In tema di malagiustizia a Nordest segnaliamo questa interessante denuncia giornalistica sul naufragio delle inchieste per le morti dell’amianto di Stato (Fincantieri di Monfalcone). A completamento della quale occorre ricordare che il Procuratore della Repubblica di Gorizia Carmine Laudisio, principale responsabile dell’insabbiamento delle inchieste, è stato trasferito e promosso alla Procura Generale di Trieste. Mentre, il procuratore generale Deidda (che non era intervenuto contro l’inerzia di Laudisio) è stato a sua volta promosso e trasferito (è il nuovo procuratore generale di Firenze). Si chiama progressione automatica di carriera a cui hanno diritto tutti i magistrati. Da parte sua, l’ex procuratore della Repubblica di Trieste Nicola Maria Pace (quello di Unabomber di cui abbiamo segnalato le gravi responsabilità nel relativo articolo) è stato pure promosso e trasferito. Ora è il nuovo Procuratore della Repubbliica di Brescia. Ma in cambio ha lasciato qui sua figlia che è sostituto procuratore a Udine. Tradizione di famiglia… (N.d.R.).
GORIZIA, IL NAUFRAGIO DELLA GIUSTIZIA.
Risultati sconcertanti dell’ultima ispezione ministeriale. Le responsabilità del procuratore della Repubblica e dei vertici di tribunale e corte d’appello. Ferme da 10 anni le indagini sugli operai morti per amianto nei cantieri di Monfalcone.
A cura di Roberto Ormanni
Una procura della Repubblica che si è fatta prescrivere tra le mani centinaia di casi di morte per amianto, un tribunale fermo da due anni, una corte d’appello dove presidente e procuratore generale stanno a guardare nonostante siano al corrente di quanto accade in tribunale e in procura. Questo in sintesi il quadro devastante della giustizia a Gorizia, dove da alcune settimane gli ispettori del ministero della Giustizia sono alle prese con una realtà raccapricciante, che supera di gran lunga anche la più fervida immaginazione.
Non è la prima volta che l’ufficio ispettivo di via Arenula si imbatte in “anomalie” (chiamiamole così) nella giustizia della città triestina. Ogni cinque anni il ministero manda gli ispettori a verificare il funzionamento degli uffici giudiziari: sono le ispezioni ordinarie. Iniziative di routine. Già cinque anni fa i funzionari ministeriali lasciarono Gorizia consegnando una serie di “prescrizioni”, ossia indicazioni ai responsabili degli uffici su cosa fare e come per rimettere in sesto, alla meno peggio, la baracca.
Poi, dopo qualche tempo, come prevede la procedura, un’altra nota del ministero chiedeva conto delle correzioni apportate all’organizzazione giudiziaria. A questo documento i capi degli uffici di Gorizia risposero: fatto, tutto a posto.
Invece non è stato fatto nulla anzi, la situazione è precipitata. La giustizia a Gorizia si trova, oggi, in fondo ad un baratro. Un buco nero nel quale ha cominciato a scivolare due anni fa, senza che nessuno abbia osato segnalare i problemi. Sa, qui siamo tutti amici, si sono giustificati alcuni magistrati interrogati dagli ispettori…
Magistrati e giudici onorari sono rimasti in silenzio, presidente del tribunale e procuratore della Repubblica non hanno aperto bocca (anzi, il problema principale è stato causato proprio dal procuratore della Repubblica) il presidente della corte d’appello e il procuratore generale non ne hanno parlato con nessuno. E neanche gli avvocati, di solito sempre pronti a protestare per il cattivo funzionamento della macchina giudiziaria, questa volta hanno detto nulla. Evidentemente faceva comodo, per diverse ragioni, a tutti.
Ma vediamo in cosa si sono imbattuti gli ispettori del ministero della Giustizia.
La procura della Repubblica di Gorizia sarebbe l’ufficio inquirente competente a indagare sulle morti per amianto verificatesi nei cantieri navali di Monfalcone.
Una lunghissima serie di decessi, verniciatori, costruttori, operai, meccanici: tutti riconducibili alle scorie di amianto. Per anni, prima che venisse accertato dagli studi scientifici quanto fosse nociva la sostanza, moltissimi cantieri hanno largamente fatto uso di amianto, lega utilissima, efficace, a basso costo e di facile lavorazione.
Le polveri, le scorie, i residui, i fumi si sono sedimentati per anni nei polmoni, sono filtrati nel sangue, hanno causato la morte. Lentamente, progressivamente, inesorabilmente.
Alla procura di Gorizia ci sono circa 750 fascicoli d’indagine per altrettante ipoesi di omicidio colposo. Indagini che, però, sono ferme da 12 anni. Nei fascicoli non c’è nulla oltre la denuncia, il certificato di morte dell’operaio, la causa di morte secondo i sanitari.
In alcuni casi i pubblici ministeri non hanno firmato nemmeno la delega d’indagine. In pratica, nessuno sta indagando. A dispetto delle centinaia di denunce, delle manifestazioni organizzate dalle associazioni di parenti delle vittime che si sono susseguite in questi anni. A dispetto, soprattutto, delle dichiarazioni pubbliche che sono state fatte, spesso, proprio da quei magistrati, come il procuratore capo di Gorizia o il procuratore generale di Trieste, secondo i quali sarebbe stato garantito il massimo impegno per ricostruire fatti e responsabilità. Ma quale impegno: nemmeno uno straccio di consulenza tecnica è stata disposta.
Come non bastasse, su nessuno di quei fascicoli c’è indicato neanche il nome di un presunto, ipotetico responsabile. Eppure quelle aziende avevano, tutte, un amministratore delegato, un responsabile della sicurezza. Ma i pubblici ministeri di Gorizia non sanno niente. Ufficialmente. Tutte le indagini sono ancora oggi, dopo anni, contro ignoti.
I fascicoli avrebbero potuto essere riuniti in un’unica indagine, o magari in due o tre tronconi, e procedere speditamente. Ma anche questo era troppo lavoro, evidentemente. Su 750 morti sono stati celebrati nemmeno una decina di processi, tutti diversi, qualcuno è ancora in corso, e in udienza non sono presenti neppure i pubblici ministeri togati, quelli che hanno svolto l’indagine. Il procuratore Laudisio ci spedisce giovani onorari, che hanno enormi difficoltà a ricostruire storie vecchie di anni.
E in decine di casi la strada seguita dalla procura di Gorizia è stata quella dell’archiviazione: “visto che la vittima ha lavorato per diverse aziende nel corso degli anni, e dal momento che non è possibile stabilire con precisione quando è cominciata la patologia che ne ha causato la morte, si archivia non essendo possibile individuare responsabilità certe per il reato di omicidio colposo”. Ecco come sono motivate le archiviazioni. Peccato che non si sia nemmeno tentato di trovarli i responsabili, non si è nemmeno provato ad affidare una perizia che potesse stabilire in quanto tempo la malattia ha portato l’operaio alla morte e dunque in che periodo della sua vita è insorta e, di conseguenza, in quale fabbrica – delle tante che facevano uso di amianto – lavorara all’epoca.
Il pubblico ministero si è così sostituito al giudice: ha deciso che le prove sono insufficienti prima ancora di avviare il processo. Le sanno, queste cose, i familiari dele vittime? Chiedono verità da anni, ma l’unica verità è che nessuno fino ad ora l’ha cercata, la verità.
Da quando l’ispezione del ministero è in corso, qualche magistrato ha rilasciato interviste alla stampa locale: “certo, c’è qualche ritardo – ha detto in sostanza parlando dell’incredibile inerzia della procura – ma ora tutto è a posto e le indegini ripartiranno”. Non c’è nulla da far ripartire, nella maggior parte dei casi.
L’inefficienza degli uffici giudiziari di Gorizia non si ferma qui: due anni fa il procuratore Carmine Laudisio ha consegnato al presidente del tribunale, Matteo Giovanni Trotta, una comunicazione: finché non saranno coperti i posti di viceprocuratore onorario questa procura della Repubblica non invierà più magistrati a partecipare alle udienze in tribunale. Una singolare forma di protesta per la mancanza di magistrati, si potrebbe pensare. Un modo per poter avere uomini e mezzi necessari a far fronte alle esigenze di giustizia. Chi dovesse pensare questo sbaglia.
Il procuratore di Gorizia, Carmine Laudisio, ha in organico sei pubblici ministeri togati e 6 onorari. In servizio ce ne sono 6 togati e 2 onorari. A conti fatti, gli mancano quattro magistrati onorari. Questo è tutto. A fronte di otto pubblici ministeri la procura deve seguire tre udienze al giorno. E un carico di lavoro investigativo di circa duemila fascicoli l’anno, in tutto. A Napoli un pm, un solo magistrato, ne segue tremila all’anno. Da solo. A Roma siamo a circa duemila, come a Milano. A Gorizia ce ne sono duemila diviso otto. Anche se fossero quattromila…
Invece secondo il procuratore di Gorizia se non arrivano altri quattro magistrati onorari la procura non può seguire i processi. E per questo da due anni i processi vengono sistematicamente rinviati.
Proprio così: sono saltate tutte le udienze. Centinaia, migliaia di udienze. I giudici onorari aprivano l’udienza e la rinviavano “per assenza del pm”, quelli togati non l’aprivano nemmeno, la rinviavano a scatola chiusa. La ragione della differenza sta nel fatto che gli onorari se non aprono l’udienza non incassano i dieci euro o giù di lì previsti per l’udienza. Dunque, il ministero della Giustizia, le casse pubbliche, per due anni hanno pagato giudici onorari inutilmente.
Quei provvedimenti di rinvio “per assenza del pm” non sono mai arrivati oltre i confini della corte d’appello di Trieste. Nessuno, anche in questo caso, ha creduto di dover denunciare nulla. Peccato che da nessuna parte del codice di procedura pernale, o dell’ordinamento giudiziario, sia previsto un rinvio per assenza del pubblico ministero. Anche perché, è bene precisarlo, in questo caso i termini di prescrizione non si interrompono, perché il rinvio è colpa del sistema giudiziario, non dell’imputato o della difesa.
Il risultato è stata la cancellazione di decine di processi per prescrizione.
Almeno, intanto, la procura avesse utilizzato il tempo libero per svolgere indagini… nemmeno questo è accaduto, visto che i morti per amianto sono sempre in attesa di una giustizia che, a questo punto, non arriverà mai più.
Nonostante il folle provvedimento del procuratore Laudisio fosse stato trasmesso sia al presidente del tribunale, Trotta, sia al procuratore generale della corte d’appello di Trieste Beniamino Deidda, sia al presidente dela corte d’appello Carlo Dapelo, nessuno dei capi degli uffici giudiziari ha informato il ministero.
Ora spetterà agli ispettori decidere quali siano le responsabilità disciplinari.
Noi ci limitiamo ad osservare che se il dirigente di un ospedale interrompesse le prestazioni di pronto soccorso perché l’organico dei medici non è completo, verrebbe arrestato.
Basta, tutto questo, per avere un’idea della situazione della giustizia a Gorizia? No, non basta ancora.
Oltre alle indagini mai avviate, ai processi saltati, all’inerzia dei capi (il procuratore generale è il titolare dell’azione disciplinare) anche i processi, civili e penali, che sono riusciti miracolosamente ad arrivare a sentenza, hanno dovuto attendere tempi biblici per avere le motivzioni delle sentenze. In alcuni casi tra la decisione e il deposito della motivazione sono trascorsi oltre mille giorni. Di media, per avere la motivazione di una sentenza, a Gorizia, è necessario aspettare circa un anno. Contro i 90 giorni previsti dalla legge.
Per non parlare dell’esecuzione delle pene: le sentenze di condanna di primo grado sono state sistematicamente sospese quando anche uno solo degli imputati presentava appello. Una strana regola: uno per tutti, tutti per uno. Se un imputato impugnava la condanna in secondo grado bastava una richiesta della cancelleria al giudice del tribunale che aveva emesso la condanna: cosa dobbiamo fare con la sentenza per coloro che non hanno impugnato? E il giudice rispondeva: lasciate tutto fermo, vediamo l’appello come va. Anche in questo caso, una regola che non esiste: il codice, infatti, prevede che per gli imputati che non fanno appello la condanna passa in giudicato e deve essere eseguita. Se poi, al termine del processo d’appello avviato da uno degli imputati, la pena viene ridotta, allora la riduzione si applica anche a chi non ha fatto appello. Ma intanto la condanna deve essere eseguita.
La legge, però, a Gorizia conta poco. Ciò che conta è la follia e l’inefficienza. Questa volta l’ispettorato del ministero della Giustizia è deciso ad andare fino in fondo. Noi ci auguriamo che anche la procura della Repubblica di Bologna, competente a valutare eventuali reati commessi dai magistrati del distretto di Trieste, voglia verificare cosa è successo a Gorizia.
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