniale), in Fcn e con quali quattrini Gennari abbia potuto fare ingresso nella Coloniale prima e in Parmalat poi (fino a possederne, a sentir lui, più del 50 per cento). Un uomo d’affari di Milano seppe, qualche tempo dopo, che ¨fu il gran maestro della massoneria Armando Corona a salvare il cattolicissimo Tanzi¨. Non ci mancava che questa. La massoneria. Il rumor, senza conferma, si diffonde. E ingrassa se si prende per buona la convinzione che il Monte Paschi fosse controllato dai massoni toscani e che a mediare tra Tanzi, la banca di Siena e Gennari fosse, come s’è detto, il massone Mario Mutti. Guai però a parlare di massoneria con Carlo Zini che, dei Paschi, era in quegli anni provveditore (direttore generale). ¨Ma quale massoneria – dice oggi – Che bisogno della massoneria aveva Tanzi! In quel tempo era la politica a governare il credito. La deputazione del Monte dei Paschi era composta con il bilancino. Otto membri. Tre alla Dc, due al Pci e due al Psi, uno alternativamente al Psdi e al Pri. Il provveditore nominato dal ministro del Tesoro. Tanzi non aveva bisogno dei massoni, gli era sufficiente l’amicizia dei politici. Anzi, a Siena era sufficiente saperlo amici dei politici¨. Così si spiega perché, nella primavera del 1989, la merchant bank dei Paschi (la Centrofinanziaria) organizzò in gran fretta alla Parmalat un prestito di 120 miliardi a patto che Tanzi si liberasse della disastrosa proprietà di Odeon Tv e si impegnasse, in caso di mancato rimborso entro tre anni, a consegnare alle banche il 22 per cento dell’azienda. ¨Che – ricorda oggi Zini – eravamo già pronti a cedere alla Kraft¨. Ancora debiti. Ancora con il fiato sospeso. Tuttavia Tanzi ce la fa. Ancora una volta, non si sa come. ¨Fu salvata – ha scritto Marco Vitale (Corriere della Sera) – dalla brillante operazione condotta dalla Akros di Gianmario Roveraro, mobilitando capitali imprenditoriali non chiarissimi e facendo ricorso al mercato¨. C’è chi sostiene che, fallito il tentativo di Gennari appoggiato dal Monte dei Paschi, sia stata l’Opus Dei a tirare fuori dai guai don Calisto.
E, in effetti, tutti gli uomini chiave dello sbarco di Parmalat in Piazza Affari sono dell’Opus. Lo è Gianmario Roveraro, poi misteriosamente “giustiziato” . Lo è Ettore Gotti Tedeschi che introduce Tanzi da Roveraro. E’ stato scritto che per ottenere i favori dell’Opus, don Calisto furbissimo abbia organizzato addirittura ¨un circolo di preghiera¨. ¨Posso dire – taglia corto, gentile e infastidito, Roveraro – che Calisto Tanzi non ha mai partecipato a iniziative dell’Opus Dei né a quelle collettive di dottrina né a quelle individuali di ascesi. E comunque l’Opus non c’entra nulla in questa storia e non si occupa di queste cose. La finanza non è cattolica né laica o massonica: è semplicemente finanza¨. Prendiamone atto e annotiamo qualche prima conclusione. Per i pubblici ministeri, che si preparano a portare in giudizio Tanzi, a soli tre mesi dal crac, Parmalat è ¨tecnicamente fallita¨ già alla fine degli Anni Ottanta. I capitali che vi affluiscono in quella stagione (consentono la quotazione alla Borsa di Milano) sono, nell’opinione della comunità finanziaria, ¨oscuri e non chiarissimi¨. A cavallo del 1990, la formidabile politica di acquisizioni all’estero aggrava ancora di più l’indebitamento di Calisto Tanzi. Fausto Tonna manipola i bilanci, nasconde le perdite, gonfia gli attivi. Tutto indisturbatamente per ulteriori 13 anni, sino ai tempi più recenti con un tracollo che sfiora i 15 miliardi di euro!
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