DENUNCIA DI UNA MAESTRA DI PRATO A CUI IL LOCALE TRIBUNALE NEGA OGNI DIRITTO
Da premettere che la Sig.ra C. S. subiva, sin da tenera età, maltrattamenti e percosse da parte del padre, G. B. S., a cui si aggiungeva l’abbandono ed il completo disinteresse della madre, C. V.
Appena diciottenne, all’ennesimo tentativo del padre di metterle le mani addosso, lei scappò di casa e si rifugiò dalla sorella G. S., già coniugata con A. G., chiedendo aiuto e sostegno.
Dopo un primo momento in cui sembrava che la sorella volesse sinceramente aiutarla, entrarono in gioco questioni di natura puramente economica: il padre aveva un discreto patrimonio che, alla morte, il cognato Sig. A. G. (un funzionario di un importante istituto bancario intrallazzato con influenti personaggi locali) cominciò a gestire, minimizzando di fatto l’accaduto e cercando di far apparire la Sig.ra C.S. come mentalmente instabile e disturbata.
Invero, la stessa, pur trovandosi da sola, giovanissima e scioccata, non era affatto malata di mente né si perse d’animo: terminò gli studi conseguendo il diploma da maestra elementare e vinse un concorso per un incarico ad Alessandria.
Dopo qualche anno ottenne il trasferimento a Prato, sua città d’origine, dove cercò di riallacciare i rapporti con la famiglia, ma si trovò di fronte ad un muro invalicabile di odio, cattiveria e accanimento, tale da gettarla in una profonda prostrazione fisica e psicologica.
Grazie alla innata forza di carattere riuscì, in larga parte, ad affrontare e superare tutte quelle problematiche derivatele dalle violenze subite, dagli abbandoni periodici e reiterati dei suoi familiari (la madre, C. V., aveva abbandonato la famiglia di punto in bianco quando la nostra maestra era ancora una bambina e non ha mai tenuto con lei un comportamento “materno”, in definitiva ignorandola; la sorella l’ha allontanata proprio quando aveva trovato la forza di denunciare quello che subiva da anni in casa; la morte della amatissima nonna, l’unica familiare ad averla mai amata e sostenuta sinceramente), dalla solitudine in cui si trovava a vivere, ricorrendo anche all’aiuto di medici seri e preparati che la seguono nel suo percorso di ricostruzione interiore.
Ma veniamo ai fatti.
Nel 1989 la Sig.ra C. S. trovò la forza di formalizzare in una denuncia vera e propria, sporta presso l’allora Commissariato di P.S., la propria situazione, interrompendo, di conseguenza, ogni rapporto con i congiunti.
Il 15.10.1992 morì il padre, in Prato, ma C. S. venne informata solo dopo molte ore e, recatasi presso la casa paterna, trovò a sbarrarle l’accesso un cancello elettrico appena installato.
Di fatto, dalla data della morte del padre, non ha mai avuto accesso né alla casa paterna, né ai documenti relativi alla consistenza patrimoniale del de cuius, che pure sapeva ingente.
Il relativo inventario veniva redatto dalla sorella e dal cognato unilateralmente, senza consultare la Sig.ra C. S., che conseguentemente rifiutava di sottoscriverlo.
Ella sapeva esistere alcuni conti correnti bancari intestati al padre, dove, a detta dello stesso, erano depositati diverse centinaia di milioni di vecchie lire: alla morte del padre questi conti risultavano contenere pochi spiccioli.
Il de cuius lasciava un testamento olografo dove dichiarava di lasciare le sue sostanze alle figlie e che, se non poteva diseredare la moglie (i coniugi non avevano mai formalizzato legalmente la separazione né, tantomeno, avevano chiesto il divorzio), a questa toccasse proprio il minimo di legge; inoltre, lasciava un legato pari al 4% delle sostanze alla nipote A. G..
In successione sono entrati dunque: la casa di Via M. R. (un immobile grande, di 180 mq. con giardino e rimessa), il 50% di un terreno in località Galciana di svariati ettari, con una colonica a rudere, coltivato da un contadino in “affitto” e i beni mobili.
Inspiegabilmente, sin dal momento dell’apertura della successione, la Sig.ra C. S. paga annualmente tasse e balzelli per un valore di circa Lire 70.000.000 (in dieci anni) sui suddetti beni, senza averne mai percepito alcun reddito!!
In particolare, per quel che attiene al terreno, la sorella e lo zio, A. S., proprietario al 50%, si sono sempre rifiutati di corrisponderle la sua quota di affitti (inutili sono state anche le richieste formali avanzate tramite legali) così come la sorella ed il cognato si sono sempre rifiutati di dare le chiavi dell’immobile di Via M. R..
Cominciavano così due cause civili, una per la divisione dell’eredità e una per la simulazione della compravendita (in realtà una donazione) di un immobile in Via M. R., attiguo a quello di proprietà del padre, effettuata tra lo stesso e la figlia G. ed il genero A. G., poi riunite, ed attualmente ancora pendenti innanzi al Tribunale di Prato.
In data 2 aprile 1999 la sig.ra C. S. presentava, tramite il proprio legale, atto di denuncia querela presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato, da cui prendeva inizio il procedimento nr. 1296/99 R.G.N.R.
Dato che nulla si muoveva dopo anni, in data 28 dicembre 2001 la Sig.ra C. S. integrava la suddetta querela di mano propria e, contestualmente, veniva interrogata dal P.M. Dott. E. Paolini.
Da sottolineare che detto interrogatorio fu del tutto “SOMMARIO E ILLEGITTIMO”, tanto che la Sig.ra C. S. non veniva informata della possibilità di farsi assistere da un legale, né che le dichiarazioni rese potevano essere usate contro di lei.
Ancora niente.
Si rivolgeva ad altro legale che in data 30.12.2002 proponeva istanza di acquisizione urgente, stante l’impellente scadere dei dieci anni per la conservazione dei documenti, della documentazione bancaria relativa alla situazione patrimoniale del fu G. B. S.
Alla suddetta istanza la Procura rispondeva con il diniego della richiesta e con la richiesta di archiviazione: entrambi gli atti portano la data del 31.12.2002; seguiva la notifica in data 9.01.2003 della richiesta, da parte del P.M., di archiviazione del procedimento, cui veniva proposta tempestiva opposizione in data 18.01.2003.
Ciò nonostante, il G.I.P. di Prato, Dott. Moneti, respingeva indebitamente l’istanza e disponeva l’archiviazione del procedimento, accogliendo la richiesta del P.M. secondo cui le uniche ipotesi di reato astrattamente configurabili sarebbero state quelle di appropriazione indebita di cose comuni, erroneamente ritenute entrambe prescritte, senza rinvenire la continuazione e la sussistenza di ipotesi di reato ben più gravi quali la truffa aggravata e continuata, furto e rapina e frode processuale.
Come spesso accadde quando vi sono interessi cospicui e personaggi di potere, la denuncia presentata dalla Sig.ra C. S. si risolve in un nulla di fatto, mentre la denuncia presentata dalla sorella e dal cognato contro di lei per presunte ingiurie e minacce prosegue a vento in poppa, secondo lo stile della magistratura compiacente con il male e con i potenti.
La Sig.ra C. S. ha così deciso di lanciare tramite Avvocati senza Frontiere un appello per trovare un nuovo difensore che abbia il coraggio di difenderla nelle cause civili (in cui non le viene neppure riconosciuto il gratuito patrocinio perché risulta una facoltosa ereditiera, proprietaria di vari beni immobili e rendite…) e fare riaprire il procedimento penale arbitrariamente archiviato.
Nel suo appello fa presente che tra le persone coinvolte ci sono vari professionisti tra loro collegati, cosa che le ha impedito di risolvere una situazione che si protrae da oltre 13 anni, man mano aggravandosi, tanto da subire vere e proprie forme di mobbing da parte delle istituzioni, anche nell’ambito professionale.
Ciò non deve destare sorpresa poiché è notorio che vi sono poteri occulti in grado di controllare non solo la magistratura, ma tutti gli ambiti istituzionali, riuscendo a influenzare la sorte delle persone che vengono discriminate in varie forme.
In proposito, vale la pena ricordare che l’Ispettore scolastico, dove l’insegnante prestava servizio, è giunto al punto di attribuirle appellativi ingiuriosi, cosa che ha determinato un’oggettiva situazione di mobbing sul lavoro, fino a costringerla a scegliere la via pensionistica a causa delle ripercussioni sulla salute e la sua onorabilità.
Assurdamente alla Sig.ra C. S. è precluso di accedere al gratuito patrocinio in quanto, seppure il suo reddito netto rientri nei limiti previsti dalla legge, percependo solo una pensione di circa Euro 819 al mese, risulta proprietaria degli immobili coereditati, sui quali non ha nessuna gestione né reddito né reale possesso, essendo. però. suo malgrado, costretta a pagarvi le tasse, onde evitare il pignoramento dell’appartamento dove abita
Una delle tante situazioni kafkiane, di cui abbiamo già avuto occasione di parlare diffusamente, che impedisce in radice l’accesso dei cittadini alla giustizia, negando il principio di uguaglianza di fronte alla legge.
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