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ROGOREDO: BOMBA BIOLOGICA A SANTA GIULIA

Il business delle nuove costruzioni è lo smaltimento dei veleni tossici.  Si sbanca, si sversa, e poi si costruisce. Al Sud come al Nord, soprattutto al Nord e specialmente a Milano, la capitale immorale d’Italia alla quale manca la penna di un Saviano per essere sputtanata in tutto il mondo. Se l’Universo criminale della Camorra e della distruzione della Campania è “Gomorra“, l’hinterland milanese è “Sodoma“. In Lombardia si compiono crimini contro l’umanità nell’indifferenza dei politici (Mortizia Moratti: “A Milano non c’è la mafia“) e con il concorso delle banche che finanziano la distruzione del territorio, da City Life, all’Expo 2015 a Santa Giulia Montecity. Un mega quartiere residenziale usato per seppellire ogni tipo di rifiuto cancerogeno. Per mesi, di notte i camion hanno seppellito senza sosta sostanze tossiche. Dov’erano le autorità sempre pronte a multare i cittadini per ogni piccola irregolarità? Un milione di metri quadri per un valore speculativo di un miliardo di euro. Il terreno è ora sotto sequestro a seguito di una denuncia dell’Arpa. Due falde acquifere avvelenate con solventi clorurati, mercurio, tricloroetilene. I valori dell’inquinamento sono cento volte superiori ai limiti di legge e possono produrre danni irreparabili alle donne in attesa. Nel quartiere è stato costruito un asilo con 60 bambini, anche il vicino parco Trapezio è contaminato. La società Risanamento, quotata in Borsa, è proprietaria dell’area, il nome più adatto per le bonifiche della ‘Ndrangheta.

www.beppegrillo.it//2010/07/bomba_ecologica_a_santa_giulia/index.html?s=n2010-07-31

INTERVISTA A GIANNI BARBACETTO

Santa Giulia è la storia di un colossale imbroglio, è una storia di cui si comincia a parlare negli anni 80, quando le fabbriche vengono dismesse, si liberano grandi aree periferiche, alcune a Rogoredo, in realtà questo è il vero nome di Santa Giulia, un quartiere periferico di Milano, anzi paese alla periferia di Milano, un tempo.
Vengono fatte varie ipotesi, proposte, promesse, alla fine invece cosa si realizza dopo alcuni decenni di attesa? Cemento, case, viene dato un bel nome Santa Giulia. Vengono fatti degli spot mirabolanti in cui si dice che qui sorgerà, su questa area sfigata, periferica, proprio fuori Milano, il nuovo quartiere che rinnoverà la maniera di vivere dei fortunati che riusciranno ad andarci a abitare. Ci fanno un po’ di case, ci fanno delle case di lusso, le vendono a caro prezzo, sono in un’area sfigata della periferia milanese, vengono vendute come fossero aree e case preziosissime. I poveretti che ci cascano avranno delle orribili sorprese perché in questa città, in questa Milano che un tempo era la capitale morale d’Italia, si fanno piani urbanistici come quello imbellettato di Rogoredo chiamato Santa Giulia con sotto i piedi arsenico e altri veleni. Si vanno a vendere case di pregio a caro prezzo in luoghi insalubri dove viverci significa avere il rischio di poter contrarre il cancro, per esempio, questa è la storia di Santa Giulia.
Chi sono i protagonisti di questa storia? Un immobiliarista che era riuscito a farla franca ai tempi dei furbetti del quartierino e che si chiama Zunino, che acquista l’area, riesce a farci su questo suo mirabolante progetto meraviglioso di quartiere modello Santa Giulia, dà all’amico Giuseppe Grossi l’incarico di bonificare il terreno, in realtà la bonifica non viene fatta, viene fatta malissimo, vengono lasciati veleni, se non portati addirittura da fuori, veleni inquinantissimi, dall’arsenico in giù e con l’ombra anche che coinvolto nel movimento terra, come succede sempre dove c’è movimento terra nell’area milanese, ci siano anche gli uomini della ‘ndrangheta. Perché sono loro gli specialisti del movimento terra, sono loro i monopolisti del movimento terra, dove c’è da spostare terra ci sono le famiglie, i camion dell’‘ndrangheta e dentro i camion dell’ ‘ndrangheta spesso insieme alla terra buona c’è la terra cattiva, i veleni.
uesta è la storia di Santa Giulia in una città che ormai è spappolata, in una città come Milano in cui fin dentro il palazzo del governo municipale, fin dentro il Municipio, fin dentro il luogo da dove Letizia Moratti credeva di poter governare la città, c’è corruzione, malaffare, persone che si mettono d’accordo per dare le licenze ai night anche in cambio di tangenti, tangenti prese all’uscita del palazzo municipale poco distante, è una città che ha perso la sua anima, che ha perso la sua capacità di fare buona amministrazione, una città profondamente corrotta e in cui ormai si fa fatica anche a indignarsi e si va avanti tranquilli anche sapendo che sotto i piedi di un quartiere venduto a caro prezzo, ci sono veleni, veleni mortali.
Formalmente sulla carta ci sono regole rigorosissime per lo smaltimento dei veleni o anche dei normali materiali inquinanti, gli oli, le pile, i medicinali, questo sulla carta, nella realtà i controlli si possono aggirare, chi fa le cose in piccolo è costretto a seguire i controlli e a fare gran fatica anche solo per buttare via un vecchio televisore, chi invece fa le cose in grande e porta veleni mortali, può farlo tranquillamente, aggirando i controlli, pagando tangenti, dando incarichi agli uomini dell’‘ndrangheta i quali fanno buoni prezzi per forza, perché non smaltiscono secondo le regole e senza che nessuno abbia la possibilità di intervenire.

Gianni Barbacetto

GLI OSCURI INTERESSI DEL TRIBUNALE DI MILANO

 ULTRAOTTANTENNE INVALIDO SFRATTATO CON VIOLENZA E MINACCIA DALLA CASA POPOLARE DOVE AVEVA VISSUTO OLTRE 35 ANNI. NON PAGAVA IL PIZZO ALL’ALER E AI PARTITI CHE AMMINISTRANO IL PATRIMONIO PUBBLICO IMMOBILIARE, CONTROLLANDO LA MAGISTRATURA E IL GRANDE BUSINESS DELLA GIUSTIZIA. E’ accaduto a Milano, in pieno inverno, lo scorso 27 gennaio 09, nell’assoluto silenzio dei media, occupati a parlare in termini astratti della crisi economica mondiale e dei massimi sistemi, senza essere  in  grado di affrontare i casi concreti e di individuare le cause profonde della bancarotta delle moderne democrazie partitocratiche, insite nel sistema di malaffare politico, economico e giudiziario che mina in radice le regole della democrazia e i diritti dei cittadini. Non dovrebbe infatti accadere nè tantomeno venire tollerato in un paese civile, fondato sul diritto, che un Tribunale come quello di Milano, disponga l’impiego della forza pubblica per allontanare coattivamente dalla sua abitazione una persona anziana e malata in stato di bisogno.Si è parlato a ragion veduta della casa come paradigma della crisi economica.

Ma nessuno ha avuto il coraggio di denunciare che all’origine vi è la corsa sfrenata alla speculazione edilizia, il saccheggio del patrimonio pubblico  immobiliare da parte delle lobby di mercanti e il mancato contenimento dei valori immobiliari, che ha generato un progressivo degrado dell’economia, falsando il mercato. Di seguito pubblichiamo il comunicato del gennaio scorso a cui nessun media ha dato voce, in cui si denunciava uno dei tanti casi emblematici che ben spiegano i termini  della crisi e delle ragioni per cui non ci sarà ripresa sino a quando la legge non sarà veramente uguale per tutti e i tribunali cesseranno una volta per tutte di giudicare in nome della speculazione edilizia.    

Comunicato stampa 27.1.09.

Avvocati senza Frontiere denuncia che mentre stiamo mettendo in rete il comunicato è in corso l’illegittima esecuzione di sfratto di un anziano, malato di cuore, conduttore di un alloggio popolare che da oltre 35 anni rivendica il diritto di riscatto della propria abitazione.
Dopo il caso della famiglia sfrattata per la ridicola somma di € 20 di morosità, dall’ex Presidente di Banca Popolare Milano Roberto Mazzotta, pubblicata sul sito www.avvocatisenzafrontiere.it (nella pagine web della mappa della magiustizia), altra vicenda destinata a fare discutere e suscitare iinquietanti nterrogativi sulle oscure collusioni e interessi che muovono i magistrati del Tribunale di Milano, ovvero sul livello di civiltà giuridica della società è sicuramente quello del Prof. Bruna Fiorentino, assegnatario dal 1973 di un alloggio popolare nelle case ex Gescal di Via Lucca 41, a Milano, da cui sta venendo allontanato con la forza pubblica, senza disporre di altra abitazione e mezzi economici.
Ciò, seppure sia tuttora in corso la causa di merito e il titolo esecutivo azionato sia costituito da una mera ordinanza provvisoria di rilascio, che ben potrà venire revocata con la sentenza definitiva, emessa dal Giudice, Dr. Manunta, Presidente della XIII sezione civile del Tribunale di Milano, che si occupa esclusivamente di locazioni, il quale è già stato denunciato alla Procura di Brescia e al C.S.M. per favoreggiamento dell’Aler, avendo con detto abnorme provvedimento di fatto già anticipato il giudizio, precludendo qualsiasi difesa del conduttore.
Una vera e propria deportazione coattiva per fare spazio alla logiche della speculazione, coltivate dall’Aler s.p.a. e dalla magistratura milanese, di cui Avvocati senza Frontiere denuncia da annni la vasta corruzione ambientale.
L’abnormità dell’esecuzione del provvedimento di rilascio deriva dal fatto che il  Prof. Bruna Fiorentino si è infatti tempestivamente opposto allo sfratto, contestando il diritto dell’Aler di fissare unilateralmente i canoni di locazione, in spregio alle pattuizioni sottoscritte dalle parti nei contratti di locazione e nei bandi di assegnazione che prevedevano tra l’altro il diritto di riscatto.
Una questione che si trascina da oltre 35 ANNI, senza trovare soluzione nelle aule di giustizia e per cui Avvocati senza Frontiere è in procinto di adire la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, denuciando alcune centinaia di casi analoghi di assegnatari a rischio sfratto.
Il caso del Prof. Bruna Alfredo Fiorentino riguarda infatti svariate migliaia di famiglie di anziani che, anziché venire aiutati dalle Istituti Case Popolari e dalle istituzioni, rischiano di vedersi buttare in mezzo alla strada e spogliati della loro unica abitazione, dove sono vissuti per oltre 35 anni.
La vicenda nasce con il passaggio dalla gestione Gescal a quella dell’Istituto Autonomo Case Popolari (Iacp); cioè allorquando l’ex IACP (e in seguito l’ALER) pongono in essere una serie di condotte, denunciate come estorsive, volte a sottrarsi all’obbligo di alienare gli alloggi agli assegnatari aventi diritto, alle condizioni previste nella L. n. 60/63, onde conseguire un flusso incessante di profitti extra legem, nei confronti delle svariate diecine di migliaia di famiglie assegnatarie degli alloggi popolari della Lombardia, le quali in base alla legislazione previgente (che prevedeva il diritto di riscatto con un canone mensile costante inclusivo delle spese), avrebbero dovuto divenire proprietarie degli immobili a loro assegnati o continuare a godere del canone sociale e di condizioni agevolate rispetto a quelle di mercato oggi invece indebitamente pretese.
Il meccanismo truffaldino utilizzato da Aler S.p.A. per ottenere il pagamento di somme eccedenti quelle pattuite nei contratti è lo stesso utilizzato dagli speculatori del settore immobiliare e dai veri e propri usurai professionali:
da una parte gonfiare le spese accessorie (quali riscaldamento, servizi…) e i canoni di locazione, invitando a pagare mediante l’unilaterale emissione di bollettini di versamento, dietro minaccia di sfratto e azioni monitorie (che i giudici in genere concedono senza neppure istruire le cause e leggere gli atti);
dall’altra presentarsi minacciosamente nei quartieri delle case popolari con largo impiego di uomini e mezzi (Digos, Ufficiali giudiziari, camion per gli sfratti, operai sottoproletari e facchini), per imporre, a chi non ce la fa, la firma di cambiali a garanzia di tali indebite pretese, dietro minaccia di sloggio forzoso. Cosa appunto successa questa mani al Prof. Bruna Fiorentino che si è visto però anche rifiutare l’assegno di € 10.000 e un rinvio sino all’esito della causa di merito, perchè il pagamento offerto non era per contanti…!
Forse, neppure, il clan dei Casalesi
o i picciotti dei racket che taglieggiano i negozianti siciliani non avrebbero concesso una dilazione, tenuto conto che l’anziana vittima degli usurai dell’Aler era ricoverato al Pronto Soccorso per un principio di infarto e aveva la disponibilità di pagare.    
Tali gravi abituali comportamenti, a nostro avviso, non possono essere certo ignoti ai vertici delle istituzioni di governo della magistratura, della Regione Lombardia e  dei partiti che controllano l’Aler, dalle cui casse, da sempre, traggono un flusso ininterrotto di finanziamenti illeciti.
Confidiamo, pertanto, che i mass media indipendenti, i giornalisti, i magistrati e le associazioni della società civile, non asserviti alle logiche dei partiti e delle logge massoniche che controllano le istituzioni, lancino un’azione di denuncia sulla gestione del patrimonio publico immobiliare e sul diritto dei cittadini di avere giudici imparziali che rispondono solo alle leggi.
Per maggiori informazioni sulla denuncia sporta nei confronti del Dott. Manunta: 02-36582657 – 3292158780

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=165

LA P2 GIUDIZIARIA MILANESE SFRATTA ANZIANA DOPO 30ANNI DI CONVIVENZA DI FATTO

 Milano, 11 novembre 2009. Agenti e automezzi della Digos in Via Bergamo 3 Milano, in funzione antisociale per l’esecuzione di sfratti di anziani.  
A cura della Redazione.

QUESTAMANI UNA PENSIONATA MINIMA SETTANTENNE E’ STATA BRUTALMENTE SFRATTATA CON LA FORZA PUBBLICA DOPO 30 ANNI DI CONVIVENZA DI FATTO.
Il grave episodio già preannunciato ieri sera con un comunicato stampa di Avvocati senza Frontiere è avvenuto intorno alle ore 12, in Via Bergamo 3, Milano, in danno della sig.ra Maria Teresa Russo, dopo circa tre ore di assedio e di inutili tentativi di indurre l’Ufficiale Giudiziario procedente e la Polizia di Stato (Digos), scandalosamente presenti con ben due blindati e uno sproporzionato spiegamento di forze e agenti, a sospendere le operazioni, trattandosi di un’esecuzione illegittima, nei confronti di persona ultrassettantenne, afflitta da gravi patologie, per cui è prevista per legge la sospensione degli sfratti, sino al 31.12.2009, in base ai noti decreti governativi (Dlgs n. 158/2008 e n. 78/2009).
Ignorando le disposizioni di legge che impongono la sospensione automatica degli sfratti per finita locazione nei confronti di tali categorie di anziani disagiati l’U.G. e gli agenti della Digos hanno fisicamente impedito con l’uso della forza al Presidente di Avvocati senza Frontiere e al legale dell’anziana donna che l’assistono, di avvicinarsi all’abitazione, inducendo in tal modo la signora Maria Teresa Russo a subire una visita coattiva del medico della Asl, che già in precedenza ne aveva attestato le gravi condizioni di salute e l’intrasportabilità.
In tale contesto, l’anziana donna rifiutava il ricovero coattivo in una struttura per anziani, proposto dal medico della Asl e dagli assistenti sociali [peraltro contrario ai principi costituzionali: Art. 32], i quali insieme all’U.G., agli della Digos e al legale della controparte facevano pressioni morali e psicologiche affinchè l’anziana donna, rimasta sola per circa mezz’ora, lasciaasse immediamente l’abitazione, affermando che tanto la causa [invero ancora da istruirsi] sarebbe stata già “persa” e che “prima o poi se ne se sarebbe dovuta andare“.
Dopo di che, l’esecuzione di sfratto veniva portata ad estreme conseguenze con l’immissione nel possesso dei nipoti dell’ex convivente della sig.ra Russo, alla presenza dei legali delle parti e del Presidente di Avvocati senza Frontiere Dr. Pietro Palau Giovannetti che difendono l’anziana donna, i quali hanno denunciato gli atti di prevaricazione subiti dalla Digos e l’illegittimità dello sfratto, preannunciando di sporgere querela anche nei confronti dei magistrati (ritenuti appartenenti a una loggia coperta), che ignorando ogni ragione e più elementare diritto civile dell’anziana donna hanno permesso che l’esecuzione venisse portata ad estreme conseguenze.
A riguardo, si ricorda che i legali del Movimento per la Giustizia Robin Hood hanno già denunciato lo Stato Italiano avanti la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, in relazione alla violazione del diritto abitativo della sig.ra Maria Teresa Russo, vittima di una giustizia che calpesta i più elementari diritti umani, anche delle persone anziane e in stato di indigenza.
Nonostante ogni possibile opposizione e appello i giudici milanesi hanno infatti sinora negato alla Sig.ra Maria Teresa Russo qualsiasi diritto abitativo sulla propria casa coniugale di via Bergamo 3, ove ha convissuto per oltre 30 annimore uxorio” (quale convivente di fatto) con l’intestatario dell’appartamento, prematuramente deceduto senza lasciare a quanto parrebbe testamento.
30anni fa l’immobile venne acquistato dal convivente dell’anziana donna la quale, pur contribuendo al pagamento del prezzo e delle spese condominiali ordinarie e straordinarie per oltre 30 anni, non è mai formalmente divenuta intestataria, seppure risulti consigliera condominiale e cointestataria per volontà del de cuius delle richieste di pagamento degli oneri condominiali, come confermato dall’Amministratore del Condominio e da numerosi condomini.
Circostanze documentali e prove testimoniali che i giudici milanesi hanno letteralmente ignorato, rifiutando qualsiasi motivazione di diritto, anche limitatamente all’esclusione del diritto abitativo, ormai riconosciuto da una giurisprudenza sempre più orientata alla protezione della convivenza “more uxorio”. Negli anni l’abitazione di Via Bergamo è infatti diventata il centro della convivenza di fatto della coppia, anche durante la fase terminale dell’improvvisa malattia del defunto sig. Rugini Carlo, assistito fino alla fine dalla sua compagna.
L’azione di sfratto promossa dagli unici eredi legittimi, i nipoti, sinora avvallata dal Tribunale di Milano (e in fase di sospensiva della sentenza di primo grado anche dalla Corte d’Appello), si fonda sull’erroneo assunto che l’anziana donna, dopo la morte del convivente, non avrebbe più alcun titolo a permanere nella casa di abitazione, in quanto non riconoscibile ad avviso dei giudici della lobby giudiziaria milanese nè un diritto abitativo nè successorio.
Sulla base di queste distorte considerazioni di diritto che non trovano legittimazione in nessun altro Paese civile europeo [né tantomeno nella giurisprudenza di merito e legittimità] il Tribunale di Milano ha dichiarato risolto per “finita locazione” un preteso quanto inesistente contratto di “comodato precario” (durato la bellezza di 30 anni!!!).
La sig.ra Russo si è quindi rivolta alla rete di Avvocati senza Frontiere, istituita dalla Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, da cui ha ricevuto assistenza legale, in ogni sede, col patrocinio a spese dello Stato.
I legali dell’associazione hanno quindi proceduto su più fronti:
– da una parte la revoca della condanna al rilascio e l’accertamento dell’inesistenza del preteso contratto di “comodato precario”, impugnando la sentenza di primo grado;
– dall’altra hanno agito per l'”accertamento del diritto di successione (iure hereditario) o in via subordinata di usucapione del diritto abitativo, quale convivente di fatto.
Non avendo ottenuto alcuna tutela e provvedimento cautelare di sequestro dell’immobile sono stati poi proposti una raffica di reclami in via d’urgenza, ricorsi in opposizione all’esecuzione, ed infine, la denuncia alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, senza che i giudici milanesi, abbiano provveduto a tutelare i diritti dell’anziana e malata donna, la quale versa in condizioni di salute precarie, tanto da essere stata già dichiarata intrasportabile dal medico della Asl.
L’eclatante caso di malagiustizia milanese e italiana riporta con forza alla ribalta tre problematiche di largo interesse per l’opinione pubblica e la sopravvivenza dello Stato di Diritto, coinvolgendo milioni di famiglie italiane:
1) l’irrisolto problema delle unioni di fatto;
2) l’uso delle Forze dell’Ordine e l’assenza di controlli sulle attività della magistratura;
3) l’indipendenza della magistratura e non appartenenza a logge massoniche.
La prima problematica ci spinge a riflettere sull’annoso vuoto normativo lasciato da entrambi i governi in tema di patti di solidarietà civile (“pacs” o “dico”), ovvero sull’assenza di adeguate e più moderne soluzioni legislative (in questo caso riguardanti la mera tutela di una “normale” coppia), adatte alle esigenze che l’evoluzione sociale, culturale e di costume impone con urgenza alla collettività, e che nella maggioranza degli altri sistemi giuridici europei trovano riconoscimento e la dovuta considerazione, in alcun casi già da ben oltre 20 anni (Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Spagna, Portagallo, etc).
La seconda e la terza problematica ci spingono invece a riflettere su quali siano le effettive funzioni del sistema giudiziario italiano e i compiti delle Forze dell’Ordine e della Magistratura italiana, troppo spesso asserviti agli interessi della politica, delle mafie e della massoneria deviata che occupano e soffocano le istituzioni.
Tutori della legalità e dei diritti delle parti più deboli ?
O, cani da guardia del potere o delle logge massoniche che fanno affari con la giustizia?
Per maggiori informazioni e servizio fotografico dell’esecuzione: 02-36582657 – 329-2158780

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=159

ESAMI DI AVVOCATO A MILANO: UNA FARSA!

di Giampaolo Riccò (aspirante avvocato)

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.
ARTICOLO 4 COST. E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
Gentile Presidente Napolitano,
 mi chiamo Giampaolo Riccò, abito a Melegnano, vicino a Milano e aspiro a svolgere la professione di avvocato per cui mi sono laureato, dopo molti sacrifici e anni studio. Le scrivo questa lettera aperta, tramite questo giornale che rappresenta le aspettative di molti giovani avvocati e professionisti onesti, che come me credono nei principi di legalità e giustizia, per metterla al corrente dei fatti successi alla Fiera di Milano, in occasione dell’esame di stato per avvocati dello scorso 2007. Esame che mi permetto mettere in relazione all’art. 4 della Costituzione e all’anniversario del 25 aprile.

Come dai suoi interventi in televisione, che ho costantemente seguito, ricorre infatti il 60° anniversario della Costituzione Repubblicana. Tra poco, anche il 25 aprile, giorno della liberazione del Popolo Italiano: quante persone sono morte per la nostra democrazia e per il nostro Paese? Probabilmente Lei si starà chiedendo “ma cosa c’entra l’esame di stato per avvocati con l’articolo 4 della Costituzione e le persone che sono morte per la nostra Patria?  Le spiego allora subito la relazione.

Cominciamo dai  fatti successi alla Fiera di Milano.

In data 13 dicembre 2007 mi recavo alla Fiera di Milano per sostenere la terza prova d’esame, atto giudiziario, per diventare avvocato. Alle nove circa, dopo aver effettuato la registrazione all’ingresso e i relativi controlli, mi sono seduto alla mia postazione. Subito gli altri candidati  mi mettevano al corrente che nel padiglione si vociferava che la prova d’esame, atto civile, sarebbe stata una comparsa di risposta, riguardante un bene immobile. Nell’atto di citazione, l’attore, sosteneva di essere proprietario del bene e chiedeva il risarcimento del danno per il mancato godimento. La parte convenuta sosteneva, contrariamente, che il bene immobile fosse stato usucapito. Quella di quei giorni di dicembre era la quarta volta che mi presentavo per sostenere questo esame e ogni volta circolavano le voci sulle tracce d’esame ma io non ci credevo. Mi sono quindi alzato e mi sono recato a salutare un altro candidato che conoscevo dal periodo del tirocinio. Appena salutato anche lui mi confermava le stesse voci. Anche lui era scettico come me, ricordo però che mi disse “intanto che aspetto la dettatura delle tracce d’esame mi cerco le sentenze della Corte di Cassazione, non si sa mai”. Sono quindi tornato alla mia postazione per continuare a seguire le conversazioni dei miei colleghi d’avventura. Alle ore 9.30 tutti i candidati intorno alla mia postazione erano pronti per l’atto di diritto civile incluse le sentenze della Corte di Cassazione. Finalmente, poco dopo le 10.00, cominciava la dettatura delle tracce d’esame. Mentre il Presidente della commissione d’esame dettava la traccia relativa all’atto civile ci guardavamo sempre più sbigottiti: era proprio quella anticipata dalle voci di corridoio!

Durante la dettatura un ragazzo (“Il Messaggero” nell’articolo del 21 dicembre 2007 indicava erroneamente il sottoscritto) si è alzato e si è recato presso il banco della Presidenza per protestare mentre nel padiglione della Fiera fioccavano applausi, fischi, urla e invettive contro la Commissione d’esame. Io non so cosa si siano detti il candidato e il Presidente della commissione ma a un certo punto ho sentito dagli altoparlanti che il Presidente invitava il ragazzo a tornare a posto per continuare l’esame. A questo punto, mentre il Presidente continuava la dettatura mi sono avvicinato al banco della Presidenza. Ho aspettato che la dettatura finisse e ho subito riferito al Presidente che anch’ io ero a conoscenza della traccia d’esame in materia di diritto civile e che altri candidati vicino alla mia postazione ne erano a conoscenza. Chiedevo inoltre al Presidente d’esame di mettere a verbale l’accaduto. Il Presidente, invece, mi diceva che non avrebbe messo a verbale nulla e che, qualora lo volessi, avrei potuto denunciare il fatto ai Carabinieri presenti nel padiglione e lasciare l’aula d’esame. Mi sono quindi recato presso un gruppo di agenti di Polizia, in quanto i Carabinieri erano dall’altra parte del padiglione. Gli agenti mi facevano però notare che, contrariamente a quanto riferito dal Presidente d’esame, potevo chiedere ai commissari di verbalizzare e, successivamente, se ritenevo opportuno, lasciare l’aula e quindi ritirarmi dalla prova. Proprio in quel momento si stava avvicinando l’avvocato Lomboni vice-presidente della commissione d’esame con il quale ho avuto uno scambio di opinioni. Molto gentilmente l’avv. Lomboni chiamava il cancelliere capo, della segreteria esami avvocato del Tribunale di Milano, Dott.ssa Campagna, per procedere alla verbalizzazione dei fatti. Nel verbale indicavo come testimone un altro candidato vicino alla mia postazione, dichiaravo che altri candidati risultavano essere a conoscenza della traccia in materia civile e che mi ritiravo dalla prova consegnando la mia busta: erano le ore 11,35, come da pagina 3 del verbale della terza prova scritta, Corte di Appello di Milano, Segreteria esami di Stato. Alle ore 12,00 insieme all’avvocato Lomboni mi recavo presso il banco della presidenza per registrare la mia uscita dal Padiglione in quanto sino alle ore 12,00 non era consentito uscire.Tornato a casa ho redatto la denuncia sui fatti successi e l’ho presentata alla stazione dei Carabinieri di Melegnano. La mia querela la sta seguendo il P.M. Dott. Romanelli della  Procura di Milano. Un magistrato di cui è nota la serietà. Altre Procure stanno svolgendo parallelamente indagini in quanto la diffusione delle tracce sembra sia avvenuta attraverso internet e quindi coinvolge diverse sedi d’esame.

Questi Ecc.mo Sig. Presidente sono i fatti di quei giorni di dicembre.

L’articolo 4 della Costituzione Italiana di cui Ella è Supremo custode e garante recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”. Bene, anzi male, da “La Stampa” del 28 dicembre 2007, risulta che 30.000 praticanti hanno sostenuto l’esame nello scorso mese di dicembre. A Milano alla terza prova si sono presentati 3712 candidati e uno si è ritirato: il sottoscritto. Questi numeri sono in continuo aumento: a Milano se continuiamo così non ci stiamo più nel padiglione. La riforma dell’allora Ministro della Giustizia Castelli, che intendeva contrastare la diffusa pratica del trasferimento dei praticanti al fine di scegliere sedi di esame ritenute più agevoli (vedi Catanzaro), non ha funzionato: anzi ha peggiorato la situazione nel nord Italia. Gli esami scritti di Milano verranno corretti quest’anno dalla Corte di Appello di Bari e, a quanto mi risulta, ambedue le procure stanno svolgendo indagini incrociate.

A Milano e al nord Italia passano all’esame meno candidati rispetto ad altre sedi d’esame. Si dice che le università del nord Italia siano meglio organizzate e che preparano meglio gli studenti: comincio a dubitarlo, visti i risultati degli esami…

Non ci si capisce più nulla in questa Italia. Se la Repubblica riconosce il diritto al lavoro e allo Stato è demandato il compito di promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto, perché allora non ci viene riconosciuto lo status di avvocati?

Signor Presidente, gli esami di diritto li abbiamo già superati nelle  Università, abbiamo già fatto il tirocinio per due anni presso avvocati, abbiamo già sostenuto esami presso i nostri ordini professionali locali, abbiamo giurato di rispettare le leggi dello Stato davanti al Presidente di Tribunale. Cos’altro dobbiamo fare?

Forse, un esame come quello di Milano? Ma, secondo Lei, onestamente, era un esame di Stato? Eppoi, cortesemente mi spieghi a cosa serve un esame fatto in questa maniera e soprattutto a chi serve?

Stringendo, nell’ambiente sappiamo bene tutti che l’esame serve solo alla lobby degli avvocati per limitare l’accesso alla professione e frenare la concorrenza che sempre stando alle stime dei giornali avrebbe superato quota 160.000.

Ma allora perché parliamo di libera professione e di libero mercato?

In Italia Signor Presidente ci sono diversi conflitti d’interesse.

Lo vogliamo dire o facciamo finta di non capire che c’è un conflitto d’interessi grande come una casa anche negli esami di Stato?

Noi praticanti avvocati siamo esaminati da altri avvocati che evidentemente non ci vogliono fare entrare nel mercato o gli fa comodo lasciare le cose così come stanno.

Ammesso che gli esami di Stato servano a qualcosa (e questo è un bel punto di domanda), perché non veniamo esaminati da una parte terza, ad esempio dalle Università o da magistrati esperti di Tribunali e Corti di Appello?

La Costituzione dice che tutti hanno il diritto al lavoro e noi la nostra professione la vorremmo proprio cominciare a svolgere, prima di morire di fame e/o di invecchiare facendo esami a raffica uno dietro l’altro, come fanno anche tanti aspiranti magistrati.

Perché la casta degli avvocati continua ad impedircelo?

Non credo, meramente per motivi egoistici e/o corporativistici, perchè gli portiamo via le cause per le multe-autovelox, ma per ragioni di controllo politico e sociale.

La Repubblica dovrebbe promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro. Ma come: organizzando degli esami di Stato che sono una farsa?

Mi scusi, ma io sono un collega del Presidente della commissione d’esame, in quanto sono iscritto all’ordine forense; faccio presente che c’è qualcosa che non va, gli indico anche dei testimoni e, nonostante la sua pubblica funzione, si rifiuta di verbalizzare l’accaduto e non si adopera minimamente per controllare, come se l’accaduto non lo riguardasse (o forse, peggio, lo ritenesse un male da tollerare con cui la casta si sa ha ormai  imparato a convivere, tacendo).

Quanto Le denuncio Sig. Presidente Napolitano, lo può verificare dal verbale del 13 dicembre, redatto dal segretario e sottoscritto dallo stesso Presidente: 40 commissari che non verificano se i fatti da me denunciati e verbalizzati alle 11,35 sono veri.

Ma che ci stanno a fare? A quali logiche rispondono? Chi li ha nominati? Personalmente credo di essermi comportato correttamente: ero a conoscenza della traccia d’esame prima della dettatura e mi sono ritirato. Ma la commissione d’esame si è comportata altrettanto correttamente? Ironia della sorte: una materia dell’esame è il codice deontologico forense che all’articolo 6 “Doveri di lealtà e correttezza” afferma testualmente: “L’avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza”. Ma la commissione d’esame si è comportata correttamente? Ha fatto tutto quello che era necessario fare? 

E l’Ordine Forense cosa sta facendo? Ha riferito al Ministero i fatti successi in tutta Italia? Che decisioni hanno preso? Guardi che sono già passati più di tre mesi e a me non risulta ancora niente. Cosa aspettano?

Il senatore Alfredo Mantovano, ex magistrato, ha presentato a Palazzo Madama un’interrogazione con risposta scritta, all’ex Ministro della Giustizia Clemente Mastella, chiedendo anche quali provvedimenti intendeva assumere per garantire la piena legittimità di un esame che, se possibile, in misura superiore ad altri, deve caratterizzarsi per trasparenza e rispetto delle regole.

Risposte da quel Ministero attualmente nessuna.  

Tutti parlano di regole. Ma quali sono le regole da rispettare per un esame di Stato? Dal bando di iscrizione all’esame, non ho letto circa un’opzione da esercitarsi per avere le tracce la sera precedente. Sì, la sera precedente, ha capito bene, perché risulta che alcuni candidati sapessero della traccia la sera precedente, altri prima di entrare alla Fiera, altri come me una volta entrati e altri che non sapevano nulla.

Le chiedo: ma se questo esame è regolare, come faranno a correggere i compiti?

E la prossima volta ci daranno la possibilità di conoscere le tracce la sera prima a tutti oppure ancora a pochi eletti? E come ce li invieranno via e-mail?

Dobbiamo registrarci su qualche sito specializzato, pagando un extra?

Personalmente ho sempre pensato che all’esame di Stato tutti i candidati dovessero essere trattati  alla stessa maniera, con pari diritti e pari doveri. A Milano non è successo così: moltissimi candidati conoscevano la traccia in materia civile prima della dettatura. Ma allora i diritti non sono uguali per tutti. All’articolo 3 della Costituzione si dice anche che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l’uguaglianza dei cittadini impedendone l’effettiva partecipazione all’organizzazione economica e sociale del Paese. Lei ha più volte detto che la Costituzione deve essere applicata: ci vuole dare una mano?

Il secondo comma dell’articolo 4 della Costituzione cita: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Ecco gentile Presidente, non solo abbiamo il diritto al lavoro, e di sceglierlo, ma anche il dovere di svolgere una attività che concorra al progresso materiale o spirituale dell’Italia. Ci dica, allora, quando possiamo cominciare? Poco tempo fa, un Ministro della Repubblica ci ha definito dei “bamboccioni”. Facciamo due conti, visto che è responsabile del dicastero dell’economia: laurea a 25 anni, più due anni di tirocinio, più facciamo tre anni per l’esame, più cinque anni per mettere in piedi lo studio professionale (se va bene): totale a 35 anni possiamo dire di svolgere l’attività forense. Sì, Signor Presidente, la realtà è questa, con queste regole, solo a 35 anni si può uscire di casa: quindi 30.000 persone, che io chiamo i “precari di lusso”, sono in uno stato di dipendenza dai genitori. Molti di questi genitori, che hanno fatto parecchi sacrifici per mandare all’Università i loro figli, e che sono orgogliosi di aver dei ragazzi laureati in Giurisprudenza e prossimi avvocati (si spera), non riescono a capire perché fino a 35 anni non si riesca a sviluppare un’attività professionale. Ma se noi abbiamo un dovere di svolgere una attività che contribuisca al miglioramento della nostra società, come facciamo se le nostre istituzioni non ce lo consentono?

Ma le sembra una società “normale” questa dove le persone a 35 anni devono ancora dipendere dai genitori perché le istituzioni non gli consentono di lavorare? Siamo al paradosso: è lo Stato che ci impedisce di svolgere un’attività che per definizione è libera. Libertà di cui godono solo per quei raccomandati all’interno della casta o per quei pochi che ogni anno riescono a superare gli sbarramenti imposti dall’alto che costituiscono una forma implicita di numero chiuso, che alcuni anni fà, come molti ricorderanno, la Corporazione voleva rendere palese per legge.

Quanti sono gli avvocati che hanno ottenuto l’abilitazione a Catanzaro, dove qualche anno fa è avvenuto un altro scandalo all’esame di Stato? Se non lo sa consulti il P.M. Luigi De Magistris: 2.585 compiti tutti uguali: reato prescritto. in questa Italia, cambiano le regole ma gli scandali continuano.

Ora Signor Presidente veniamo al punto di coloro che hanno dato la vita per la Patria, lottando per la democrazia e l’uguaglianza dei cittadini italiani. Crede che i partigiani siano morti per uno Stato dove non si capisce più nulla? Dove contano più i furbi che le persone oneste? Una società dove i soldi sono più importanti delle persone? Una società fatta di ingiustizie e di privilegi?  Ma i vari Chinnici, Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, i Poliziotti, i Carabinieri, i Militari delle missioni di pace e tutti quelli che sono morti  per lo Stato Italiano, hanno dato la loro vita per questo tipo di società?

Io penso che se potessero tornare indietro, ci rifletterebbero non poco.

Magari direbbero: “ma chi me lo ha fatto fare?”.

Io credo che tutti i cittadini devono fare la loro parte per rendere migliore questa società. La liberazione dalla dittatura, la lotta alla mafia, devono essere un esempio, soprattutto ai giovani, per un rinnovamento profondo  del nostro Stato.

I diritti alla democrazia, all’uguaglianza dei cittadini, il diritto al lavoro non sono piovuti dal cielo ma sono stati conquistati con l’impegno e la vita di molte persone: questi diritti vanno assolutamente difesi. Alcuni dei giovani colleghi con i quali sono in contatto dicono che sono stato coraggioso a denunciare l’accaduto. Io non credo di essere stato coraggioso, credo di aver semplicemente fatto il mio dovere e di essermi comportato da cittadino. Ognuno di noi ha dei diritti e dei doveri: io credo di avere il diritto di essere equiparato agli altri candidati all’esame e credo di avere avuto il dovere, come cittadino, di denunciare i fatti successi, in quanto costituenti reato. 

Gli altri candidati e i membri della commissione dovrebbero a loro volta denunciare o testimoniare quanto a loro conoscenza: altrimenti le cose non cambieranno mai! L’omertà deve finire. Molti giovani colleghi hanno paura di esporsi. Lo stesso timore vige tra gli aspiranti magistrati che denunciando sono convinti di venire presi di mira ed esclusi dai processi selettivi di affiliazione alle rispettive Corporazioni professionali.

A questo punto c’è da domandarsi se dei futuri avvocati e magistrati non sono capaci di tutelare i propri diritti, come potranno difendere i diritti degli altri?

Non c’è quindi da stupirsi se la giustizia versi in stato comatoso da oltre 40 anni. 

A mio avviso è  assolutamente necessaria la modernizzazione del Paese e i giovani avvocati devono essere in prima linea per questo cambiamento. Alla trasmissione televisiva” Ballarò”, il Presidente dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato Catricalà e il ministro Bonino, hanno dichiarato che la liberalizzazione delle professioni sono una cosa necessaria per modernizzare il Paese ma che i partiti non la vogliono fare. E allora che si fa? Ogni tanto, noi cittadini, ci rivolgiamo alla magistratura per l’ennesimo scandalo, esame di stato o concorso pubblico che sia: ma quando la finiamo? La vogliamo mettere a posto questa povera Italia?

Nel programma del governo Prodi “Per il bene dell’Italia” a pagina 53 punto d. si legge “riformare in senso qualitativo il sistema dell’accesso, basato sulla frequenza di scuole forensi e di specializzazione per le professioni legali, sul tirocinio e su un esame di stato finale”. Che belle parole “riformare in senso qualitativo”; peccato però che, secondo voci di corridoio, il Ministero di Giustizia stava preparando un bel test di pre-selezione e quindi una prova aggiuntiva da superare (in senso quantitativo e non qualitativo). Ma poi mi chiedo: le facoltà di giurisprudenza e le scuole di specializzazione per le professioni legali a che cosa servono in Italia? Io credevo che preparassero gli studenti a svolgere un’attività lavorativa: quella di avvocato, magistrato o altre attività collegate. Ma quante scuole ed esami dobbiamo fare per diventare avvocati? Non è magari il caso di ripartire dalle Università e rivedere i corsi universitari per preparare le persone al mondo del lavoro senza dover sostenere questi esami che sono un costo sociale in quanto un impedimento all’accesso professionale di molti giovani? Non mi sembra sia una cosa tanto difficile: ma forse il problema è che non si vuole cambiare questa Italia decadente. Allora dato che il Parlamento è miope davanti a questa necessità di cambiamento, ho pensato che i cittadini debbano darsi da fare per cambiare le leggi dello Stato.

Con l’aiuto di Avvocati senza Frontiere stiamo cercando di organizzare un comitato per l’abrogazione degli esami di Stato.  L’indirizzo e-mail è esamemil@yahoo.it .

Pensi Signor Presidente, in un Italia dove manca il lavoro, 30.000 praticanti avvocati, e non so quanti sono quelli degli altri ordini professionali, avrebbero la possibilità di iniziare una professione a costo zero per lo Stato Italiano. Anzi si ridurrebbero i costi, quelli cioè che lo Stato sostiene per l’organizzazione di questi inutili esami farsa.

La proposta l’ho fatta. Ora tocca a Lei.

Grazie per l’attenzione e la risposta che vorrà concedere a tutti gli italiani onesti che come me credono nella giustizia e nei principi della Costituzione che Lei incarna.

Giampaolo Riccò (prima che aspirante avvocato, cittadino)

N.d.R.: E perché non aboliamo anche gli Ordini Avvocati?

Tanto a cosa servono se come ha detto Gian Antonio Stella non pretendono neppure dagli iscritti il rispetto delle regole deontologiche?

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=143

CONCORSI TRUCCATI: TRA INSABBIAMENTI E ARCHIVIAZIONI LA CREDIBILITA’ DELLA MAGISTRATURA ITALIANA SCENDE SEMPRE PIU’ IN BASSO.

In seguito alle molte richieste e al grande interesse suscitato nei nostri lettori, dalla pubblicazione degli articoli “i veli sui concorsi truccati dei magistrati” www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=140 e sul livello di credibilità sempre più basso della magistratura italiana www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=95  , vogliamo presentare un breve excursus dal 1992 ad oggi dei casi più salienti, per vedere cosa è stato fatto e se realmente qualcosa è cambiato.
Con il primo articolo del 2007 apparso sul tema un nostro anziano avvocato si domandava di quale credibilità potesse ancora godere la magistratura italiana se gli stessi concorsi per entrare a farne parte continuavano ad apparire poco trasparenti, come denunciato nei decenni precedenti da molteplici candidati, senza che si sia mai fatta piena luce sui diversi episodi di brogli e corruzione emersi in ogni parte d’Italia.
Correva l’anno 1992, quando trapelò per la prima volta che anche i concorsi per magistrati venivano truccati col beneplacito del Ministero di Giustizia e degli apparati di vigilanza: “Verbali sottoscritti da gente che non c’era, fascicoli spariti, elaborati giudicati “idonei” quando non lo erano affatto“. Passarono poi ben 13 lunghi anni prima di venire a sapere tramite un articolo di denuncia del Corriere della Sera, pubblicato nel 2005, che i gravi fatti del 1992 non avevano ancora trovato alcuna soluzione nelle aule di giustizia amministrativa italiana né tantomeno sanzione penale.
Nel 2005, nonostante l’autorevole denuncia di Silvio Pieri, ex Procuratore Generale del Piemonte, e le diverse interrogazioni parlamentari sul tema, la scandalosa vicenda del concorso truccato del 1992, risultava finita nel porto delle nebbie, così come ogni altra successiva denuncia del genere. Vale la pena qui ricordare il suggestivo episodio della fotocopiatrice integerrima che smascherò il broglio di una componente della commissione esaminatrice della sessione del marzo 2002 e al contempo magistrato di Cassazione con funzioni di sostituto P.G. presso la Corte d’ Appello di Napoli, la quale cercò di favorire la figlia di un ex componente del Csm, della corrente di Unicost, sostituendo clandestinamente durante la notte la prova giudicata negativa della sua protetta, ma venendo tradita dall’eccesso di zelo dell’incorruttibile copiatrice, utilizzata nottetempo dall’alto magistrato, che ripartendo al mattino misticamente vomitava fiumi di copie delle pagine contraffatte dalla giudice Dr.ssa Clotilde Renna.
Negli anni successivi, neppure l’agguerrito Ministro Alfano, al pari del Guardasigilli di centro-sinistra Mastella, provava a scalfire l’impenetrabile muro di gomma eretto dalla casta e dalle massomafie che la proteggono, sui criteri e le procedure che governano l’accesso alla magistratura. L’argomento, evidentemente troppo scottante anche per i falsi neoliberisti e i rampanti filoberlusconiani che sulla corruzione giudiziaria hanno prosperato, costruendo la loro fortuna economica e politica, continua così ad essere un tabù di cui nessuno si occupa.
Correva l’anno 2008, quando scoppia il nuovo caso della Fiera di Milano-Rho, in occasione dell’ennesimo Concorso Nazionale per Uditore Giudiziario truccato. Tra i 5600 aspiranti magistrati per soli 500 posti si scopre che c’è chi si può permettere di introdurre impunemente telefonini, appunti, codici “irregolari“, rispetto alle norme dettate dal concorso e addirittura libri di testo, tanto da scatenare un vero e proprio putiferio. Mentre decine di candidati urlavano in piedi “vergogna!“, un altro gruppo esprimeva il proprio sdegno chiedendo di annullare la prova.
Ma “more solito” tutto vien presto messo a tacere e il livello di preparazione e di moralità dei giudici italiani e la conseguente disponibilità a “non lasciarsi ammorbidire dal potere“, restano quelli che tutti abbiamo avanti agli occhi ogni giorno nelle aule d’udienza: aperto favoreggiamento dei più forti, nepotismo, corporativismo, prepotenza e arroganza mischiate spesso ad aperta ignoranza ed assenza di rispetto nei confronti di avvocati e soggetti più deboli. (C’è persino chi scrive durante la prova riscuotere con la “q”, chi confonde la Corte dell’Aja con la «Corte dell’Aiax», o un maturo Presidente di sezione di Corte d’Appello civile a Milano che alle soglie della pensione non conosceva neppure la differenza tra un reclamo in corso di causa ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. proposto al collegio da uno ex art. 669 septies c.p.c. proposto allo stesso giudice di merito).
La casta corrotta al pari della classe politica si protegge per autoriprodursi.
Ma la cosa che più fa scalpore nel caso del concorso di Rho è il fatto che, messi a parte i dissidi tra il Guardasigilli Alfano e il C.S.M., è lo stesso organo di autogoverno della magistratura a richiedere con voto a maggioranza la frettolosa archiviazione del caso. Tutto normale anche per il Ministero di Giustizia, nonostante le molteplici denunce inquietanti di tanti candidati che segnalavano con dovizia di particolari come durante la prova milanese fossero saltate tutte le regole del gioco e che rampolli figli di noti magistrati avessero potuto fruire del tutto indisturbati di materiale vietato.
Circostanza veramente anomala tenuto conto che il concorso per magistrati è ritenuto l’esame più controllato nel nostro Paese. I testi a disposizione dei candidati prima di venire ammessi e introdotti in aula vengono preventivamente verificati e timbrati da un’apposita commissione esaminatrice. Un cancelliere di Tribunale controlla siano realmente dei codici, che non vi siano nascosti appunti o fogli volanti e che siano conformi al bando. I nuovi brogli di Milano-Rho non potevano quindi venire liquidati, ancora una volta, laconicamente e senza alcuna indagine, per coprire le solite spinte corporative e gli oscuri interessi di chi controlla e manipola nell’ombra l’accesso in magistratura, prediligendo le logore logiche di nepotismo e di clientelismo, da cui si alimentano solo le massomafie, il malaffare e non di certo la legalità.
Le molteplici proteste dei candidati della prova svoltasi alla Fiera di Milano-Rho per cui dovette persino intervenire la Polizia Penitenziaria per proteggere la commissione esaminatrice cieca, sorda e complice, non sono quindi ancora una volta servite a nulla.
La complicità della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano.
Una cinquantina di candidati si recò in Procura a Milano per denunciare la gravità dei fatti di cui erano stati diretti testimoni, percependo che la Commissione intendesse mettere tutto a tacere per favorire i soliti raccomandati. Ma il procedimento, come di rito, viene frettolosamente archiviato, nonostante la quantità delle denunzie e la convergenza delle testimonianze, tutte acclaranti gravi irregolarità. Ciò, peraltro, senza disporre alcuna accurata necessaria indagine, seppure l’indignazione avesse inondato i siti web, estendendosi agli stessi consiglieri togati del Movimento per la giustizia e Magistratura Democratica che chiedevano un’inchiesta del Csm sulle innumerevoli irregolarità denunciate dai candidati.
Dai media si apprende della richiesta di apertura di un fascicolo da parte della 9° Commissione di Palazzo dei Marescialli con l’obiettivo di “avere cognizione oggettiva dello svolgimento delle prove concorsuali e assumere le opportune iniziative in difesa del prestigio e credibilità della magistratura la cui prima garanzia è riposta nell’assoluta affidabilità della procedura di selezione“. Ma, come denunciato, il 19 dicembre il C.S.M. definiva con una frettolosa archiviazione, eludendo ogni accertamento sullo svolgimento delle prove scritte del concorso indetto con D.M. 27/2/2008, svoltesi a Milano nei giorni 19/21 novembre 2008. La pratica era stata aperta da “I Giovani Magistrati”, all’indomani delle inquietanti notizie fornite da stampa e televisione, in ordine alle modalità di espletamento del concorso.
Dal sito www.movimentoperlagiustizia.it si apprende che nel corso della discussione plenaria, i consiglieri del Movimento per la giustizia chiesero invano il ritorno della pratica in Commissione per l’espletamento di ulteriore attività istruttoria, già inutilmente da loro richiesta anche in sede di Commissione, non condividendo la circostanza che la Commissione avesse voluto frettolosamente portare all’attenzione del plenum del C.S.M. una delibera monca, articolata sulla base di un’attività istruttoria carente, costituita essenzialmente dall’acquisizione delle sole relazioni del presidente della commissione di concorso (17, 20, 22 nov. e 1.12.08) e del direttore generale direzione magistrati del Ministero (25.11 e 9.12), nonché dalle audizioni dei commissari di concorso e di altri funzionari del Ministero di giustizia e della Procura Generale di Milano. “Nessun cenno nella delibera in esame del contenuto delle 19 missive, pervenute alla 9° Commissione anche via e-mail, delle quali più della metà regolarmente sottoscritte da candidati che segnalavano disfunzioni gravi o meno gravi riguardanti soprattutto il ritardo verificatosi il 19 novembre nella dettatura della traccia di diritto amministrativo e la presenza in loco di testi non consentiti”. Per saperne di più, in relazione alla dinamica degli eventi, i tre consiglieri dissidenti aggiungono di avere inutilmente richiesto l’audizione di alcuni dei candidati firmatari degli esposti.
Nessun cenno nella delibera del C.S.M. del contenuto della risposta del Ministro della Giustizia all’interrogazione parlamentare che, peraltro, si era sviluppata nel senso di una presa di distanza dall’operato della commissione di concorso.
Il sito dei giovani magistrati del Movimento per la giustizia denuncia poi di avere sostenuto con forza che non vi fosse alcuna urgenza di definire, in tempi così brevi, una pratica dai risvolti talmente delicati, con una delibera che, agli occhi dell’opinione pubblica, avrebbe corso il rischio di essere additata (n.d.r.: come in effetti, poi, accaduto) “come una risposta corporativa e sostanzialmente “a tutela” dell’operato della commissione di concorso“. Per di più, in una situazione in cui era in corso di indagini preliminari il procedimento aperto presso la Procura di Milano (iscritto a mod. 45), a seguito delle citate denunce pervenute dai candidati.
Del resto, diversi sono gli aspetti inquietanti mai chiariti dal C.S.M. e dalla Procura di Milano, le cui archiviazioni hanno proceduto di pari passo per mettere tutto a tacere. Secondo quanto affermato nella relazione del Presidente Fumo sarebbero stati “schermati” i settori riservati ai candidati onde evitare comunicazioni telefoniche. Questo assunto, come si legge nel sito dei giovani magistrati, è stato smentito dal Direttore generale del Ministero, dott. Di Amato, che ha ammesso la mancanza di schermatura elettronica nei padiglioni ove si svolgeva il concorso, riscontrata peraltro dal sequestro di apparecchi telefonici che risultavano funzionanti all’interno dei locali. È appena il caso di rilevare che, come si legge nella relazione ministeriale, la “possibilità di una schermatura elettronica non ipotizzabile per la sede di Roma” era stata una delle ragioni che avevano condotto l’autorità competente alla scelta di Milano quale sede esclusiva di concorso.
Quanto all’identificazione di circa 5.600 candidati con tesserini privi di fotografia e alla carenza di controlli anche dei testi e dei codici all’ingresso delle sale di esame (almeno 28.000 volumi), inutilmente proseguono i giovani magistrati di avere fatto richiesta di acquisizione di notizie più in dettaglio sui controllori (250 persone per ogni turno dislocate su 26 postazioni). Del pari, inutilmente hanno fatto richiesta di notizie sui 23 funzionari di segreteria e sui 750 addetti alla vigilanza durante le prove, che avrebbero potuto portare ad accertare le ragioni della discrasia tra l’enorme numero di addetti al controllo e gli insufficienti effetti del controllo medesimo. Accertamenti che avrebbero dovuto quindi trovare ingresso quantomeno in sede penale, onde poter escludere che l’indifferenza della commissione alle clamorose proteste dei candidati abbia inteso favorire i soliti raccomandati e che la prova invero “non fosse solo la solita farsa“.
Quanto allo svolgimento delle prove non ha poi convinto la scelta di non sorteggiare le materie nei diversi giorni di esame. “È vero che non vi era obbligo di legge in tal senso, ma è pur vero che ragioni di oppurtunità e trasparenza avrebbero dovuto indurre la commissione di concorso a procedere al sorteggio, così come le stesse ragioni inducono da anni il CSM a sorteggiare l’individuazione dei commissari di concorso”. Ma soprattutto, ciò che non ha convinto i giovani magistrati è stato l’indisturbato allontanamento del commissario, prof. Fabio Santangeli (poi dimessosi il 25.11), il giorno 19, che è stato la principale causa dell’abnorme ritardo nella dettatura della traccia di “diritto amministrativo”, avvenuta alle h.14. Parimenti, non hanno per niente convinto in particolare le giustificazioni fornite sul punto dal Presidente della Commissione, secondo il quale non sarebbe stato in alcun modo possibile trattenere nella sala il professore, senza chiarire la ragione perché non fosse stata approfondita sin dal primo momento la disponibilità di tempo del professore, evitando che partecipasse all’elaborazione dei testi. Cosa che poi provocava la ripetizione dell’operazione di individuazione /elaborazione delle tre tracce da sorteggiare, con l’ulteriore conseguenza della dettatura di una traccia ambigua, che ha causato ulteriori problemi di ordine pubblico, a causa delle diverse letture possibili.
L’esistenza di queste accertate disfunzioni ed il mancato chiarimento di aspetti essenziali ai fini di un regolare e sereno svolgimento delle prove di esame avrebbero consigliato, secondo gli esponenti del Movimento per la giustizia, maggiore cautela nell’adozione di una delibera di archiviazione da parte del CSM. In definitiva, non si è compreso che solo una adeguata istruttoria avrebbe dissipato tutti i dubbi e reso trasparente l’operato della Commissione.
Il nostro voto contrario, conclude il sito dei magistrati dissidenti, è determinato esclusivamente dall’esigenza di accertamento della verità. Esso non significa e non può significare “condanna”, ma rappresenta una decisa presa di distanza da una logica di “tutela” preventiva ed incondizionata in favore di tutti i protagonisti istituzionali della vicenda, troppo frettolosamente ritenuti attendibili, pur in difetto di quel “contraddittorio” con le voci dissonanti dei candidati, come da noi richiesto e ribadito. “Il voto contrario non significa quindi che si ritiene sussistere i presupposti per l’annullamento del concorso in via di autotutela, ma testimonia il nostro disaccordo su una risposta istituzionale del tipo “tout va très bien madame la marquise!“.
Ne deriva che “Madama la Marchesa” dovrebbe trovare del tutto preoccupante e scandaloso che anche l’ennesima indagine sui concorsi truccati in magistratura condotta dalla Procura di Milano sia stata frettolosamente archiviata in breve tempo, trascurando i molteplici riscontri probatori, che avrebbero dovuto indurre il P.M. a svolgere più accurate indagini, il quale senza neppure ascoltare le persone informate sui fatti e i candidati parti lese, prendeva invece per “oro colato” la relazione presidenziale e le sole fonti istituzionali.
E’ quindi lecito dubitare che gli inquirenti al pari dei politici e dei membri del C.S.M. abbiano agito seguendo quel profondo senso di giustizia che dovrebbe animare coloro a cui è affidata la sorte della legalità.
Cosa si può fare? La parola ai candidati, ai magistrati e ai cittadini onesti.
Basterebbero 4 semplici telecamere ben piazzate, e tutto filerebbe in piena trasparenza. Finalmente si premierebbe e tutelerebbe l’impegno di chi ha studiato seriamente: questo dovrebbe stabilirsi per legge in TUTTI i concorsi pubblici. E perché non si fa? Non c’è rispetto per i nostri figli, così si facilita l’accaparramento dei posti di responsabilità in mano agli ignoranti. Dappertutto. E’ veramente grave, questo. E’ veramente grave non reagire, non ribellarsi. (Difficile dargli torto e non riconoscere il valore deterrente e dissuasivo dell’idea).
Così si vuole un paese di baroni ignoranti“. Da Angelo (Un vero angelo di verità!).
A cosa serve questo concorso in magistratura?
A seguito degli scandalosi eventi di Rho, colgo l’occasione per esprimere ciò che ho sempre pensato in merito al concorso in magistratura. In Italia la crisi, e oserei dire la paralisi, del sistema giudiziario è dovuto principalmente alla carenza di personale giudicante, inquirente e amministrativo. Questa situazione non la si vuole affrontare politicamente, perché fa comodo alla classe dominante avere una magistratura che non funziona. Ebbene la struttura del nostro concorso in magistratura consente davvero che si sfornino magistrati quantitativamente e qualitativamente capaci di amministrare bene e velocemente la giustizia? Assolutamente no!!
E spiego il perché. Un concorso siffatto richiede una preparazione teorica estremamente elaborata e onnicomprensiva per conseguire la quale si impiegano un elevato numero di anni, in molti casi a due cifre. Se si ha poi la fortuna di passare il concorso grazie solo alla preparazione (e i fatti di Rho dimostrano che solo questa non è affatto sufficiente, o forse non è addirittura necessaria) i neo uditori saranno dei brillantissimi teorici, bravi conoscitori delle più svariate dottrine in materia giuridica, ma emeriti incompetenti da un punto di vista pratico e incapaci di amministrare la giustizia con rapidità ed efficienza, così come sarebbe ora che accadesse in un Stato normale.
E soprattutto si può essere bravi tuttologhi? Perché la magistratura non viene stratificata in competenze per materia? Magistrati che fanno solo civile, altri penale, lavoro, commerciale, fallimentare e così via. Si avrebbero così più magistrati più preparati. Dovrebbero esistere diversi concorsi in magistratura a seconda delle materie e il settore in cui specializzarsi dovrebbe essere individuato già dagli anni universitari. Solo così si potrebbero sfornare tanti magistrati, veramente seri, esperti in determinate materie e quindi capaci e professionali. E’ un’ottimizzazione di tempi e risorse. Ma quando a delle conclusioni così semplici non si vuole arrivare, è chiaro che non c’è la volontà di risolvere i problemi e non certo il modo.
Teniamoci le caste, il prestigio e il potere dei pochi, facciamo apparire come condotta deplorevole e facinorosa quella di chi denuncia i misfatti e gli scandali e non quella di chi li compie, proprio come ha fatto la commissione a Rho che anziché denunciare la gravità dei fatti scoperti dai candidati, ha minacciato questi ultimi di procedere a identificazione e a denuncia per turbativa del concorso. Viva l’Italia che se la prende con la parte lesa anziché evitare che si consumino quotidianamente lesioni dei diritti fondamentali dell’individuo. E viva l’Italia dei paradossi: giustizia inefficiente per carenza di magistrati e milioni di laureati in giurisprudenza disoccupati. Neo magistrati mostri di preparazione teorica (nel migliore dei casi) e completamente incapaci di tenere un’udienza o di scrivere una mera ordinanza di rinvio.
Da Graziella (Quali sacrosante parole! Sei una vera Robin Hood!).

Ho paura che tutti i concorsi in magistratura fatti in precedenza siano stati truccati e che solo adesso sia scoppiato lo scandalo. Basta svolgere la professione di avvocato per rendersi conto quanto siano impreparati i giovani magistrati. Anch’io al concorso ho visto i miei colleghi copiare le tracce dagli appunti fatti a fisarmonica ma per solidarietà fraterna, non ho voluto fare la spia, ma adesso che è scoppiato lo scandalo ho il dovere morale di dirlo.
Come si è potuto verificare tutto questo? Alcuni dicono che tutto ciò si è verificato a causa della negligenza dei controllori, altri dicono che la commissione voleva favorire soltanto i raccomandati. Una verità è certa, ed è che la magistratura è una casta chiusa, riservata soltanto a pochi eletti, cioè a coloro i quali hanno la fortuna di avere gli angeli in paradiso: non si spiegherebbe altrimenti il limite assurdo delle tre volte in cui si può tentare il concorso.
Mi auguro soltanto che il ministro Angelino Alfano annulli in autotutela questo concorso al fine di ripristinare la trasparenza e la legalità nel concorso in magistratura. Intanto, gli anni passano e la sospirata toga di magistrato non sembra arrivare mai: di tanti anni di studio non resta nient’altro che l’amarezza. Per non parlare poi della sofferenza dei nostri genitori che vorrebbe vederci sistemati. (Da Michele da Siracusa).

Sui Concorsi per magistrati e simili. Sono il papà di un ex concorrente al concorso. Vi invio il testo di quanto ho scritto al Tgcom, sperando che qualcuno ne faccia una battaglia.
Uno dei problemi di questi concorsi, come del resto per molti altri è l’assoluta mancanza di trasparenza. Infatti i concorsisti, molti dei quali prendono praticamente una seconda laurea, tanti sono gli anni che vengono dedicati ad una onerosa (anche economicamente) preparazione integrativa, alla fine hanno solo tre cartucce da sparare (solo tre concorsi); ma il bello è che non hanno nessun feedback dalle correzione dei compiti risultati inidonei; voglio dire che al di là del criptico giudizio non c’è altra informazione che consenta le prossime volte di “aggiustare il tiro”. Ma non sarebbe più corretto pubblicare gli elaborati anche “mascherando” le generalità dei concorrenti, semplicemente indicando, come del resto è già, l’idoneità o meno? E’ o non è un concorso pubblico per uno dei più importanti ruoli nell’ordinamento della repubblica? Ritengo ciò che è accaduto episodio ignobile e non c’è motivo di ritenere che precedentemente sia stato tutto in regola. Semplicemente, questa volta, la dilagante carenza organizzativa ha creato una situazione così ingestibile che ha avuto il pregio di fare da detonatore al peggiore approccio al concorso di chi si propone di amministrare la giustizia in modo adamantino e, dall’ altra parte per chi, parte del sistema, dovrebbe garantire che tutto si svolga nella massima serietà possibile. Credo di non sbagliarmi nel dire che ciò che avviene e le questioni che contornano il prima durante e il dopo del concorso siano la manifestazione più forte di arroganza del potere oggi riscontrabile nel nostro Paese. Non si comprende perché a tanta serietà trasmessa e percepita non corrispondano comportamenti adeguatamente qualitativi, almeno quelli esprimibili attraverso gli atti prodotti, che dovrebbero essere il vero biglietto da visita da presentare al mondo esterno.
A.M. (Una delle poche lettere firmate per capire il timore di ritorsioni da parte del sistema).

Egregio Direttore, sono un testimone oculare, aspirante magistrato. Ho letto un articolo sul vostro sito concernente il concorso a 380 posti di uditore giudiziario dove la commissione afferma che c’erano temi gravemente insufficienti. Personalmente partecipai a quel concorso e presi 19 allo scritto di amministrativo sull’acquisizione sine titulo coperto da giudicato, e non idoneo a penale. Credo che la commissione abbia esagerato dicendo quelle cose, perchè ho visto con i miei occhi che alcuni membri della stessa andavano ad aiutare i loro”pupilli”, io chiamai il Presidente presente in sala, e per risposta disse che non poteva farci nulla. Sono accadute cose strane ad esempio un mio conoscente seppe in anticipo i risultati degli scritti. Come ne venne a conoscenza? Forse perchè il padre è agganciato politicamente? E’ vero che i nomi devono restare segreti alla commissione? Ad esempio alcuni candidati non conoscevano le sentenze relative alla traccia di penale sulle scommesse clandestine e superarono lo scritto, io lessi le recensioni del Presidente Grillo sulla rivista Cassazione penale edita dalla Giuffrè e non lo superai.
Altri candidati fecero scena muta alla prova orale e presero il massimo dei voti.
Le pongo una domanda, siamo sicuri che la commissione non abbia volutamente esagerato, per mascherare le magagne come voi avete puntualmente pubblicato, avvenuta nei precedenti concorsi? La ringrazio anticipatamente, spero in un Suo riscontro.
A.S. (lettera firmata)

Pubblicato in: Responsabilità dei magistrati
L’ articolo è stato visualizzato 70914 volte al 3 agosto 2010

 http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=197&titolo=CONCORSI TRUCCATI: TRA INSABBIAMENTI E ARCHIVIAZIONI LA CREDIBILITA’ DELLA MAGISTRATURA ITALIANA SCENDE SEMPRE PIU’ IN BASSO.

Racket delle case popolari: altre 400 denunce in Procura

 

Sgomberi e arresti nelle case Aler occupate abusivamente non hanno minimamente fermato i malavitosi che gestiscono migliaia di alloggi pubblici in città. Frediano Manzi che per primo ha denunciato il fenomeno, ha raccolto 400 nuove denunce di altrettanti inquilini che presto saranno presentate in Procura. «L’ultimo episodio risale appena a due giorni fa in via Asturie». Per questo impegno il fondatore di «Sos racket e usura», oggetto di quotidiane minacce, ha deciso di trasferire la famiglia in una località riservata. «Io però resto e continuo il mio impegno».
L’occupazione sistematica delle case pubbliche ha raggiunto in questi ultimi anni livelli preoccupanti perché ormai su un patrimonio di circa 75mila unità abitative, almeno 4mila sono in mano alla malavita. Facile immaginare le ricadute, prima di tutto sulle casse dell’Azienda proprietaria di questo vasto patrimonio immobiliare che non riesce a incassare gli affitti. Inoltre in questi stabili vanno insediandosi ladri, spacciatori e stranieri irregolari. Insomma un intero universo che si muove nella illegalità e nella clandestinità.
«Il sistema è semplice – spiega Manzi – contando sulla incuria delle pubbliche amministrazioni, questi criminali hanno iniziato a impossessarsi degli alloggi rimasti liberi, perché l’ultimo inquilino si è trasferito oppure è morto. Sfondano la porta, cambiano le serrature e di fatto diventano proprietari. Il solito tam tam di “radio case popolari”, provvede poi a far incontrare domanda e offerta». L’ultimo affare sabato quando una africano clandestino, dopo aver versato 3mila euro a un italiano è entrato in un alloggio di via Asturie 6, che da quel momento sarà suo. Rimarrà senza pagare l’affitto con la certezza di non essere sfrattato.
Il presidente di «Sos racket e usura» l’anno scorso aveva raccolto un voluminoso dossier sugli stabili di via padre Luigi Monti, a Niguarda, gestito dal clan di Giovanna Pesco. La donna, chiamata «signora Gabetti», venne poi arrestata insieme alla figlia e al convivente e al processo, il pm ha appena chiesto una condanna di sei anni. «Ma nulla è cambiato nel frattempo» denuncia Manzi che ha già pronto materiale nuovo da portare ai giudici. Si tratta di 400 questionari raccolti da altrettanti inquilini regolari ancora in via Monti, dove altri hanno sostituito la «signora Gabetti». Ma anche nelle vie Ciriè, Menabrea, Lessona, Console Marcello, Pascarella, Tracia e Rapallo, cioè tra Niguarda e Quarto Oggiaro. Questionari che raccontano puntualmente la stessa storia: una banda prende possesso di alcuni alloggi, li «rivende» a balordi che si barcamenano tra furti e spaccio, minacciando chiunque si ribelli. Quasi tutti gli inquilini precisano di aver presentato denunce, verbali e scritte, a polizia e carabinieri, Comune e Aler.
«C’è una sostanziale inerzia delle autorità e qualche volta anche connivenza. Basti pensare che pochi giorni fa hanno arrestato un ispettore della Gefi, società che gestisce parte del patrimonio Aler, coinvolto nel racket – accusa Manzi -. Provincia e Sindacato inquilini della Cgil si erano inoltre impegnati per distribuire e raccogliere i questionari, ma non si sono mai mossi. E io sono rimasto ancora volta solo. Ed è proprio questo isolamento che, come insegnano le storie di tante vittime di mafia, consente poi alla malavita organizzata di colpire. Per questo, dopo telefonate e fax di morte e assalti ai miei coschi di fiori, ho messo in salvo la famiglia. Ma la mia lotta continua».

 

da ilgiornale.it

A Niguarda è ancora racket degli alloggi

 

«Ho pagato 3 mila euro a un italiano»
L’arresto della «signora Gabetti» non ha fermato le occupazioni abusive controllate dalla malavita
«Io, costretta a pagare per un alloggio nel quartiere ripulito dal racket» (11 maggio 2010)
Racket case popolari, arrestate la «signora Gabetti» e la figlia (11 novembre 2010)

MILANO – Di nuovo un’occupazione abusiva. E chi è entrato nell’alloggio vuoto del Comune, in via Asturie, ha pagato il pizzo di 3.000 euro ad un italiano. Nello stesso quartiere di Niguarda, nel regno di Giovanna Pesco, alias «signora Gabetti», già arrestata lo scorso novembre, perché ritenuta la regina della gestione degli alloggi popolari. Ma, evidententemente, non era l’unica a tenere in piedi il racket.

L’ULTIMO CASO – L’altra notte, infatti, gli agenti della polizia locale, insieme ad ispettori Aler, hanno pizzicato un egiziano di 37 anni, che abusivamente era entrato in una abitazione. L’uomo ha dichiarato di aver pagato per la disponibilità dell’alloggio, 3.000 euro a un italiano. Non solo: insieme con un altro, ogni fine mese pagava una sorta di affitto. L’extracomunitario è stato denunciato per occupazione abusiva dietro compenso. Mentre l’alloggio è stato messo in sicurezza e «blindato».

UN QUARTIERE DIFFICILE – Proprio a Niguarda, nel quartiere dei blitz continui delle forze dell’ordine. Tra degrado e papponi. Cocaina e manette. Dove meno di un mese fa sei colpi di pistola sono stati esplosi contro la latteria di un pregiudicato, in via Padre Luigi Monti. E c’è chi dice che siano stati due rom in sella a un motorino. Li hanno visti. Sparavano con due pistole. Si dice anche «per fatti di droga». E, nei giorni a seguire, una rissa dietro l’altra. Sempre rom che se le danno tra di loro. Proprio nella via dello scandalo del racket degli alloggi. Dove nel giro di pochi mesi sono piovute denunce, inchieste e arresti. E il quartiere aveva tirato un sospiro di sollievo. Ma è durato poco. L’altra sera l’ennesimo sgarro alle istituzioni.

40 ANNI DI ABUSI – «Stavolta ­ ­­- sottolinea il vicesindaco Riccardo De Corato – i residenti del quartiere hanno collaborato, segnalando uno strano via vai di egiziani in quei locali. Così siamo riusciti ad interventire. Le dichiarazioni dell’egiziano sono ora al vaglio della magistratura che dovrà indagare sulla presenza di soggetti legati al racket delle case abusive nel quartiere». Gli inquilini però fanno ancora l’elenco di chi ha occupato illegalmente: una ventina di rom, molti parenti delle famiglie storiche malavitose, un egiziano, due pregiudicati. «Il problema è a monte – spiegano i detective del commissariato Greco-Turro. Negli anni ’70 e ’80 gli alloggi popolari furono occupati per necessità da meridionali che non hanno mai pagato l’affitto. Nella via Cirié i campani e i pugliesi, in via Padre Luigi Monti i siciliani e nei viali Fulvio Testi e Sarca, i calabresi. Il Comune non era attrezzato per fronteggiare l’abusivismo e quindi fece una sanatoria. Così molti pagarono le spese, ma non gli affitti. Quindi il Comune si rivolse a società private per recuperare gli alloggi. Il resto è storia d’oggi: quando ci dicono che dobbiamo sgomberare un alloggio, noi lo facciamo. Quello che segue, però, spetta alle istituzioni».

Michele Focarete

da corriere.it

Sfrattata, devasta con i bambini ufficio Aler

 

La donna ha distrutto nove computer, una fotocopiatrice e una calcolatrice professionale. 

Sfrattata dalla casa popolare in via Lulli, a Milano, si è presentata con i figli di sette e nove anni negli uffici dell’Aler e ha distrutto nove computer, una fotocopiatrice, una calcolatrice professionale e danneggiato 11 auto parcheggiate nel cortile. Letizia D., 31 anni, è stata arrestata per danneggiamento aggravato. Ai poliziotti la donna ha detto di essere stata sfrattata quando lei non era in casa e che all’interno era rimasto il cane. I figli sono stati affidati alla nonna.

da Repubblica.it

Milano, scacco al racket delle case popolari

Operazione per gli alloggi del Comune nel popolare quartiere di Quarto Oggiaro. Un ex ispettore fra i cinque arrestati: chiedeva prestazioni sessuali alle inquiline
 

Scacco al racket delle occupazioni abusive nelle case del Comune a Milano. C’è anche un pubblico funzionario, un ex ispettore della Gefi (che all’epoca dei fatti contestati gestiva per conto di Palazzo Marino gli alloggi oggetto delle perquisizioni) tra i cinque arrestati dell’ operazione antiracket condotta dalla squadra mobile e dal commissariato Quarto Oggiaro nell’omonimo quartiere della città. Si tratta di Marco Veniani, 55 anni, accusato di chiedere sesso agli inquilini abusivi per cancellare la pratica dello sgombero.

FOTO Il blitz a Quarto Oggiaro

Il gruppo aveva messo in atto un un sistema per gestire gli alloggi popolari e rompere i lucchetti degli appartamenti, dandoli poi a chi sborsava un prezzo fra i 1.500 e i 2.500 euro. Le accuse sarebbero di associazione per delinquere finalizzata alla compravendita di occupazioni abusive in alloggi pubblici e concussione, in quanto l’uomo era incaricato di pubblico servizio. Gli altri quattro destinatari delle ordinanze sono Giorgio De Martino, 66 anni, e Vincenzo Sannino, 63, custodi degli immobili in via Pascarella ai civici 18 e 20; Gaetano Camassa, pluripregiudicato di 69 anni, e Salvatore Rizzo, 49, che veniva usato come manovale per sfondare le porte. Il gip nel suo provvedimento ricorda le denunce dell’associazione Sos racket e usura, che nei mesi scorsi hanno portato ad altri arresti, in particolare attraverso un video che ha fatto scattare l’inchiesta.

VIDEO Le immagini che hanno fatto scattare l’inchiesta

Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Federica Centonze si legge che Veniani, agendo in qualità di incaricato di pubblico servizio, nel giugno 2008 avrebbe chiesto a un’inquilina abusiva “di procurargli indebitamente la disponibilità sessuale di giovani donne, lasciandole chiaramente intendere che lui stesso si sarebbe interessato per bloccare la pratica di sgombero dall’immobile dalla suddetta abusivamente occupato, unitamente al figlio minore, e chiedendo se in cambio gli procurava una ragazza che accettasse di intrattenere rapporti sessuali con lui, ovvero di congiungersi carnalmente o praticargli un rapporto orale, non riuscendoci stante il diniego” della donna.

da Repubblica.it

AVVOCATURA COMUNALE, GIUDICI E CANCELLIERI FUORILEGGE: L'ALTRA FACCIA DELLA GIUSTIZIA

AVVOCATURA COMUNALE, GIUDICI E CANCELLIERI FUORILEGGE:

L’ALTRA FACCIA DELLA GIUSTIZIA

Qui di seguito, Vi narriamo l’incredibile odissea giudiziaria dei processi civili, amministrativi e penali, contro l’Amministrazione Comunale e i suoi funzionari, che si trascinano dal 1996, con il beneplacito dei vari giudici via via incaricati, in relazione alla rivendicazione dei più elementari diritti del Movimento per la Giustizia Robin Hood.

Con citazione del 23.10.96, il Movimento per la Giustizia Robin Hood, quale O.N.L.U.S., citava in giudizio il Comune di Milano, onde far cessare l’azione persecutoria in atto nei suoi confronti, volta ad estrometterla con metodi illegali e discriminatori dalla sua sede di Via Dogana 2 in Milano, nonché a soffocare (ricorrendo anche a ripetute violenze e minacce), le sue legittime attività petitorie di raccolta firme, a sostegno di mani pulite e della legalità (molti ricorderanno i banchetti sparsi in tutta Milano, spesso oggetto di sequestri arbitrari e aggressioni da parte di Vigili e Carabinieri).

Si chiedeva di fare luce, altresì, sulle responsabilità di alcuni cancellieri (tra cui il Dirigente, Dr. Minori) che, in concorso con l’Avvocatura Comunale, avevano falsificato una precedente ordinanza, passata in giudicato, che respingeva la domanda di rilascio della sede del Movimento per la Giustizia, nonché sull’anomalo svolgimento della causa civile (ove addirittura è sparito il fascicolo d’ufficio per oltre 4 anni).

Fatti per cui si è richiesto, nei giorni scorsi, la riapertura dei procedimenti affossati e/o arbitrariamente archiviati (R.G.N.R. 4966/96/21, P.M. Napoleone e 4954/99/44, P.M. Gittardi).

La citazione veniva notificata anche al P.M. di Milano, dr. Fabio Napoleone, quale titolare del proc. N. 4966/96/21 (allo stato affossato), il quale già procedeva in relazione all’illecito rilascio di due pretese “copie conformi” dell’ordinanza 1.7.96 del Pretore di Milano, dr. Certo, dolosamente alterate nella parte relativa alla relazione di notifica ricevuta dal Comune di Milano, che era stata scientemente rimossa, in esecuzione del preordinato disegno della P.A. di estromettere con ogni mezzo, il Movimento per la Giustizia dalla sua sede, onde paralizzarne le scomode attività.

Tale espediente, degno di miglior causa, veniva, infatti, attuato (grazie ad oscure connivenze negli uffici giudiziari), allo scopo precipuo di consentire alla difesa del Comune di Milano di proporre, oltre il termine perentorio di gg. 10 dalla notifica, in pieno periodo feriale, un tardivo quanto improcedibile reclamo, ex art. 669 terdecies c.p.c., avverso l’ordinanza 1.7.96, che respingeva la richiesta per la reintegra nel possesso dei locali sede dell’Associazione (singolarmente, la discussione del reclamo veniva fissata la vigilia di ferragosto del 1996…).

Con tale citazione si chiedeva, pertanto, accertarsi, in via principale, la falsità materiale e/o ideologica delle copie conformi della predetta ordinanza, prodotte in giudizio dalla difesa Comune di Milano, oltre ad una serie di ulteriori atti e mendaci attestazioni, relative al rapporto locativo dell’immobile per cui è causa, volte ad aprire una partita contabile, per somme esorbitanti e non dovute.

Onde capacitare il lettore dell’accanimento persecutorio e della valenza offensiva dei molteplici comportamenti posti in essere dalla P.A., in danno del Movimento per la Giustizia, giova precisare che, dopo il sequestro della prima “copia conforme”, eseguito dal P.M. il 29.8.96, l’Avvocatura Comunale, ignorando il provvedimento dell’A.G. penale, allo scopo di mantenere in piedi il reclamo, in data 30.8.96, produceva una seconda “copia autentica”, identica alla prima (con le medesime falsità), rilasciatagli dal Dirigente della Cancelleria Centrale, dr. Minori…!!!

Circa le denunciate connivenze va ricordato che lo stesso, Dr. Minori, riporterà, poi, recentemente, “alla luce”, in circostanze non ancora chiarite dal Presidente Istruttore, della 1^ sezione civile, Dr. TARANTOLA, il fascicolo di causa, su cui la difesa del Movimento per la Giustizia ha investito il giudice di disporre accertamenti sull’anomala sottrazione per oltre 4 anni, notiziandone la competente Procura di Brescia (cosa su cui si è tuttora in attesa dei relativi provvedimenti, seppure la causa sia stata ormai assegnata a sentenza).

Dopo avere illustrato e ampiamente documentato le continue persecuzioni a cui sono stati sottoposti gli attivisti dell’Associazione, tutt’oggi persistenti (attraverso continue turbative, irruzioni senza mandato, sequestri di banchetti per la raccolta di firme, materiali di propaganda, fermi, dinieghi di assegnazione locali, sussidi e finanche di occupazione di suolo pubblico per attività petitorie e mostre umanitarie, nonché campagne diffamatorie a mezzo stampa e TG4), si chiedeva, quindi, oltre all’accertamento della falsità degli atti sopraindicati, di inibirsi, in via cautelare, qualsiasi ulteriore turbativa delle legittime attività petitorie del Movimento per la Giustizia, ordinandosi al Comune di Milano l’indifferibile rilascio delle autorizzazioni richieste; ordinandosi, altresì, l’erogazione dei sussidi previsti per le ONLUS.

Nel merito, veniva richiesto di accertarsi e dichiararsi la conclusione di un contratto locativo, tra il Comune di Milano e il Movimento per la Giustizia, a decorrere dal 24.12.94, data della consegna dei locali di Via Dogana 2 e dell’iniziale rapporto di comodato gratuito (in cambio della ristrutturazione degli stessi). Infine, veniva, richiesto di accertarsi la misura del canone, tenuto conto delle agevolazioni concesse alle ONLUS e degli affitti praticati in zona ad altre associazioni, condannandosi il Comune di Milano, ex art. 2043 c.c., al risarcimento dei danni, derivanti dai comportamenti “contra legem” .

Con ricorso ex art. 700 c.p.c., in corso di causa, depositato il 25.10.96, venivano ribadite tutte le richieste cautelari, disponendosi l’acquisizione, in originale, degli atti impugnati di falso e facendo rilevare l’irreparabilità del pregiudizio in essere, derivante dalla lesione di fondamentali diritti politici e soggettivi, ovvero dall’atteggiamento apertamente prevaricatorio, tenuto dalla P.A., volto a soffocare, in radice, qualsiasi legittima attività del soggetto passivo.

Senza provvedere all’acquisizione degli atti impugnati di falso, né a notiziare il P.M., onde consentirgli di conoscere la causa, il G.I. dr. Cappabianca fissava udienza per il 13.12.96, ove a prova dell’esistenza di oscuri interessi dietro il comportamento discriminatorio della P.A., si faceva rilevare circa la pretesa “natura amministrativa” degli atti di diniego che non può più parlarsi di natura amministrativa dell’atto, quando la P.A. pone in essere comportamenti di natura illegittima, che esorbitano le sue funzioni, integrando violazione di un diritto soggettivo pubblico (come è quello di raccogliere firme), assumendo, altresì, rilevanza penale.

Avverso l’ordinanza riservata di rigetto, in data 19.12.96, veniva proposto reclamo, facendo rilevare che il G.I. aveva da una parte omesso di provvedere all’acquisizione degli atti impugnati di falso e di notiziare il P.M. (definendola attività istruttoria) e dall’altra di prendere atto che il sistematico ricorso a comportamenti illeciti e prevaricatori di diritti soggettivi, costituzionalmente protetti, imponeva all’A.G.O. di inibire tali condotte, non riconducibili ad atti legittimi e alle funzioni proprie della P.A. Il reclamo veniva, poi, respinto dal collegio presieduto dal DR. PATRONE e dal DR. BONARETTI (relatore), nei cui confronti risultavano in precedenza sporti più esposti, in relazione alla sparizione di altri fascicoli di ufficio e all’affossamento dei relativi procedimenti attinenti rilevanti interessi economici di noti personaggi legati a Tangentopoli.

All’udienza del 14.5.97 si insisteva per l’acquisizione degli atti impugnati di falso e nei mezzi di prova dedotti, facendo rilevare la persistenza del pregiudizio e il pericolo nel ritardo, derivante dal perdurante diniego di occupare suolo pubblico, in relazione alla promozione della mostra “Pittori contro la guerra” (tenacemente boicottata dal Comune di Milano e dalla Federazione Milanese del PDS – vedasi storia a parte), seppure patrocinata dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, dalla Commissione Europea e dall’UNICEF.

Il ricorso veniva ancora una volta, pretestuosamente, respinto e all’udienza 20.5.98, prendendo atto della ricusazione proposta nei suoi confronti, il dr. Cappabianca sospendeva il procedimento, disponendo la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale. Dopo di che il buio assoluto per 5 anni!

SUL FUMUS PERSECUTIONIS E IL DOLO DELLA P.A.

Mentre la “mafia giudiziaria” riusciva così a fare sparire per svariati anni il fascicolo di ufficio, imponendo alla Procura di affossare ogni procedimento, pur trattandosi di gravi reati contro la P.A. (quale è la falsificazione di una Ordinanza del Pretore, passata in giudicato), l’Amministrazione Comunale si faceva giustizia da sé, riprendendosi con la forza i locali di Via Dogana 2.

Attraverso un vero e proprio blitz, senza alcuna autorizzazione dell’A.G.O., che nel frattempo aveva respinto, anche in appello, qualsiasi richiesta in tal senso, condannando, per di più, il Comune di Milano alle spese di lite, il Movimento per la Giustizia veniva spogliato, con violenza e minaccia, di oltre 400 opere d’arte e di tutte le sue attrezzature di ufficio, tra cui computers, fascicoli processuali, archivi, etc. (v. storia a parte).

Che si tratti di una lucida e preordinata strategia persecutoria si può ben intuire dalla circostanza che, il Comune di Milano era perfettamente a conoscenza che i locali in menzione erano esclusivamente adibiti a sede dell’Associazione per l’organizzazione di conferenze, mostre, umanitarie, dibattiti, seminari e “attività socio-culturali, attinenti problematiche ecologiche, legali e politiche”, come attestato dalla stessa U.S.L. di zona, in data 22.1.96, su richiesta di accertamenti dello stesso Comune di Milano.

Ciò nonostante, in spregio alla Verità e alle più elementari regole di buone fede nell’espletamento delle proprie alte funzioni istituzionali, il Comune di Milano, fingendo che sarebbero stati occupati abusivamente da privati, per iniziative non consentite, con Ordinanza Sindacale, in data 13.2.96, si è spinto al punto di ordinare la chiusura del preteso “esercizio pubblico”, nel quale si sarebbero somministrate… (sic!) “bevande alcoliche” .

Attività umanitarie, invero, nei cui confronti l’Amministrazione Comunale, attraverso i suoi funzionari, doveva e deve nutrire evidentemente un accanito “odio politico”, avendo sempre cercato di disconoscere l’esistenza stessa del Movimento per la Giustizia Robin Hood e delle iniziative da questo promosse, seppure patrocinate dalle maggiori autorità in campo internazionale, tra cui l’UNESCO, l’Alto Commissariato per i Diritti Umani, la Commissione Europea, la Regione Lombardia e la Provincia di Milano.

In proposito, va ribadita la denuncia dello scandaloso boicottaggio della mostra umanitaria “Pittori contro la guerra” (di cui sono state svolte ben tre edizioni), che il Comune di Milano si è spinto a sostenere che non sarebbe, neppure, esistita, rifiutando qualsiasi sostegno – invece concesso dalla Provincia di Milano, dalla Regione Lombardia e da svariate autorità sovranazionali – per, poi, infine, smantellare l’intera mostra, in data 8.6.99, attraverso una preordinata azione di spoglio clandestino (approfittando della momentanea assenza degli attivisti impegnati in una manifestazione alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo a Strasburgo), asportando con violenza e minaccia su persone e cose, senza alcuna cura né perizia tecnica, oltre 400 opere e sculture, in gran parte andate disperse o distrutte, oltre arredi, fascicoli processuali, computer e attrezzature di ufficio, pure, in gran parte, andati dispersi, stante l’assenza di inventario, di personale specializzato e l’omessa notifica di qualsiasi preavviso di rilascio e titolo legittimo per procedere (v. la Voce di Robin Hood n. 0).

SULL’ILLEGITTIMITA’ DELLO SPOGLIO VIOLENTO E CLANDESTINO

Sulle modalità illegittime dello sgombero attuato dalla Polizia municipale, in assenza di qualsiasi valido titolo esecutivo, ovvero di valida notifica nei confronti dell’effettivo detentore dell’immobile, è poi doveroso denunciare l’illegittimo rigetto del ricorso, ex art. 703 c.p.c., tempestivamente proposto in data 18.6.99, nonché il successivo reclamo, da parte della Dr.ssa D’ORSI, nonché l’ulteriore ricorso, in sede amministrativa, avanti al TAR ed al Consiglio di Stato.

Ricorsi, tutti, illegittimamente disattesi, con motivazioni incongrue, capziose e prive di qualsiasi logicità ed, infine, oggi, riproposti al Dr. TARANTOLA, di cui è attesa la sentenza a breve.

Circa le domande cautelari volte a tutelare i diritti politici dell’Associazione, in relazione alla sue attività petitorie e ai reiterati dinieghi di occupazione di suolo pubblico, ripetuti per circa nove anni consecutivi, nonché circa le ulteriori domande di inibitoria e di sussidi, si rileva che trattasi di domande strettamente connesse a quelle di merito per cui si insiste per l’accoglimento.

Per la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione si è infatti ricordato come “le azioni possessorie contro l’amministrazione pubblica siano pienamente ammissibili, ove quest’ultima abbia agito “iure privatorum” o abbia posto in essere un comportamento che non si ricolleghi a un provvedimento amministrativo legittimo o giuridicamente esistente, ma si concreti e si risolva in una semplice attività materiale, in quanto per il G.O., in tale ipotesi non opera il divieto di condanna dell’amministrazione ad “un facere”, il quale si applica in relazione alle attività da quest’ultima compiute nell’ambito dei suoi poteri e delle sue finalità istituzionali” (Cass. n. 5136 del 9.6.97, n 1713 e 891 del 1955 n. 9459 del 1989, n. 1151 del 1993).

Orientamento ribadito, anche, dalle Sezioni Unite che hanno più volte avuto occasione di precisare che l’esperibilità del rimedio di cui all’art. 700, nei confronti della P.A. è pacificamente ammesso qualora si tratti, “non già dell’adozione di provvedimenti nell’ambito di svolgimento dell’azione amministrativa, bensì della rimozione di situazione materiali, riconducibili alla iniziativa della P.A., che si presentino in contrasto con i precetti posti dalla prudenza e dalla tecnica a salvaguardia dei diritti soggettivi altrui” (C. n. 2148/92).

SULL’OBBLIGATORIETA’ DELL’INTERVENTO DEL P.M. E LA NULLITA’ DELL’INTERO PROCEDIMENTO PER INVALIDA COSTITUZIONE DEL GIUDICE MONOCRATICO

Sul punto si è rilevata la pregiudiziale e assorbente eccezione della necessaria rimessione in ruolo della causa e di chiamata del P.M., al fine di consentirgli di conoscere la causa e di svolgere le proprie autonome conclusioni. In proposito si ricorda che ai sensi degli artt. 50 bis e quater c.p.c. e del nuovo testo, art. 48, c. II, ordinamento giudiziario, di cui al R.D. 30.1.1941 n 12, trattasi di causa da decidere in sede collegiale, sia perché concerne la proposizione di una querela di falso, sia in quanto le relative questioni di diritto sono state più volte al vaglio dell’organo collegiale, a seguito dei diversi reclami proposti.

Giova ricordare ancora che anche nel caso di querela proposta “incidenter” nell’ambito di una causa devoluta al giudice monocratico, sorge una ipotesi di connessione per dipendenza e cumulo oggettivo di causa che, stante il nuovo art .281 nonies c.p.c., impone al G.I. di ordinarne la riunione e, all’esito dell’istruttoria di rimetterle al collegio che pronuncerà su tutte le domande, salva separazione (art 279 comm. II n. 5 cpc).

Nella specie pertanto ex art 281 octies c.p.c. il giudice ha l’obbligo di rimettere la causa al collegio, provvedendo ai sensi degli art 187, 188, 189 cpc, previa remissione in ruolo della causa e notiziazione del P.M., onde consentirgli come detto di svolgere proprie autonome conclusioni, sussistendo in difetto, nullità assoluta dell’intero procedimento e dell’eventuale sentenza per violazione delle norme sull’integrità del contraddittorio, riconducibile all’ipotesi di cui all’art 158 c.p.c. (C. 21.5.98 n 5067, C. 6.3.92 n 2699, C. 26.6.92 n 7992 e altre conformi).

SULLA AMMISSIBILITA’ DELLA QUERELA DI FALSO

Sul punto si è invece ribadito l’orientamento costante della Suprema Corte che, trattandosi di querela proposta, in via principale, rileva come non siano sindacabili dal Giudice né tantomeno dalla controparte, le ragioni di fatto per cui la stessa è proposta, dovendosi attenere l’esame esclusivamente al giudizio sull’autenticità o meno dell’atto e/o sulla veridicità delle dichiarazioni ivi contenute. In particolare, si è affermato che “nel giudizio in via principale il giudice non può sindacare la rilevanza del documento rispetto ai fatti che si intendono provare, ma deve accertare la sussistenza di una contestazione sulla genuinità del documento” (C. 27.7.91 n. 9013).

Né, d’altro canto, può, sensatamente, affermarsi che il Movimento per la Giustizia non avrebbe interesse a coltivare la proposta querela principale di falso, posto che al di là dell’evidente abnormità di tale poco meditata considerazione, in palese violazione dell’art. 112 c.p.c. (per cui sussiste l’ineludibile obbligo, da parte del giudice, di pronunciare su tutte le domande), appare ictu oculi palese che l’accertamento delle denunciate falsità materiali e/o ideologiche degli atti impugnati, è strettamente funzionale alla dimostrazione della sussistenza di una più ampia azione persecutoria paralegale, senza esclusione di mezzi, volta a paralizzare le stesse iniziative giudiziarie intraprese dall’attrice a tutela delle sue attività e diritti fondamentali.

Come si può permettere che il Comune di Milano, capitale del Volontariato, lasci da oltre 5 anni una ONLUS, per quanto scomoda, priva di qualsiasi sostegno e sede dove continuare le proprie attività umanitarie, violando i più inderogabili doveri di solidarietà politica ed economica?

Domande tutte, a cui si confida, saprà dare esaustiva e congrua risposta riparatoria, l’emananda sentenza.