La Grande Camera ha assolto l’Italia dall’accusa di non aver condotto un’inchiesta sufficientemente approfondita sulla morte di Giuliani.
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DA GENOVA A STRASBURGO. INGIUSTIZIA E' FATTA! ASSOLTO LO STATO ITALIANO PER LA MORTE DI CARLO GIULIANI
La Grande Camera ha assolto l’Italia dall’accusa di non aver condotto un’inchiesta sufficientemente approfondita sulla morte di Giuliani.
Imperia, arrestato il presidente del Tribunale
Imperia, arrestato il presidente del Tribunale
Secondo i giudici, ha favorito nei suoi giudizi alcuni uomini ritenuti vicini alla ‘ndrangheta. L’indagine, coordinata dai magistrati di Torino, va avanti da alcuni mesi. A gennaio, era già finito in carcere il suo autista, considerato l’intermediario
Gianfranco Boccalatte, presidente del Tribunale di Imperia, da mesi al centro di un’inchiesta per corruzione
Denaro in cambio di favori carcerari. E un accusa gravissima (corruzione in atti di giudiziari) che oggi ha portato agli arresti domiciliari Gianfranco Boccalatte, 67 anni, presidente del Tribunale di Imperia. Per la procura, l’alto magistrato ha incassato mazzette da uomini vicini alla ‘ndrangheta. E in cambio, stando all’accusa, si è dato da fare per alleggerire la detenzione a carico di personaggi sui quali pesa l’ombra delle cosche.
La Procura di Torino ha ottenuto riscontri solidi contro il giudice ligure e contro altre persone indagate, raggiunte oggi da misure cautelari. In mattinata sono stati arrestati due pregiudicati di origini calabresi, Nicola Sansalone, 49 anni, indagato per millantato credito, e Leonardo Michele Andreacchio, 61 anni, accusato di corruzione. Un altro provvedimento cautelare è stato recapitato in carcere, alle Vallette di Torino, a Giuseppe Fasolo, 48 anni, autista del giudice. Fasolo è stato arrestato il 20 gennaio scorso per corruzione in atti giudiziari e millantato credito. Contro di loro esistono “gravi indizi di colpevolezza”, indizi che gettano luce sulle infiltrazioni malavitose nel territorio e nelle istituzioni liguri.
Proprio sulla criminalità organizzata nel Ponente stava indagando il procuratore di Sanremo Roberto Cavallone quando, da una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, emerse il nome di Boccalatte. Dall’ascolto di alcuni pregiudicati erano emersi dei legami con Fasolo, che affermava di avere buoni agganci con i giudici del Tribunale di sorveglianza di Genova proprio grazie al magistrato di Imperia. E non solo. C’erano stati anche altri contatti diretti con lo stesso Boccalatte, che avrebbe potuto fare qualcosa per migliorare le condizioni di detenzione di alcuni malavitosi. In molte occasioni era l’autista a fare da intermediario per le richieste di alcuni pregiudicati, comunicate al giudice durante i tragitti in macchina.
Alla scoperta di questi fatti gli atti sono stati trasmessi alla Procura di Torino, competente per le indagini sui magistrati liguri. Boccalatte è stato interrogato dal procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli e dai sostituti Giancarlo Avenati Bassi e Marco Gianoglio il 20 gennaio scorso, giorno in cui avrebbe dovuto presiedere cinque udienze di sorveglianza. Poi è stato interrogato di nuovo nei giorni seguenti, così da potere mettere a confronto la sua versione con quella di Fasolo. Nel frattempo gli inquirenti hanno anche voluto far luce su molte decisioni del presidente del Tribunale di Imperia, non solo in merito alle misure cautelari verso i pregiudicati, ma anche sulle sentenze pronunciate in processi civili (fallimenti, questioni ereditarie) che riguardano alcuni malavitosi e le loro famiglie.
Dalle dichiarazioni degli indagati e dalle intercettazioni sono emersi i “gravi indizi di colpevolezza”, rende noto Caselli in un comunicato. Boccalatte, Fasolo e Sansalone avrebbero fatto capire a un detenuto di avere delle buone entrature con un magistrato del tribunale di sorveglianza di Genova, promettendogli la detenzione domiciliare in cambio di soldi. Un altro episodio simile è contestato ancora a Fasolo e Sansalone. Andreacchio avrebbe invece promesso a Boccalatte del denaro nel caso in cui il giudice avesse adottato un provvedimento di sorveglianza favorevole.
Il Consiglio superiore della Magistratura ha già sanzionato il giudice il 14 aprile scorso decidendo per il suo trasferimento d’ufficio alla Corte d’appello di Firenze su richiesta della Procura generale della Corte di Cassazione. Invece Fasolo, che in quanto autista di un magistrato è dipendente del Ministero di Giustizia, non era mai stato allontanato dopo una condanna per ricettazione.
Per i magistrati torinesi Andreacchio e Sansalone non sono gli unici ad aver beneficiato dei favori di Boccalatte e per questo motivo l’inchiesta andrà ancora avanti.
da: ilfattto.it
GIUSTIZIA CRIMINALE UCCIDE DISABILE-BAMBINO CON ETA' MENTALE DI TRE ANNI
DIETRO LE SBARRE
Muore un disabile nel carcere di Sanremo
Età mentale tre anni e pesava 186 chili
Fernando Panicci aveva 27 anni e avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011. Era invalido al 100%, affetto da ritardo mentale, epilettico, semiparalizzato, incapace di parlare correttamente. Per la prima volta in cella a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra.
di CARLO CIAVONI
SANREMO – Ragionava come un bambino di 3 anni, pesava 186 chili ed aveva 27 anni. Si chiamava Fernando Paniccia. Sono i tratti essenziali dell’ennesimo detenuto morto per “cause naturali”, questa volta nel carcere di Sanremo, ma che faceva parte dell’incredibilmente lunga schiera di oltre 500 persone disabili gravi rinchiuse nelle celle del sistema penitenziario italiano. Gente per la quale l’espressione “diritto alla salute” risulta, nè più né meno, come un suono senza alcun senso. Salgono così a 171 i detenuti morti nel 2010, di cui 65 per suicidio, gli altri per cause “naturali”, secondo l’attentissimo osservatorio di Ristretti Orizzonti 1, organizzazione di volontariato che monitorizza costantemente la vita dei circa 65 mila detenuti nelle carceri, costretti in uno spazio destinato a non più di 43 mila persone.
Solo piccoli reati. Fernando Paniccia avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011. Era invalido al 100%, affetto da ritardo mentale, epilettico e semiparalizzato. Era entrato in carcere per la prima volta a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra, e da allora era stato più volte arrestato per piccoli reati di cui probabilmente non era nemmeno consapevole, poiché la sua capacità di comprensione era, appunto, quella di un bambino di tre anni, incapace di muovere le mani, di parlare correttamente e controllare gli stimoli fisiologici. Eppure, nonostante l’evidente
deficit mentale, venne arrestato e richiuso in cella, fin dalla prima volta, quando caricò su un furgoncino tre palloni di cuoio presi nel piazzale antistante un centro sportivo della sua città.
Non riusciva a dimagrire. Paniccia era nato a Frosinone, ed è stato ucciso probabilmente da un arresto cardiaco. Le sue condizioni di salute erano critiche da tempo a causa dell’obesità. Nonostante l’interessamento dei sanitari, non era riuscito a dimagrire. Il giorno di Natale aveva accusato un malore. Ieri mattina il suo compagno di cella lo ha chiamato, ma inutilmente. Il sostituto procuratore Antonella Politi ha disposto che venga effettuata l’autopsia.
I detenuti disabili in carcere. Il dato, fornito dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) riguarda la disabilità motoria e sensoriale ed è fermo al dicembre 2008. La maggioranza di detenuti disabili è in Lombardia (121), seguita da Campania (96) e Lazio (51). A Fossombrone, nelle Marche, sono detenuti 28 ipovedenti. Nel dicembre del 2008 nelle carceri italiane erano presenti 483 detenuti con disabilità motoria o sensoriale. Questo il dato più recente sulla presenza della disabilità in carcere in possesso dell’Ufficio Servizi sanitari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Un’identica rilevazione per il 2009 manca: “Le schede destinate alla compilazione erano state inviate anche lo scorso anno alle direzioni degli istituti di pena – spiegano dall’ufficio – ma l’indagine non è stata realizzata”.
Il primato alla Lombardia. La regione italiana con il maggior numero di detenuti disabili risulta essere la Lombardia: alla fine del 2008 negli istituti di pena della regione risultavano reclusi 121 detenuti con disabilità fisica e motoria, di cui 13 a San Vittore e 82 a Opera. Fra le regioni più “affollate” anche la Campania con 96 detenuti, il Lazio (51), le Marche (34, di cui 28 ipovedenti detenuti nella struttura di Fossombrone) e la Toscana (31). Seguono Sicilia (34), Piemonte e Valle d’Aosta (23), Veneto, Trentino e Fvg (20), Puglia (17), Emilia-Romagna (16), Sardegna (16), Calabria (14), Umbria, Abruzzo-Molise, Liguria (tutte con 3 detenuti) e, infine, Basilicata (1).
L’incompatibilità con il carcere. La malattia e la disabilità non sono incompatibili con la detenzione. Anzi accade spesso che chi varca la soglia del carcere porti con sé gli esiti di un trauma o di una malattia che hanno ridotto le sue capacità motorie o mentali. “Non esiste in Italia una normativa specifica per i detenuti disabili”, afferma Francesco Morelli, di Ristretti Orizzonti. “Uno dei principali riferimenti normativi per la disabilità in carcere – spiega Morelli – è l’articolo 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario, relativo alla detenzione domiciliare”: in base al comma 3, “la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”.
28 dicembre 2010
LA STORIA SEGRETA DEL CICLONE TEARDO
Pubblichiamo qui di seguito “La storia segreta del ciclone Teardo”, scritta da Luciano Corrado su Trucioli Savonesi.Data l’ampiezza del documento inseriamo la sola introduzione e l’indice, rinviando gli interessati al sito di Trucoli Savonesi. | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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ALBENGA. L'INSABBIAMENTO DELLO SCANDALO INVALIDITA' E IL RUOLO MASSONICO
21 anni fa Albenga tremava per i molti arresti nello “scandalo-invalidità”.
I giornali titolavano: “Nomi noti e di grido tra le persone coinvolte. Sequestrati contratti. Il ruolo massonico.
Il giudice Filippo Maffeo: “Ci sono manovre per intorpidire le acque e nascondere…”.
Eppoi, infatti, come sempre succede nell’Italia delle logge tutto è stato messo a tacere.
Per leggere tutto l’articolo:
Francesco Carbone ,un caso italiano di diritti calpestati e malagiustizia
Mi chiamo Carbone Francesco e scrivo per metterla al corrente della mia vicenda che per la quale ho avuto a che fare con elementi dei servizi segreti e massoneria.
Premesso che di tutto cio’ che denuncio , ho e ho consegnato le prove: foto , video , documenti cartacei ufficiali , registrazioni telefoniche e degli incontri avvenuti con i Dirigenti di Poste Italiane , ditta Appaltante, dirigenti usl 20 verona, Procura di Verona, Guardia di Finanza di Verona.
Ho denunciato con denuncia querela i capi della Procura di Verona Papalia e Schinaia , i quali , pur avendo in mano tutte la prove fornite da me allegate alla mia denuncia penale contro alti dirigenti Di Poste Italiane , Dirigenti dell’Ispettorato del Lavoro, Dirigenti dello Spisal (USL) , ditte appaltanti e un dirigente della Cgil, non hanno fatto alcuna indagine e dopo 17 mesi e 8 giorni hanno archiviato la mia denuncia senza neanche avvisarmi come la legge prevede in base all’art 408 cpp, inserendola volontariamente a mod 45 Fatti non costituenti reato per distogliere dall’azione penale gli alti funzionari che avevo denunciato per gravi reati penali .
Hanno leso il mio diritto di avere giustizia per i diritti negati e hanno leso l’erario dello stato per le somme non recuperate dall’evasione fiscale che ho documentato, e il non recupero delle somme che dovevano essere sanzionate per lo sfruttamento di lavoro nero e le gravi carenze di igiene e sicurezza nei posti di lavoro.
Brevemente spiego la situazione.
Io per 7 anni sono stato responsabile su Verona della ditta che ha l’appalto di Poste Italiane fino a quando sono stato costretto a dare le mie dimissioni a seguito di minacce e vessazioni ricevute dall’amministratore della ditta appaltante , e dagli alti dirigenti di Poste Italiane per le mie lamentele sulle lacune lavorative che praticamente erano:
nessun tipo di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, obbligati a fare lavori che non ci competevano per contratto, presenza di lavoratori in nero, straordinari sottopagati in nero, mezzi di trasporto mal messi e spesso senza revisione, estorsione di denaro agli autisti prelevato dalle buste paga sotto forma di rimborso, continui insulti e minacce dal personale e dai dirigenti di Poste Italiane.
Praticamente ho denunciato i fatti al dirigente della Cgil il quale oltre a non fare niente mi ha consigliato di non disturbare gli alti Dirigenti di Poste Italiane che in quel momento erano occupati a preparare i nuovi appalti , in quanto avrei perso il posto di lavoro e vedendo la mia perseveranza, ha riferito a tutti gli autisti che per colpa mia e delle mie continue lamentele avrebbero perso il posto di lavoro , creando attorno a me il vuoto.
Ho denunciato presso l’ispettorato del lavoro la presenza ,all’interno di Poste Italiane ,di lavoratori in nero con tesserino identificativo fornito dai dirigenti di Poste Italiane e non è
stato fatto alcun controllo, inoltre alla richiesta di informazioni da parte della Procura di Verona, il direttore ordinario Palumbo risponde che non ha proceduto all’ispezione in quanto nutriva forti dubbi sulla veridicita’ di cio’ che io avevo denunciato ma non verifica la veridicita’ e non mi denuncia per false informazioni a un pubblico ufficiale.
Ho denunciato presso lo Spisal di Verona (USL) tutte le irregolarità riguardanti la sicurezza e igiene nei posti di
lavoro ed è stato fatto solo qualche controllo a seguito della mia minaccia di denunciarli per omissione di atti d’ufficio, tra l’altro la mia denuncia presentata il 28/09/2007 e’ stata protocollata il 13 novembre 2007 subito dopo la mia minaccia di denunciarli alle autorita’.
Ho collaborato per mesi con elementi dei Servizi Segreti della Guardia di Finanza di Verona e volontariamente non e’ stato fatto alcun controllo ne sull’evasione fiscale da me documentata, anzi mi hanno fatto ritardare la denuncia che dovevo presentare in procura.
Sono stato minacciato dagli uomini di fiducia dell’appaltante dicendomi che era inutile mettermi contro di loro in quanto l’appaltante era il nipote dell’ex capo della Polizia e dei Servizi Segreti Ferdinando Masone e erano appoggiati molto bene politicamente e tra l’altro anche se avessi fatto denunce alla magistratura, l’allora ministro della Giustizia era Mastella e a loro dire , era in stretto contatto con tutti gli appaltanti del centro sud Italia.
Dopo tutto ciò essendo sicuri di essere intoccabili avendomi fatto terra bruciata attorno, il Direttore del Triveneto di Poste Italiane Roberto Arcuri a seguito della mia caparbieta’ a non fare lavori che non mi competono per contratto o che vanno contro la sicurezza,
manda una raccomandata al mio datore di lavoro obbligandomi a non entrare in tutti gli uffici di Poste Italiane e di consegnare il pass di entrata , in quanto elemento indesiderato per aver chiesto il rispetto del contratto e della sicurezza sul lavoro.
A questo punto prendo tutta la documentazione in mio possesso ( documenti , foto e video) e vado a presentare denuncia alla Procura della Repubblica allegando il tutto.
Dopo un mese il mio avvocato viene convocato per consegnare alla procura tutti i numeri di telefono di tutti i lavoratori in nero e poi il nulla.
Nessuna convocazione e dopo 17 mesi e 8 giorni , dopo che gli appalti erano stati riconsegnati alle stesse ditte, il capo della procura Schinaia mi archivia la denuncia senza neanche avvisarmi come la legge prevede ,con nessuna motivazione e senza interpellare il Gip (FACCIO PRESENTE CHE ALL’EPOCA DEI FATTI OLTRE A ESSERE PERSONA OFFESA DAI REATI ERO INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO OBBLIGATO DAL CODICE PENALE A DENUNCIARE FATTI DI RILEVANZA PENALE).
Secondo lei è giusto e normale in una Nazione definita Civile , perdere il posto di lavoro , perdere la dignità , perdere il diritto di avere giustizia per aver fatto il mio dovere e aver preteso imiei diritti?
Mi sono dovuto ritrasferire con tutta la mia famiglia nella mia terra di origine la Sicilia.
Mi ritrovo disoccupato da 2 anni , deriso e guardato male da tutti in quanto mi sono messo contro alti Dirigenti pensando di avere giustizia e come ciliegina sulla torta mi viene negato il diritto di chiedere il risarcimento dei danni subiti da me e dalla mia famiglia.
Agli atti delle indagini mancano documenti importanti che erano stati inseriti a loro dire dai miei avvocati e che comunque dovevano inserire i direttori di ulls e direzione lavoro nelle loro misere e false perizie . Per questo motivo e per tutti gli altri motivi gravi ho scritto al presidente della Repubblica e al Ministro Alfano chiedendo che immediatamente vengano inviati gli ispettori a verona per sequestrare e verificare l’operato del Capo della Procura.
Ancora una volta nessuno si muove e nessuno fa niente.
Ho consegnato la richiesta fatta al ministro Alfano e la lettera
al Presidente della Repubblica allegando tutta la documentazione in mio possesso piu le denunce anche a:
Procura di Roma
Procura Generale di Roma
Consiglio Superiore della magistratura.
A tutt’ora nulla………..
Ho fatto tante altre denunce querele in seguito
all’archiviazione e sono tutte ferme nelle procure di Verona Venezia e Roma e sicuramente insabbiate con il mod 45 classificando le mie denunce criminalmente come fatti non contenenti reato per autoarchiviarle senza fare alcuna indagine in quanto non sono stato convocato da nessuno.
L’Onorevole Fini ha posto la mia denuncia all’attenzione della Commissione competente e non ho ricevuto alcuna risposta.
La mia dettagliata denuncia si trova anche all’attenzione del Ministro Sacconi e la Direzione Generale del Ministero del Lavoro e non ho ricevuto alcuna risposta e nessuna ispezione e’ stata fatta.
La mia denuncia dettagliata si trova anche all’attenzione del Ministro Brunetta il quale l’ha posta all’attenzione dell’ispettorato della Pubblica funzione a dicembre del 2008 a tutt’ora non ho ricevuto alcuna risposta e nessuna ispezione e’ stata avviata.
Il 28 aprile ho inviato una richiesta di intervento disciplinare al CSM per i procuratori che volontariamente hanno messo la mia denuncia querela a mod 45 per autoarchiviarla.
Ho chiamato il CSM e mi hanno risposto che la mia
richiesta e’ in mano al relatore dal 5 maggio e la pratica e’ 309/2010.
Giorno 07 giugno 2010 il CSM mi risponde con una lettera ciclostilata inserendo anche cio’ che avevo chiesto nella prima istanza , che le richieste disciplinari le possono richiedere solo il Ministro e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione e per cio’ non faranno alcun intervento sia nei confronti dei procuratori Capo e non saranno aperte le indagini sulla denuncia auto archiviata con metodi criminali e mafiosi.
Mi invitano a rivolgermi alle autorita’ competenti per denunciare civilmente o penalmente i Procuratori Capo Papalia e Schinaia, pur avendogli consegnato nella documentazione anche la denuncia querela presentata a Verona il 23 Febbraio 2010 nei confronti dei Procuratori Capo e gli appartenenti dei Servizi Segreti e tutti coloro che hanno impedito , ritardato, omesso le normali procedure di indagini, occultando documenti o presentando documenti totalmente falsi.
Pur essendo coinvolte le Procure di Roma, Verona , Venezia , e Termini Imerese in quanto le denunce querele, anche se per diversi reati, sono tutte collegate alla prima denuncia autoarchiviata, non ho mai potuto parlare e non sono mai stato convocato da nessun Magistrato o forze dell’ordine in merito a cio’ che ho denunciato.
Violando l’art 112 della Costituzione, ( il Magistrato ha l’obbligo dell’azione penale), non viene avviata alcuna indagine o procedimento penale ne nei confronti di chi ho denunciato e neanche nei miei confronti per calunnia , false informazioni a pubblici ufficiali e non vengo neanche denunciato per diffamazione pur avendo pubblicato via web e in particolar modo su facebook non solo la vicenda ma anche le denunce scannerizztate foto e video.
L’unica cosa di cui sono certo e’ che per fatto il mio dovere , mi ritrovo disoccupato , senza giustizia e attenzionato dalla Digos come se fossi un criminale.
Spero che qualcuno abbia modo di indirizzarmi a qualche Magistrato onesto , organo di informazione e che mi convochi per poter dire tutto cio che so e il tutto con prove alla mano,
foto , video , documentazione cartacea , registrazioni telefoniche e registrazioni audio delle offerte per comprarmi e delle minacce per farmi star zitto.
Con immensa stima
Francesco Carbone
Villafrati (PA) 90030
Edmond, un caso di malagiustizia tra Italia e Gran Bretagna
Nel frattempo, dall’altra parte della Manica, Edmond Arapi lavora al Caffè David a Leek. Edmond è giunto in Gran Bretagna nel settembre del 1999, richiedendo asilo politico. Nel 2002 conosce Georgina, britannica, ora la madre dei suoi 3 figli e iniziano a vivere insieme. Edmond, impegnato tra famiglia e lavoro, è ignaro di quanto succede a Genova sul suo conto. Dopo 6 anni di permanenza continua in Gran Bretagna senza mai espatriare Edmond Arapi decide di tornare in Albania per celebrare il matrimonio con la sua compagna. È il 18 ottobre del 2006. Due mesi dopo, a dicembre del solito anno, la coppia ritorna dall’Albania transitando per Milano, senza nessun problema.
In Italia, il processo va avanti e il 30 aprile 2007, Edmond viene condannato definitivamente a 16 anni, in presenza del difensore assegnatogli d’ufficio che in verità non lo ha mai contattato. Intanto il “diretto interessato” è totalmente all’oscuro di tutto. Il 20 maggio del 2009, la coppia ritorna in Albania, in vacanze per qualche settimana. Al loro rientro, Edmond Arapi viene arrestato all’aeroporto di Gatwick a seguito di un mandato di cattura europeo emesso dall’Italia per l’accusa dell’omicidio di Marcello Miguel Espana Castillo. È l’inizio dell’odissea giudiziaria di Edmond.
Lui ha un alibi di ferro. Oltre a non essere mai uscito dal Regno Unito dal 2000 al 2006, il giorno dell’omicidio di Espana Castillo, Edmond ha firmato molte ricevute di pagamento del locale in cui era dipendente, a migliaia di km da Genova. Una perizia grafica ha dimostrato che la calligrafia nelle ricevute sia inequivocabilmente la sua. Anche i suoi superiori hanno confermato la sua presenza e in quel periodo Edmond aveva appena cominciato a frequentare un corso per aumentare di livello e diventare chef.
Edmond non ha mai ricevuto nessuna comunicazione della sua citazione in giudizio e tantomeno della condanna definitiva a 16 anni. Elementi che gli hanno impedito di difendersi per dimostrare la sua innocenza ed estraneità all’accaduto. In aggiunta a questi, lo status di richiedente asilo, gli imponeva la richiesta di un permesso particolare ogni qualvolta dovesse lasciare il Regno Unito per brevi periodi.
La procedura di identificazione del presunto autore del reato è stata particolarmente carente, in quanto non mirata e forse effettuata su una foto di gruppo, dalla sorella e dalla fidanzata di Ermir Braho (la persona con cui il tale Edmond Braka/Edmond Arapi avrebbe parlato al telefono confessandoli l’omicidio). Per di più Edmond è scagionato in tutto anche dalla prova del DNA.
Ma di tutti gli elementi a suo favore nessuno ne vuole sapere e la procedura di estradizione prosegue. Arapi viene bloccato per 12 mesi, passando anche svariate settimane in carcere, e i suoi avvocati ricorrono in appello contro questa decisione inammissibile. Intanto la vicenda viene riportata, considerato l’assurdità dell’accaduto, sui principali media inglesi, dalla BBC al Telegraf ed altri. Il caso arriva poi in parlamento dove la deputata Karen Bradley si prende a cuore la questione e fa un interrogazione direttamente al Primo Ministro Cameron. “È a conoscenza il primo ministro dell’estradizione di Edmond Arapi, il quale sta per essere estradato in Italia perché condannato in contumacia? – chiede la parlamentare a Cameron che le risponde di voler trattare sicuramente il caso anche con il Ministro della Giustizia. Il caso assume dimensioni nazionali e diventa emblematico di come a volte la giustizia italiana sia troppo sbrigativa quando si tratta di giudicare cittadini non italiani.
Il 15 giugno 2010 presso l’Altra Corte di Londra, Gemma Lindfield, l’avvocato che rappresentava il governo italiano, ha ammesso che il sig. Edmond Arapi è stato vittima di un furto di identità da parte di qualcuno, ora in libertà.
La vicenda è stata seguita e patrocinata anche dall’Associazione Fair Trials International, che attraverso i suoi portavoce, ha invitato i paesi europei di rivedere il meccanismo del mandato di cattura europeo, cercando di evitare situazioni cosi imbarazzanti nel futuro.
Il caso Edmond Arapi sicuramente fa riflettere su alcune questioni. Non si poteva verificare prima l’alibi e le informazioni fornite da Arapi? Bisognava aspettare l’intervento del Primo Ministro inglese e di tutta la carta stampata inglese prima di ammettere che c’era stato un errore di valutazione?
Ancora una volta registriamo come ci sia il silenzio totale nei media italiani, quando si tratta di casi che vedono discolpati cittadini non italiani, ingiustamente condannati dalla giustizia italiana.
G8 GENOVA: CONDANNATI IN APPELLO I VERTICI DELLA POLIZIA
G8 GENOVA: CONDANNATI IN APPELLO I VERTICI DELLA POLIZIA.
Nella tarda serata di ieri e’ stata resa nota la sentenza che ribalta quella di primo grado per i disordini e l’irruzione della polizia alla scuola Diaz, nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova.
I giudici della Terza sezione della Corte d’Appello di Genova, dopo oltre undici ore di camera di consiglio, hanno infatti condannato venticinque imputati su ventisette a pene da tre anni e otto mesi fino a cinque anni, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni..
Sono stati ritenuti colpevoli anche i vertici della polizia, assolti nella sentenza di primo grado. Secondo i giudici, anche loro erano a conoscenza di quello che sarebbe accaduto nella scuola Diaz. Il capo dell’Anticrimine Francesco Gratteri e’ stato condannato a quattro anni, l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini a cinque, l’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi (attualmente all’Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna) a quattro anni, l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola (ora vicequestore vicario a Torino) a tre anni e otto mesi, l’ex vicecapo del Servizio centrale operativo Gilberto Caldarozzi a tre anni e otto mesi.
Molti dei funzionari condannati in appello hanno fatto carriera dal G8 di Genova del 2001 a oggi. E in quelle giornate presidente del Consiglio era sempre Silvio Berlusconi che ora dovra’ decidere se rimuovere dai loro attuali incarichi coloro che sono stati riconosciuti colpevoli e fornire una propria versione dei fatti risalenti a nove anni fa.
Le polemiche tornano a riguardare anche Giovanni De Gennaro, attualmente al vertice del Cesis, l’ufficio di coordinamento dei servizi segreti. All’epoca dei fatti del G8 di Genova, De Gennaro era capo della polizia. Nell’aprile 2008 era stato chiesto il suo rinvio a giudizio per istigazione alla falsa testimonianza proprio per i fatti Genova e in particolare per cio’ che era accaduto alla scuola Diaz. De Gennaro e’ stato poi assolto da questa accusa in una sentenza emessa nell’ottobre 2009.
Pio Macchiavello, il procuratore generale della Corte d’appello di Genova, aveva chiesto oltre 110 anni di reclusione per i ventisette imputati. Il magistrato ha usato parole molto dure nella requisitoria: ”Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale di arresto dei novantatre no-global, le bugie sulla loro presunta resistenza. Ne’ si puo’ dimenticare la sistematica e indiscriminata aggressione e l’attribuzione a tutti gli arrestati delle due molotov portate nella Diaz dagli stessi poliziotti”.
In primo grado erano stati condannati solo tredici imputati e ne erano stati assolti sedici, tutti i vertici della catena di comando della polizia che agiva a Genova nel luglio 2001.
In primo grado furono infatti assolti Francesco Gratteri, attualmente capo dell’Antiterrorismo, Giovanni Luperi; Gilberto Caldarozzi e Spartaco Mortola. Un inasprimento di pena – da tre anni a quattro anni – e’ stato previsto nella nuova sentenza per gli agenti che hanno materialmente picchiato i manifestanti che avevano deciso di stazionare nella scuola Diaz.
Per i funzionari che firmarono i verbali che davano la versione ufficiale dei fatti negando il pestaggio indifferenziato la Corte ha stabilito pene per tre anni e otto mesi ciascuno. Prosciolti, per intervenuta prescrizione, Michelangelo Fournier, il funzionario di polizia che aveva dichiarato, dicendosi pentito, che quanto avvenuto alla scuola Diaz assomigliava a ”macelleria messicana” e l’agente Luigi Fazio.
In aula, al momento della lettura delle sentenza, c’erano molti cittadini stranieri (tedeschi e inglesi in particolare) che nella notte del 20 luglio 2001 erano nella scuola Diaz: hanno applaudito a lungo il verdetto. Positivo il commento dell’ex senatrice Heidi Giuliani, mamma di Carlo, il ragazzo ucciso da un carabiniere nella stessa giornata del 20 luglio dei fatti alla scuola Diaz di nove anni fa: ”Avere una risposta di giustizia fa sempre piacere in questo paese”.
Soddisfatta pure Enrica Bartesaghi, presidente del comitato Verita’ e giustizia per Genova: ”E’ incredibile, non ci aspettavamo questa sentenza, si riapre uno spiraglio di fiducia. E’ stata riconosciuta la catena di comando. Tutti quelli che c’erano sono responsabili”. Soddisfazione anche da parte degli avvocati dei manifestanti. Secondo Stefano Bigliazzi, uno di questi: ”E’ stata confermata la nostra tesi che i vertici di polizia sono responsabili dell’operazione di quella notte”.
Da: ASCA
GENOVA: VIOLENZE DELLA POLIZIA
TORTURATA N° 81
Subiva minacce anche a sfondo sessuale da persone che stavano all’esterno “entro stasera vi scoperemo tutte”; subiva percosse al suo passaggio nel corridoio da parte di agenti; colpita con violenza con una manata alla nuca; costretta a firmare i verbali relativi al suo arresto, che la stessa non voleva firmare; mostrandole le foto dei suoi figli, prospettandole che se non avesse firmato non avrebbe potuto rivederli.
TORTURATO N° 11
Percosso con calci e pugni alla schiena e insultato, costretto a stare coricato a terra prono con gambe e braccia divaricate e testa contro il muro; ingiuriato con frasi, ritornelli ed epiteti a sfondo politico (“comunisti di merda” “vi ammazzeremo tutti”); percosso al passaggio nel corridoio e insultato anche con sputi; costretto a stare a carponi da un agente che gli ordinava di abbaiare come un cane, e di dire “Viva la polizia italiana”.
TORTURATA N° 21
Percossa nel corridoio durante l’accompagnamento ai bagni, le torcevano il braccio dietro la schiena nonché colpita con schiaffi e calci; insultata con epiteti rivolti a lei e alle altre donne presenti in cella: “troie, ebree , puttane”, ingiuriata con sputi al suo passaggio in corridoio; minacciata di essere stuprata con il manganello e di percosse; costretta a rimanere, senza plausibile ragione, numerose ore in piedi.
I giorni 27 e 29 gennaio 2005 a Genova, è cominciato il processo con l’udienza preliminare a carico di 47 funzionari ed agenti delle forze dell’ordine e del corpo delle Guardie Carcerarie, medici ed infermieri: 12 carabinieri, 14 agenti di polizia, 16 guardie penitenziarie, 5 tra medici e infermieri accusati delle violenze commesse ai danni degli arrestati e dei fermati, da venerdì 20 alla domenica 22 luglio 2001, nella caserma di Genova Bolzaneto.
Non essendo previsto nel nostro ordinamento uno specifico reato di tortura, la Procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio per i reati di abuso d’ufficio, lesioni, percosse, ingiurie, violenza privata, abuso di autorità contro gli arrestati, minacce, falso, omissione di referto, favoreggiamento personale.
Nessuno dei presunti responsabili delle torture è stato nel frattempo rimosso o almeno sospeso dai propri incarichi.
link:Comitato Verità e Giustizia per Genova.
Liguria
Prima di accingerVi a leggere i vari casi, pensate che si tratta di storie vere, per cui molti uomini sono morti e tante famiglie sono state distrutte dal dolore, senza ricevere alcuna tutela, da parte delle varie Autorità a cui fiduciosamente si erano rivolte. Pensate che non si tratta di casi isolati e non crediate che ciò che è capitato agli altri non possa, prima o poi, capitare, anche, a Voi od, a qualche stretto congiunto. Sarebbe il più grave errore che potreste commettere, dal quale genera l’indifferenza verso i mali della giustizia e su cui si fonda il dominio del male e della menzogna sulla Verità.
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