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“L’imprenditore Antonino De Masi ha l’unica colpa di restare onesto in un territorio ostile come la piana di Gioia Tauro. E’ in guerra da anni con la mafia, le banche e lo Stato. La mafia è la mano militare che minaccia, vuol prendere la sua azienda a colpi di Kalashnikov. Le banche esercitano il ruolo di raffinati torturatori: tassi da usura, abusi, variazioni unilaterali dei contratti. Lo Stato assiste inattivo a tanto scempio. L’unica arma di De Masi è la legalità che ha funzionato, almeno sulla carta. La Cassazione ha condannato tre banche per il reato di usura nei suoi confronti (BNL, Antonveneta e Banca di Roma) e 14 sentenze di TAR e Consiglio di Stato gli hanno assegnato un mutuo anti usura. Ma è dal 2006 che Antonino e i suoi 100 operai attendono l’apertura del mutuo dallo Stato. Ciò costringerà De Masi alla chiusura della sua azienda il 20 luglio. Il MoVimento 5 Stelle chiede che venga istituita al più presto una commissione d’inchiesta parlamentare che lavori per accertare gli eventuali crimini bancari nel nostro Paese.”
M5S Camera
Dal Blog di Beppe Grillo
L’INTERVISTA
Eroi civili. L’imprenditore De Masi: «La mia vita contro le banche usuraie»
30 Aprile 2013
di Domenico Naso
Nell’Italia in crisi economica e politica, c’è chi muore di fame, chi ha perso tutto, chi reagisce alla disperazione sparando su due innocenti servitori dello Stato. Ma c’è chi sceglie un’altra strada, quella dell’eroismo civico, ostinato e silenzioso. Una battaglia quotidiana contro le ingiustizie che può durare anche dieci anni, contro lobby granitiche, poteri forti e consolidati sistemi economici. Una battaglia che, però, si può vincere. È il caso di Antonino De Masi, imprenditore di Rizziconi, nella piana di Gioia Tauro, che circa dieci anni fa si è accorto che qualcosa non andava nel suo conto in banca. Erano “spariti” circa sei milioni di euro, in un contesto di investimenti per la realizzazione di alcune attività imprenditoriali beneficiate anche da fondi pubblici, perché le banche avevano applicato un tasso superiore al 35%, erodendo di fatto tutti i soldi pubblici arrivati.
Da quel giorno non si è più fermato, fino a quando non ha ottenuto giustizia con sentenza passata in giudicato: le banche, ha stabilito il giudice, hanno praticato l’usura nei confronti delle aziende di Antonino De Masi e ora dovranno risarcirlo.
I danni subiti, dopo un’accurata perizia, sono stati calcolati nella misura di 215 milioni di euro. Un’enormità, soprattutto per un imprenditore. Calabrese. E in tempo di forte crisi economica.
Vittoria simbolica, di principio? Nemmeno per idea: De Masi quei soldi li vuole, giustamente, e si dichiara pronto a lottare per altri dieci anni, se necessario.
Come è cambiato il rapporto impresa-banca dopo le sentenze sul suo caso?
«Grazie alle mie battaglie, che ho iniziato dieci anni fa, è cambiato totalmente questo rapporto. Io ho iniziato questa battaglia molto prima degli scandali Parmalat, Cirio, ecc. Parlare di crimini bancari all’epoca era una bestemmia. Con le mie denunce, dal 2002 in poi, si è capito cosa c’è dietro il comportamento degli istituti di credito, cioè la politica del massimo profitto, la volontà di rubare i soldi dei risparmiatori. Le do un dato: in Italia ci sono 85 milioni di rapporti bancari e la banca addebita 10 euro a trimestre. Cioè 3,4 miliardi l’anno che vengono trasferiti dalle tasche dei risparmiatori a quelli delle banche. Poi bisogna considerare che tre banche detengono il 50% di quei rapporti bancari, e quindi solo questi tre istituti si mettono in tasca 1,7 miliardi di euro. Se poi ricordiamo che il conto corrente in Italia costa tra i 90 e i 140 euro in più rispetto al resto d’Europa, è evidente che siamo di fronte alla più grande truffa ai danni dei cittadini. Io questo ho fatto: ho dimostrato con atti, fatti e circostanze, cosa c’è dietro».
Nella politica e nello Stato ha trovato alleati o ostacoli?
«La politica non può litigare con le banche. Non se lo può permettere…»
Anche le imprese pare che preferiscano il silenzio. Hanno paura che le banche chiudano i cordoni della borsa del credito?«E’ vero, gli imprenditori sono terrorizzati. Se le attacchi, le banche ti chiudono le porte e ti estromettono dal sistema. Sei finito».
Una perizia ha stabilito che i danni alle sue aziende ammontano a 215 milioni di euro. Lei spera di ricevere il risarcimento dalle banche? O si accontenta della vittoria simbolica?
«Certo che ci spero. È il frutto di dieci anni di guerre. E sono pronto a farne altri dieci, se non mi risarciranno. Ci sono delle leggi, la cui violazione viene punita solo se commessa da cittadini, creando una disparità tra cittadini e banche. Allora non viviamo più in un paese democratico. E se è così qualcuno deve avere il coraggio di ammetterlo e spiegarmelo».
Lei ha vinto una battaglia contro il potere forte per eccellenza. Come ha fatto?
«Ho portato in tribunale questi criminali nel nome delle leggi e del diritto. Non ho vinto per capacità di lobby. Anzi, ho vinto contro il potere più forte che esiste in Italia e contro gli avvocati più importanti e potenti del paese».
A cosa ha dovuto rinunciare in tutti questi anni di battaglie contro l’usura bancaria?
«Tutte le vittorie le ho pagate carissime sulla mia pelle. Anche fisicamente. E anche se faccio l’imprenditore, e di impegni ne avrei già abbastanza, da dieci anni studio 10-12 ore al giorno e, mio malgrado, sono diventato uno dei massimi esperti italiani in materia».
E alla fine ne è valsa davvero la pena?
«Questa è la domanda delle domande… Da cittadino che osserva le leggi e che vuole vivere in un paese democratico, dico di sì, ne valeva le pena.
Il problema è quando prevale l’essere razionale. Penso spesso a quanto mi è costato tutelare i miei diritti…»
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