PISANU. UNA CARRIERA DA PIANO RINASCITA. DAI RAPPORTI CON LA P2 ALLA PRESIDENZA DELL'ANTIMAFIA

Pisanu, l’8 giugno del 1982, risponde alla Camera. Già all’epoca c’era un enorme buco, c’era il buco del banco Andino, affiliato al Banco Ambrosiano, che stava rischiando di trascinare anche l’Ambrosiano nel crack.
Ma Pisanu rassicura: niente paura: è tutto sotto controllo, nessun allarme.

Dice: “le indagini condotte all’estero sull’Ambrosiano non hanno dato alcun esito”.
Non tanti giorni dopo, un giorno dopo, il 9 giugno Pisanu va di nuovo a cena con Flavio Carboni.
Un altro giorno dopo, il 10 giugno, Calvi scappa dall’Italia per finire, come sappiamo, sotto il Ponte dei Frati Neri, appeso.
Nove giorni dopo l’uscita di Pisanu in Parlamento – tutto sotto controllo, nessun problema per l’Ambrosiano – il governo suo, Fanfani, mette l’Ambrosiano in insolvenza.
Lo dichiara insolvente e manda sul lastrico migliaia di risparmiatori, che perdono tutto quello che avevano.
Poi, sia l’Ambrosiano, sia l’Andino fanno la loro regolare bancarotta.
La commissione P2, presieduta da Tina Anselmi, convoca Pisanu perché Angelo Rizzoli, editore, all’epoca proprietario del Corriere della Sera, P2, poi coinvolto in un crack, anche lui arrestato, racconta: “a proposito del Banco Andino, Calvi disse a me e a Tassandin – l’uomo della P2 al vertice del Corriere della Sera – che il discorso dell’onorevole Pisanu in Parlamento l’aveva fatto fare lui – Calvi. Qualcuno mi aveva detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni“.
Quest’accusa, che poi verrà riesumata anche dal portaborse di Calvi, Pellicani, non ha mai trovato conferma, quindi possiamo ritenerla falsa o non provata.
Ma il problema è politico: Pisanu è il signore che ha messo la faccia, è andato in Parlamento a dire che il Banco Ambrosiano era una meraviglia mentre era alla vigilia del crack.
Il tutto a causa dei suoi conflitti di interessi, cioè dei suoi rapporti con Carboni, con Calvi e con Berlusconi.
In commissione P2 si scatenano le opposizioni: i più accesi sono Teodori, dei Radicali, e Tremaglia, del Movimento Sociale, che ne dicono di tutti i colori di Pisanu.
Se volete trovate in “Se li conosci li eviti”, la biografia di quei giorni terrificanti, tant’è che urlano “dimissioni, dimissioni, dimissioni!” e alla fine, il 21 gennaio del 1983, Pisanu si dimette da sottosegretario al Tesoro.
Poi rientrerà in un altro governo e verrà riciclato da Forza Italia, perché sapete che in Italia non si butta via niente!
Lo ritroviamo, Pisanu – ve lo racconto di nuovo il suo possibile ruolo di presidente della commissione antimafia – nel 2004, 10 gennaio, in una telefonata.
Non è lui al telefono: al telefono ci sono Berlusconi, presidente del Consiglio, e Cuffaro, all’epoca governatore della Sicilia per il centrodestra.
Cuffaro, sapete, era preoccupato perché c’era un’indagine per favoreggiamento alla mafia da parte della Procura di Palermo, Berlusconi lo rassicura e gli dice: “io ho saputo qui, la ragione perché ti telefono, il ministro dell’Interno mi ha parlato e mi ha detto che tutta la… è sotto controllo, è tutto sotto controllo”.
Chi era ministro degli Interni in quel periodo? Pisanu.
A che titolo Pisanu sapeva notizie o controllava notizie su un’indagine segreta della magistratura a Palermo, un’indagine di mafia che coinvolgeva anche il governatore?
E a che titolo informava Berlusconi di queste eventuali notizie segrete di cui aveva saputo?
E a che titolo Berlusconi informava Cuffaro?
C’è, per caso, un reato di favoreggiamento in questo comportamento? Lo domando perché Cuffaro è stato condannato per avere avvertito dei mafiosi su notizie riservate su indagini in corso.
Se fosse vero quello che dice Berlusconi al telefono, forse ci sarebbe qualcosa di illecito anche nel comportamento di un ministro dell’Interno che si procura notizie su un’indagine segreta, che le rivela al presidente del Consiglio, che le rivela all’interessato, cioè all’indagato, cioè a Totò Cuffaro.
Perché non sono stati chiamati a risponderne penalmente? Perché in quel periodo la procura di Palermo adottava una linea morbida nei confronti dei politici.
Pisanu fu sentito come testimone, Berlusconi non fu nemmeno sentito.
La procura, presieduta da Piero Grasso, chiese e ottenne la distruzione di quei nastri, anziché mandarli al Parlamento per ottenere l’autorizzazione a utilizzarli per valutare eventuali reati da parte di Berlusconi e Pisanu.
Tutti da dimostrare, naturalmente, ma la telefonata è quanto mai inquietante, soprattutto perché Cuffaro non si è mai saputo da chi sapesse le notizie riservate che poi passava ai mafiosi.
Qui abbiamo un piccolo indizio: “il ministro dell’Interno mi ha parlato, e mi ha detto che tutta la… è tutto sotto controllo, tutto sotto controllo”.
Perché dico questo? Perché è evidente che una commissione parlamentare antimafia seria, che volesse occuparsi dei rapporti mafia-politica, potrebbe per esempio cominciare dal caso Cuffaro.
E nel caso Cuffaro domandarsi se c’erano deviazioni istituzionali.
E magari convocare Berlusconi e Pisanu.
Ma se il presidente dell’antimafia fosse Pisanu, potrebbe convocare se stesso? Si, dovrebbe guardarsi allo specchio e farsi le domande e darsi le risposte.
Passate parola!

Ps. La scorsa settimana ho citato l’ex onorevole Publio Fiori a proposito della Loggia P2.
Fiori mi prega di precisare che il suo nome figurava, sì, nelle liste ritrovate nel 1981 negli uffici di Gelli a Castiglion Fibocchi.
Ma poi una sentenza definitiva del Tribunale di Roma (come pure l’Avvocatura Generale dello Stato) hanno stabilito che la presenza del suo nome nelle liste non dimostra la sua adesione alla Loggia.
Il suo nome, insomma, potrebbe essere stato inserito abusivamente negli elenchi.”
Marco Travaglio


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