Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 8

Di Pietro sapeva ma sostenne Penati. La procura di Milano come sempre coprì…

Di Pietro sapeva tutto di Penati ma lo fece votare nelle elezioni successive e la Procura di Milano come sempre coprì…
Di Pietro sapeva e non fece nulla. Di Pietro sapeva e tuttavia sostenne Penati alle elezioni in più occasioni.
L’ex sindaco di Milano Albertini parlò del caso Serravalle e dello scandaloso giro di interessi che ci stava dietro con Di Pietro, D’Ambrosio e Borrelli che lessero le denunce senza fare nulla.
Di Pietro dopo aver guardato le carte disse ad Albertini: «Ai miei tempi, con una cosa così tra le mani, ci aprivi un’inchiesta, si incriminava qualcuno e forse si arrestava anche» e parla di indizi evidenti di mazzette e tangenti, per quanto «ingegnerizzate».
Insomma considerava Penati quasi un “ladro”.
E quindi si domanda “Il Fazioso” ovviamente non lo sostenne nelle successive elezioni vero?
E invece no, perchè Di Pietro con l’Italia dei Valori appoggiò Penati alle provinciali 2009 e alle regionali 2010.
Tutti sapevano, nessuno si mosse, la Procura di Milano come sempre dormiva o meglio copriva… E Di Pietro, come al solito, furbescamente, a parole attaccava l’incriminabile Penati fino a quando poi, scandalosamente, lo sostenne nelle successive elezioni. Una vera vergogna formato Milano – politica dei finti partiti di opposizione.
C’è chi si aspetta che sarà Di Pietro a prendere le redini del PDL quando Berlusconi abdicherà…
Un nuovo centro-destra dalle “mani pulite” … ?
E ciò che secondo fonti confidenziali si sarebbero mormorati il 23 giugno scorso sui banchi di Montecitorio.
L’avvicinamento di Di Pietro all’acerrimo nemico e i successivi cambiamenti nella strategia dello scaltro leader del partito della corruzione sembrerebbero andare in questa direzione.

Contratto tra avvocato e cliente: il foro è sempre quello esclusivo del consumatore

Cassazione civile, sez. III, Ordinanza 09.06.2011 n° 12685.

La Cassazione, con l’ordinanza 9 giugno 2011, n. 12685, emessa in sede di regolamento di competenza, ha confermato la sentenza del 19 febbraio 2010, con la quale il Tribunale di Roma si dichiarava incompetente in favore del Foro esclusivo del Consumatore opponente a decreto ingiuntivo (nella specie il Tribunale di Larino).
Si tratta di un’importante pronuncia che sancisce un prinicipio di civiltà giuridica e di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, anche a tutela del diritto di difesa, ex art. 24 Cost. del soggetto più debole, confermando l’evoluzione della giurisprudenza interna alle normative europee in materia di tutela dei consumatori.
Presso quest’ultimo Foro è infatti residente il cliente che aveva promosso opposizione a decreto ingiuntivo in favore del suo ex legale in relazione a compensi professionali asseritamente non onorati.

Il legale propone regolamento di competenza eccependo l’inapplicabilità delle norme a tutela del consumatore in quanto il credito nei confronti del debitore opponente si sarebbe formato nell’ambito della sua professione di insegnante e pertanto sulla base di tale pressuposto invocava l’applicabilità del foro speciale alternativo per notai ed avvocati, di cui al terzo comma dell’art. 637 c.p.c.

La Cassazione ritiene infondata la tesi dell’avvocato argomentando che nel rapporto tra il foro speciale alternativo di cui al terzo comma dell’art. 637 c.p.c. ed il foro esclusivo del consumatore di cui all’art. 33, comma 2, lettera n) del d.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005 prevale quest’ultimo. Richiama il proprio consolidato orientamento che ritiene esclusivo e speciale il foro del consumatore, considerando presuntivamente vessatoria, e quindi nulla, la clausola che stabilisca come sede del foro competente un luogo diverso da quello di residenza o domicilio elettivo del consumatore, pure nell’ipotesi ove il foro indicato come competente coincida con uno dei fori di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c.

La Suprema Corte smentisce pertanto l’eccezione sollevata dall’avvocato in merito alla non riconducibilità della normativa in tema di consumatori al caso di specie, in quanto l’avvocato che conclude un contratto d’opera intellettuale rappresenta un professionista ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 206 del 2005, ricordando le definizioni fornite dal codice del consumo e dalla direttiva comunitaria da cui ha tratto origine.

La Corte infine analizza l’ulteriore questione concernente la locuzione “scopo estraneo all’attività professionale” se si riferisca o meno ad attività differenti da quelle di lavoratore dipendente. La Corte, sulla scia di alcune precedenti sentenze nelle quali il lavoratore subordinato veniva riconosciuto quale “parte debole” del rapporto contrattuale, afferma che il rapporto di lavoro subordinato non integra attività di natura professionale idonea a far ritenere sussistente la qualità di professionista e quindi escludendo la qualifica di consumatore.
Ciò premettendo la Corte elimina ogni dubbio circa la prospettata qualificazione operata dal ricorrente nei confronti dell’insegnante – lavoratore dipendente, come “professionista”.

Testo integrale

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Ordinanza 4 maggio – 9 giugno 2011, n. 12685

(Presidente Preden – Relatore Segreto)

Fatto e diritto

1. L’avv. E.M. ha ottenuto dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di Ma.Sa. per un credito di Euro. 14.473,88 a titolo di compenso per prestazioni professionali di avvocato in un giudizio promosso davanti al Tar Molise e davanti al Consiglio di Stato, relativo all’orario di insegnamento del Ma. , quale professore di scuola pubblica. Il Ma. proponeva opposizione, eccependo tra l’altro l’incompetenza territoriale del tribunale di Roma ed in via gradata, sollevando l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 637, e. 3, c.p.c.

Il tribunale di Roma, con sentenza depositata il 19.2.2010, dichiarava la propria incompetenza per territorio, essendo competente il tribunale di Larino, quale foro del consumatore, avendo il Ma. la propria residenza in quel circondario.

Avverso tale sentenza, l’attore avv. E.M. proponeva regolamento di competenza adducendo che nel caso di specie non fosse applicabile la previsione sul foro del consumatore, in quanto nel rapporto tra avvocato e cliente non operava la normativa a tutela del consumatore che si riferiva solo alle attività commerciali; che il Ma.Sa. non poteva considerasi un consumatore, in quanto aveva conferito mandato all’avvocato riguardo ad una controversia che rientrava nel quadro della sua professione di insegnante; che in ogni caso avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 637, comma 3, c.p.c. L’avv. M. ha presentato anche memoria. Resiste l’intimato con controricorso.

2. La decisione sulla competenza passa necessariamente attraverso la soluzione di tre questioni.

Il primo problema che si pone nella fattispecie attiene al rapporto tra il foro speciale alternativo di cui all’art. 637, c. 3, c.p.c. in favore degli avvocati (e dei notai), ed il foro esclusivo del consumatore di cui attualmente all’art. 33, c. 2 lett. n) del d.lgs. 6.9.2005 n. 206.

Il punto è oggetto di soluzioni contrastanti nella giurisprudenza di merito, mentre mancano sentenze di legittimità.

L’art. 63 7 c.p.c. statuisce che “Per l’ingiunzione è competente il giudice di pace o, in composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria. Per i crediti previsti nel n. 2 dell’articolo 633 è competente anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce.

Gli avvocati o i notai possono altresì proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono”. L’art. 33, c. 2, lett. u), del d.lgs. 6.9.2005, n. 206,statuisce in tema di contratti c.d. del consumatore che si presume vessatoria fino a prova contraria la clausola che ha per oggetto, o per effetto, di “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”.

3.Va anzitutto rilevato che l’art. 637, c. 3, c.p.c. ha superato indenne lo scrutinio di costituzionalità, a cui è stato sottoposto dal Giudice delle leggi con sentenza n. 50 del 2010, in relazione agli artt. 3 e 25 Cost.. La Corte costituzionale ha solo rilevato che lo scopo della norma è quello di agevolare il professionista, che sarebbe invece costretto a seguire le cause relative al recupero dei crediti professionali in luogo diverso (o addirittura in luoghi diversi) da quello in cui egli avesse attualmente stabilito l’organizzazione della propria attività professionale, ma che la censura di incostituzionalità non può ritenersi fondata sotto il profilo della disparità di trattamento in relazione ad altre categorie professionali, che non possono avvalersi della stessa norma. Infatti “si deve osservare che ogni professione presenta caratteri peculiari idonei a giustificarne una disciplina giuridica differenziata. Per la professione legale tali caratteri sono stati già posti in luce con la sentenza di questa Corte n. 137 del 1975. Infine, quanto al rapporto tra l’avvocato e il cliente, se è vero che la norma censurata attribuisce al primo una facoltà processuale ai fini del recupero dei suoi crediti per prestazioni professionali, mediante la possibilità di scegliere un foro che può non coincidere con la residenza o il domicilio del debitore convenuto, è anche vero che tale facoltà non contrasta con il principio di eguaglianza, essendo essa, come già si è notato, frutto di una scelta non irragionevole del legislatore”.

4.1. La giurisprudenza ha ritenuto in tema di c.d. contratti del consumatore, che il foro del consumatore è esclusivo e speciale sicché la clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore, anche se il foro indicato come competente coincida con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.c., è presuntivamente vessatoria e, pertanto, nulla (Cass. 26/09/2008, n. 24262).

Già sotto la vigenza dell’art. 1469 bis c.p.c. le S.U. di questa Corte hanno ritenuto che la norma contenuta nel comma 3, n. 19 nel presumere la vessatorietà della clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore, ha introdotto un foro esclusivo speciale, derogabile dalle parti solo con trattativa individuale. Ne consegue che è da presumere vessatoria anche la clausola che stabilisca un foro coincidente con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 cod. proc. civ., se è diverso quello del consumatore, perché l’art. 1469-ter, terzo comma, cod. civ. – per il quale non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge – non può essere interpretato vanificando in modo surrettizio la tutela del consumatore, come nel caso in cui il “forum destinatae solutionis” coincida con la residenza del professionista (Cass. Sez. Unite, 01/10/2003, n. 14669; Cass. 20/08/2004, n. 16336).

Pertanto con l’introduzione del foro speciale esclusivo in favore del consumatore (originariamente introdotto dall’art. 1469 bis c.c. e poi trasferito nell’art. 33 del d. lgs. n. 206/2005) risulta ridotto l’ambito di applicabilità dell’originario foro speciale alternativo di cui all’art. 637, c. 3, c.p.c., non regolando anche l’area attualmente coperta dal foro del consumatore, ma esclusivamente quella in cui il cliente ingiunto non rivesta tale qualità.

A rigore non si tratta propriamente di una abrogazione dell’art. 637 e. 3 c.p.c., sia pure parziale, per incompatibilità ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, in quanto le due norme in esame convivono (e ciò non solo in relazione alle diverse delimitazioni suddette ma anche perché l’art. 34 d. lgs. n. 206/2005 non esclude in modo assoluto la deroga al foro del consumatore, e quindi anche l’applicabilità della norma codicistica, ma indica le ristrette condizioni alla quali può essere ammessa).

Tuttavia, allorché si versa in una fattispecie in cui, per la presenza sia dell’avvocato che del cliente-consumatore entrambe le norme sarebbero astrattamente applicabili ma necessariamente deve darsi la prevalenza o all’una o all’altra, tale prevalenza va accordata alla norma in tema di foro del consumatore per una duplice ragione.

Anzitutto perché la norma in tema di foro del consumatore individua una competenza esclusiva, che prevale su ogni altra, pur configurata da altra norma (così SU 14669/2003 cit.).

Inoltre detta prevalenza è conseguenza dell’applicazione dei principi che regolano la successione delle leggi nel tempo.

4.2.Né potrebbe sostenersi che tale disciplina prevista dall’art. 637, c. 3, c.p.c., per quanto anteriore rispetto al c.d. codice del consumo non sia stata influenzata dalla successiva disciplina in tema di foro del consumatore, costituendo la norma codicistica una disposizione speciale e, come tale non derogata dalla disposizione successiva generale (perché regolante organicamente l’intera materia della tutela del consumatore) secondo il principio lex specialis derogat legi generali e lex posterior generalis non derogat legi priori speciali.

Infatti l’art. 33, c. 2, lett. u), d. lgs. n. 206/2005 cit., per quanto posizionato in una normativa a carattere generale a tutela del consumatore, rappresenta pur sempre una disposizione speciale in tema di competenza territoriale, non diversamente dalla norma di cui all’art. 637, c. 3 c.p.c., che è posizionata nell’ambito del codice di rito e, quindi, della disciplina generale ed organica del procedimento civile.

4.3. In ogni caso, in merito alla qualità di lex specialis della norma attinente al foro esclusivo del consumatore, va osservato che tale foro era stato originariamente disposto dall’art. 1469 bis e. 3, n. 19 c.c. (introdotto con l’art. 25 della l. n. 52/1996). In quella sede tale l’individuazione del foro costituiva certamente una lex specialis a tutela del consumatore, con la conseguenza che per effetto del coordinamento di tale disposizione speciale sopravvenuta con quella antecedente di cui all’art. 637, c. 3, quest’ultima risultava delimitata ai soli casi in cui il cliente non fosse un consumatore.

La circostanza che la norma speciale in tema di foro esclusivo del consumatore sia poi stata trasferita nella più generale normativa a tutela del consumatore, di cui alla legge n. 206 del 2005, non priva la norma attinente al foro del consumatore del carattere di specialità né “riassorbe” gli effetti delimitativi già prodottisi sull’art. 637, c. 3 c.p.c.

Entrambe le norme (sia quella di cui all’art. 637, e. 3, che quella di cui all’art. 33 d. lgs. n. 205/2006) attengono infatti a categorie specifiche di soggetti.

Ne consegue che il loro concorso va regolato nei termini della prevalenza della norma di cui all’art. 33, c. 2, lett. u, d. lgs. n.2006/2005 su quella di cui all’art. 637, e. 3 c.p.c.

4.4. Di nessun rilievo, ai fini della questione in esame, è la sentenza 20.7.2010 n. 17049 di questa Corte, su cui si dilunga il ricorrente nella memoria. Essa infatti si è limitata a statuire che il Consiglio dell’Ordine in relazione al quale va determinato il giudice competente a norma dell’art. 637, c. 3, c.p.c. è quello relativo al momento della proposizione del ricorso. Nessun elemento da tanto si ricava in relazione alla diversa questione in esame della concorrenza tra il foro dell’avvocato e quello del consumatore.

5.1. La seconda questione che si pone è di esaminare se l’avvocato che conclude un contratto d’opera professionale intellettuale sia da ritenersi un professionista, ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 206/2005.

La risposta è affermativa.

Invero, appare innanzitutto infondato l’assunto del ricorrente con il quale, facendosi riferimento al preambolo della direttiva comunitaria 5 aprile 1993 n. 93/13 CEE, da cui ha tratto origine la normativa nazionale sul consumatore, si sostiene che il rapporto tra avvocato e cliente esulerebbe dalla normativa de qua, in quanto l’attività del legale non rientrerebbe tra le “attività commerciali”, a cui soltanto la stessa normativa si riferirebbe, sostanziandosi in un’opera intellettuale basata sull’intuitu personae, di modo che l’avvocato non potrebbe essere annoverato tra i professionisti a cui si applica la normativa comunitaria.

5.2. Va, al contrario, rilevato che la direttiva comunitaria del 5.4.19 93, n. 93/13 CEE non limita il suo ambito di applicazione alle “attività commerciali”, come comunemente intese. Anzi la predetta direttiva comunitaria, al suo decimo “considerando”, afferma espressamente la sua applicabilità “a qualsiasi contratto stipulato tra un professionista e un consumatore”, eccezion fatta per alcuni contratti espressamente enucleati.

Il D.lgs. n. 206/2005 all’art. 3 lett. a), come modificato dall’art. 3, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221 definisce il consumatore come: “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Lo stesso art. 3 (mod. dal d.lgs. n. 221/2007), alla lett. c) definisce il professionista come: “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”. Questa definizione di professionista, così come quella di consumatore, fa riferimento all’esercizio dell’attività “imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale” che, nel nostro ordinamento, rispecchia la distinzione tra imprenditore, artigiano e prestatore d’opera professionale.

6.1. È evidente, quindi, che la disciplina del consumatore si applica anche al professionista prestatore d’opera intellettuale (art. 2229 c.c.), qual’è l’avvocato.

A tal fine, peraltro, a nulla rileva che il rapporto tra l’avvocato e il professionista sia caratterizzato dall’intuitu personae e sia, non di contrapposizione, ma di collaborazione (questo, tra l’altro, solo nei rapporti esterni con i terzi, ossia con le controparti del cliente), non rientrando tale circostanza nel paradigma normativo.

Nella fattispecie si versa nell’ipotesi di contratto (d’opera professionale) stipulato tra un professionista (l’avvocato), che tipicamente conclude quel tipo di contratto nella sua attività professionale, ed un cliente, il quale, a seconda delle circostanze, può esser un consumatore o meno (come si vedrà in seguito).

Invero, è evidente che un avvocato utilizza il contratto (di mandato per la rappresentanza e difesa giudiziale o extragiudiziale di un cliente) per agire nell’esercizio della propria attività professionale ed è, pertanto, da considerare un professionista, secondo la definizione data a tale figura dal legislatore nell’art. 3, lett. u) del citato D.lgs. n. 206/2005.

6.2. Ora, il professionista è colui che nell’esercizio della sua attività “utilizza” i contratti previsti dalla disciplina a tutela del consumatore. Il punto era espressamente dichiarato nel previgente art. 1469 bis c.c.; l’inciso non è stato poi riprodotto nel codice del consumo unicamente per il fatto che la definizione viene riferita, in apertura di codice, non solo alla disciplina dei contratti del consumatore ma del consumo in genere. Tuttavia non pare revocabile in dubbio che l’utilizzo del contratto da parte del professionista quale ordinario strumento per l’esercizio della propria attività sia uno dei presupposti sostanziali della normativa in esame.

6.3. Quanto alla prestazione professionale, lo stesso articolo 3 del cod. cons. alla lett. e) individua nel “prodotto” destinato al consumatore anche una “prestazione di servizi”.

A questo fine va rilevato che già questa Corte aveva affermato con ordinanza 26/09/2008, n. 24257, l’applicabilità dell’art. 33 lett. u) del citato D.lgs 6.9.2005, n. 206, in tema di foro del consumatore nell’ambito di un giudizio instaurato dall’avvocato nei confronti del proprio cliente per competenze professionali, rilevando la prevalenza di detto foro esclusivo rispetto a quelli facoltativi di cui all’art. 20 c.p.c. (non si faceva questione -invece – del rapporto tra foro esclusivo del consumatore e quello alternativo speciale di cui all’art. 637, c. 3, c.p.c.) 6.4.Più in generale questa Corte ha già ritenuto che il prestatore di opera professionale intellettuale (nella fattispecie il medico) integra la figura del professionista di cui all’art. 1469 bis (abrogato) e. e. e quindi dell’attuale art. 3 cod. cons. (Cass. 20/03/2010, n. 6824; Cass. 27/02/2009, n. 4914, Cass. 2/01/2009, n. 20), con la conseguenza che opera per il cliente – consumatore – il foro esclusivo della propria residenza. In questi predetti arresti si è rilevato che è professionista – ai fini dell’applicazione della disciplina sui contratti del consumatore, – una persona che assume verso l’altra l’impegno di svolgere a suo favore un compito da professionista intellettuale, se l’impegno è assunto nel quadro di un’attività svolta in modo non occasionale.

6.5. Né la disciplina di protezione del consumatore è limitata al caso in cui il contratto sia concluso per iscritto con rinvio a condizioni generali di contratto o mediante moduli o formulari, come pure si evince sia dall’art. 35 del codice del consumo (e già dall’art. 1469 quater cod. civ.), sia dall’art. 34, comma 5 del citato codice e già dall’art. 1479 ter c.c., comma 5, che considerano tali ipotesi come eventuali e le elevano a presupposto della applicazione di ulteriori disposizioni di tutela del consumatore.

Il che è del resto conforme a quanto risulta in modo espresso da uno dei “considerando” che introducono alla direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati dal consumatore, dove è scritto che “il consumatore deve godere della medesima protezione nell’ambito di un contratto orale e di un contratto scritto”.

Inoltre la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che sia “professionista” il prestatore d’opera intellettuale anche quando si è discusso e risolto negativamente il quesito se della tutela del consumatore possa egli fruire per contratti conclusi nel quadro della sua attività professionale (Cass. 5 giugno 2 007 n. 13083; 9 novembre 2006 n. 23892, quest’ultima con specifico riferimento alla professione di avvocato).

7.Ne consegue che, per effetto dell’applicabilità dell’art. 33 lett. u) d.lgs. n. 2 05/2 006, il foro alternativo speciale di cui all’art. 637, e. 3 c.p.c. opera solo nell’ipotesi in cui il cliente, tenuto alla prestazione del corrispettivo all’avvocato, sia una persona giuridica oppure – nell’ipotesi in cui il cliente sia una persona fisica – che esso non rivesta la qualità di consumatore e, quindi, che abbia richiesto la prestazione professionale all’avvocato per uno scopo estraneo alla sua attività imprenditoriale,commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (l’art. 15 del Reg. CE 44/2001 utilizza il sintagma X1scopo estraneo all’attività”).

8.1-Si pone a questo punto la terza questione: Se, ai fini dell’individuazione del consumatore, con la locuzione “scopo estraneo all’attività professionale” ci si riferisca necessariamente ad “attività professionale” diversa da quella del lavoratore dipendente.

Secondo il ricorrente, infatti, poiché il Ma. gli aveva richiesto l’attività professionale di avvocato relativamente ad atti in merito all’orario di insegnamento, la prestazione richiesta non era estranea all’attività professionale di insegnante del Ma. , con la conseguenza che questi non era un consumatore, ma a sua volta un professionista, per cui non poteva invocare il foro del consumatore.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale italiano prevalente (Cass. S.U. n. 7444 del 20/03/2008) deve essere considerato consumatore e beneficia della disciplina di cui all’art. 1469 bis c.c. e segg., ed attualmente D.Lgs. n. 2006 del 2005, artt. 3 e 33 e segg., la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività; mentre deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che invece utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale e professionale, ricomprendendosi in tale nozione anche gli atti posti in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’impresa (cfr. anche Cass. 23/02/2007, n. 4208).

8.2.Non sono mancate critiche a tale orientamento, finalizzate ad un’interpretazione estensiva del concetto di consumatore, fondata sulla distinzione tra atti della professione e atti inerenti alla professione e con la tendenza ad escludere dall’ambito di applicazione della tutela dei consumatori solo quegli atti che presentino una pertinenza specifica con l’attività professionale svolta e non quelli in cui il collegamento sia riconducibile ad un rapporto di pertinenza generica, sul presupposto che in tali situazioni il soggetto vessato, pur agendo per finalità diverse dal puro consumo privato, è sostanzialmente un profano, sfornito di quelle competenze specifiche che possono farlo ritenere in posizione di parità con il contraente forte, con conseguente asimmetria informativa.

8.3. Sennonché non vi sono ragioni per discostarsi dall’orientamento già espresso da queste S.U. e sopra indicato. Va, anzi, osservato che la tesi è corroborata dalla definizione di consumatore fornita nell’ambito del commercio elettronico (art. 2, lett. e), D.lgs. 9.4.2003, n.70): questa normativa prevede che anche la mera riferibilità dell’atto all’attività professionale svolta dalla persona fisica impedisce che quest’ultima possa essere qualificata come consumatore.

8.4. Ne consegue che anche la persona fisica che abbia richiesto all’avvocato la sua prestazione professionale per una questione non estranea alla sua attività imprenditoriale o professionale, sia pure occasionale, non ha la qualità di consumatore e quindi non può beneficiare del foro di cui all’art. 33, c. 2 lett. u) d.lgs. n. 205/2006, mentre rimane soggetto al foro alternativo di cui all’art. 637, c. 3 c.p.c.

9.1. Sotto questo profilo non può essere condiviso l’argomento sotteso alla sentenza impugnata e fatto proprio dal resistente, secondo cui nella fattispecie il contratto di prestazione di opera professionale intervenuto tra l’avvocato ed il cliente non costituiva un atto finalizzato alla sua attività di professore di scuola pubblica statale, svolta dal cliente, per cui questi non era un consumatore.

Poiché nella fattispecie, invece, come emerge dalla sentenza impugnata, il mandato professionale era stato conferito, dall’opponente all’opposto per ottenere l’annullamento dal TAR del provvedimento di smembramento delle ore di insegnamento del Ma. , insegnante di topografia, costruzioni rurali e disegno presso istituti tecnici, tale prestazione difensiva richiesta, non era estranea all’attività del cliente, come rileva il ricorrente.

9.2.Osserva, quindi, questa Corte che se la questione della qualità di professionista (e quindi di non consumatore) dovesse essere impostata solo nei termini di inerenza della prestazione difensiva richiesta con l’attività svolta dall’opponente (cliente), nella fattispecie dovrebbe necessariamente concludersi che la prestazione richiesta all’avvocato non era “estranea” alla stessa, poiché atteneva espressamente a tale attività di insegnante del cliente.

Sennonché tale assunto si fonda su un presupposto errato e cioè che si possa predicare, ai fini che qui interessano, l’equazione tra “attività lavorativa” ed “attività professionale”.

Invece nella fattispecie la disciplina dei c.d. contratti del consumatore trova applicazione non perché manchi l’inerenza tra il contratto concluso con l’avvocato e l’attività lavorativa di insegnante del cliente, ma perché tale attività lavorativa, trattandosi di lavoro subordinato, non è qualificabile come “attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale”, come richiesto dalla legge e sostenuto dal ricorrente.

Solo se il soggetto persona fisica agisce per uno scopo relativo ad una di queste quattro “attività”, è esclusa la qualità di consumatore, subentrando invece la qualità di professionista. 10.1.Ritiene questa Corte che il rapporto di lavoro subordinato (sia privato che pubblico), contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non integri “attività professionale”, idonea (ai sensi dell’art. 3 d. lgs. n. 206/2005) a far ritenere sussistente la qualità di professionista e, per converso, escludere quella di consumatore.

Infatti anzitutto la disciplina relativa alla tutela del consumatore individua nel professionista un soggetto che opera direttamente sul mercato per un’attività imprenditoriale artigianale, commerciale o professionale, svolgendo su tale mercato un’attività economica, tendenzialmente nei confronti di tutti i soggetti che possono richiederla.

A fronte di tale attività vi è il consumatore, quale persona fisica, che, se non ha egli stesso in relazione a quel contratto la qualità di professionista, rappresenta la parte debole. Nel rapporto di lavoro subordinato, invece, il lavoratore non svolge sul mercato la propria attività economica, ma effettua la sua prestazione lavorativa esclusivamente con l’inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa del datore di lavoro (Cass. civ., Sez. lavoro, 14/09/2009, n. 19770), e solo l’attività di quest’ ultimo è un’attività imprenditoriale, commerciale o artigianale o professionale (e non quella dei soggetti che all’interno svolgono per lui l’attività lavorativa dipendente).

Peraltro sarebbe ben strano che il lavoratore dipendente, all’interno del rapporto di lavoro, sia considerato la parte debole (Cass. 12/02/2004, n. 2734), mentre quando poi “agisce nell’esercizio della propria attività”, ai fini del codice del consumo sia considerato un “professionista”, parte forte. Ulteriori elementi per escludere che nel concetto di “attività professionale” rientri anche l’attività lavorativa conseguente a rapporto di lavoro emergono dal decimo “considerando” alla direttiva 93/13/CEE, che ai contratti di lavoro ha attribuito una propria autonomia.

10.2.In definitiva con il sintagma “attività professionale”, di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 206/2005, come modificato dal D.Lgs. 23 ottobre 20 07, n. 221, ai fini della qualificazione del soggetto – persona fisica – come professionista, deve intendersi solo l’attività consistente nella prestazione autonoma d’opera professionale intellettuale (oltre all’attività imprenditoriale, commerciale ed artigianale, espressamente previste dalla norma), con esclusione quindi dell’attività di lavoro dipendente, sia pubblico che privato.

11. Nella fattispecie, poiché si versa in ipotesi di un contratto d’opera professionale intellettuale tra l’avvocato opposto ed il consumatore opponente, trova applicazione il foro esclusivo di quest’ultimo, a norma dell’art. 33, c. 2, lett. u) del d.lgs. 6.9.2005, n. 206, e non il foro di cui all’art. 637, c. 3, c.p.c. Quindi va affermata la competenza territoriale del tribunale di Larino, come correttamente statuito dalla sentenza impugnata. Stante la novità della questione in questa sede di legittimità ed il contrasto nella giurisprudenza di merito, esistono giusti motivi per compensare le spese di questo regolamento.

P.Q.M.

Dichiara la competenza per territorio del tribunale di Larino. Compensa tra le parti le spese di questo regolamento.

(Altalex, 29 giugno 2011)

Lea Garofalo sciolta nell'acido con la complicità dello Stato

Lea Garofalo, nonostante il suo struggente appello alla più alta carica della magistratura e dello Stato, che di seguito pubblichiamo integralmente, è stata rapita in pieno centro a Milano, capitale della ‘ndrangheta e del narcotraffico, torturata e uccisa con un colpo alla testa, per infine venire sciolta nell’acido.

Il caso che approderà avanti la Corte d’Assise a partire dal prossimo 9 luglio, secondo modalità da copione in altri delitti di mafia, è stato derubricato dai giudici di Milano: da omicidio a scopo mafioso a delitto passionale.

A rivelarlo è stato il legale della famiglia della vittima, Roberto D’Ippolito, che si è detto deluso da questa decisione e pronto a chiedere il riconoscimento della modalità mafiosa.

Signor Presidente della Repubblica, chi le scrive è una giovane madre, disperata allo stremo delle sue forze, psichiche e mentali in quanto quotidianamente torturata da anni dall’assoluta mancanza di adeguata tutela da parte di taluni liberi professionisti, quali il mio attuale legale che si dice disponibile a tutelarmi e di fatto non risponde neanche alle mie telefonate Siamo da circa 7 anni in un programma di protezione provvisorio. In casi normali la provvisorietà dura all’incirca 1 anno, in questo caso si è oltrepassato ogni tempo e, permettetemi, ogni limite, in quanto quotidianamente vengono violati i nostri diritti fondamentali sanciti dalle leggi europee.

IL MIO AVVOCATO NON MI TUTELA

Il legale assegnatomi dopo avermi fatto figurare come collaboratrice, termine senza che mai e dico mai ho commesso alcun reato in vita mia. Sono una donna che si è sempre presa la responsabilità e che da tempo ha deciso di rompere ogni tipo di legame con la propria famiglia e con il convivente. Cercando di riniziare una vita all’insegna della legalità e della giustizia con mia figlia. Dopo numerose minacce psichiche, verbali e mentali di denunciare tutti. Vengo ascoltata da un magistrato dopo un mese delle mie dichiarazioni in presenza di un maresciallo e di un legale assegnatomi, mi dissero che bisognava aspettare di trovare un magistrato che non fosse corrotto dopo oltre un mese passato scappando di città in città per ovvie paure e con una figlia piccola, i carabinieri ci condussero alla procura della Repubblica di C. e lì fui sentita in presenza di un avvocato assegnatomi dalla stessa procura.

Questi mi comunicarono di figurare come collaboratore, premetto di non aver nessuna conoscenza giuridica, pertanto il termine di collaboratore per una persona ignorante, era corretto in quanto stavo collaborando al fine di arrestare dei criminali mafiosi. Dopo circa tre anni il mio caso passa ad un altro magistrato e da lui appresi di essere stata mal tutelata dal mio legale.

HO PERSO TUTTO E SIAMO ISOLATE

Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia isolata da tutto e da tutti, ho perso tutto, la mia famiglia, ho perso il mio lavoro (anche se precario) ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di futuro, ma questo lo avevo messo in conto, sapevo a cosa andavo incontro facendo una scelta simile.

Quello che non avevo messo in conto e che assolutamente immaginavo, e non solo perché sono una povera ignorante con a mala pena un attestato di licenza media inferiore, ma perché pensavo sinceramente che denunciare fosse l’unico modo per porre fine agli innumerevoli soprusi e probabilmente a far tornare sui propri passi qualche povero disgraziato sinceramente, non so neanche da dove mi viene questo spirito, o forse sì, visti i tristi precedenti di cause perse ingiustamente da parte dei miei familiari onestissimi! Gente che si è venduta pure la casa dove abitava, per pagare gli avvocati e soprattutto, per perseguire un’idea di giustizia che non c’è mai stata, anzi tutt’altro! Oggi e dopo tutti i precedenti, mi chiedo ancora come ho potuto, anche solo pensare che in Italia possa realmente esistere qualcosa di simile alla giustizia, soprattutto dopo precedenti disastrosi come quelli vissuti in prima persona dai miei familiari.

CONOSCO GiA’ IL MIO DESTINO CHE MI ASPETTA

Eppure sarà che la storia si ripete che la genetica non cambia, ho ripetuto e sto ripentendo passo dopo passo quello che nella mia famiglia è già successo, e sa qual è la cosa peggiore? La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi spetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte! Inaspettata indegna e inesorabile e soprattutto senza la soddisfazione per qualche mio familiare è stato anche abbastanza naturale se così si può dire, di una persona che muore perché annega i propri dolori nell’alcol per dimenticare un figlio che è stato ucciso per essersi rifiutato di sottostare ai ricatti di qualche mai mafioso di turno. Per qualcun altro è stato certamente più atroce di quanto si possa immaginare lentamente, perché questo visti i risultati precedenti negativi si è fatto giustizia da solo e , si sa, quando si entra in certi vincoli viziosi difficilmente se ne esce indenni tutto questo perché le istituzioni hanno fatto orecchie da mercante!

CREDO ANCORA NELLA GIUSTIZIA

Ora con questa mia lettera vorrei presuntuosamente cambiare il corso della mia triste storia perché non voglio assolutamente che un giorno qualcuno possa sentirsi autorizzato a fare ciò che deve fare la legge e quindi sacrificare se pur per una giustissima causa la propria vita e quella dei propri cari per perseguire un’idea di giustizia che tale non è più nel momento in cui ce la si fa da soli e, con metodi spicci.

Vorrei Signor Presidente, che con questa mia richiesta di aiuto lei mi rispondesse alle decine, se non centinaia di persone che oggi si trovano nella mia stessa situazione. Ora non so, sinceramente, quanti di noi non abbiamo mai commesso alcun reato e, dopo aver denunciato diversi atti criminali, si sono ritrovati catalogati come collaboratori di giustizia e quindi di appartenenti a quella nota fascia di infami, così comunemente chiamati in Italia, piuttosto che testimoni di atti criminali, perché le posso assicurare, in quanto vissuto personalmente che esistono persone che nonostante essere in mezzo a situazioni del genere riescono a non farsi compromettere in nessun modo a ad avere saputo dare dignità e speranza oltre che giustizia alla loro esistenza.

Lei oggi, signor presidente, può cambiare il corso della storia, se vuole può aiutare chi, non si sa bene perché, o come, riesce ancora a credere che anche in questo paese vivere giustamente si può nonostante tutto!

La prego signor presidente ci dia un segnale di speranza, non attendiamo che quello, e a chi si intende di diritto civile e penale, anche voi aiutate chi è in difficoltà ingiustamente!

Personalmente non credo che esiste chissà chi o chissà cosa, però credo nella volontà delle persone, perché l’ho sperimentata personalmente e non solo per cui, se qualche avvocato legge questo articolo e volesse perseguire un’idea di giustizia accontentandosi della retribuzione del patrocinio gratuito e avendo in cambio tante soddisfazioni e una immensa gratitudine da parte di una giovane madre che crede ancora in qualcosa vagamente reale, oggi giorno in questo paese si faccia avanti, ho bisogno di aiuto, qualcuno ci aiuti. Please!”

Una giovane madre disperata

(Tratto dal “Quotidiano della Calabria” Giovedi 2 Dicembre 2010)

IL PROCESSO GIA’ SVUOTATO DELL’ACCUSA PRINCIPALE

La tremenda storia di Lea Garofalo e dei suoi feroci aguzzini protetti dallo Stato torna da qualche giorno a smuovere le coscienze degli italiani e dei palazzi del potere.

Il processo approderà avanti la Corte d’Assise a partire dal prossimo 9 luglio, ma secondo un copione che ricorda quello dell’Autoparco e di tanti altri delitti di mafia, è già stato svuotato dai giudici di Milano, che hanno derubricato il capo di accusa da omicidio a scopo mafioso a delitto passionale. A rivelarlo è stato lo stesso legale della famiglia della vittima, Roberto D’Ippolito, che si è detto deluso da questa decisione e pronto a chiedere il riconoscimento della modalità mafiosa.

I responsabili dell’omicidio della giovane madre coraggio barbaramente uccisa dalle cosche che controllano la lombarda insaguinata pianura padana hanno già messo a segno una prima vittoria, che toglie dignità e valore morale all’esemplare sacrificio di Lea Garofalo e Denise. E’ una storia vile e raccapricciante destinata a lasciare una macchia indelebile sulla coscienza del Paese e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla, DDA di Milano e Reggio Calabria in primis.

Il caso balza alle cronache giudiziarie nel 2009, quando la Procura di Campobasso apre un fascicolo per sequestro di persona, contro ignoti. In realtà secondo le procure Lea Garofalo, ex collaboratrice di giustizia, ha subito una sorte orribile: rapita a Milano e poi sciolta nell’acido in un capannone nel monzese; dietro questo gesto atroce risiede la mano della ‘ndrangheta e dell’ex marito della donna, Carlo Cosco.

La vicenda ha come fulcro la “casa dei calabresi” a Milano, in via Montello, palazzo in centro cittadino dove verso la fine degli anni Ottanta si stabilirono alcuni affiliati della cosca dei Garofalo, tra cui esponenti della famiglia Cosco.

In quello stesso palazzo, di proprietà dell’Ospedale Maggiore, è arrestato il fratello di Lea nel 1996 (morirà nel 2005 in un attentato a Pagliarelle, frazione di Petilia Policastro) e trova rifugio il cugino di Carlo Cosco, Vito Cosco, noto alla cronaca nera per la Strage di Rozzano, in cui persero la vita “accidentalmente”, oltre alla vittima designata, anche un pensionato e una bambina di tre anni. Lo stesso Vito Cosco, detto Sergio, sarà poi arrestato nel 2010 per il sequesto e l’omicidio di Lea Garofalo, assieme a Sabatini e all’ex convinvente della donna.

Lea Garofalo, 35 anni, proviene dunque da una famiglia malavitosa di Petilia Policastro, provincia di Crotone; nonostante ciò ha il coraggio di denunciare quanto sente e quanto sa anche di quella casa milanese, in Via Montello, da cui il marito gestisce gli affari illeciti dei Garofalo (soprattutto il traffico di stupefacenti, ma anche estorsioni e riciclaggio) e decide di parlare per la speranza di dare a sua figlia Denise una vita normale, una vita migliore.

Per questo ripone la sua vita e quella della figlia nelle mani dello Stato: diventa “collaboratrice di giustizia” (anche se giustamente come Lei stessa denuncia di reati non ne ha mai comemssi), con un programma provvisorio nel 2002 e inizia a fornire importanti informazioni in merito all’omicidio di Antonio Comberiati avvenuto nel 1995 e delle responsabilità del fratello Floriano Garofalo, di Carlo Cosco e di suo fratello Giuseppe Cosco; parla inoltre della faida scoppiata nel 1975 tra i Mirabelli e i Garofalo a Pagliarelle, che quando era molto piccola le portò via il padre, capocosca di Petilia Policastro.

Nel 2006 la Dda di Catanzaro chiede di rendere definitiva la protezione, ma la richiesta viene respinta dalla Commissione centrale, competente per l’assegnazione della protezione a testimoni di giustizia, perché le sue dichiarazioni non avrebbero avuto rilevanza sufficiente e nessun autonomo sbocco processuale nell’omicidio del fratello legato a fatti estranei alla sua collaborazione. Lea Garofalo fa ricorso al TAR del Lazio, che riconferma la decisione della Commissione centrale giustizia. Solo un successivo appello al Consiglio di Stato annullerà la decisione impugnata del Tar Lazio e della Commissione centrale.

Questo episodio tuttavia incrina profondamente la sua fiducia nello Stato e nelle istituzioni, tanto da spingere Lea ad uscire dal programma, avendo constatato che il suo sacrificio non era servito a nulla, tanto che nessun omicidio da lei denunciato era stato perseguito: durante il periodo in cui lo Stato revoca la protezione Lea e Denise vengono anche privte dell’abitazione, finendo entrambe a dormire in automobile. Spinta dalla disperazione di vedersi voltare le spalle dallo Stato Lea decide dunque di uscire dal programma protezione e di riallacciare i rapporti con il padre della figlia, dal quale crede ancor più ingenuamente di poter venire forse perdonata e/o di ottenere quella pietà che lo Stato non le ha voluto o saputo riconoscere.

Torna a Campobasso, in una casa reperitale dallo stesso Carlo Cosco che però cerca di farla barbaramente uccidere, riuscendo a scampare al primo tentativo di rapimento grazie alla coraggiosa reazione della figlia Denise.

Lea è stretta tra l’incudine e il martello. Da una parte uno Stato complice e/o inerte dall’altra l’uomo che ha doppiamente tradito ma da cui spera una maggiore umanità quantomeno per la giovane figlia Denise. E’ così che dopo essere ancora una volta fuggita con la figlia ritorna a Milano nella tana della ‘ndrangheta. L’idea è quella di trasferirsi definitivamente in Australia anche come lavapiatti e di ottenere un piccolo aiuto per il viaggio dal padre di Denise che si finge paterno e accondiscendente, quando nel febbraio 2009, Lea Garofalo scompare per sempre.

L’ex compagno è il primo sospettato. Assieme a lui è arrestato Massimo Sabatino, che mesi prima aveva tentato di rapire la donna, mentre si trovava a casa con la figlia, fingendosi un idraulico intervenuto per un guasto alla lavatrice e mandato dallo stesso Carlo Cosco.

Era già pronta la vasca d’acido destinata alla donna, un orrore semplicemente rimandato ad un’altra data e ad un altro luogo: 24 novembre 2009, in Lombardia.

Lea Garofalo aveva portato la figlia Denise a Milano per potersi incontrare con il padre della ragazza. Lo scopo doveva essere parlare del suo futuro, ma Lea va incontro al suo orribile destino mentre Denise è con gli zii. La donna, portata in un capannone, viene torturata a lungo con lo scopo di estorcere le informazioni fornite dalla stessa agli inquirenti e vendicarsi per il gesto ritenuto inconcepibile: aver rotto il velo di omertà della famiglia e tradito il “marito”.

Per questo viene sciolta in 50 litri di acido, con lo scopo di non lasciare traccia alcuna e simulare un suo volontario allontanamento garantendo l’impunità dei suoi aguzzini.
Carlo Cosco è il primo a chiamare la polizia, resta con la figlia, che provvede poi a trasferire in Calabria sotto la vigilanza della zia Marisa e di un giovane uomo di sua fiducia con l’incarico di curarne le mosse.

Denise, quando scopre che l’uomo che le fa la corte e con cui si è fidanzata è coinvolto nella morte della madre, tenta la fuga, ma è costretta a tornare, sino al momento in cui decide di seguire le orme della madre per poterle rendere giustizia.

Denuncia il padre e rientra nel programma di protezione. Accanto a lei si costituiscono parte civile la zia, la nonna e il comune di Crotone.

Quando Lea Garofalo viene uccisa con un colpo di pistola alla nuca, dopo essere stata picchiata e torturata, non godeva di alcuna protezione da parte di quello Stato che aveva deciso di servire, a cui aveva affidato tutta se stessa e la vita della figlia.

Lo Stato è un attore ignobilmente alieno a questa vicenda, il cui vuoto pesa come un macigno. Non è e non ha ragion d’essere un alibi il fatto che Lea Garofalo abbia deciso per protesta di ritirarsi dal programma di protezione: lo sarebbe se la decisione non fosse scaturita dall’assenza di qualsiasi esercizio dell’azione penale in relazione ai vari omicidi denunciati e dal totale abbandono e illogica provvisorietà in cui Lea e la figlia sono state costrette a vivere per oltre 7 anni. Crediamo non ci sia modo peggiore per lo Stato di ripagare i propri figli migliori. Lea Garofalo non era una criminale, nonostante la vita difficile e le sue origini è andata controcorrente, ha lottato con grande coragggio per la legalità e un mondo migliore, per amore della figlia Denise e per la sua stessa dignità di donna onesta, per riscattare la sua terra. E, l’unica risposta ottenuta da quelle istituzioni in cui aveva riposto ogni speranza è stato un ignobile e assordante silenzio, anche da parte del Capo dello Stato che ha finto di non avere ricevuto nulla.

Sua figlia Denise ora attende che sia fatta giustizia per sua madre, che i carnefici paghino. Ma sin dalle prime battute la derubricazione del reato da omicidio a scopo mafioso a delitto passionale non promette un giusto processo.

Lo Stato che non ha aiutato Lea Garofalo saprà rispondere alle regole del diritto e al dolore della figlia? Saprà compiere finalmente un atto di vera giustizia o quella di Denise sarà un’altra vita spezzata da sacrificare sull’altare del narcotraffico che controlla sin dagli anni dell’Autoparco della mafia le procure delle industriose città del nord?

Interrogazione parlamentare:

http://www.camera.it/412?idSeduta=387&resoconto=stenografico&tit=00020&fase=00030

Testo della lettera di Lea Garofalo, riflessioni, spunti e ulteriori informazioni:

http://suddegenere.wordpress.com/2010/12/02/una-lettera-pubblicata-tardivamente/

http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=3648:lea-garofalo-lettera-al-capo-dello-stato-prima-di-morire&catid=1:lettere-aperte&Itemid=28

Il Post.it “Chi era Lea Garofalo?”

http://www.ilpost.it/2010/10/18/chi-era-lea-garofalo/

Il Fatto Quotidiano “Lea, mia madre coraggio contro le ‘ndrine”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/05/%E2%80%9Clea-mia-madre-coraggio-contro-le-%E2%80%98ndrine%E2%80%9D/141406/

ACCADE ALLA MADDALENA DI CHIOMONTE

luglio 2011. Una madre di due figli attivista del movimento non violento NO TAV spiega alle forze dell’ordine che hanno militarizzato la valle di Susa le ragioni della protesta.

http://www.youtube.com/watch?v=kjB2QEcp0dU&feature=player_embedded

 

 

SOSPESO DAL C.S.M. E SOTTOPOSTO A UN TENTATO T.S.O. IL MAGISTRATO CHE INDAGAVA SU SETTE E POTERI OCCULTI

ESPRIMIAMO LA NOSTRA SOLIDARIETA’ A PAOLO FERRARO

Prima che venga “suicidato“…

L’INTERVISTA. MAGISTRATO DENUNCIA SETTE E POTERI OCCULTI: IL C.S.M. LO SOSPENDE
http://www.youtube.com/watch?v=YIpuagECY60


Il Dott. Paolo Ferraro è uno di quei P.M. considerati “scomodi” dai quei poteri occulti che governano la stessa magistratura e le istituzioni. E’ applicato presso la procura della Repubblica del tribunale di Roma dove ha sempre svolto il proprio lavoro in maniera encomiabile. Prima di essere sottosposto a procedimento cautelare da parte del C.S.M. stava indagando su una setta satanica diffusa negli ambienti militari.
L’organizzazione su cui indagava il P.M. prima della sospensione è collegata alla vicenda di Carmela Rea, nonché alla morte della donna trovata a Roma priva degli organi.
Come da copione, il magistrato è stato sottoposto a una serie di procedimenti disciplinari, nonché a un tentato TSO (trattamento sanitario obbligatorio).
Minacce sono arrivate a lui e alla sua donna.
Raccogliendo il suo appello cerchiamo di dare la massima diffusione a questo caso, diffondendolo in rete, nella speranza di evitare che, come da copione, il P.M. venga “suicidato”, o gli capitino strani incidenti.
Come riporta il blog di Paolo Franceschetti:
Nella speranza di evitare un altro caso simile a quello del Gip di Milano Clementina Forleo alla quale uccisero i genitori in un anomalo incidente stradale cercando di intimidirla con ogni mezzo.
Nella speranza di evitare un altro caso De Magistris.
Nella speranza di evitare un altro dei tanti casi, meno noti ma altrettanto gravi, di persone che si sono scontrate con il fenomeno delle sette sataniche.
Di recente ad esempio un uomo si è recato alla stazione dei carabinieri di Cura di Vetralla, in provincia di  Viterbo, per denunciare alcuni fatti riguardante una setta satanica. Risultato: nulla è stato fatto e l’uomo è stato rinchiuso in una clinica psichiatrica dopo che gli è stato somministrato il TSO ed è stato denunciato per porto abusivo d’arma dopo una perquisizione effettuata in casa sua.
Il fenomeno del satanismo è diffuso a macchia d’olio su tutto il terreno nazionale (e internazionale), coperto dalla complicità dei media e delle istituzioni, nonché dagli studiosi del settore che ne negano l’esistenza.
Nei prossimi articoli daremo maggiore conto di questa vicenda cercando di capirne meglio i dettagli.

TRIESTE: PROCESSO RITORSIVO AGLI AMBIENTALISTI

PROCESSO AGLI AMBIENTALISTI DI GREENACTION CHE SI OPPONGONO AI RIGASSIFICATORI NEL GOLFO DI TRIESTE

PRIME INCOMPATIBILITA’ DEI GIUDICI DESIGNATI
E’ iniziato il 6 giugno al Tribunale di Trieste, su denuncia di altra associazione ambientalista, il processo per reato di opinione nei confronti di Roberto Giurastante responsabile Greenaction Transnational e portavoce in Italia di AAG (Alpe Adria Green).
L’udienza del 6 giugno pur essendo di smistamento ha già dato indicazioni sulle difficoltà processuali di questo procedimento. Il giudice dello smistamento Filippo Gulotta (presidente della sezione penale del Tribunale di Trieste) si è trovato coinvolto in un’inchiesta disciplinare avviata dal C.S.M. su denuncia dello stesso Giurastante assieme a numerosi altri magistrati del palazzo di giustizia di Trieste. Diventando quindi incompatibile nel processo in cui imputato è appunto Giurastante. Ma il giudice, pur essendo stato debitamente sollevato il problema ben prima dell’udienza, non si è astenuto dal procedimento assumendo inoltre decisioni contro gli imputati in assenza del difensore di fiducia che aveva chiesto il rinvio dell’udienza essendo convalescente in malattia.
Il processo è quindi stato avviato, con questi non lievi vizi procedurali e pregiudiziali nei confronti degli imputati, vistisi ledere gravemente i propri diritti difensivi, e rinviato all’udienza del 21 settembre del 2011 con giudice istruttore Paolo Vascotto. Anche quest’ultimo risulta peraltro essere tra i magistrati oggetto di esposti agli organi inquirenti e disciplinari dell’autorità giudiziaria.
Il problema, non semplice dei conflitti in corso tra gli ambientalisti di Greenaction e parte del Tribunale di Trieste, è stato segnalato agli organi di controllo della magistratura anche in funzione dei procedimenti ora aperti presso le autorità comunitarie. Roberto Giurastante è infatti tra i maggiori oppositori dei terminali di rigassificazione nel Golfo di Trieste fortemente sostenuti dalle autorità italiane ed autore di rilevanti denunce sugli inquinamenti transfrontalieri. E dalle sue denunce sono scaturiti numerosi procedimenti di infrazione tuttora in corso nei confronti dell’Italia. Ma per la sua attività ha subito, oltre che aggressioni giudiziarie, pure pesanti intimidazioni e minacce di morte.
Per approfondimenti sull’udienza del 6 giugno si rimanda al documento “La giustizia nera” di R. Giurastante.

A CHI APPARTIENE IL PORTO DI TRIESTE?

Gentilissima Diana, grazie per averci comunicato le vostre dimostranze per il malfunzionamento del Porto di Trieste e per aver chiesto la solidarietá, sostegno per una collaborazione comune per portare a SOLUZIONE l’oramai insopportabile Questione di Trieste.
L’ultima domanda che hai posto, ” Il Porto di Trieste a che Nazione appartiene? ” ha una risposta talmente chiara quanto semplice: il porto di Trieste comprensivo del Porto Libero di Trieste ed il porto di Koper sono appartenenti a noi cittadini triestini del Territorio Libero di Trieste.
Questa é la LEGGE INTERNAZIONALE che ci definisce e ci consegna i diritti civili politici ed umani che devono servire per il solo scopo  di far funzionare il porto piú a nord e con i fondali piú profondi
dell’Adriatico. Siamo geograficamente piú vicini sia come rotte nautiche, sia come vie terrestri per essere PORTO di un bacino di utenza di 430 milioni di persone. E non abbiamo sicuramente BISOGNO né di italia né di slovenia né di croatia per essere economicamente piú che indipendenti come ci vogliono farci
credere!
La soluzione non sta nella legge italiana o slovena o croata e nelle loro rispettive sedi di potere, come Roma, Lubiana e Zagabria. Ma sta aldilá dell’oceano, sta a New York nella sede delle Nazioni Unite.
Questa é la LEGGE.
Il PRIMO problema a Trieste é la LEGALITÁ. Senza legalitá non si fa niente! non si parte! non si hanno le fondamenta solide per costruire la base del nostro futuro!
Loro vogliono metterti in galera perché protesti per la situazione illegale ed impossibile da sostenere per i lavoratori del porto, ma devi iniziare a capire ed a ragionare ponendoti una domanda: su quale legge loro si appoggiano? La legge italiana?
Come potrai ben scoprire comprendendo lo Status Giuridico del Porto Libero di Trieste e di Trieste e dei Triestini la LEGGE ITALIANA é niente!
Non c’é autoritá italiana riconosciuta internazionalmente che ha diritto di legiferare e governare il Porto Libero di Trieste e nella identificata zona amministrativa A del Territorio Libero di Trieste.
OGGI viviamo costretti nella illegalitá.
Uniamoci e facciamo sentire la nostra voce a New York, all’ONU. Loro sono PER LEGGE, che poi
garantiscono internazionalmente, I GARANTI della Nazione Internazionale di Trieste.
Non pensare che sia una cosa impossibile o difficile, ma sappi che ci sono degli interessi internazionali di mezzo ed é giunta l’ora di usare la LEGGE Internazionale per darci un futuro dignitoso fatto di legalitá e di
ricchezza. Consegnando alle generazioni future un luogo dove poter vivere in serenitá e prosperitá.
Abbiamo giá subito prima, dal 1918 fino al 1943, e poi “provato”, dal 1954 ad oggi, come l’Italia sa governare e sa dare Lavoro,
Svilupo a Trieste e ai Triestini, e abbiamo giá maturato quasi sessanta anni di esperienza di illeciti, violazioni, soprusi, negazioni, ciolte pel cul, de ricever el contentin, oscuramento della portualitá triestina, esaltazione dell’odio etnico, falsa informazione, falsi ideali, false moralitá, cospirazione internazionale, deviazioni continue di traffici verso porti italiani e verso koper (porto triestino in occupazione slovena) tutto a nostro danno, tutto a scapito di noi triestini, popolo autoctono del TLT, per un futuro segnato e
sicuro di miseria ed emigrazione dei nostri figli.
Merita continuare in questa direzione?
Il Comitato per Il Porto Libero di Trieste e l’Associazione dei Cittadini del Territorio libero di Trieste DICE NO!
La direzione da prendere é quella indicata giá nel 18 marzo del 1719, FREIHAFEN und FREISTADT, ovvero come sancito dal vigente Trattato di Pace con l’Italia che ha costituito il Free Territory and Free Port of Trieste. Un Porto ed un Territorio ed una Popolazione INTERNAZIONALE.
Mai come oggi l’internazionalitá di Trieste é la risposta ai nostri bisogni, al futuro dignitoso che dobbiamo affrire ai nostri figli e nipoti, a noi stessi.
Siamo a disposizione per incontri per una azione concreta che riporti Trieste ad esser un PORTO INTERNAZIONALE e riporti Trieste nella LEGALITÁ.
vice presidente COPLT Dott. Franzot Giacomo
Comitato Odbor PLT – LEGALITÁ BORI LAVOR
SVILUPO FUTURO, i cinque pilastri della Nazione Internazionale di Trieste,
composta dal Territorio libero e dal Porto Libero di Trieste.

Il giorno 24 maggio 2011 19:59, Diana Olenik <dianats@hotmail.it> ha scritto:
Quinto giorno di blocco, ci vogliono stritolare. Ci vogliono denunciare. Vogliamo sia applicata correttamente la Legge 84/94 e la costituzione di un unico pool di manodopera per contrastare il mercato delle braccia ed il  potere assoluto dei terminalisti/padroni.

Chiediamo solidarieta’ e sostegno a tutti.
Dopo il quinto giorno di blocco dello scalo il Piccolo di Trieste  si
è schierato con i terminalisti/padroni, nel 150° anno dell’unità d’Italia, i
problemi occupazionali e di dignità e sicurezza dei lavoratori portuali
Triestini vengono presi in considerazione solo parzialmente dalla stampa e dalla televisione locale e dalla Stampa Nazionale Slovena e Televisione Nazionale Slovena.

L’ Italia dov’ è?
Il Porto di Trieste a che Nazione appartiene?
Comitato Porto Libero Trieste PLT
Odbor Prosta Luka Trst
PLT
Committee Free Port of Triest FPT
Casella Postale 2013/a
34151
Trieste/ Trst/ Triest
Italy
Phone:
Slovenija +386 4188 1495
Italia +39 366 2643359
E-mail: comitatoplt@gmail.com
http://www.portoliberotrieste.org
http://www.prostalukatrst.org
http://www.triestfreeport.org

Asti: Pene miti quando i pedofili sono nella magistratura.

Atti di libidine omosessuale violenta su un minore inabilitato, favoreggiamento e abuso d’ufficio; condannato l’ex Presidente di sezione del Tribunale di Asti, Renzo Massobrio.

Se l’è cavata con una condanna molto mite: solo 1 anno e dieci mesi di reclusione.

Nonostante la gravità delle accuse Massobrio ha ottenuto dal tribunale di Milano lo sconto di pena e l’accesso al patteggiamento, ma è stato però quantomeno costretto a dimettersi dalla magistratura e dalle funzioni di giudice d’ appello a Genova dove era stato traferito dal C.S.M. per aver rivolto turpi attenzioni con l’aggravante della continuazione su un giovane “inabilitato” dallo stesso tribunale di Asti con problemi psichici, contro il quale in qualità di giudice istruttore conduceva un’inchiesta per rissa.

http://archiviostorico.corriere.it/1995/gennaio/11/Asti_giudici_nella_bufera_co_0_9501114349.shtml.

CATANIA & LIBERTA' DI INFORMAZIONE: COME AI TEMPI DEL FASCISMO

Dalla città “senza mafia“, dove la magistratura ha storicamente insabbiato i maggiori scandali edilizi e intrecci politico-affaristico-mafiosi, denunciati sin dagli anni ’70 dal Prof. Giuseppe D’Urso, eminente urbanista e studioso, gli eredi di quella casta di toghe intoccabili che furono oggetto del cosiddetto “caso Catania”,  portato anche sui banchi del C.S.M. dall’allora Presidente Pertini, ci propinano oggi una giurisprudenza che tanto ricorda i tempi del fascismo, prima della soppressione della libertà di stampa e di manifestazione del pensiero. (N.d.R.)

 

50 mila blog chiusi per stampa clandestina?

 

di Enzo Di Frenna

All’inizio di maggio una sentenza della prima sezione penale della Corte di Appello di Catania ha equiparato un blog ai giornali di carta stampata.

Dunque commette il reato di stampa clandestina chiunque abbia un diario in Internet e non lo registra come testata giornalistica presso il tribunale competente, come prevede la legge sulla stampa n 47 del 1948.

La vicenda
è paradossale e accade in Italia. Lo storico e giornalista siciliano Carlo Ruta
aveva un blog: si chiamava Accadeinsicilia e si occupava del delicato
tema della corruzione politica e mafiosa. In seguito a una denuncia del
procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera, quel blog è stato sequestrato e chiuso
nel 2004 e Ruta ha subito una condanna in primo grado nel 2008. Ora la Corte di
Appello di Catania, nel 2011, ritiene che quel blog andava considerato come un
giornale qualsiasi – ad esempio La Repubblica, Il Corriere della Sera o
Il Giornale
– è dunque doveva essere registrato presso il “registro della
stampa” indicando il nome del direttore responsabile e l’editore. La notizia
farà discutere a lungo la blogosfera italiana: cosa succederà ora?

Massimo Mantellini se la prende con Giuseppe Giulietti
e Vannino Chiti
per aver presentato in Parlamento la Legge 62 sull’editoria, che è stata poi
approvata, con la quale si definisce la natura di prodotto editoriale
nell’epoca di Internet. Ma il vero problema, a mio avviso, è la completa o scarsa
conoscenza di cosa sia la Rete
da parte di grandi pezzi dello
Stato, incluso la magistratura. Migliaia di burocrati gestiscono quintali di
carta e non sanno quasi nulla di cosa accade in Internet e nei social network.
Questa sentenza, quindi, è un regalo alla politica cialtrona che tenterà ora di
far chiudere i blog scomodi. Proveranno a imbavagliarci.

In Italia ci sono oltre 50 mila blog. Soltanto BlogBabel ne monitorizza 31 mila. Nel mondo esistono almeno 30 milioni di blog e forse sono anche di più. I blog nascono come diari liberi on line, può aprirne uno chiunque. Una casalinga. Uno studente. Un professore universitario. Un operaio.
Un filosofo. Chiunque. Ma adesso in Italia non è più possibile e possiamo dire che inizia il Medioevo Digitale. Nel mondo arabo i blog e i social network hanno acceso il vento della democrazia, il presidente americano Barack Obama plaude il valore di Internet e la libertà d’informazione, Wikileaks apre gli archivi
segreti delle diplomazie, e noi, in Italia, in un polveroso palazzo di giustizia, celebriamo la morte dei blog.

Ma la vogliamo fare una rivoluzione?

Vogliamo scendere in piazza come gli Indignados spagnoli e inventarci qualcosa che faccia notizia in tutto il mondo?
Vogliamo innalzare una grande scritta davanti alla Corte Costituzionale con lo slogan “Io bloggo libero, non sono clandestino!”. Eggià: perché gli avvocati di Ruta faranno appello in Cassazione e a quei giudici bisognerà far sapere che in Italia ci sono 50 mila persone libere che hanno un blog e confidano nell’articolo 21 della Costituzione, che permette la
libertà di espressione con qualunque mezzo.

 

Che ne
dite? Ci proviamo?

“Il Fatto” on-line, 28 maggio 2011

 

 

LA QUESTURA DI MILANO MINACCIA DI VIETARE IL RUBY GATE'S DAY

Usando due pesi e due misure la Questura di Milano già responsabile dell’aggressione squadristica alla mia persona in occasione del processo Mills minaccia questa volta di vietare il Ruby Gate’s Day.
La notizia ci è giunta poche ore fa, senza alcuna motivazione alla base.
Alla claque filoberlusconiana non è mai stato negato di manifestare avanti al Tribunale in Via Freguglia.
A noi cittadini senza collare e padrini politici pare invece di si.
Ma noi già da lunedi li avremo mandati via tutti a partire dalla Moratti.
Martedi 31 sarà solo una festa per mandare via anche il nano piduista!
Non ci faremo intimidere sia perchè siamo pacifisti nonviolenti
sia perchè la libertà di riunione e di manifestazione del pensiero
non è soggetta a regolamentazioni (artt. 17 e 21 Cost.).
Fate circolare la notizia sui blog per spezzare il silenzio dei media siamo tanti non potranno metterci a tacere tutti!
Pietro Palau Giovanenetti
Presidente Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood
e Avvocati senza Frontiere