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Guida alla separazione

 

“LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI

…NEPPURE PER CHI SI VUOLE SEPARARE!

Nonostante il nostro ordinamento preveda, espressamente, il diritto dei cittadini di presentare personalmente le domande di separazione e divorzio consensuale (secondo lo stesso indirizzo interpretativo delle vigenti norme in materia, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, e in osservanza all’art. 6 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, che prevede il diritto di autodifesa legale), nei Tribunali italiani vige la più assoluta anarchia, per cui non vi è uniformità applicativa in merito alla possibilità di presentare il ricorso per separazione e divorzio congiunto senza il patrocinio di un avvocato, come ci si dovrebbe aspettare in uno Stato di Diritto.

Con la conseguenza che i Tribunali di una stessa regione, quali ad esempio Milano, Torino, Genova, Roma e Agrigento si muovono in maniera del tutto opposta a quelli di Sondrio, Asti, Savona, Civitavecchia, Palermo, Firenze, Trento e tutti gli altri sottoelencati, dando prova che in questo Paese non esiste alcuna sovranità della Legge e del Diritto. I cittadini vengono così costretti a rivolgersi agli avvocati-stregoni del divorzio, vedendosi ingiustamente gravare di pesanti quanto inutili spese legali.

Ciò, nell’evidente proposito di favorire le lobbies di pressione affaristico-giudiziaria, che fanno capo ai locali Consigli dell’Ordine Avvocati e agli Uffici di Presidenza dei rispettivi Tribunali e Corti di Appello.

LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE

Viene pronunciata dal Tribunale su richiesta di uno dei coniugi. Può essere richiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare pregiudizio all’educazione della prole.

In caso di separazione consensuale, ex art. 711 c.p.c., non è necessaria l’assistenza tecnica di un legale, seppure in genere giudici, cancellieri e avvocati tendano a scoraggiare l’autodifesa personale delle parti.
IL PROCEDIMENTO DI SEPARAZIONE GIUDIZIALE

La competenza in materia è affidata al Tribunale del luogo in cui risiede il convenuto. La fase iniziale si svolge davanti al Presidente del Tribunale, al quale spetta la fissazione della data in cui dovranno comparire entrambi i coniugi: in questa sede egli tenterà di conciliarli, sentendoli prima separatamente e poi insieme; se la conciliazione riesce o se il coniuge che ha proposto ricorso rinunzia al giudizio, il presidente ordina la redazione del verbale di conciliazione o di rinuncia all’azione. Nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione o di mancata comparizione del coniuge convenuto, il presidente provvede anche d’ufficio con ordinanza inoppugnabile a regolare gli atti provvisori e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e dei figli. Si tratta di provvedimenti temporanei emessi in attesa della sentenza, che riguardano soprattutto l’autorizzazione a vivere separatamente, l’obbligo dell’assegno di mantenimento, l’affidamento dei figli, l’assegnazione dell’uso dell’abitazione familiare anche qualora questa appartenga all’altro coniuge. Il presidente nomina poi il giudice istruttore dinnanzi al quale proseguirà la causa secondo il rito ordinario fino all’emissione della sentenza: questi può decidere di revocare o modificare il contenuto dell’ordinanza del tribunale. A seguito della separazione i coniugi decadono dal dovere di coabitazione; per quanto riguarda il dovere di fedeltà, la giurisprudenza ritiene che sia da considerare estinto, ma viene fatto divieto di comportamenti lesivi della dignità dell’altro coniuge. La legge disciplina le conseguenze della separazione solo in relazione alla prole, all’aspetto patrimoniale e al cognome della moglie.
I PROVVEDIMENTI VERSO I FIGLI

Qualora vi siano figli minorenni, il giudice deve emettere tutti i provvedimenti necessari nei loro confronti con esclusivo riferimento al loro interesse morale e materiale. Innanzitutto, dichiarare a quale dei coniugi essi saranno affidati. Potrà, in presenza di gravi motivi, ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nell’impossibilità, in un istituto di educazione. Inoltre, stabilirà la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi: ciò significa che dovrà quantificare l’assegno di mantenimento a favore del coniuge affidatario e le modalità del diritto di visita riguardanti il non affidatario. In ogni caso deve tener conto di quanto pattuito tra le parti senza però che ciò vincoli in alcun modo la decisione del tribunale. Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi e , salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni giornaliere e ordinarie sono di competenza del genitore affidatario; per le scelte determinanti nella vita del figlio occorre il consenso di entrambi i coniugi. Qualora il coniuge affidatario decida su una questione di maggiore interesse senza rispettare quanto pattuito da entrambi è ammissibile il ricorso al giudice. Il coniuge cui i figli non sono affidata conserva sempre il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e conseguentemente può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

L’ABITAZIONE NELLA CASA FAMILIARE

Per quanto concerne l’abitazione nella casa familiare, esso spetta di preferenza, e ove ciò sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, anche se la casa non è di sua proprietà. Questa disposizione, volta a consentire al figlio di vivere nel luogo in cui è cresciuto, si ritiene estendibile anche al coniuge affidatario di figli maggiorenni, e riguarda solo la prima casa. Il giudice dà inoltre disposizioni circa l’amministrazione dei beni dei figli e, nell’ipotesi che l’esercizio della potestà sia affidata a entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell’usufrutto legale. Infine i coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di esse e le disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

GLI EFFETTI SUI RAPPORTI PATRIMONIALI TRA I CONIUGI

L’obbligo di contribuzione al mantenimento dell’altro coniuge sussiste solo se la separazione non sia in alcun modo addebitabile al richiedente e a condizione che quest’ultimo non possegga adeguati redditi propri. In caso di pronunzia di addebitabilità è applicabile l’assegno alimentare e non quello di mantenimento. Il giudice può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale, se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento dell’obbligo, e , in caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto. Tutti i provvedimenti emessi in relazione ai rapporti patrimoniali tra i coniugi e ai figli possono essere revocati o modificati, anche quando la sentenza sia passata in giudicato, qualora sopravvengono giustificati motivi.

SUCCESSIONE A SEGUITO DI SEPARAZIONE

Qualora muoia uno dei coniugi separati, l’altro è ammesso a succedergli in qualità di erede legittimo o necessario, ma a condizione che non gli sia stata addebitata la separazione. Se si è invece in presenza di una pronunzia di addebito già passata in giudicato, il coniuge sopravvissuto decade dal diritto dell’eredità, tuttavia gli è dovuto un assegno vitalizio, se percepiva gli alimenti. Allo stesso modo, la separazione non estingue il diritto all’assistenza medica mutualistica, alla pensione di reversibilità e ai contributi dovuti in base al trattamento di fine rapporto, ma sempre a condizione che non sussista alcuna pronunzia di addebito a carico del coniuge richiedente.

USO DEL COGNOME DEL MARITO

Il giudice può vietarlo alla moglie quando tale uso sia gravemente pregiudiziale al marito e può parimenti autorizzarla a non usarlo, qualora possa derivarle grave pregiudizio.

LA RICONCILIAZIONE

I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con un’espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione. Ciò si verifica, ad es., quando due coniugi separati riprendono a convivere e ristabiliscono la comunione spirituale e materiale tra loro; rapporti sessuali occasionali non comportano invece la riconciliazione. A seguito della riconciliazione cessano gli effetti della sentenza di separazione. Essa inoltre preclude che la separazione possa essere nuovamente pronunziata per fatti e comportamenti avvenuti prima della riconciliazione: una nuova separazione può essere dichiarata solo a seguito di fatti avvenuti dopo di essa. Quando la riconciliazione avviene prima della sentenza produce l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta.

LA SEPARAZIONE CONSENSUALE

Si svolge con un procedimento più rapido e permette ai coniugi di non sottoporre le proprie questioni private dinnanzi al giudice e di procedere con maggior economia: per tale ragione risulta essere più diffusa rispetto alla separazione giudiziale. Requisiti essenziali sono il consenso tra le parti e l’omologazione del giudice. L’accordo deve vertere su tutti i punti richiesti perché possa attuarsi lo stato di separazione: dunque i coniugi devono determinare a chi saranno affidati i figli, le modalità di contribuzione al mantenimento degli stessi e del coniuge legittimato, la disponibilità della casa familiare. Inoltre, qualsiasi clausola stabilita tra i coniugi che sia in contrasto con norme imperative è nulla: ad es., il coniuge cui spetti l’assegno alimentare non può rinunciarvi; allo stesso modo, non può esimersi dal mantenimento dei figli, a meno che non versi in stato di bisogno. Raggiunto l’accordo è necessario ricorrere al giudice affinché pronunci l’omologazione; il ricorso deve essere presentato da entrambi i coniugi o da uno solo; il presidente del tribunale deve ascoltarli e cercare di conciliarli: qualora la riconciliazione non riesca si dà atto nel processo verbale del consenso alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi e i figli.

 

TRIBUNALI CHE AMMETTONO IL DIVORZIO CONGIUNTO

SENZA L’ASSISTENZA DI UN AVVOCATO

ABRUZZO LANCIANO, PESCARA, TERAMO
CALABRIA REGGIO CALABRIA
CAMPANIA BENEVENTO, S. ANGELO DEI LOMBARDI
FRIULI VENEZIA GIULIA TOLMEZZO, UDINE, GORIZIA
LAZIO CASSINO, CIVITAVECCHIA, FROSINONE, RIETI
LIGURIA IMPERIA, LA SPEZIA, SANREMO, SAVONA
LOMBARDIA CREMA, CREMONA, LODI, SONDRIO
MARCHE ANCONA, CAMERINO, FERMO, URBINO
MOLISE ISERNIA, LARINO
PIEMONTE ACQUI TERME, ALBA, ALESSANDRIA, ASTI, CASALE MONFERRATO, TORTONA, VERCELLI
PUGLIA BARI, FOGGIA, LECCE, TARANTO
SARDEGNA CAGLIARI, LANUSEI, ORISTANO, SASSARI
SICILIA AGRIGENTO, BARCELLONA POZZO DI GOTTO, ENNA, MARSALA, MODICA, PALERMO, RAGUSA, SCIACCA, SIRACUSA, TERMINI MESERE
TOSCANA FIRENZE, GROSSETO, MASSA, SIENA
TRENTINO TRENTO, ROVERETO
UMBRIA SPOLETO
VENETO ROVIGO

Se il tribunale della tua città non è in questa lista puoi scriverci una mail a movimentogiustizia@yahoo.it, indicando, senza impegno, i comuni di residenza dei due coniugi già separati. Ove possibile, cercheremo di assisterti con un nostro avvocato fiduciario presente nella tua città, in base a tariffe convenzionate e assolutamente contenute.
Stiamo anche valutando l’opportunità di denunciare gli uffici giudiziari che non consentono ai cittadini di accedere al diritto di autodifesa, chiedendo accertarsi l’ordine di interessi che genera una simile disparità di comportamenti tra le diverse sedi giudiziarie.

Contattaci

Avvocati Senza Frontiere è una rete “superpartes” di legali, operatori del diritto, consulenti tecnici, professionisti, iurisperiti, studenti, comuni cittadini e volontari che operano animati da puro spirito di giustizia e senza scopi di lucro:

  • Per rispondere ai bisogni dei soggetti più deboli, interpretando il diritto come <limite al potere> e difesa delle libertà e dell’eguaglianza e non già come strumento d’oppressione, repressione e sopraffazione dei diritti umani, utilizzato per legittimare gli abusi di autorità commessi da soggetti pubblici e privati in posizione dominante o da governi dispotici e oligarchici;

  • Per cambiare il volto dell’Avvocatura e della giustizia italiana, in larga parte asservite agli interessi di poteri occulti, logge massoniche, comitati d’affari e apparati clientelari dei partiti;

  • Per trasformare in realtà il “sogno impossibile” di tutti gli uomini di buona volontà di affermare in concreto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e l’effettiva indipendenza della magistratura da ogni ingerenza e potere esterno, garantendo la supremazia della ragione e del diritto;

  • Per garantire il diritto di difesa e l’accesso alla giustizia di tutti i cittadini, senza distinzione di razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni sociali.

 

DA OLTRE 25 ANNI

CONTRO TUTTE LE MAFIE

 

La mission di Avvocati senza Frontiere consiste nel far proprie le aspirazioni di giustizia delle parti più deboli e battersi con fermezza e coraggio civile contro tutte le mafie e la corruzione giudiziaria per l’affermazione dei diritti umani, usando tutti gli strumenti e i rimedi offerti dall’Ordinamento giuridico, senza lasciare nulla di intentato, sino all’accertamento della Verità.

L’Associazione che ispira la sua azione al pensiero <nonviolento> di Gandhi  è convinta non esistano “cause  impossibili”, ovvero che si possa far prevalere il bene e la ragione solo se si riesce a trasmettere ai giudici – a volte corrotti, impreparati e/o conniventi – l’etica della responsabilità e le aspettative di giustizia dei cittadini, facendo sentire il proprio cuore e la passione per il diritto e le giuste cause.

Il tecnicismo giuridico e la conoscenza delle leggi sono certamente importanti ma ciò che più conta è possedere e allenarsi a sviluppare un cuore coraggioso e l’amore per le giuste cause.

Solo così sarà possibile riuscire a far trionfare il grande bene della giustizia.

E’ fondamentale prendere coscienza che la debolezza dei più può essere trasformata in una forza non violenta a cui nessun potere forte o corrotto può resistere.

E’ fondamentale portare avanti senza timori con cuore puro i propri ideali, i propri sogni, la comune speranza di una società fondata sulla giustizia, andando fino in fondo, senza fermarsi di fronte ad ostacoli e persecuzioni.

“Veritas non auctoritas facit legem”.

Credere e vivere per la libertà, in modo da far germogliare ovunque, anche nei cuori più perfidi e corrotti, i valori di equanimità, umanità e solidarietà.

Solo così gli uomini e le donne di tutto il mondo riusciranno a vedere un futuro che non sia più disseminato da ingiustizie, sofferenza, guerra, distruzione, morte, desiderio di dominio e vendetta.

Come affermava il Mahatma Gandhi; “La sofferenza, e non la spada, è il simbolo della razza umana”… In Sud Africa […] La mia gente era eccitata – anche la pazienza ha un limite – e si cominciava a parlare di vendetta. Mi trovai di fronte all’alternativa tra aderire anch’io alla violenza o trovare un altro metodo per risolvere la crisi e far cessare l’ingiustizia […] Nacque così l’equivalente morale della guerra.[…] Da allora mi sono andato sempre più convincendo che la ragione non è sufficiente ad assicurare cose di fondamentale importanza per gli uomini, che devono essere conquistate attraverso la sofferenza.

La sofferenza è la legge dell’umanità, così come la guerra è la legge della giungla.

Ma la sofferenza è infinitamente più potente della legge della giungla ed è in grado di convertire l’avversario e di aprire le sue orecchie, altrimenti chiuse, alla voce della ragione.

Nessuno ha redatto più petizioni o difeso più cause perse di me, e posso dirvi che quando volete ottenere qualcosa di veramente importante non dovete solo soddisfare la ragione, ma toccare i cuori.

L’appello alla ragione è rivolto al cervello, ma il cuore si raggiunge solo attraverso la sofferenza. Essa dischiude la comprensione interiore dell’uomo. La sofferenza, e non la spada, è il simbolo della razza umana.

Mahatma Gandhi (Young India, 1931).

Articolo 11/11/03 Repubblica

 

ARTICOLO PUBBLICATO SU LA REPUBBLICA 11/11/2003
(Il Tribunale ammette l’esistenza di un controllo mafioso nel sistema delle vendite giudiziarie) 

Stralcio dell’articolo tratto da:
La Repubblica 11/11/03  – Milano Cronaca

Dal blocco delle procedure relative alle esecuzioni immobiliari alla prassi inaugurata da un pool di giudici: storia di una “straordinaria amministrazione”.
Era il 1998 quando la legge di riforma dava il via all’ambizioso progetto teso all’ottimizzazione delle tempistiche e della prassi legate alla vendita degli immobili da parte dei Tribunali competenti.

In quel periodo il Tribunale di Milano era sommerso da una vera e propria valanga di procedure: 11.000 quelle pendenti, di cui 4.000 in attesa della fissazione della prima udienza, come dire bloccate a causa del mancato deposito dei certificati richiesti (quelli che in gergo tecnico vengono definiti “certificati ipocatastali”). Ed è stata sempre la stessa riforma a dare un “colpo d’acceleratore” all’intero comparto delle procedure esecutive, grazie alla sostituzione del certificato ipocatastale col certificato notarile ed alla sostituzione di termini più brevi per il deposito, pena l’estinzione della procedura stessa.

Ma l’entrata in vigore di una normativa non sempre coincide con l’effettiva sua applicazione. Un impulso concreto, perciò, alla prassi delle esecuzioni immobiliari si è registrato grazie al lavoro sinergico promosso da un pool di magistrati di Milano unitamente all’Ordine degli avvocati ed al Consiglio notarile.

Obiettivo: coniugare garantismo ed efficienza nel pieno rispetto delle disposizioni vigenti in materia. Da qui la prassi inaugurata dal Tribunale di Milano in seno alle procedure immobiliari rappresentata dalla delega al notaio. almeno per tutti quegli immobili di valore superiore ai 50.000 Euro. Una formula, questa, che ha rappresentato un vero e proprio acceleratore.

Attraverso la delega, infatti, ogni giudice riesce oggi , in ogni singola udienza, a rilasciare dalle 15 alle 20 deleghe. Potremmo dire che, considerati i tempi medi necessari all’espletamento della intera fase notarile, che vanno dai 6 ai 18 mesi, la procedura avviata dal Tribunale di Milano può, a pieno regime, garantire l’espletamento di una esecuzione immobiliare ordinaria nel giro di un anno e mezzo/due, un termine che può dirsi senza dubbio più ragionevole ed accettabile se confrontato alla media europea. non si può, comunque, dimenticare che il percorso dei giudici del Tribunale di Milano è stato particolarmente difficile, soprattutto nei confronti di un problema estremamente rilevante quale quello legato alla turbativa d’asta, vero e proprio tallone d’ Achille per il sistema delle esecuzioni..

E’ proprio su questo punto che i giudici sono intervenuti in maniera decisa denunciando alla Procura al fenomeno e contribuendo così alla instaurazione di un clima più sereno che ha favorito una più massiccia partecipazione del pubblico alle aste nel rispetto dell’equità giuridica. Sono trascorsi ormai circa 2 anni, infatti, dallo scandalo delle aste truccate che portò agli 8 arresti del palazzaccio.
I giornali allora parlarono di un “cartello” di speculatori.
Una specie di organizzazione in grado di condizione le gare per l’acquisto degli immobili pignorati. Come dire, nessuno poteva partecipare ad un’asta giudiziaria senza pagare una “commissione” che andava dal 10 al 15 percento del valore dell’immobile che intendeva acquistare.
In caso contrario il “cartello” soprannominato allora “La compagnia della morte” avrebbe fatto lievitare al prezzo

Allora l’inchiesta della procura milanese scattò a seguito di una coraggiosa denuncia da parte della dottoressa GABRIELLA D’ORSI, Presidente della terza sezione del Tribunale civile. Grazie a quelle indagini si assume che tutto “sarebbe cambiato” …

PATROCINIO A SPESE DELLO STATO

L’istituto del Patrocinio a spese dello Stato, meglio conosciuto come “gratuito patrocinio“, sinora scarsamente tutelato dallo Stato, che lo ha reso di difficile attuazione e divulgazione, tanto da essere utilizzato da una percentuale molto bassa dei cittadini aventi diritto, costituisce, invero, il principale meccanismo legale, attraverso cui una società che voglia definirsi “civile”, possa concretamente garantire la legalità e il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Il gratuito patrocinio è infatti quel diritto cardinale, inviolabilmente garantito dall’art. 24 della Costituzione, attraverso cui chiunque può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

Tale fondamentale norma, posta a base di principi di civiltà giuridica, assicura quindi a tutti i non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione e va raccordata con l’articolo 3 della medesima Costituzione che sancisce appunto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, indipendentemente dalla loro condizione personale e sociale, senza distinzione di razza, lingua, religione, opinioni politiche.

È, cioè, il diritto ad essere difesi gratuitamente e diligenza da un avvocato, in ogni giurisdizione e grado, nonché ad essere gratuitamente assistiti anche da un consulente tecnico ed investigatore privato, nei processi civili, penali, amministrativi, tributari, comprese le azioni civili connesse per risarcimento dei danni da reato.

Ed, anche, infine, per quanto attiene il diritto ad avviare un procedimento penale, in cui il cittadino non abbiente è parte lesa e intende sporgere una denuncia-querela o un semplice esposto, oppure proporre un’opposizione all’archiviazione, ex art. 410 c.p.p.

Tutti diritti che lo Stato e le istituzioni giudiziarie stentano a divulgare nella maniera più consona, dando modo a tutti i cittadini non abbienti di riuscire, effettivamente, ad accedere all’istituto del gratuito patrocinio, a cui spesso si è costretti rinunciare per mancanza di adeguata informazione istituzionale e inottemperanza degli Avvocati e dei relativi Ordini, protesi a coprire anche i casi più eclatanti di infedeltà professionale e violazione dei più elementari imperativi deontologici.

Stato, partiti e corporazioni forensi sono evidentemente intimoriti che si inneschino incontrollabili processi, peraltro, ormai, in atto, dagli anni ’60-’70, di democratizzazione della giustizia e di un aumento della domanda di effettiva legalità, cosa che una più adeguata diffusione del gratuito patrocinio, alla maggiorparte degli aventi diritto, comporterebbe, mentre, viceversa, allo stato la stragrande maggioranza degli abusi resta del tutto impunita, proprio a fronte dei costi per approntare un’adeguata difesa tecnica e della difficoltà di accedere al gratuito patrocinio; cosa che, in ogni caso, molto spesso lascia il tempo che trova per la scarsa preparazione, diligenza e/o correttezza deontologica degli avvocati indicati nelle liste “chiuse” dei locali Consigli dell’Ordine, da secoli asserviti ai poteri forti che controllano la società.

Il limite di reddito per beneficiare del patrocinio a spese dello Stato è di € 10628,16: si tratta del reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, tenuto conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.

Se l’interessato convive col coniuge o con altri familiari, viene considerata la somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo dai componenti la famiglia dell’istante, compreso l’istante.

Si tiene conto del solo reddito dell’interessato, quando gli interessi del richiedente siano in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare, conviventi.

Di seguito potete trovare il testo integrale della legge sul gratuito patrocinio e un fac-simile delle istanze sia in sede penale sia in sede civile per procedimenti civili amministrativi e contabili. Per quanto riguarda i procedimenti civili pubblichiamo anche i moduli degli Ordini di Milano e Roma, segnalando che ogni locale ordine degli avvocati dovrebbe disporre della proprio modulistica scaricabile dai singoli siti internet.

Link:

TRENTO LA PROCURA CHE INSABBIA

DA MILANO A BRESCIA GIUSTIZIA ALLA ROVESCIA! DA BRESCIA A TRENTO SOLO UNA PAROLA AL VENTO. Ovvero, tre parallele storie di usura ed estorsione legalizzate dalla magistratura.

Fonte:  http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=49

In questa rubrica ospiteremo tutte quelle cronache giudiziarie di ordinaria ingiustizia che, per quanto eclatanti, difficilmente potrete leggere sui media di qualsiasi tendenza politica, in quanto talmente scomode agli interessi di ogni schieramento da essere sistematicamente censurate, nel timore che i lettori, i quali al tempo stesso sono elettori, comprendano come stiano effettivamente le cose e che nessun partito ha veramente a cuore la giustizia – né di affermare in concreto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Si tratta di storie che rivelano l’esistenza di un vasto sistema di malaffare, profondamente  radicato nel tessuto istituzionale, gestito direttamente dagli apparati dei partiti, e congenito al funzionamento stesso delle istituzioni e dell’economia di mercato, in grado di produrre un vertiginoso flusso di finanziamenti illeciti, clientelismo, voto di scambio e garanzie di impunità, dove gli interessi della politica, dell’imprenditoria, dell’informazione, della mafia, della criminalità organizzata, della giustizia e, financo, delle chiese e delle organizzazioni  antimafia, si fondono con gli interessi dei cosiddetti “poteri forti economico-finanziari globali“, dietro cui notoriamente si cela la lunga manus della massoneria internazionale che, almeno dai tempi di Benjamin Franklin (affiliato alla massoneria tra i padri fondatori degli Stati Uniti d’America) e di Garibaldi, controlla gli scenari internazionali e le sorti del mondo.      
Il “principio di intangibilità” degli affiliati alle varie consorterie affaristico-giudiziarie si contrappone quindi a quello di “uguaglianza di fronte alla legge“, per cui accade, come ora Vi raccontiamo, che da “Milano a Brescia la Giustizia funzioni alla rovescia” e che anche spostandosi di latitudine verso i più rigidi climi del nord le cose non cambino affatto.

I rappresentanti dei poteri forti e delle logge massomafiose che controllano il territorio, fanno da padroni nelle aule di giustizia e riescono quasi sempre a farla franca o, a venirne fuori con il minimo scotto, spesso con il compiacente avvallo degli organi di controllo della magistratura e dei Palazzi romani, tra cui lo stesso C.S.M., come invano denunciavano già negli anni novanta alcuni tra i migliori magistrati antimafia, come Salvo Boemi, Roberto Pennisi, Agostino Cordova, Alberto Di Pisa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri, minacciati di morte, messi a tacere e delegittimati dagli stessi rappresentanti di quei poteri occulti che avevano inascoltatamente denunciato … ________________________________________

L’INCREDIBILE STORIA DI UN CANCELLIERE DIRIGENTE DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO, DAPPRIMA VITTIMA DEGLI USURAI, EPPOI DEI GIUDICI.

Francesco Santomanco, ex Cancelliere Dirigente della Corte d’Appello di Milano, dopo 35 anni di onesto servizio, prima di venire illegittimamente spogliato della propria abitazione, denuncia di essere stato costretto a sottoscrivere da un gruppo di strozzini con aderenze nella locale magistratura, cambiali ipotecarie e titoli per oltre 1,2 miliardi delle vecchie lire, a fronte di un prestito di appena 60 milioni di lire e sottoposto all’ingiusto pignoramento di due immobili, tra cui appunto la casa ereditata dai genitori.
Gli immobili, situati nel centro storico, a due passi dalla Prefettura, con un valore di almeno € 6000 al metro quadrato, vengono valutati dal Tribunale di Milano a quotazioni da vera e propria ricettazione (€ 1500 al mq.) e alienati in aste deserte a società immobiliari.   
La denuncia per usura e frode processuale finalizzata all’estorsione viene archiviata senza svolgere alcuna indagine, da parte del P.M. Spataro e dal G.I.P. Varanelli, sostenendo contrariamente alle evidenze documentali e probatorie offerte che “non sarebbero state allegate le prove” dei reati denunciati.
Analoga totale assenza di tutela si registra anche da parte della Prefettura di Milano, che seppure, inizialmente, orientata ad accogliere l’istanza ai sensi delle Leggi Antiusura  nn. 108/96 e 44/99, dopo avere acquisito il parere negativo del Presidente del Tribunale, nega l’accesso al fondo previsto per le vittime dell’usura e financo la proroga di gg. 300 della sospensione dell’esecuzione di rilascio dell’abitazione.

Lo stesso avviene in sede civile coi molteplici ricorsi in opposizione alla vendita e al rilascio degli immobili, in cui si chiede la sospensione dell’esecuzione. Nonostante i ripetuti solleciti, ben 12 ricorsi di urgenza rimangono tutti pressoché inesaminati, sino all’accesso della forza pubblica, eppoi iniquamente respinti con la sconcertante motivazione che l’esecuzione di rilascio sarebbe stata “ormai in corso” e che la vendita seppure dapprima provvisoriamente sospesa, sarebbe “indenne da censure“. Ciò, giungendo a negare qualsiasi accertamento istruttorio sul valore effettivo degli immobili e sulla sussistenza di illegittime interferenze e interessi estorsivi che hanno inficiato di nullità l’intero processo esecutivo.
A seguito della pubblicazione del caso sul sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia in Lombardia), la Presidente della terza Sezione Esecuzioni immobiliari del Tribunale di Milano, dr.ssa Gabriella D’Orsi e altri giudici civili incaricati dei procedimenti, sporgono denuncia per “calunnia” sia nei confronti del Presidente dell’Associazione, responsabile del sito, sia nei confronti dell’ex Cancelliere Francesco Santomanco, che li aveva denunciati alla Procura di Brescia e al C.S.M., unitamente ai giudici penali e alla Prefettura di Milano, ipotizzando a loro carico i reati di falso ideologico, abuso continuato, omissione e interesse privato in atti di ufficio. 
Con quale risultato? I giudici sono ancora tutti lì; mentre l’ex Cancelliere anziano e malato, dopo essere stato brutalmente legato con le cinghie alla barella, perché non voleva uscire dalla sua casa, finisce al Dormitorio Pubblico di Via Ortles. E, senza che nessuno dei giudici che avevano ritenuto denunciarlo per “calunnia” provvedesse ad astenersi da ogni giudizio che lo riguardava, come obbligatoriamente previsto per legge, l’usurato viene anche condannato al pagamento di pesanti spese processuali per alcune diecine di migliaia di euro in ogni processo.
Lo sconcertante epilogo del caso è che a Milano chi denuncia di essere vittima dell’usura e della “compagnia della morte” che, notoriamente, controlla le vendite giudiziarie, viene lasciato solo, con il beneplacito di tutti gli organi della magistratura e delle istituzioni a cui Francesco Santomanco si era fiduciosamente rivolto.

Anche alla Procura di Brescia le cose non procedono diversamente.
Le varie denunce a carico dei magistrati di Milano o, non vanno avanti (in altre parole vengono affossate) o, vengono archiviate, sempre senza svolgere alcuna indagine né tanto meno informare, come suo diritto, la parte offesa che ne ha fatto richiesta ai sensi dell’art. 410 c.p.p., così da impedirgli di proporre opposizione alla richiesta del P.M. di archiviazione.

Il vento sembra non cambiare neppure alla Procura di Trento, tutt’oggi inerte, dove l’inchiesta si trasferisce per competenza territoriale, ex art. 11 c.p.p., a seguito della ulteriore denuncia dell’ex Cancelliere degli abusi commessi nei suoi confronti, da parte di magistrati della Procura di Brescia. E qui si intrecciano le altre due parallele storie di usura ed estorsione legalizzate di altre malcapitate vittime di “errori giudiziari”, commessi da magistrati di Treviso, di cui Vi parliamo in questo primo numero del giornale on line.

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FALLIMENTOPOLI E CRIMINALITA’ GIUDIZIARIA NEL TRIVENETO.  92enne affetta da Alzhaimer spogliata della casa e gettata in mezzo alla strada.

La seconda storia, di cui abbiamo già parlato ne “la Voce di Robin Hood” (Ottobre 2002), scaricabile dal sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia nel Veneto) è quella di una inerme vecchietta di 92 anni, Moino Ermina, affetta dal morbo di Alzhaimer, pure sommariamente estromessa dalla sua abitazione, insieme alla figlia, Nellida Bernardi, a seguito della solita vendita giudiziaria pilotata, per favorire una profittevole speculazione edilizia sull’importante area, ove si ergeva la sua modesta casa, sita nel centro storico della ricca e laboriosa Castelfranco Veneto.
Esecuzione che viene autorizzata dal Giudice dr. Umberto Donà del Tribunale di Treviso, seppure il ricavato della vendita dei beni societari (3,6 miliardi di lire) sia ampiamente in grado di coprire la pretesa vantata dalla Cassa di Risparmio di Venezia (Carive), di circa 2,0 miliardi di lire (somma che risultava peraltro gravata da pesanti tassi usurari).
Nasce così il caso Moino-Bernardi, le quali denunciano la Carive per avere artatamente provocato, dapprima il fallimento dell’azienda della famiglia Bernardi, eppoi  la vendita alla asta dell’abitazione privata, su cui gravava un diritto di abitazione a vita dell’anziana Moino.
Le due anziane denunciano, altresì, il Giudice Donà per avere autorizzato, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge e senza alcuna obbiettiva necessità, la vendita dell’usufrutto a vita, del valore di pochi milioni di lire, a fronte di una vessatoria fidejussione rilasciata dalla sig.ra Moino, in favore della figlia per l’erogazione di un mutuo ipotecario per l’originaria somma di appena lire 600.000.000.
Il motivo? L’area fabbricabile ove sorgeva la loro modesta abitazione era stata inserita nel piano regolatore del Comune di Castelfranco Veneto e ciò aveva scatenato gli appetiti di un costruttore  locale, il quale non esitava ad acquistare nella solita asta deserta e a prezzo vile l’immobile, nonostante le opposizioni e le plurime denunce dei legali delle vecchiette, che venivano sommariamente estromesse dalla forza pubblica, senza che, anche in questo caso, intervenisse la locale Prefettura, alla quale si erano ripetutamente rivolte. Nel frattempo la povera Sig.ra Moino è passata a miglior vita e la figlia continua a sopravvivere dal 1997 con un assegno alimentare mensile di € 250, erogatogli dal ricavato della vendita dei suoi beni immobili, ciò mentre il locale Tribunale fallimentare rifiuta del tutto illegittimamente di restituirgli la differenza residua di circa € 500.000, seppure sia già stato approvato da alcuni anni il piano di riparto.

Ma non è tutto. Nonostante la Sig.ra Bernardi abbia proposto querela nei confronti degli istituti bancari e della Basso Immobiliare s.r.l., nonché dei giudici del Tribunale di Treviso e vi siano ben quattro procedimenti pendenti presso la Procura di Trento (nn. 1047/99, 1629/99, 2039/99, 12939/01), per frode processuale, abuso continuato e interesse privato in atti d’ufficio, falso ideologico e favoreggiamento, nessuna attività investigativa è stata svolta a carico del dr. Donà e i fascicoli giacciono mestamente negli Uffici della Procura. Omessa attività di indagine che ha recentemente costretto la Sig.ra Bernardi a proporre istanza di avocazione delle indagini al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trento, il quale al momento è rimasto del tutto inerte…

Dulcis in fundo, la Basso Immobiliare s.r.l., sentendosi diffamata dalla pubblicazione del caso sul sito di “Avvocati senza Frontiere”, spalleggiata dalla Procura di Treviso, ha pensato bene di presentare querela per pretesa “diffamazione a mezzo internet“, il cui procedimento a carico del responsabile dell’Associazione, Dott. Pietro Palau Giovannetti, in questo caso si celebrerà in tempi sorprendentemente brevi, il 13 giugno 2007. Ovviamente, la difesa non mancherà di fare rilevare l’adozione di due pesi e due misure nella gestione della vicenda e di battersi per affermare i principi di verità e giustizia (organo giudicante permettendo…) che sono alla base dell’impegno sociale di Avvocati senza Frontiere. Sul punto si osserva che la querela per diffamazione a mezzo stampa, unitamente a quella per calunnia, è ormai diventata un autentico sport nazionale nelle mani della magistratura di regime, collusa coi poteri forti, come risultante da una ricerca dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, ove è emerso che tra le categorie professionali maggiormente coinvolte nei procedimenti di diffamazione a mezzo mass-media spicca al primo posto, guardacaso, proprio quella degli stessi magistrati con ben il 44% dei casi, seguiti dai privati (11%) e dalle persone giuridiche (11%) [S. Peron e E. Galbiati, “I Dossier di Tabloid, Relazione sulle sentenze emesse dalla Corte d’Appello civile di Milano nel biennio 2001-2002. Diffamazione a mezzo stampa”, in Supplemento Tabloid n. 6/2004). Con ciò ledendo il principio fondamentale della libertà di parola e di manifestazione del pensiero, espressi in modo del tutto chiaro nell’art. 21 della Costituzione, ovvero il diritto di critica. In proposito, occorre evidenziare che i concetti espressi in sede giurisprudenziale, circa  l’interesse per l’opinione pubblica alla divulgazione dei fatti: cioè la correttezza delle modalità di esposizione, la corrispondenza fra i fatti accaduti e i fatti narrati, come cause di giustificazione, rispetto al delitto di pretesa diffamazione, sono in evidente contrasto con l’antiquata ed autoritaria formula dell’art. 596 c.p., purtroppo ancora vigente, per cui l’imputato non è ammesso a provare a sua discolpa la verità o la notorietà del fatto (ex multis Cass. Pen. Sez. Unite 16 ottobre 2001 n. 37140). Nella specie, si pongono poi ulteriori problemi interpretativi circa la perseguibilità della querela, evidentemente proposta ed utilizzata a scopo meramente intimidatorio, in quanto secondo numerose pronunce dei giudici del merito (Tribunale di Teramo, Gip di Oristano …) si nega che si possa parlare di diffamazione a mezzo stampa, laddove lo strumento utilizzato sia la comunicazione telematica. Ciò in quanto nessun sito può essere raggiunto casualmente in assenza di una specifica conoscenza o di una precisa interrogazione ad un motore di ricerca; cosa che nel linguaggio giuridichese si traduce nel divieto di applicazione del principio analogico che non è previsto nel nostro sistema penale. In attesa di una definitiva più chiara pronuncia della Suprema Corte si resta nel frattempo nel dubbio.
Dubbi che invece non sussistono, circa la ricostruzione dei fatti di cui Nellida Bernardi e sua la sua anziana madre sono rimaste vittima, nonché circa le precise responsabilità ascritte alla Basso s.r.l., alla Carive e ai magistrati che sinora ne hanno coperto i delitti rimasti impuniti. _______________________________________

GOLF, BANCHE, GIUDICI E AFFARI

La terza parallela storia che chiude il cerchio del malaffare affaristico-giudiziario trevigiano e di questa prima serie di racconti, affermando il principio che <l’ingiustizia è uguale per tutti i poveracci> a qualsiasi latitudine del Paese, da Milano a Brescia e da Brescia a Trento, è quella di Coletti Maria, altra vittima della speculazione edilizia e dell’usura bancaria, che rischia nei prossimi mesi di vedersi illecitamente espropriare con il beneplacito della magistratura, della sua abitazione e di un circostante terreno di notevole prestigio, ad istanza della Banca di Credito Cooperativo Alta Marca, già da tempo nel mirino della Banca d’Italia e di indagini penali.
Il motivo? La sua modesta abitazione ha il torto di affacciarsi sui campi dell’Asolo Golf Club e di fare gola ai soliti speculatori immobiliari che intendono demolire tutto e costruire villette a schiera e strutture per nababbi.
Per la solita commistione di oscuri interessi tra giustizia e affari, seppure sia stato provato che la malcapitata vittima di turno abbia pagato sino all’ultimo centesimo quanto ancora indebitamente preteso dalla banca, a fronte di un’inesistente acquisto di titoli CTZ, mai richiesti dalla sig.ra Coletti, il solito Giudice dell’Esecuzione di Treviso Umberto Donà – lo stesso già indagato per il caso Bernardi – anche in questa circostanza si è rifiutato illegittimamente di sospendere la vendita e, prima di mandare la casa all’asta, di disporre una Perizia contabile per accertare l’effettiva situazione di dare/avere tra le parti, ovvero se il preteso acquisto di titoli CTZ non sia frutto di una truffa intentata dalla Banca di Credito Cooperativo Alta Marca.

Tutto ciò è stato da tempo vanamente denunciato alla Procura di Trento e al Presidente del Tribunale di Treviso, i quali sono rimasti del tutto inerti, come nel caso Bernardi, giungendo a respingere anche la richiesta di gratuito patrocinio e la stessa richiesta di ricusazione del dr. Donà, pur sussistendo un evidente insanabile conflitto di interessi tra la sua posizione di indagato e quella di Giudice dell’Esecuzione, cosa che non gli ha impedito di disporre la vendita all’asta per il 7.11.2007, infischiandosene anche delle opposizioni proposte dai difensori ai sensi degli artt. 569 c. 4, 615 e 617 c.p.c., per cui avrebbe avuto l’obbligo di disporre la sospensione automatica della vendita.
A quadrare gli ambigui fini della giustizia vi è il fatto che la Procura di Trento, in persona del P.M. De Benedetto, risulta ingiustificatamente inerte, anche alle stesse sollecitazioni del G.I.P. dr. La Ganga, il quale ha ripetutamente e vanamente chiesto indagini a carico del dr. Donà e di altri magistrati trevigiani. Provvedimento rimasto da quattro anni illegittimamente ineseguito con il pretesto che il P.M. avrebbe proposto due ricorsi in Cassazione avverso le richieste di indagini avanzate dal Gip. Cosa che non può che lasciare sgomenti, in quanto il P.M., quale rappresentante della Pubblica Accusa, non dovrebbe avere alcun titolo né apparente interesse ad opporsi a svolgere le suppletive indagini ritenute opportune dal Gip, prendendo in sostanza le difese dei giudici che sarebbe stato suo ineludibile dovere indagare, senza ritardo, assolvendo alle sue alte funzioni istituzionali. Un’evidente inversione dei ruoli e stravolgimento delle funzioni giudiziarie, per cui ci ritroviamo a pagare lo stipendio a dei magistrati che, invece di tutelare i diritti dei più deboli, proteggono gli interessi del potere e di coloro che attentano ai diritti dei cittadini, facendo perdere credibilità all’intero sistema giudiziario e speranza nella Giustizia. 
Nel caso Coletti, al danno si è aggiunta anche la beffa, in quanto il P.M. De Benedetto ha richiesto l’archiviazione, sostenendo contrariamente a qualsiasi evidenza documentale e logica di buona fede, trattarsi delle “medesime questioni oggetto del caso Bernardi“, per cui aveva proposto anni orsono la predetta improponibile impugnazione avverso le richieste di indagini avanzate dal GIP. Ricorsi del cui esito, occorre peraltro evidenziare, nulla si sa e si è mai saputo: cosa che denota come la giustizia anche presso la Suprema Corte di Cassazione sia in balia degli interessi di chi sta dalla parte di quei “poteri forti economico-finanziari globali”, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, che controllano l’economia e le istituzioni.
Un conflitto di interessi, quello del P.M. di Trento, che non può non stupire coloro i quali credono nell’indipendenza della Magistratura e nella supremazia del diritto, tanto più se si considera che a fronte dell’inerzia delle indagini a carico dei giudici sospettati di collusioni, il Presidente della nostra Associazione, è stato, come detto, rinviato a giudizio a tempi di “giustizia scandinava”, per diffamazione a mezzo internet, quale responsabile del sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ , dove si denunciano i casi Bernardi, Santomanco ed altri.

Tony Red (Avvocato)

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A tale scopo, stiamo cercando di implementare la rete di A.s.F. in ogni Regione d’Italia, onde rispondere sempre più capillarmente al diffuso bisogno di giustizia e di legalità, ovvero alle crescenti richieste di assistenza legale per casi di malagiustizia che ci vengono segnalati da ogni parte del Paese. Ragione per cui siamo sempre aperti a nuove collaborazioni nonché a ricevere donazioni e progetti per aprire sportelli di “S.O.S. GIUSTIZIA”, tenuto conto che non usufruiamo di alcun finanziamento pubblico né abbiamo padrini politici. 

Gli sportelli di “S.O.S. GIUSTIZIA” offrono orientamento legale e la necessaria assistenza alle persone in stato di bisogno vittime della malagiustizia. Tale attività viene svolta da operatori del settore, a livello di volontariato, e comprende: consulenza telefonica gratuita e valutazione del caso; studio degli atti e classificazione giuridica; individuazione dei rimedi più acconci; intervento sugli enti e parti controinteressate; assistenza legale tecnica, attraverso l’intervento di legali civilisti, penalisti e amministrativisti; stesura di istanze di gratuito patrocinio; stesura di ricorsi alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo; patrocinio e intervento in giudizio della Associazione, ove il caso rivesta un interesse pubblico.

Allo stato non siamo in grado di coprire l’intero territorio nazionale né tantomeno di seguire, indistintamente, tutti i casi segnalatici, data l’enorme mole di richieste da ogni parte d’Italia, per cui ci troviamo a nostro malgrado costretti a dare la precedenza ai casi più emblematici e di rilevante interesse sociale. Ciononostante invitiamo le persone bisognose di tutela a non perdere la speranza, inviandoci via mail una breve denuncia dei fatti utilizzando il modulo di segnalazione che, ove ben documentata, provvederemo a pubblicare nelle pagine web della Mappa della malagiustizia in Italia e nella ns. rivista on line www.lavocedirobinhood.it

D‘altronde, lo sviluppo della rete di Avvocati Senza Frontiere e la capacità di estendere il servizio, affermando il diritto di accesso alla giustizia e di difesa di tutti i cittadini, dipendono essenzialmente dalla sensibilità degli utenti a condividere in concreto gli ideali dell’Associazione e dalla consapevolezza che l’auspicato cambiamento epocale del rapporto tra governanti e sudditi, necessario a rendere effettivo il principio di uguaglianza di fronte alla legge, potrà nascere solo attraverso una rivoluzione delle coscienze e da una forte pressione popolare.

NUOVO CODICE DEONTOLOGICO FORENSE

 

Pubblichiamo in queste pagine il Testo del nuovo Codice Deontologico Forense approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 17 aprile 1997, in applicazione del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, aggiornato con le modifiche introdotte il 16 ottobre 1999, il 26 ottobre 2002, il 27 gennaio 2006, il 18 gennaio 2007 e il 12 giugno 2008.

Introduzione al Codice Deontologico Forense

Il Codice Deontologico Forense riguarda i principi e la modalità di esercizio dell’Avvocatura, a partire dalla tutela dei diritti e degli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo pienamente all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia.

Preambolo

L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia.

Nell’esercizio della sua funzione, l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’Ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e l’inviolabilità della difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio.

Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela di questi valori.

Di seguito, oltre al testo integrale del nuovo Codice Deontologico Forense sono pubblicate anche la relazione illustrativa delle modifiche a cura del Consiglio Nazionale Forense e il Codice di deontologia e buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria

Link:

Veneto

Prima di accingerVi a leggere i vari casi, pensate che si tratta di storie vere, per cui molti uomini sono morti e tante famiglie sono state distrutte dal dolore, senza ricevere alcuna tutela, da parte delle varie Autorità a cui fiduciosamente si erano rivolte. Pensate che non si tratta di casi isolati e non crediate che ciò che è capitato agli altri non possa, prima o poi, capitare, anche, a Voi od, a qualche stretto congiunto. Sarebbe il più grave errore che potreste commettere, dal quale genera l’indifferenza verso i mali della giustizia e su cui si fonda il dominio del male e della menzogna sulla Verità.