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Manifestazione a Roma per tutti i malati di cfs fibromialgia e mcs

Manifestazione a Roma per  tutti i malati di cfs fibromialgia e mcs sotto al ministero.

Il 1°OTTOBRE PIAZZA CASTELLANI ( zona Trastevere) si svolgera’ una MANIFESTAZIONE dalle ore 14,00 alle ore 20.00 di tutti i malati di me/cfs, fibromialgia e mcs, per protestare contro l’indifferenza dello stato e denunciare la situazione di totale abbandono in cui i suddetti malati si trovano da anni nonostante le numerose petizioni e proposte parlamentari.

1) Si prega tutti i malati di partecipare e di chiedere ai propri familiari e amici di farlo e di cliccare su “partecipero'” solo se effettivamente ci sarete.

2) Di munirsi di striscioni e/o magliette con scritte di disappunto
ESEMPIO:
“Si al riconoscimento della cfs/me, mcs, fibromialgia”
” Non contate sul nostro silenzio ma solo sulla nostra rabbia”
“invalidi nella vita ma abili per l inps”
“no alla indifferenza del ministero”
” Lo stato viola l articolo 32 della costituzione italiana”
“Malati abbandonati e ignorati”……………

3) Chi avesse bisogno di un appoggio a Roma o nelle vicinanze, puo’ contattare via email tiziana.scotti@fatswebnet. it oppure v_vigano@hotmail.com

4) Chi abita a Roma o vicinanze e puo’ prestare ospitalita’ a chi viene da fuori
scriva a tiziana.scotti@fatswebnet. it o v_vigano@hotmail.com per dare la sua disponibilita’.

5) Chi conoscesse giornalisti e’ pregato di avvisarli della manifestazione

6) Mandare questo evento a tutti i gruppi di cfs(me fibromialgia e mcs che ci sono su facebook, a tutti i siti e a tutte le associazioni che si occupano delle suddette malattie.

7) Le associazioni che desiderano mandare materiale/volantini che verranno utilizzati per la manifestazione scrivere a v_vigano@hotmail.com per accordarsi.

RIMANIAMO TUTTI UNITI PER LOTTARE PER I NOSTRI DIRITTI!!!!

QUESTO IL COMUNICATO STAMPA CHE VERRA’ CONSEGNATO AI GIORNALISTI

– MANIFESTAZIONE 1°OTTOBRE 2010 PIAZZA CASTELLANI

Questa manifestazione è un’espressione del forte disagio e la disperazione di migliaia di malati di:
• ME /CFS – Encefalomielite mialgica/ sindrome da fatica cronica,
• MCS – sensibilità multipla chimica, e
• FM – Fibromialgia,

Questi pazienti sono completamente abbandonati dallo stato italiano!
La denuncia nei confronti dello stesso è di violazione dell’Art. 32 della Costituzione Italiana Art. 32: “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…..”

Anche se da numerosi anni si susseguono proposte parlamentari e petizioni per chiedere i giusti diritti a questi malati, il Sistema Sanitario Nazionale ancora non prevede alcuna forma di riconoscimento e assistenza per queste patologie croniche e invalidanti e non esistono per esse adeguati protocolli clinico-assistenziali.

Considerando che :
1. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità cataloga già da tempo:

• la CFS /ME con il codice ICD 10 G93.3 G93.3 = Postviral fatigue syndrome, Benign myalgic encephalomyelitis

• La MCS è inserita nell’aggiornamento tedesco dell’International Code of Disease (IDC l0-GM) , sotto il codice T 78.4.ed è classificata nell’elenco delle invalidità motorie del Ministro del Welfare Tedesco, mentre, dal 2005, grazie al lavoro dell’Agenzia per la Protezione Ambientale Europea, la Sensibilità Chimica è entrata a far parte delle patologie emergenti dovute appunto all’esposizione quotidiana ad agenti chimici.

• la Fibromialgia nell’International statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10) alle voci M79, Other soft tissue disorders, not elsewhere classified, e M79.O, Rheymathism, Unspecified-Fibromyalgia-F ibrositis.

2. Ancora non sono stati istituiti piani di lavoro epidemiologici in Italia per valutare l’esatto numero dei malati mentre:

• In EUROPA, secondo la Dichiarazione del Parlamento europeo sulla Fibromialgia, approvata il 13 gennaio 2009, circa 14 milioni di persone nell’Unione europea e l’1-3% della popolazione mondiale soffrono di Fibromialgia.

• Gli studi hanno segnalato i numeri sulla prevalenza del CFS che variano ampiamente, da 7 a 3.000 casi di CFS per ogni 100.000 adulti, ma le organizzazioni nazionali di salute hanno valutato più di 1 milione di americani e circa un quarto di milione di persone nel Regno Unito hanno CFS.

• Lo scorso anno il Ministero della Salute della Danimarca ha aperto un osservatorio sulla MCS stimando in 50.000 il numero delle persone sensibili alle sostanze chimiche presenti in prodotti d’uso comune ovvero il 10% della popolazione è suscettibile a tali prodotti d’uso comune con una minima percentuale resa invalida da tale condizione. Le statistiche USA indicano che il 15% della popolazione americana soffre di una qualche sensibilità chimica e che l’1,5-3% abbia MCS grave In Italia non solo 4000 come riporta una dichiarazione del Centro per le Malattie Rare dell’ISS all’ANSA nel 2004.

3. La MCS è riconosciuta come malattia in Germania, Austria, Giappone, USA (parzialmente) e Danimarca. La CFS /ME in USA Australia, Gran Bretagna, e Canada.

4. I malati hanno un alto grado di disabilità, che non gli consente di essere indipendenti sotto tutti i punti di vista.

5. Mancano centri di ricerca, strutture ospedaliere, linee guida per la diagnosi, informazioni per operatori sanitari, un programma di sensibilizzazione su scala nazionale, l’ assistenza domiciliare e psicologica.

6. Gli ultimi studi descrivono che le cause delle malattie derivano da cause organiche, virali,genetiche:
La ME/CFS, la FM e la MCS sono malattie fisiche gravi e debilitanti, le ricerche mediche dimostrano che sono patologie complesse che coinvolgono molteplici fattori (sistema immunitario, alti livelli di tossine, disfunzioni mitocondriali, sistema nervoso danneggiato, disfunzioni neurologiche e cardiache …).

7. I malati hanno subito diagnosi scorrette e tardive, terapie psicofarmacologiche errate da parte della maggior parte del personale medico sanitario impreparato a causa di una assente informazione al livello nazionale che le associazioni e i malati richiedono da anni al Ministero della salute nonché umiliazioni, soprusi, violenze psicologiche e abbandoni da parte del ambiente sociale e familiare sempre a causa di una mancanza di informazione sul territorio richiesta sempre da anni con petizioni e proposte parlamentari.

Si fa presente che i malati necessitano con urgenza di:

• Riconoscimento e classificazione delle malattie con inserimento nelle patologie croniche invalidanti con diritto ad una pensione data l’impossibilità di svolgere una normale attività lavorativa;
• un centro nazionale di ricerca e studio epidemiologico che sia gestito da medici PRIVI DI CONFLITTI DI INTERESSI cioe’ medici chiamati ad aiutare i pazienti con MCS/FM/CFS-ME non abbiano legami con l’ industria o le assicurazioni.
• una struttura clinica-assistenziale adeguata in ogni Regione con creazione di Unita’ ambientali controllate per i pazienti affetti da MCS. Esistono diverse ricerche mediche e cliniche specializzate all’estero che trattano con successo la ME /CFS , la FM e la MCS.
• l’istituzione di linee guida per strutture ospedaliere.
• Promozione di un piano per l ‘Informazione della Comunità medico-scientifica per evitare diagnosi tardive e scorrette con conseguente somministrazione di cure errate che comportano aggravamento della patologie e corsi di specializzazione per il personale sanitario con stages nei centri più qualificati al estero per il trattamento di tali patologie.
• Campagne di sensibilizzazione per evitare che la malattie vengano sottovalutate e non comprese dai familiari e amici che non capendo il reale stato di salute non supportano il malato e “torturandolo” psicologicamente scatenano litigi, incomprensioni che portano a rotture, separazioni familiari e abbandoni.
• Assistenza domiciliare (con personale opportunamente decontaminato per i malati di MCS ) in quanto i malati a causa dei numerosi sintomi invalidanti sono costretti a vivere nella propria casa.
• Assistenza psicologica e strategie per evitare l’ isolamento sociale in quanto a livello internazionale si registra un alto tasso di suicidi tra i malati di ME/CFS, FM e MCS a causa dell’isolamento sociale, alla frustrazione, alla mancanza di sostegno,ai sintomi invalidanti e alle difficoltà finanziarie .
• Soluzioni professionali “su misura” per i malati ancora in parte autosufficienti, anche da svolgere nella propria abitazione o in ambiente opportunamente bonificato per i malati di MCS .

SALVO ACCOGLIMENTO PARZIALE O TOTALE DELLE SUDDETTE PROPOSTE A VALLE DI QUEST’INIZIATIVA, IL PASSO SUCCESSIVO SARA’ UNA CAUSA COLLETTIVA PER IL GIUSTO RISARCIMENTO PER DANNI MORALI, FISICI, ED ESISTENZIALI CAUSATI DALL’INDIFFERENZA CONTINUA DELLO STATO.

LISTA DI SITI E CONTATTI PER EVENTUALI APPROFONDIMENTI:

Sito web dei malati : http://cfsfibromialgiamcs. sitiwebs.com/page8.php
Gruppi su facebook :
http://www.facebook.com/gr oup.php?gid=361265148841&r ef=ts

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VITERBO. LO STRANO "SUICIDIO" DI ATTILIO MANCA

Il giornalista del Sole 24Ore Roberto Galullo ha dedicato quattro puntate (16-19 giugno 2009) della trasmissione radiofonica          “Un abuso al giorno toglie il codice d´intorno” al caso della strana morte del giovane urologo Attilio Manca.

Attilio Manca venne trovato morto in circostanze misteriose la mattina del 12 febbraio 2004 nel suo appartamento di Viterbo.

La sua morte fu causata dall´assunzione di un cocktail di farmaci, eroina ed alcool.

La procura di Viterbo, titolare delle indagini sulla morte dell´urogolo, ha chiesto per due volte l´archiviazione del caso come suicidio.

La famiglia Manca, assistita dall´avvocato Fabio Repici, si è opposta alla richiesta di archiviazione che è stata respinta dal giudice per le indagini preliminari Gaetano Mautone il 18 febbraio 2006.
La famiglia Manca ha evidenziato come diversi fatti inerenti gli ultimi mesi vita di Attilio smentiscano l´ipotesi del suicidio e rafforzino il sospetto che si sia trattato di un vero e proprio omicidio legato all´attività professionale di Attilio.
Il giovane urologo si trovò infatti nell´anno 2003 ad operare in strutture ospedaliere del sud della Francia ed è stato accertato che il capo di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, si fece operare alla prostata nell´ottobre 2003 in una clinica di Marsiglia.

La procura di Viterbo sembra intenzionata a chiedere per la terza volta l´archiviazione del caso come suicidio.
La famiglia Manca si oppone in modo netto a questa richiesta di archiviazione anche perchè ha constatato come le indagini coordinate dalla procura di Viterbo siano state lacunose ed incomplete.

Al fine di informare i lettori sul caso di Attilio Manca riportiamo alcune delle importanti dichiarazioni rilasciate da Gianluca Manca, fratello di Attilo, e dall´Avv. Fabio Repici durante la trasmissione radiofonica condotta da Roberto Galullo per Radio24.

1) “La strana morte di Attilio Manca”, puntata del 16 giugno 2009, intervista di Roberto Galullo a Gianluca Manca:
Roberto Galullo: “Può dire sinteticamente, dott. Manca, perchè quel suicidio appare così strano ad un uomo di legge come lei ed al sentire comune in un certo senso. Basta infatti andare a leggere quello che riporta il sito che avete dedicato a suo fratello, http://www.attiliomanca.it/, per rendersi conto di una serie di incredibili avvenimenti. Prego dott. Manca”.
Avv. Gianluca Manca: “Brevemente posso riassumere gli elementi essenziali che ci fanno ravvisare che si tratti di omicidio. Innanzitutto come è stato ritrovato Attilio. Inizialmente ci dissero che Attilio era morto per un´aneurisma celebrale, mentre poi si accertò che era morto per un cocktail di farmaci e sostanze stupefacenti che sono state rinvenute all´interno del suo organismo”.
Roberto Galullo: “Ricordiamo che suo fratello non era un tossicodipendente. Nel suo corpo sono stati rinvenuti oltre che i principii attivi dell´eroina anche quelli di sedativi abbastanza potenti”.
Gianluca Manca: “Sì, sono state rinvenute anche tracce di alcool. Attilio non era tossicodipende. Consideri tra l´altro che Attilio operava dal lunedì al giovedì e, fatta eccezione per alcuni giorni, Attilio era sempre in sala operatoria dalla otto del mattino al pomeriggio inoltrato. Una persona che avesse fatto di sostanze stupefacenti era molto improbabile che potesse tenere ferma la propria mano e che l´ospedale Belcolle potesse fare affidamento su una persona che fosse tossicodipendente. La cosa più strana è che Attilio era un mancino ed operava addirittura con la mano sinistra. Gli unici due buchi che sono stati trovati all´interno del corpo di Attilio sono sul braccio sinistro”.
Roberto Galullo: “Potete trovare sul sito una serie infinita di stranezze tra le quali quella di un setto nasale rotto segno di una collutazione o forse di un omicidio avvenuto in precedenza perchè poi stranamente la stanza era in perfetto ordine.
Sul sito troverete una cosa straordinaria: Attilio era tra i pochi chirurghi in Italia, parliamo di una decina di anni fa, in laparoscopia segnatamente per la prostata. Aveva studiato in Francia, aveva affinato le sue tecniche in Francia, era uno dei migliori allievi che avevamo in Italia.
Perchè questo è importante? Perchè Attilio Manca nell´ottobre del 2003 si reca in Francia a Marsiglia. Contemporaneamente chi c´è in quel periodo a Marsiglia? Una persona molto educata, molto in gamba: si chiama Bernardo Provenzano, un vanto per l´Italia. Fu operato sotto falso nome con una serie di complicità incredibili.
Perchè altrimenti uno non parte probabilemente dal messinese ed arrivare lì ed operarsi.
I destini di Attilio Manca e Bernardo Provenzano sembrano incrociarsi. Perchè dico sembrano? Dobbiamo rendere atto a degli atti ufficiali che parlano di archiviazione, ma dobbiamo anche rendere atto all´intelligenza della famiglia che vuole perseguire la ricerca della verità. Allora sig. Manca, suo fratello e Bernardo Provenzano erano contemporaneamente nello stesso periodo a Marsiglia. È così?”
Gianluca Manca: “Consideri che il setto nasale di Attilio è stato trovato totalmente deviato ed il suo volto tumefatto. All´inizio le persone che rinvenirono Attilio ci dissero che il setto nasale era stato deviato perchè Attilio era caduto su un telecomando. Attilio cade su un letto matrimoniale e la cosa strana è comunque che il telecomando non fu trovato sotto il suo volto bensì sull´avambraccio.
Roberto Galullo: “Io direi di andare però a questa fatidica data dell´ottobre del 2003 in cui il destino di suo fratello sembra incrociarsi con quello di Provenzano.”
Gianluca Manca: “Consideri che mio fratello fece una telefonata che non è mai stata trovata o che non si è voluta mai trovare.
Mio fratello parlò con i miei genitori, credo con mia madre, dicendole che si trovava sulla costa azzurra, dicendo che si trovava lì perchè doveva effettuare un intervento, non dicendo però ovviamente a chi doveva effettuare questo intervento. La cosa strana è che i miei genitori chiesero al procuratore che si occupa del caso di Attilio se era possibile trovare questa telefonata.
Non solo non rinvenirono questa telefonata, ma addirittura questa telefonata é sparita. Gli dissero che non si trovava anche l´ultima telefonata fatta da Attilio pochi giorni prima di morire ai miei genitori. L´ultima telefonata dell´undici di febbraio ci era stata confermata anche dallo stesso dirigente della squadra mobile di Viterbo”.
Roberto Galullo: “Nel sito c´è anche un´onesta autocritica perché troverete che ad un certo punto entra in ballo un personaggio, un cugino dei fratelli Manca, che si chiama Ugo Manca, che ha dei precedenti penali ed una storia abbastanza pesante di contiguità con ambienti mafiosi e malavitosi.
Le chiedo questo Manca: ammesso e non concesso che suo fratello abbia operato Bernardo Provenzano, quali segreti doveva custodire per giungere ad una morte così cruenta?”
Gianluca Manca: “Io credo che Attilio non custodisse dei segreti, io suppongo che probabilmente Attilio abbia capito quale fosse la rete che proteggeva Bernardo Provenzano e che partiva dal nostro paese di Barcellona Pozzo di Gotto sino ad arrivare alle Istituzioni politiche molto grosse di quel periodo.
Probabilmente alcune di esse fanno ancora parte delle cosiddette Istituzioni deviate.
Probabilmente lui all´inizio non capì che si trattasse di Bernardo Provenzano, probabilmente sentendolo alla radio o alla televisione lui capì che la persona che stava operando poteva trattarsi presumibilmente di Bernardo Provenzano”.

2)”La strana morte di Attilio Manca”, puntata del 17 giugno 2009, Roberto Galullo intervista l´Avv. Fabio Repici:
Roberto Galullo: “Vorrei partire da un dato che non abbiamo affrontato con Gianluca Manca. Ne abbiamo dette tante di stranezze ma oggi io vorrei partire con lei da un´altra stranezza che forse è più vicina alla sua professione di avvocato. Gianluca Manca ci diceva che mai sono stati fatti dei controlli incrociati sui tabulati telefonici sul cellulare di Attilio Manca. Se questo è vero cosa vuol dire?”
Avv. Fabio Repici: “L´azione della Procura di Viterbo fin dal ritrovamento del cadavere di Attilio Manca si è caratterizzata per l´assoluta lacunosità.
Le indagini sono state fatte poco e male. Direi pochissimo e malissimo.
Fin dal primo momento in cui ho io iniziato ad occuparmi del caso segnalai l´opportunità di fare le acquisizioni di tabulati telefonici sia di Attilio Manca sia di altri soggetti il cui rilievo emergeva dalle indagini.
In realtà ciò venne fatto solo per acquisizioni relative a brevissimi periodi ed in modo così confuso e superficiale che la squadra mobile di Viterbo ha attestato in un´informativa dei dati che erano esattamente contrari alla realtà.
Additrittura in un caso affermarono l´insussistenza di contatti telefonici fra Attilio ed il cugino Ugo Manca, uno degli indagati, nonostante da quei pochi tabulati acquisiti le telefonate risultassero.”
Roberto Galullo: “Lei ha ricordato che Ugo Manca è il cugino di Attilio e Gianluca Manca. Si tratta di una persona non propriamente di specchiata moralità ed onestà. Questo va dato atto alla famiglia Manca perchè leggendo anche sul sito trovate la storia di questo personaggio che in primo luogo la stessa famiglia pone in evidenza proprio perché non così “pulito”.”
Fabio Repici: “Più che la stessa famiglia è il comportamento dello stesso Ugo Manca nell´immediatezza del ritrovamento del cadavere di Attilio Manca”.
Roberto Galullo: “Qual è stato il ruolo del cugino e si è indagato abbstanza sul suo ruolo?”
Fabio Repici: “Ribadisco: quanto alle indagini si è fatto poco e male.
Non si è indagato abbastanza su nulla.
Quanto al ruolo del cugino, al momento dell´arrivo della notizia a Barcellona Pozzo di Gotto circa il ritrovamento del cadavere di Attilio Manca, notizia che per puro paradosso ai genitori di Attilio Manca è arrivata tramite il padre di Ugo Manca, attraverso un canale contorto di comunicazioni partito dall´ospedale di Viterbo, Ugo Manca si è messo in luce per un insolito attivismo funzionale ad impedire che i genitori di Attilio Manca, ed in particolare la madre, partissero immediatamente per Viterbo.
L´intervento era mirato anche alla presenza di Ugo Manca a Viterbo.
Fatto sta che Ugo Manca nella notte fra il 12 ed il 13 febbraio 2004 si precipitò a Viterbo dove arrivò nella mattina del 13 con un comportamento che lasciò sbigottiti coloro che lo videro perchè si presentò alla procura di Viterbo per chiedere il dissequestro dell´immobile dell´abitazione di Attilio Manca con giustificazioni che sembravano delle arrampicate sugli specchi perchè disse che doveva andare lì per andare a reperire degli abiti per il cadavere di Attilio Manca ed altri comportamenti di questo tipo”.
Roberto Galullo: “Tra gli elementi che la famiglia Manca pone come strani c´è anche quello che l´autopsia sul cadavere di Attilio Manca è stata condotta dalla moglie del professor Rizzotto che era il primario del reparto di urologia dell´ospedale di Viterbo ed era messinese.
Così come della provincia di Messina era Attilio Manca, di Barcellona Pozzo di Gotto. L´autopsia è stata condotta, voi dite, in maniera superficiale dalla moglie del prof. Rizzotto, medico legale. È normale che la moglie di un primario esegua l´autopsia sul cadavere del vice-primario di quel reparto?”
Fabio Repici: “Qui il problema non è se sia normale che a condurre l´autopsia sia la moglie del primario. Qui sono dei dati documentali. Quanto alla superficialità dell´autopsia lo dicono le stesse carte dell´autopsia perchè il medico legale visitò il cadavere di Attilio Manca già nella mattina del dodici ed il tredici condusse gli accertamenti autoptici e non fu in grado di affermare un dato che era il più rilevante nell´immediatezza delle indagini e cioè la data e l´ora della morte di Attilio Manca, cioè la prima cosa che un medico legale deve fare quando fa un´autopsia.
Consideri che è rimasto ancor oggi un buco nero nelle indagini perchè abbiamo ormai prova che la morte di Attilio Manca sia avvenuta nella notte fra l´undici ed il dodici febbraio dell´anno 2004 e dunque si ha la prova che non abbiamo alcuna notizia di tutto ciò che Attilio abbia fatto nell´ultima giornata dell´undici febbraio 2004.
Le ultime sue notizie risalgono alla sera del dieci febbraio.
Quanto al ruolo del medico legale, qui la stranezza non riguarda il fatto che il medico legale è la moglie del primario.
Il problema è che prima ancora che il medico legale ricevesse l´incarico dalla procura, la stessa procura aveva già sentito come testimone il marito.
Quindi qui il consulente tecnico del pm è la moglie del testimone.
E poichè la prima cosa che un consulente tecnico è chiamata a fare quando assume un incarico è di segnalare l´insussistenza o meno di ragioni a ricevere l´incarico, mi pare ovvio che…
Di cosa pensate che abbiano parlato a tavola la sera del dodici febbraio marito e moglie, se non della morte di Attilio Manca? E poi il tredici febbraio la signora dott.ssa Ranelletta firma un verbale in cui attesta l´insussistenza di incompatibilità ad assumere l´incarico. E non sapeva che il marito era già stato sentito come testimone?”
Roberto Galullo: “Le voglio chiedere un´ultima cosa. Quanti poteri si saranno mossi affinchè a suo giudizio la morte di Attilio Manca come eventuale omicidio diventasse un suicidio?”
Fabio Repici: “Guardi io non voglio fare illazioni e fare affermazioni che possano far immaginare chissà cosa.
Qui il punto è uno e ci tengo a sottolinearlo.
Nel resto del paese non si è ancora compresa la centralità nelle dinamiche criminali dell´intera nazione che assume un luogo che si chiama Barcellona Pozzo di Gotto che è il luogo da cui è partito Attilio Manca e da cui sono partiti molti degli indagati per la sua morte.
È un luogo che nell´ultimo quindicennio della storia di Cosa Nostra è servito per la tutela della latitanza dei più importanti boss di Cosa Nostra”.

3) “La strana morte di Attilio Manca”, puntata del 18 giugno 2009, Roberto Galullo intervista Guido Travaini, professore di Principi di diritto presso la facoltá di Medicina dell´Università di Milano, e Claudio Bossi, esperto di psicopatologia forense.

4) “La strana morte di Attilio Manca”, puntata del 19 giugno 2009, Roberto Galullo intervista il prof. Antonio Rizzotto, primario di urologia presso l´ospedale Belcolle di Viterbo.

Dal sito: www.19luglio1992.com

http://paolofranceschetti.blogspot.com/2009/06/la-strana-morte-di-attilio-manca.html

MANI MASSOMAFIOSE SULLA CASSAZIONE

Boss e massoni, patto per insabbiare i processi.  

A cura di Saverio Lodato. 

La mafia è a Roma, si sarebbe detto una volta. Ed ecco a voi quello che Leonardo Sciascia avrebbe chiamato: Il Contesto.

Ci sono voluti decenni, ma il sipario nero è stato finalmente strappato: mani mafiose sulla Cassazione. Mani massoniche sulla Cassazione. Persino mani ecclesiastiche. Otto gli arrestati. In manette una poliziotta, indagato anche un gesuita. E’ un gesuita romano, di alto lignaggio, Ferruccio Romanin, rettore della chiesa di Sant’Ignazio a Roma, si ritrova indagato. Indagato anche il massone Stefano De Carolis, della Serenissima Gran Loggia Unita d’Italia. Mentre Francesca Surdo, poliziotta palermitana, in servizio presso lo S.C.O. del ministero degli Interni, finisce in manette (ma non per mafia). Che storia.
Emerge uno spaccato che fa cascare le braccia, soprattutto in coincidenza con le attuali polemiche sulla questione intercettazioni. Insabbiavano i verdetti sfavorevoli ai boss con i quali le sentenze passavano in giudicato. Ne bloccavano la trasmissione da Roma in Sicilia o in Calabria. Traccheggiavano sulla messa a ruolo delle cause, perché un mese in più o un mese in meno poteva fare la differenza, e che differenza. Lo scopo ( spesso raggiunto) era quello di ottenere la scadenza dei termini con la conseguente impossibilità di arrestare gli imputati raggiunti da condanna definitiva o con qualche scarcerazione prima del previsto.

Ma non solo.
Le indagini della Procura di Palermo, a firma del capo dell’ufficio Francesco Messineo, dell’aggiunto Roberto Scarpinato, dei sostituti Paolo Guido, Fernando Asaro e Pierangelo Padova, volati a Roma per un’operazione senza precedenti – in esecuzione dell’ ordinanza di custodia cautelare emessa da Roberto Conti, gip del Tribunale di Palermo – , puntano a scoprire l’eventuale collaborazione con il sodalizio criminale persino di giudici di merito: ci sono infatti intercettazioni telefoniche che suonano, in tal senso, come pessimi campanelli d’allarme.
I vertici di Cosa Nostra (bastano, fra tutti, il clan di Matteo Messina Denaro e quello degli Agate), il grande ventre molle trapanese e agrigentino, da anni, con la costruzione di una sapiente rete di corrotti e faccendieri, riusciva a violare quello che si riteneva

IL SANTUARIO giudiziario italiano inespugnabile per eccellenza: il Palazzaccio romano di piazzale Clodio .
Operazione Hiram, l’hanno chiamata i carabinieri. Operazione che, per ora, ha portato agli otto arresti per associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, accesso abusivo nei sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreto d’ufficio, peculato. 

Alcuni uffici del Palazzaccio, nella prima mattinata di ieri, sono stati passati al setaccio dagli uomini dell’Arma che hanno spulciato dischetti, tabulati, documenti d’ogni tipo, interi schedari, sequestrato pc, perché si cerca di capire quanto a fondo si fossero spinte le mani di mafia; tentacoli della piovra, avrebbero detto i mafiologi di una volta. Ma come funzionava la grande madre di tutte le Piramidi?
Semplice. Alla base, c’erano la mafia di Mazzara del Vallo, Marsala e Canicatti: i Messina Denaro, gli Agate, i Sorrentino, con procedimenti pendenti in Cassazione, si rivolgevano a un loro uomo di assoluta fiducia, tal Michele Accomando di Mazzara, 60 anni, condannato per mafia e massone. Accomando, a sua volta, aveva come punto di riferimento romano, Rodolfo Grancini, 68 anni, di Orvieto, faccendiere con ottime entrature nel mondo politico (si sta indagando), ma, quel che più conta, con solidi agganci in Cassazione. Il suo più stretto collaboratore era Guido Paparaio, 55 anni, cancelleria della seconda sezione di Cassazione, ausiliario, autentico deus ex machina nel dipanare quelle complicatissime maglie burocratiche da cui dipendevano la carcerazione o la libertà. Ovviamente Paparaio, nelle diverse sezioni di merito dell’Alta corte, aveva i suoi complici, ora in via di individuazione (lui, infatti, non aveva titolo per entrare nei computer). Questo era l’asse principale. I mafiosi pagavano, per questo servizio “assai personalizzato” a tranche di 5000 mila euro che potevano lievitare sino a quindicimila. Il collettore del danaro era Accomando che li girava, facendoli affluire su un conto corrente fittiziamente intestato, a Grancini. Il quale li consegnava in contanti a Paparaio. Il cancelliere infedele pagava infine i suoi complici nei diversi uffici della Cassazione dove transitavano i processi “caldi”. Più le cause si diluivano nel tempo più la cifra corrisposta aumentava. C’era un secondo asse.
Riguardava il solito Grancini, ma anche Francesca Surdo, poliziotta di 35 anni. Violava il sistema informatico della polizia di Stato acquisendo notizie sullo stato delle indagini a carico dei boss (apparentemente segretissime) che metteva a conoscenza di Grancini. Ma spesso, nonostante gli sforzi della banda, i processi arrivavano in discussione.
In quel caso Grancini e Accomando avevano un asso nella manica: il gesuita Ferruccio Romanin. Il sacerdote firmava lettere accorate a difesa degli imputati caldeggiando soluzioni “benevole” dietro lauto compenso per la sua parrocchia sotto forma di “donazioni” registrate su tanto di carta intestata della chiesa. È sconcertante apprendere che le lettere venivano congegnate, in prima stesura, da Grancini che poi le sottoponeva ad Accomando e agli avvocati. Il massone mazarese aveva un filo diretto con Romanin con il quale, in un paio di occasioni, si incontrò personalmente. Quanto alla corrispondenza finiva poi nelle mani di Odimba Omana, il segretario del prelato che però risulterebbe estraneo ai fatti. A quel punto, a Romanin, non restava che mettere la firma. A che le inviava? È questo il pessimo campanello d’allarme di cui dicevamo.
Altri arrestati: gli imprenditori agrigentini Calogero Licata di 57 anni e Calogero Russello di 68; Nicolò Sorrentino di 64 anni, di Marsala. Non è invece mafioso Renato Giovanni Di Gregorio, ginecologo palermitano di 59 anni. Ma anche lui doveva avere i suoi santi in Paradiso: se è vero come è vero che, condannato anche in appello per violenza sessuale su una minorenne, era in libertà. Il suo ricorso in Cassazione era insabbiato da tre anni.
saverio.lodato@virgilio.it  (da: l’Unita’ 18 giugno 2008)
Le lettere di padre Ferruccio
L’interessamento per Epifanio Agate figlio del mafioso di Mazara del Vallo

PALERMO A proposito dell’interessamento di padre Ferruccio Romanin, rettore della chiesa di Sant’Ignazio di Lojola, in Roma, per Epifanio Agate, figlio di Mariano Agate, massone e boss di Mazara del Vallo.
Nota a mano, vergata dal sacerdote e indirizzata ad Accomando: ” A Accomando Michele. Per l’aiuto richiestoci dalla signora Pace Rosa e dalla fidanzata Francaviglia Rachele sarà nostra premura fare tutto l’impossibile per aiutare il giovane Epifanio Agate”. Il testo viene trasmesso proprio dal faccendiere Grancini ad Accomando, via fax, dall’Hotel Metropol di Roma (23 maggio 2006) .
Ma si pone il problema di giustificare la conoscenza (inesistente) fra padre Ferruccio ed Epifanio Agate, in modo da rendere credibile l’intervento del gesuita. Conversazione fra Accomando e Grancini (29 maggio 2006). Grancini: ” che rapporto c’è fra padre Ferruccio e la persona… capito? come si è creato…”Accomando: ” ho capito…”. Grancini: ” perché ci deve essere un’amicizia, capito? Che loro sono venuti a Roma, che si volevano sposare lì in Chiesa, cioè tutta una cosa… perché se no dice: che rapporto c’è: tra questi e quegli altri?”. E la lettera poi avrebbe dovuto essere consegnata a Reggio Calabria a “una persona” che aveva un appuntamento con un “innominabile”. Si indaga in proposito.
Ieri, in conferenza stampa a Roma, il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha dichiarato: ” allo stato” non ci sono politici coinvolti.
Padre Romanin, lettera del 7 giugno 2006: ” Sono rimasto colpito dalla vicenda giudiziaria che ha colpito questo ragazzo e dal profondo dolore di queste due donne. Mi pregano di scrivere alle Vostre Ill. Signorie per un atto di clemenza e di perdono nei confronti di Agate Epifanio. Il ragazzo l’ho conosciuto presso la Chiesa di sant’Ignazio qui a Roma, dove Epifano era venuto con la fidanzata, per sentire se il loro matrimonio poteva essere celebrato in questa Chiesa…Ho avuto l’impressione che fosse un ragazzo a posto, pieno di vita e pieno di progetti con la sua futura moglie, con una certa venerazione del nostro fondatore Sant’Ignazio… Non voglio essere giudice di nessuno, e del suo operato, ma per quello che ho intuito non penso si meritasse un trattamento così pesante…” E chiede “equità e perdono, dandogli un’altra possibilità per alleviare, nel perdono e nella clemenza, il dolore atroce di una madre e della fidanzata”. Chi erano le Illustrissime Signorie? Si indaga. Comunque sia: sante parole, soprattutto spontanee. Non c’è che dire.
saverio.lodato@virgilio.it   (da l’Unità)

«Questo provvedimento non deve arrivare a Palermo…»
Ascoltiamoli un po’ mentre si davano da fare per i boss. Conversazione fra Licata e Grancini ( 6 febbraio 2003). Dice Licata: ” nelle more…questo provvedimento non deve essere notificato a Palermo… Però la cosa importante è non farla partire…E la cosa importante è non farla arrivare giù! Per avere il tempo di organizzare tutto con i gesuiti…”.
Fra Grancini e Sorrentino (13 febbraio 2006).
G. : ” Loro (impiegati della Cassazione n.d.r.) vogliono versati su quel conto dove hai versato l’altra volta, 5 mila euro, ogni dieci giorni gliene devo portare mille”. S.: “Come prima 5, e poi ogni dieci altri mille?” G.: “no, no…da questi cinque, io ogni dieci giorni levo mille euro e glieli do…” S.: “E quindi si fanno 50 giorni, così dici tu?”. G.: “Eh…sono gli accordi…, però io questo lo devo chiudere domani mattina alle nove…potrebbe essere tre, potrebbe essere due, poi potrebbe essere anche otto, cioè hai capito?”S.: ” Sì. Scusami, tu ogni dieci giorni gliene dai mille…”. G.: ” Bravo Nicola”. S.: ” Quindi se ne vogliono mandati cinque vuol dire che per 50 giorni siamo a…”. G.: ” Io ti dico quello che mi hanno detto…”. S.: ” caso mai facciamo l’integrazione noi…” G.:” Bravo! Questo è quanto! Però domani mattina ce li devo avere”. S.: ” Va bene, io vado a parlare, me li faccio dare e ti faccio il versamento…” ( versamento su conto Unicredit, agenzia di Orvieto, intestatario (fittizio) Bacci Giovanni, codice 7181: tutto verificato e provato). In questo caso era il Sorrentino ad essere interessato ad un suo ricorso in Cassazione.
Grancini- Accomando ( 19 dicembre 2005).
G: ” Se non c’è niente ( se non ci sono i soldi n.d.r) è inutile che andiamo avanti, perché tanto non fa un cazzo nessuno, cioè hai capito che ti voglio dire? Se si arriva con qualcosa bene, perché anche lì mi hanno detto: “Rodolfo è ora che vai a fare in culo”, perché io gli avevo promesso, promesso, io se ce li avevo li mettevo io… allora se hai qualcosa sulle mani, mandali spediscili, così io posso girare e muovermi, se no lasciamo perdere, sarà quello che Dio vorrà…”.
A: ” Ti ho detto la pratica quella mia… eh quella manca per te definire il discorso… c’e già la disponibilità totale…” G.:” E allora perché non me li hai dati tu? ” A.: ” Eh cazzo..se non so quanti. Dico, non è che posso quantificare io… E allora quella del dottore ( sottinteso: pratica n.d.r), ti ho detto come è la situazione?” G.: “sono lì che dormono tutte adesso”.
Licata- Grancini (1 marzo 2007).
L. ” Rodolfo! Purtroppo questa è …una cosa pesante, non è una cosa leggera… perché io sto perdendo tutta la mia tranquillità…, la mia…tutto sto perdendo io…Cioè io qua …non abbiamo a che fare né con Nicola, né con Antonio che sono persone per bene…(omissis). ” Questa volta, infatti, di mezzo c’erano gli Agate di Mazzara del Vallo. E lo stesso giorno, si sentono anche Accomando e Licata.
L.: ” Ho capito Michele…noi ogni giorno gli dobbiamo mandare un messaggio di pericolosità! ( a Grancini per sollecitarlo n.d.r.).
E Grancini, in altra telefonata: ” Il compito mio era quello di tenerla ferma il più che sia possibile, che poi De Carolis avrebbe praticamente sistemato la cosa e non l’avrebbe fatta arrivare, questi sono i patti, che non doveva arrivare dall’ ufficiale giudiziario e questo De Carolis mi ha detto: “ci penso io””
Grancini si rivolge a Peperaio ( 9 marzo 2007) : ” ci hai guardato? “. P.: ” E si, ho guardato. Poi ti dico”. G.: “si può fare?”P: “Anche se bisogna aspettare qualche altro giorno in più per essere… Hai capito?”. G: ” eehh si può fare qualcosa? P.:”eehh ci proviamo… però bisogna te… te…poi ti dico personalmente” (Peperaio batte cassa n.d.r.)
Conversazione fra il faccendiere Grancini e la poliziotta Surdo ( 1 agosto 2006, ore 21 e 45): G.: “In tanto domani mattina vado lì in Cassazione per l’amico tuo”. S: “ah, ah”. G.: ” Eh che la sezione non è una di quelle simpatiche”. S.: “Eh immagino”. G.: ” Eh la quarta e la settima sono un po’ le più…eh, se era la seconda era un frego meglio. Però qualcosa possiamo fare, su poi ne parliamo a voce…”. Il riferimento è al ginecologo De Gregorio amico personale della Surdo.

Benedette intercettazioni, se si vuol cercare di bonificare l’Italia.
saverio.lodato@virgilio.it

 Tratto da: l’Unita’

Mafia e massoneria, perquisiti uffici della Cassazione, 8 arresti

Perquisizioni presso alcuni uffici della Cassazione questa mattina da parte dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, guidati dal procuratore Francesco Messineo, insieme ai carabinieri di Agrigento e Trapani.

Otto gli arresti in diverse città. Secondo le accuse un gruppo di persone, alcune legate dall’appartenenza a logge massoniche, avrebbero ritardato, dietro pagamento di tangenti, l’iter processuale di alcuni affiliati a Cosa nostra in modo da poter avere la prescrizione dei reati. Fra le persone arrestate un’agente della polizia di Stato, un ginecologo di Palermo, imprenditori di Agrigento e Trapani, un impiegato del ministero della Giustizia in servizio ad una cancelleria della Cassazione e un faccendiere originario di Orvieto.

Il controllo rientra nell’inchiesta denominata Hiram, coordinata dalla procura di Palermo, e stamani ha portato all’arresto di otto persone in diverse città accusate a vario titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio. Oltre alle perquisizioni, vengono svolti controlli anche su conti correnti bancari intestati agli indagati. Nell’indagine sono impegnati i carabinieri di Agrigento e Trapani, Palermo, Roma e Terni.
Mafia e massoni. L’inchiesta ha preso il via da accertamenti svolti sulle famiglie mafiose di Mazara del Vallo e Castelvetrano, in provincia di Trapani nel 2006. Vede coinvolti professionisti, medici, imprenditori, boss e alcuni iscritti a logge massoniche. Anche il ginecologo di Palermo, che era stato condannato anche in appello per violenza sessuale su una minorenne si sarebbe servito di questo sistema. L’uomo avrebbe pagato somme di denaro per tentare di ottenere l’insabbiamento del procedimento in Cassazione, che infatti risulta pendente da tre anni, per poi accedere alla prescrizione del reato.

I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo, Roberto Conti, su richiesta del procuratore Francesco Messineo, dell’aggiunto Roberto Scarpinato e del sostituto della Dda, Paolo Guido.

Gli arrestati sono Michele Accomando, 60 anni, di Mazara del Vallo, imprenditore, finito in carcere nel 2007 per un’inchiesta su appalti pubblici pilotati, in seguito condannato per mafia a nove anni e quattro mesi. Renato Gioacchino Giovanni De Gregorio, 59 anni, ginecologo a Palermo, condannato anche in appello per violenza sessuale su una minorenne, dal 2005 pende in Cassazione il suo ricorso. Rodolfo Grancini, 68 anni, originario di Orvieto, è indicato dagli investigatori come un faccendiere, in contatto con diversi senatori e deputati, considerato dagli inquirenti «una personalità poliedrica inserita in un giro di amicizie altolocate, attorno alla quale ruota l’intera indagine». Grancini avvalendosi di persone «prezzolate», alcune già note agli investigatori, altre ancora ignote, all’interno della Cassazione, secondo l’accusa era riuscito a congegnare un «sistema» che gli consentiva di acquisire notizie riservate sullo stato dei procedimenti e di pilotare la trattazione dei ricorsi proposti alla Suprema Corte dai suoi «clienti». Calogero Licata, 57 anni, imprenditore agrigentino, accusato di aver tentato di insabbiare in Cassazione alcuni procedimenti penali che riguardavano boss mafiosi di Agrigento e Trapani. Guido Peparaio, 55 anni, impiegato del ministero della Giustizia, addetto alla cancelleria della seconda sezione della Corte di Cassazione con la qualifica di ausiliario. Calogero Russello, 68 anni, imprenditore agrigentino che era già stato imputato di mafia. Nicolò Sorrentino, 64 anni, originario di Marsala. Francesca Surdo, 35 anni, originaria di Palermo, agente della polizia di Stato in servizio alla Direzione anticrimine di Roma.
Avviso di garanzia anche a un padre gesuita. I pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo hanno inviato un avviso di garanzia anche a un sacerdote gesuita, Ferruccio Romanin, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’avviso è stato notificato stamani dai carabinieri al religioso che vive a Roma. La sua abitazione, e gli uffici che si trovano nel centro della Capitale, sono stati perquisiti. La posizione del gesuita è collegata all’imprenditore Michele Accomando, arrestato stamani. Gli investigatori avrebbero accertato che il sacerdote, su indicazione di uno degli indagati dell’inchiesta, Rodolfo Grancini, avrebbe predisposto lettere inviate a giudici «previo pagamento da parte di Michele Accomando», per «raccomandare alcuni imputati di mafia». Il peso e l’autorevolezza del sacerdote che apponeva la sua firma alle lettere inviate ai magistrati, per l’accusa avrebbero influito sull’esito dei ricorsi giurisdizionali proposti a diverse autorità giudiziarie. Padre Romanin avrebbe anche scritto una lettera a un giudice che doveva decidere sugli arresti domiciliari chiesti da Epifanio Agate, figlio del capomafia di Trapani, Mariano e per Dario Gancitano, genero di Accomando, imputati entrambi davanti ai giudici del tribunale di Reggio Calabria. Indagato anche il gran maestro Stefano De Carolis, esponente di spicco della Serenissima Gran Loggia Unita d’Italia. Il massone, secondo l’accusa, sarebbe stato messo a conoscenza dall’imprenditore Michele Accomando e da un altro indagato, del piano per ottenere il controllo di un procedimento penale pendente in Cassazione che riguardava il boss mafioso Giovanbattista Agate, fratello del capomafia di Trapani, Mariano. Secondo quanto emerge dall’inchiesta, Accomando voleva che il procedimento che riguardava Agate venisse insabbiato in modo da impedirne la trattazione e conseguire la progettata prescrizione del reato.

Fonte: www.ilmessaggero.it

http://castelvetranoselinunte.it/mafia-e-massoneria-8-arresti-e-perquisizioni-negli-uffici-della-cassazione/1395/

A distanza di 35 anni l’omicidio di Pierpaolo Pasolini è ancora avvolto dal mistero.

Il caso dello scomodo intellettuale bolognese è stato nuovamente iscritto a ruolo per ulteriori indagini dalla Procura di Roma (Pm Di Martino e Minisci) dopo un esposto dell’Avv. Stefano Maccioni e della criminologa Simona Ruffini che hanno compiuto investigazioni private e ascoltato testimoni, tra cui Silvio Parrello il quale ha raccontato che uno degli autori dell’aggressione omicida che costò la vita a Pasolini potrebbe essere un certo Antonio Pinna, poi misteriosamente scomparso. La vettura del signor Pinna fu ritrovata a Fiumicino (Roma) il 16 febbraio del 1976. Il Pinna, facoltoso pregiudicato, che conosceva Pasolini da molti anni, nell’immediatezza della morte dell’intellettuale avrebbe portato ad un carrozziere una Alfa Romeo simile a quella di proprietà di Pasolini per farla riparare: l’auto era ammaccata e sporca di fango. Il carrozziere pensando che l’auto fosse in quello stato per una ragione legata alla morte di Pasolini aveva rifiutato di ripararla; tanto che il Pinna aveva dovuto portarla ad un altro carrozziere. Le dichiarazioni del testimone confermerebbero la tesi secondo la quale ad uccidere Pasolini sarebbero state più persone e non il solo Pino Pelosi che fu come noto condannato in via definitiva per omicidio compiuto dopo un incontro con lo scrittore.

Vi sarebbero conferme in tal senso raccolte all’Idroscalo di Ostia da Sergio Citti che ha girato un video conservato a Bologna alla Cineteca (Archivio Pasolini).

La presenza di altre persone è confermata dallo stesso Pelosi nella sua ritrattazione mandata in onda dalla trasmissione televisiva “Ombre sul Giallo” di Franca Leosini, ove ha riferito di essere stato aggredito da tre persone che parlavano con accento siciliano che lo avrebbero picchiato e quindi avrebbero massacrato Pasolini, aprendo quindi nuovi scenari politico-mafiosi sulle cause dell’efferato delitto. Il racconto di Pelosi, pur con tutte le riserve del caso, ha alcuni spunti importanti. Pelosi potrebbe averle inventate, ma riferisce due parole che appartengono al gergo stretto catanese: “fitusu” e “iarrusu”: quest’ultima parola è un termine fortemente dispregiativo col quale a Catania si indica un omosessuale che si prostituisce. Ma inoltre, Pelosi ha fatto il nome di un avvocato legato all’estrema destra.

La perizia psichiatrica di parte viene affidata ad Aldo Semerari, psichiatra e criminologo fondatore dei Nar, poi ucciso e decapitato. Semerari dichiara Pelosi incapace di intendere, ma la sua perizia viene respinta dal giudice Moro che condanna Pelosi e indica in sentenza la presenza di altri soggetti sul luogo del delitto.

Fatti inquietanti che inducono molti a ritenere che la morte di Pasolini possa trarre origine dalla sua curiosità di intellettuale privo di collari scomodo al potere.  

”Pasolini aveva paura e qualche mese prima di morire fece cambiare il numero di telefono di casa perché riceveva minacce”. Lo ricorda Ines Pellegrini, una delle sue attrici preferite che il regista volle nel suo film ‘Le Mille e una notte’. Ines, eritrea, era tra le persone vicine a Pasolini: ”Mi voleva bene, diceva che lo ispiravo”. Il regista era stato colpito dal suo volto guardando una sua fotografia e la volle nel film nella parte di Zummurud senza che avesse avuto  nessuna  esperienza nel cinema. Era il 1974. ”Provavo da diversi giorni a chiamarlo, ma non era più possibile prendere la linea. Avevo cominciato a preoccuparmi. Poi mi chiamò Pier Paolo e mi disse che aveva cambiato il numero: ‘Mi arrivano telefonate di minaccia, io sono pronto… se mi vogliono colpire. Ma l’importante è che non parlino con mia madre’. E aggiunse: ”Ti dò il nuovo numero: qui mi possono rintracciare solo gli amici”. Ines Pellegrini vive ora a Los Angeles e si occupa degli homeless della città, gira di notte portando cibo ai diseredati insieme alle Sorelle di Calcutta, alternandolo al suo lavoro in una boutique alla moda. ”Ho sentito che si riapre il capitolo sulla morte di Pasolini e ho deciso di raccontare quello che lui mi disse allora”, racconta. ”Ripeto: aveva paura e io non riuscivo a capire il perché e a chi si riferiva, oggi forse quelle parole hanno un senso più chiaro”.

“Ho confermato di aver visto un manoscritto che mi è stato detto essere il capitolo mancante dell’opera pubblicata postuma ‘Petrolio’ di Pier Paolo Pasolini”. Così il senatore Marcello Dell’Utri sentito per circa trenta minuti in Procura nell’ambito dell’inchiesta sulla morte dello scrittore Pier Paolo Pasolini avvenuta all’Idroscalo di Ostia nel 1975. Un’audizione disposta dopo le dichiarazioni del politico che in alcune interviste disse di aver letto un dattiloscritto di 78 pagine riconducibile al capitolo scomparso di “Petrolio”, il romanzo-inchiesta su cui stava lavorando lo scrittore prima della morte e pubblicato postumo dello scrittore nel 1992. Nel documento in questione si parlerebbe dell’Eni, di Enrico Mattei, di Eugenio Cefis. “Era un volume di circa 70 pagine dattiloscritte su fogli di carta velina – ha detto Dell’Utri lasciando gli uffici di piazzale Clodio – Il titolo era ‘Lampi su Eni’, l’ho sfogliato rapidamente e ho notato che aveva delle correzioni e note fatte a mano. Mi fu fatto vedere da una persona che non mi disse il suo nome e che incontrai all’inaugurazione della mostra su Curzio Malaparte a Milano. Voleva vendermi il dattiloscritto e gli chiesi quale fosse il prezzo, ma lui mi disse che si sarebbe rifatto vivo e gli diedi il mio numero di telefono, ma non mi ha mai chiamato. Questa persona mi mostrò anche una copia del libro ‘Questo è Cefis’ del 1972 che fu fatto ritirare dal mercato proprio dallo stesso Cefis. Mi disse che l’ultimo capitolo di ‘Petrolio’ contiene molto di più di quello che c’è in questo libro. Il volume su Cefis, che ho letto, narra di cose inquietanti e non è possibile trovarlo sul mercato”.

C’è poi la verità scomoda del regista Sergio Citti che il 2 novembre del 1975 filmò la scena del crimine all’idroscalo di  Ostia, rivelando le incongruenze delle dichiarazioni di Pino Pelosi, e la testimonianza di un ex ragazzo di vita Silvio Parrello, già resa a ‘Chi l’ha visto?’, che con un’indagine personale avrebbe individuato i nomi di “ignoti”, il carrozziere che ripulì e riparò la “seconda macchina” che materialmente uccise lo scrittore, e la persona che quella notte gliela portò. Da questi elementi parte la riapertura delle indagini sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini illustrata alla Casa del Cinema da Guido Calvi incaricato dal Comune di Roma che nel 2005 (a trent’anni dalla morte) si costituì parte civile nella causa.

“Siamo davanti ad un magistrato che sta accertando con un nuovo atto giudiziario possibili ignoti e possibili mandanti – dice Calvi – compiendo finalmente passi in avanti. Ringrazio il Comune di Roma nell’affidarmi l’incarico di riaprire l’istruttoria e trovare la verità. Ringrazio Martone che mi ha consentito di avere un atto giudiziario, l’intervista a Sergio Citti perché ci dicesse quello che sapeva e mostrasse il suo filmato per consentire al giudice di vedere uno scenario sconosciuto. Ho depositato l’atto qualche giorno fa. Questo Stato ha un grande debito nei confronti dell’indagine – continua Calvi – La morte di Pasolini fu chiusa subito dopo l’arresto di Pelosi, e non fu fatto più nulla con la cancellazione di elementi fondamentali. Era evidente che Pelosi non diceva il vero. Basta vedere il filmato di Pelosi che entra in carcere senza una macchia di sangue quando il corpo di Pasolini era devastato. Sul luogo del delitto la più  elementare delle indagini prevede di circoscrivere l’area quando invece  fu consentito a tutti di entrare e disperdere le tracce di una seconda macchina che portava altri protagonisti. L’autovettura di Pasolini tenuta per giorni e giorni nel parcheggio della polizia sotto la pioggia (era novembre). Voglio ricordare che già il giudice del Tribunale dei Minori Carlo Alfredo Moro, fratello di Aldo Moro, presidente di Cassazione che condusse l’indagine, arrivò ad una sentenza di condanna di Pelosi per omicidio volontario in concorso con ignoti. In Italia è stata coperta con velo di omertà questa morte. Noi abbiamo  continuato per merito del Comune di Roma, perché le verità emergessero. Abbiamo fatto riaprire per due volte il caso ma con indagini sommarie. Stavolta qualche speranza in più la nutro. Primo mi sembra che questo giovane magistrato la stia conducendo con scrupolo… Il mio convincimento è che qualcuno voleva che quella voce non parlasse più, una voce che non doveva essere più ascoltata o letta.

Scheda: Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia 2 novembre 1975) è una delle più significative personalità del panorama culturale del Novecento. Fu poeta (in dialetto e in italiano), romanziere, critico letterario, saggista, drammaturgo, sceneggiatore e regista, sempre attento ad una “continua ridefinizione del rapporto tra la vita personale, le scelte culturali, l’orizzonte storico, politico e sociale. Per Pasolini, la cultura è in ogni momento presenza nel mondo, intervento nell’attualità, modo per affermare esigenze imprescindibili, di valore universale, che riguardano la realtà nella sua interezza” (G. Ferroni). La cifra della sua produzione è forse nella ricerca di una purezza, di una semplicità di matrice contadina, non intaccata quanto ai suoi valori cardine e al suo spirito dal Fascismo, bensì uccisa dal consumismo  capitalistico in cui si muove la classe borghese. “Per la sua esperienza di omosessuale, egli vive il rapporto con la realtà sotto il segno dell’impurità e dello scandalo”.

Pasolini fu ucciso nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 in un campetto sterrato nella zona dell’idroscalo di Ostia. Il cadavere fu trovato la mattina del 2 novembre, sfigurato dai colpi e da un’auto che gli passò sopra. Il regista fu colpito più volte alla testa e poi investito da una macchina. Vicino furono trovati attrezzi usati per il pestaggio: un paletto e una tavoletta nera macchiati di sangue. Per la morte dello scrittore fu condannato Pino Pelosi, detto “Pino la rana”, un ‘ragazzo di vita’ all’epoca  diciassettenne, che fu fermato a bordo dell’Alfa Romeo 2000 Gt di Pasolini. In primo grado Pelosi fu condannato a nove anni di reclusione con una sentenza che ipotizzò la presenza di altre persone sulla scena del delitto; in secondo grado la condanna venne inflitta per omicidio senza concorso di altri.

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IL MISTERO DEI TROPPI RICORSI MILITARI RESPINTI

 

Roma, 8 luglio 2010

Si è appreso ufficialmente solo di recente, ma l’avvocato Giorgio Carta, ufficiale in congedo dell’Arma, aveva da tempo presentato una denuncia penale alla Procura della Repubblica di Roma chiedendo di fare luce sull’abnorme numero di ricorsi al TAR respinti allorché erano proposti contro il Ministero della Difesa.

Una situazione, questa, nota davvero a tutti: militari, avvocati e stati maggiori. Non a caso, nel corso dell’audizione del 4 novembre 2009 dinnanzi alla quarta commissione difesa del Senato, il direttore generale per il personale militare della Difesa, Mario Roggio, aveva addirittura potuto vantarsi che solo il 5 per cento dei ricorsi intentati contro il Ministero avevano esito positivo per i militari ricorrenti.

Ritenere, però, che il 95 per cento dei ricorsi sia davvero infondato è palesemente improbabile, specie se si considera che molti dei ricorsi accolti riguardano semplici accessi agli atti e silenzi dell’Amministrazione, nei quali è quasi impossibile dare torto ai ricorrenti.

Pertanto, l’avvocato Carta aveva voluto vederci chiaro e aveva denunciato tutto all’autorità giudiziaria penale di piazzale Clodio (n. 69370/09 R.G.).
La Procura della Repubblica di Roma, però, ha chiesto l’archiviazione che, nonostante l’opposizione del legale, è stata effettivamente disposta dal GUP di Roma, lo scorso 28 giugno (n. 16080/10 R.G.G.I.P.), adducendo la genericità delle accuse mosse ai giudici. «Ciò che sconcerta – riferisce l’avvocato – non è tanto l’esito della denuncia, ma la circostanza che la Procura romana non abbia ritenuto di ascoltare nessuno dei 15 testimoni indicati, tutti militari, forze dell’ordine e avvocati che si occupano di diritto militare. Il fascicolo delle indagini, dopo sei mesi, constava solo di un foglio. Non solo: la mia istanza di accertamenti era specificamente rivolta verso quattro giudici, ma l’indagine – si fa per dire – è stata protocollata come “contro ignoti”».

«La battuta di arresto non mi scoraggia. Anzi, sono ancora più determinato a vederci chiaro, raccogliendo nuovi elementi di prova e nuovi testimoni. A tal fine, chiedo di contattarmi a chiunque abbia notizia di documenti e di fatti utili ad istruire una nuova, più incalzante, denuncia. La mia battaglia è solo all’inizio e molti sono i colleghi avvocati che mi hanno assicurato il loro appoggio e che hanno deciso di dire basta ad uno stato di cose che, da tempo, alimenta il malessere tra i più fedeli servitori dello Stato, cioè Carabinieri e Forze armate in genere».

Da www.GrNet.it

ROMA: CASE POPOLARI PER DISABILI ASSEGNATE A CHI NON NE HA DIRITTO

 

ROMA: CASE POPOLARI PER DISABILI ASSEGNATE A CHI NON NE HA DIRITTO
di FRANCESCO PALESE

“Almeno otto appartamenti di una struttura dell’Ater al Tiburtino Terzo, al pian terreno di via Trivento e via Venafro, predisposti per essere assegnati ai disabili, sono utilizzati da normodotati”. E’ quanto documentato da un servizio di Francesco Palese per il programma di Retesole “L’Altra Inchiesta” che andrà in onda domani alle 20:35, ma che può essere visionato all’indirizzo www.laltrainchiesta.com

Sempre Palese, lo scorso 13 febbraio aveva documentato il rifiuto di 7 agenzie immobiliari su 10 di affittare un alloggio ad un ragazzo disabile solo pochi minuti dopo aver offerto ad un normodotato innumerevoli soluzioni abitative.

Protagonisti della protesta allora furono alcuni studenti universitari de La Sapienza in procinto di esssere sfrattati dalla casa dello studente in via Cesare De Lollis, in quanto al termine degli studi. Il programma L’Altra Inchiesta torna quindi a denunciare le difficoltà per una persona con handicap di reperire un alloggio nella capitale.

Gli interessati hanno denunciato nel corso della trasmissione l’inadeguatezza delle strutture pubbliche a fornire delle risposte e chiesto che una quota delle assegnazioni delle case popolari sia destinata ai disabili carrozzati.

Sui 100mila alloggi popolari presenti nella capitale in ben 5mila casi – denuncia il programma – sono state riscontrate dalla Polizia Municipale situazioni di illegalità, e molte di queste riguardano i disabili. Basti pensare che solo al Tiburtino Terzo, negli ultimi due anni, sono state 30 le denunce.

UN KILLER SUBDOLO PER MIGLIAIA DI LAVORATORI E PER LE LORO FAMIGLIE

A cura di Ezio Bonanni (Avvocato)Il Legislatore (art. 247 D. Lgs. 9 aprile 2008, n° 81) con “il termine amianto (designa) … i seguenti silicati fibrosi:
L’actinolite d’amianto, n. CAS 77536-66-4 ,
La grunerite d’amianto (amosite), n. CAS 12172-73-5
L’antofillite d’amianto, n. CAS 77536-67-5
Il crisotilo, n. CAS 12001-29-5
La crocidolite, n. CAS 12001-28-4
La tremolite d’amianto, n. CAS 77536-68-6 “.
I silicati (finemente) fibrosi, con struttura microcristallina di magnesio, ferro, calcio e sodio, in natura non sono solo sei (contrariamente al declinato normativo), ma circa quattrocento, e vengono individuati, in via generale, con il termine amianto (amiantos), e cioè incorruttibile, che è sinonimo di asbesto (asbestos) e cioè inestinguibile, attraverso la identificazione delle qualità chimico-fisiche, già conosciute nell’antichità.
Nel passato se n’è fatto un uso indiscriminato, nonostante già negli anni ’30, il Prof. Vigliani ne dimostrava la pericolosità per l’uomo, fino a condurre al riconoscimento dell’asbestosi come malattia professionale, con relativo indennizzo, con Legge n°455/43.
Sembrava un tiro beffardo della storia: mentre uomini e donne si fronteggiavano in tutti i teatri di guerra, tra lutti e tragedie, ed indicibili distruzioni, il legislatore italiano trovava il tempo di costituire una rendita per i lavoratori malati di asbestosi.
L’amianto veniva utilizzato marginalmente, e negli anni a seguire, pur dopo la disposizione costituzionale di cui all’art. 32 (protezione della salute, come diritto del singolo ed interesse della collettività) venne utilizzato sempre di più, in tutti i settori, in quanto economicamente conveniente.
L’idea di massimizzare il profitto prevaleva sulla vita umana!
Nelle fabbriche, nei mezzi di trasporto, nelle attività e luoghi di vita, fino agli aerei, alle navi ed ai treni, perfino nelle culle e nelle tende di teatro.
Questo killer si è insinuato, con costi altissimi in termini di vite umane e paradossalmente quelle costruzioni, quelle fabbriche, dette della morte, non avevano più alcun valore commerciale, anzi con costi enormi per la bonifica, da aggiungere a quelli sociali e quelli economici per le cure mediche.
Nel tempo, lo stato consapevole del rischio morbigeno indotto dalla presenza di amianto, non solo era inadempiente degli obblighi costituzionali, ma arrivava a violare le norme di diritto internazionale (art. 2 e 8 CEDU), fino al non recepimento delle direttive comunitarie.
Con la Direttiva n°477/83/CEE, avente ad oggetto la “protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro”, sono state emanate norme specifiche di tutela dei lavoratori dal pericoloso cancerogeno.
In particolare era stato vietato l’uso dell’amianto a spruzzo, ed erano stati imposti i limiti di soglia: e poiché il rischio è proporzionale all’esposizione, per durata ed intensità, evidentemente l’inadempimento degli obblighi comunitari, come pure dell’efficace rispetto della normativa interna, che pure sussisteva (e per il quale lo Stato si sarebbe dovuto impegnare), basti qui richiamare la norma di cui all’art. 21, D.P.R. n°303/56, circa l’aspirazione delle polveri, e di cui all’art. 387, D.P.R. n°547/55, circa l’obbligo di protezione con maschere filtranti, in combinato disposto con l’art. 32 della Costituzione, costituisce inadempimento di contratto sociale, e/o fatto antigiuridico, fonte di obbligazione ex art. 1173 c.c.).
Tuttavia, al fine di favorire i gruppi industriali dell’amianto, lo stato non recepiva tempestivamente la direttiva e ne seguiva l’inizio di una procedura di infrazione (n°240/89) che veniva definita con sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 13.12.1990, con la quale la Repubblica Italiana veniva condannata, ed altre condanne ne seguirono, una delle ultime, quella relativa all’inadempimento della direttiva, pure attinente alla sicurezza sul lavoro, n°391/89 CEE, con sentenza depositata in data 15.11.2001, a definizione della procedura di infrazione n°49/00.
Recentemente, nel processo Eternit, è stata accolta l’istanza di chiamata in causa dello Stato come responsabile civile, e tutt’oggi, in fondo vittime dell’amianto, pure istituito con l’art. 1, commi 241/246 della Legge 244/2007, e che costituiscono la fonte specifica della responsabilità solidale dello Stato per il fatto degli imputati, la fonte del rispondere di fatti altrui, non è operativo per mancanza del decreto di attuazione.
Tutte le vittime di tutta Italia, e non soltanto quelle della fabbrica della morte Eternit, non possono accedere a somme già stanziate per mancanza del regolamento di attuazione della legge che istituisce in fondo.
Il termine per emanarlo era di 3 mesi, ma sono passati oltre 2 anni, e non se n’è fatto nulla: e le vittime ancora attendono…
Con Decreto Legislativo n°277/91, finalmente, è stata recepita la direttiva comunitaria n°477/83, e con la legge n°257/92 è stata vietata la estrazione, produzione e commercializzazione del pericoloso minerale, ed erano stati riconosciuti dei benefici contributivi, che poi sono dei risarcimenti, in favore di lavoratori esposti, che per ciò stesso hanno minori aspettative di vita ed il rischio incombente di contrarre patologie che portano alla morte nel volgere di qualche mese.
Ma questi risarcimenti contributivi di cui all’art. 13, commi 7 e 8, Legge n°257/92, sono anch’essi rimasti sulla carta, tranne rare eccezioni, fino ad ulteriori iniziative di regressione e limitazione.
Non possiamo che affermare “lo Stato chieda scusa ai morti d’amianto”.
Sono pendenti procedimenti innanzi la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo e ricorsi presso la Commissione Europea.
C’è da auspicare una inversione di tendenza…almeno si spera.
L’importante è non arrendersi, nella ricerca della verità e della giustizia, che è anche dignità e libertà.
Roma, 20.01.2010
Avv. Ezio Bonanni

 

LA NUOVA ROSARNO NELL'AGROPONTINO

La memoria della “battaglia di Rosarno” è ancora viva, nell’opinione pubblica italiana.

I suoi protagonisti erano africani immigrati e clandestini, raccoglitori d’arance prostrati dalle paghe da fame e dalle condizioni di vita indegne, che reagirono alla discriminazione e alla violenza dei rosarnesi con altrettanta violenza.

Sull’agropontino non si è ancora arrivati a uno scontro da Far West come quello,

eppure i 60-70mila(nei picchi stagionali) lavoratori dei campi clandestini sono costretti a subire la stessa umiliante sorte.

Provengono dal Punjab, nord dell’India, terra di contadini.

Non parlano quasi per nulla l’italiano, pagano 300 euro per avere un tetto sopra la testa e lavorano senza sosta. Per due euro all’ora, se clandestini.

La clandestinità è un reato molto conveniente: la regolarizzazione di un immigrato avrebbe dei costi sociali da sostenere, per un imprenditore.

Lo stesso imprenditore-sfruttatore spesso incoraggia la regolarizzazione per lucrarci sopra, chiede in cambio della procedura 3mila-5mila euro, e poi rispedisce a “casa” il lavoratore per sostituirlo con un clandestino.

Il mercato del lavoro nero è inesauribile e pare che lo sia anche l’assenza di scrupoli di certi imprenditori.

L’agropontino è una delle zone più fertili d’Italia sin dalla bonifica che Mussolini fece negli anni 30′, per sottrarlo alla malaria.

Settantamila ettari congiunti da quattro punti cardinali, Latina Sezze Terracina e Sabaudia.La Camera di Commercio registra 11mila aziende e solo 10mila lavoratori regolari.

Tutto il resto del lavoro è sotterraneo, nascosto e sottratto alla tutela dello Statuto dei Lavoratori.

 http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-52a6ed2c-8b9f-4d75-89f2-17e97a5ed68f.html (video)

Sfrattati per soli 20,00 euro di "morosità"

Sfrattati per soli 20,00 euro di “morosità”

A quali giudici affidiamo i ns. diritti?

Un’altra sentenza destinata a fare discutere quella che il 3 marzo u.s. i giudici della terza sezione civile della Cassazione, Relatore Dr. Mario Finocchiaro, sono chiamati a pronunciare nella causa promossa dal Sig. Umberto Ippolito, un operaio in cassa integrazione, assistito da “Avvocati senza Frontiere”, contro la Cefalo Vecchio s.a.s., società immobiliare di proprietà di Roberto Mazzotta, Presidente di Banca Popolare di Milano, assistito dall’avv. Emanuele Cirillo, Presidente dell’Ordine Avvocati di Monza.

Siamo ormai abituati a sentirne di tutti i colori dai giudici della Cassazione, ma quanto, forse, resterà senza precedenti giuridici nella storia del diritto è che una famiglia di onesti lavoratori possa vedersi buttare in mezzo alla strada per appena quarantamila lire di differenza sul calcolo degli interessi di mora dell’affitto, con il beneplacito del Supremo organo di legittimità, il quale, pare, ritenga sussistere la gravità dell’inadempimento, tale da giustificare la risoluzione del contratto, ai sensi art. 1455 c.c. (art. 55 L. 392/78).

Così minacciano di andare le cose se il Collegio dovesse accogliere le poco accorte richieste del Relatore, Dr. Finocchiaro e del P.M. di udienza, Dr. Scardaccione, i quali il 3 marzo u.s. hanno richiesto il rigetto del ricorso, sostenendo, senza probabilmente avere letto attentamente gli atti, che la morosità consisteva in Lire 40.000.000, anziché in sole Lire 40.000, e che il ricorso non avrebbe contenuto (sic!) “motivi di diritto ma solo di fatto”.

La storia della famiglia del Sig. Ippolito risale agli anni ’80 e segue la fortuna del banchiere Mazzotta, già assurto alle cronache giudiziarie per fatti di corruzione, ai tempi di Tangentopoli, la cui società ha preteso ininterrottamente dagli inquilini degli immobili di sua proprietà canoni e spese condominiali gonfiati a dismisura, godendo di facili sfratti concessi “senza guardare troppo per il sottile” da taluni giudici del Tribunale di Monza e della Corte di Appello di Milano.

Giudici i quali, come accaduto giorni fa in Cassazione, hanno fatto di tutto e di più per cercare di disconoscere i diritti degli inquilini che hanno sempre contestato la sussistenza della pretesa morosità, chiedendo vanamente una perizia contabile sulle somme effettivamente dovute sia per canoni sia per spese.

Domande, mai, illegittimamente, esaminate nel merito dai giudici di prime cure, i quali, per di più, senza considerare che il Sig. Ippolito aveva pagato integralmente le somme indebitamente pretese, non hanno, neppure, tenuto conto di un macroscopico “errore” nel calcolo degli interessi di mora, valutati in lire 40.167 in più, rispetto al dovuto (è stato applicato il tasso del 10% anziché quello di legge, all’epoca vigente, del 5%).

Senza contare poi che, viceversa, è il Sig. Ippolito a risultare creditore di ben 70.000,00 Euro, per somme versate in eccedenza nell’arco degli ultimi vent’anni, come evidenziato da una Consulenza contabile disposta dal Tribunale di Monza in una parallela causa che accerta che non sono dovuti dagli inquilini i canoni e le spese nella misura indebitamente pretesa dalla società del Mazzotta.

Apparirebbe, quindi, del tutto sconcertante che la Cassazione oggi avallasse l’errore materiale di calcolo e di diritto in cui sono incorsi i giudici del Tribunale di Monza e della Corte di Appello di Milano, che non avrebbero certo potuto legittimamente dichiarare “grave” il preteso inadempimento di appena lire 40.167, anche laddove si volesse considerare effettivamente dovuta, contro realtà, tale differenza derivante da un errore di calcolo.

Errore che, nella specie, ove oggi venisse incautamente ripetuto dal Supremo Collegio, sarebbe veramente diabolico ed un vero e proprio stravolgimento delle norme giuridiche, tenuto conto che l’asserita risibile morosità di L. 40.167 si fonda, altresì, sull’omessa applicazione della legge sull’equo canone (artt. 45 e 79 L. 392/78) e delle procedure in materia di prove e di indebito arricchimento.

Infatti, le 40.167 lire di differenza non dipendono solo dal predetto errore di calcolo, ma, altresì, dall’erronea lettura del contratto di locazione, in base al quale il canone annuo previsto non era di L. 4.000.000, oltre le spese, come fraudolentemente asserito nell’intimazione di sfratto, convalidata dai giudici di prime cure, bensì di L. 2.800.000.

Con la conseguenza che le rate asseritamente scadute non erano di L. 1.265.276 cadauna, bensì di L. 890.000 cadauna e, quindi, che, a maggiore ragione, non sussisteva palesemente alcuna pretesa morosità e motivo di sfratto né, tantomeno, alcun residuo interesse di L 40.167 sul pagamento dei canoni di locazione, che erano sempre stati, per oltre 12 anni, regolarmente corrisposti, pur contestando le indebite maggiorazioni che hanno determinato, come sopradetto, un maggior credito del sig. Ippolito di ben Euro 70.000,00, che i giudici, scandalosamente, hanno ignorato, limitando la loro attenzione alla sola ridicola questione della pretesa morosità di ben 20 euro… (!) avanzata pretestuosamente dalla società del Dr. Mazzotta con evidente malafede e altre finalità.

Senza, poi, tenere conto, dulcis in fundo, dell’ulteriore errore – allarmante se si considera che è stato posto in essere da magistrati – che gli interessi sono stati calcolati nella misura del 10% e non già in quella minore di legge all’epoca vigente pari al 5% e, per di più, che gli aggiornamenti Istat applicati non operano sulle spese ma solo sui canoni e non in misura superiore al 75% della variazione annuale.

Fatti per i quali Avvocati senza Frontiere ed il Sig. Umberto Ippolito, ipotizzando malafede e dolo collusorio, da parte degli organi giudicanti, hanno già depositato un particolareggiato esposto alla Procura di Brescia per falso ideologico, abuso e interesse privato in atti d’ufficio, a carico dei primi giudici di Monza e Milano, auspicando di non doversi ripetere anche presso la Procura di Perugia, a carico dei giudici della Cassazione, cosa per cui hanno già notiziato il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ed il Presidente della 3° sezione civile, Dr. Nicastro, affinché assumano i più opportuni provvedimenti.