Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 4

Lettera aperta ai giudici della Corte d'Appello di Brescia sul dolo e le falsità…

Lettera aperta a 2 giudici della Corte d’Appello di Brescia.

Dott. Donato Pianta e Dott. Piergiorgio Dessì.

Riceviamo e pubblichiamo questa coraggiosa e vibrante lettera firmata di denuncia che attesta il grande malessere nei confronti della magistratura bresciana protesa a favorire gli interessi di pochi in danno dei cittadini.

La vostra folle e assurda sentenza n.834 del 4.7.2007, nonché chiaramente di parte, volta a ribaltare il risultato del I° grado di Bergamo a mio favore dopo circa 20 anni di sofferenza a causa di numerosi illeciti commessi da una controparte disonesta Bergamo 2 Srl con un avvocato altrettanto machiavellico e disonesto, falsificatore di documenti, il quale avendo ottenuto libertà di delinquere all’interno della causa dal mio avvocato, deceduto, commettendo crimini e falsi fin dal primo giorno dell’inizio del procedimento presso il tribunale di Bergamo. Giunti a un risultato per me positivo dopo 18 lunghi anni fatti anche di terrore per il fatto di essersi coalizzati tutti contro di me che avrei dovuto rimetterci le penne e anche tutto il resto. Non fu così poiché il GOA al quale era stata affidata la causa, ravvisando comportamenti atti a commettere falsi, avendo richiesto alla predetta società documenti che non furono mai presentati poiché avrebbero compromesso l’esito della truffa portata avanti fino ad allora, fu così che l’esito della causa mi fu favorevole, ripeto, dopo 18 anni di sofferenza. Purtroppo, dopo aver fatto goffi tentativi di ottenere un accordo senza pagare ciò che aveva deciso il predetto GOA , la predetta Bergamo 2 ricorse in appello dove il suo avvocato aveva certamente trovato degli agganci. Infatti dopo 3 anni arriva la vostra ingiusta sentenza che mette definitivamente al suolo la mia famiglia già martirizzata per anni da questi impostori. Avessi avuto il denaro sufficiente per ingaggiare un avvocato per la Cassazione, visto che l’ultimo vigliacco avvocato che mi aveva già dato il ben servito, forse a quest’ora la faccenda sarebbe risolta. Purtroppo l’azione spregiudicata del mio lestofante ex avvocato deceduto tramite i suoi eredi fu portata a compimento con la vendita di una parte della nostra casa di origine ed io per salvare mia moglie dalla pazzia dovetti cedere e pagare quanto da lui estorto. Ora la mia vecchia casa, acquistata ai tempi con sacrifici e rinunce è nuovamente sotto esecuzione forzata del tribunale grazie all’ennesima frode che subisco, e stavolta per mano vostra, poiché dalla vostra sentenza si evince chiaramente che sono state commesse delle falsità anche da parte vostra. Per noi è stato il colpo di grazia. Ma quello che è grave è che non vi siete curati di verificare le tante falsità della controparte; i tanti documenti che le mancavano per poter pretendere che io sottoscrivessi un rogito. Non vi siete curati del fatto che alla data fatidica del 12.3.1988 che voi avallate come fatto determinante in merito alle ragioni della Bergamo 2, che per la verità, non era presente presso il notaio per la compra/vendita in quella famosa data del 12.3.1088 e quindi non era neanche presente il 2 .6.1988( come aveva appurato e motivato il GOA in primo grado) mentre c’era in atti la dichiarazione del notaio scelto dal sottoscritto che attestava la mia presenza e l’assenza della Bergamo 2. E non vi siete curati del fatto che la Bergamo 2 non è stata presente presso il notaio sia la prima che la seconda volta perché era priva di abitabilità ottenuta soltanto nel mese di luglio del 1988. Dovete purtroppo rendervi conto che il vostro comportamento se non è delittuoso, doloso è quanto meno irresponsabile che andrebbe drasticamente punito se l’Italia fosse un paese normale dove la legge va applicata e non è una puttana che si vende al maggiore offerente. Siete giudici di un rango già di un certo livello, pertanto ci si chiede come abbiate fatto ad arrivarci. Ho 75 anni ma la crudeltà di questa vicenda me ne fa contare molti di più con tutto quello che mi ha causato: un cancro alla testa, la sordità, la cecità ma quello che più conta il bene e la pace familiare che non riavremo più. Non mi sarei mai aspettato che una persona quale è lei signor giudice Pianta, passata attraverso un’esperienza gravissima avesse in animo una tale voglia di punire duramente chi aveva già subito gravi sofferenze a causa di avvocati che non sarebbero degni di mettere piede in un’aula di giustizia. Io non mi suiciderò. Non l’ho fatto finora e mai lo farò perché ho rispetto per la vita, non ho la cultura della morte ma, bensì, quella della vita. Non potete farmi più male di quanto non ne abbiate già fatto e non potete pretendere che non vi maledica per il resto dei miei giorni. La lettera sarà inviata per conoscenza alla Corte d’Appello di Brescia, al Capo dello Stato e al Ministero della Giustizia.

In fede e con obiettivo e motivato rancore mi dico

Francesco Di Lorenzo

http://www.facebook.com/notes/francesco-di-lorenzo/lettera-aperta-ai-giudici-della-corte-dappello-di-brescia-sul-dolo-e-le-falsita-/587207794642553

Ritardavano processi boss sino in Cassazione, scoperto patto mafia-massoni

Palermo, scoperto patto mafia-massoni. Ritardavano i processi dei boss, 8 arresti, tra cui un gesuita.
Operazione Hiram.
Otto persone tra poliziotti, medici, imprenditori, boss e iscritti a logge massoniche sono stati arrestati dai carabinieri di Trapani e Agrigento in diverse città. L’accusa è di essersi accordati per ottenere di ritardare l’iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche delle due città siciliane. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo.
Gli arrestati, tra i quali figurano un’agente della polizia di Stato, un ginecologo di Palermo, imprenditori di Agrigento e Trapani, un impiegato del ministero della Giustizia in servizio ad una cancelleria della Cassazione e un faccendiere originario di Orvieto, sono tutti accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio. L’operazione, per la quale sono state anche svolte decine di perquisizioni, è stata denominata “Hiram”, vede impegnati anche i carabinieri, non solo di Agrigento e Trapani, ma anche quelli di Palermo, Roma e Terni.
Dall’inchiesta emerge che boss mafiosi, grazie all’aiuto di persone appartenenti a logge massoniche, avrebbero ottenuto di ritardare l’iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche di Trapani e Agrigento. L’indagine ha preso il via da accertamenti svolti sulle famiglie mafiose di Mazara del Vallo e Castelvetrano, in provincia di Trapani. Oltre alle perquisizioni controlli vengono svolti anche su conti correnti bancari intestati agli indagati.
Avviso di garanzia a un sacerdote
I pm hanno inviato un avviso di garanzia anche a un sacerdote, gesuita, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il religioso vive a Roma. La sua abitazione è stata perquisita. Secondo l’accusa il prete, su indicazione di uno degli indagati, avrebbe predisposto lettere inviate a giudici, al fine di condizionare l’esito di procedimenti penali nei quali erano coinvolti esponenti vicini a Cosa nostra.
Il peso e l’autorevolezza del sacerdote che apponeva la sua firma alle lettere inviate ai magistrati, per l’accusa avrebbero influito sull’esito dei ricorsi giurisdizionali proposti a diverse autorità giudiziarie.
Perquisiti gli uffici della Cassazione
Nell’ambito della stessa operazione sono state effettuate anche perquisizioni in alcuni uffici della Cassazione. Secondo quanto si apprende da indiscrezioni, fra le persone arrestate vi sarebbe anche un impiegato del ministero della Giustizia in servizio proprio in una cancelleria della Cassazione.
Fonte: Tgcom 17/6/2008

Sentenza in 8 anni, tanto ci ha messo il plenum delle toghe ad espellere il proprio affiliato dal C.S.M.

8 anni per depositare sentenza contro alcuni boss mafiosi del clan Madonia
Il Csm: non potrà più fare il magistrato
Dopo ben 8 anni ha finalmente pagato con l’espulsione dalla magistratura Edi Pinatto il giudice che impiegò oltre un lustro e mezzo per scrivere le motivazioni di una sentenza, consentendo così, “guardacaso”, la scarcerazione dei boss mafiosi inquisiti per decorrenza dei termini. E’ questa la condanna inflitta dalla sezione disciplinare del Csm a Edi Pinatto, del tribunale di Gela, che redasse con tempi troppo lunghi il provvedimento di condanna di sette componenti del clan Madonia a complessivi 90 anni di carcere.
Il provvedimento disciplinare è stato sollecitato dal sostituto procuratore generale della Cassazione Eduardo Scardaccione, davanti alla sezione disciplinare del Csm. “Con questi ritardi (uno, in particolare, riguarda il processo Grande Oriente e a causa del mancato deposito della sentenza alcuni boss mafiosi del clan Madonia vennero scarcerati) Pinatto “ha violato l’essenza della funzione giurisdizionale – ha sottolineato il pg – poiche’ si tratta di un ritardo gravissimo, reiterato, abnorme e ingiustificato.
E’ una perdita verticale e non più risarcibile della credibilità del singolo e dell’istituzione nel suo complesso, con un danno ai valori costituzionali, quali la correttezza, la diligenza, la laboriosità e l’equilibrio di un magistrato”. Per il pg, inoltre, quello di Pinatto è “un record mondiale” nel ritardo per il deposito di sentenze. Alla luce di ciò, dunque, secondo il pg, l’ex giudice di Gela deve essere rimosso dall’ordine giudiziario (“lo chiedo con la morte nel cuore – ha detto Scardaccione – ma con serena certezza”), ricordando anche le due precedenti sanzioni della perdita di anzianità inflitte al magistrato in altre occasioni.
Vero è, ha ricordato il pg, che le sentenze in questione sono state poi depositate, “ma solo perché era giunta l’istanza di sospensione avanzata dal Guardasigilli” rigettata dal Tribunale delle toghe nell’aprile scorso proprio in vista del processo nel merito.
Pinatto, da parte sua, ha cercato di giustificarsi sottolineando la mole di lavoro di fronte alla quale si era trovato dopo essere stato trasferito da Gela alla Procura di Milano: “Ho sostenuto un impegno finanziario di trentamila euro e tutte le ferie disponibili per smaltire l’arretrato – ha ricordato davanti alla sezione disciplinare – e la sentenza Grande Oriente è certamente complessa, poiché condensa risultati di indagini di quattro Direzioni distrettuali antimafia, mentre a Gela di solito ci si occupa di criminalità organizzata limitata al circondario”.
La complessità dell’argomento, però, secondo il pg di Cassazione, non giustifica un ritardo così clamoroso, di fronte al quale c’era stato anche un intervento del capo dello Stato Giorgio Napolitano: “Questa sentenza – ha sottolineato il pg – è una sentenza furba, è un volume di 775 pagine in cui non vi sono valutazioni, ma molti copia e incolla, in cui si racconta tutto ciò che hanno fatto le forze investigative, si fa un elenco di pizzini ma senza una sola parola di analisi e nessuna valutazione è fatta sulla posizione degli imputati”.
Per il difensore di Pinatto, il consigliere di Cassazione Mario Fantacchiotti, “non siamo di fronte a un magistrato che invece di lavorare va in montagna, ma che svolge bene il suo lavoro e i ritardi sono dovuti a difficoltà oggettive e a una incapacità soggettiva di organizzazione”.

Stefano Biondo, dopo Francesco Mastrogiovanni, un’altra morte annunciata nei lager psichiatrici italiani

E’ morto così Stefano Biondo, con la faccia a terra, legato come un animale con un cavo elettrico, “per asfissia meccanica violenta – secondo i medici legali – indotta da compressione sulle vie aeree (naso e gola) o, anche, per compressione della gabbia toracica, ad opera di terze persone, nel tentativo di immobilizzarlo…” .
Stefano aveva appena 21 anni, il suo unico “torto” era quello di essere affetto da autismo e classificato come “disabile psichico”.
Rifiutato dalle comunità terapeutiche di Siracusa e Provincia viene ricoverato per quasi tre anni nel locale reparto di psichiatria, per morire barbaramente il 25 gennaio 2011 nella Casa Famiglia denominata con una certa ironia “Oasi della Speranza”, dove si trovava da appena 36 ore, a seguito di un provvedimento di urgenza del Tribunale di Siracusa (Giudice Milone) che intimava entro un mese al Sindaco e ai dirigenti sanitari locali di trovargli una adeguata sistemazione…
E’ la sorella, Rossana La Monica, a segnalarci il caso e a denunciare il tentativo della locale Procura di insabbiare tutto.
Ci scrive che, dopo avere appreso dai telegiornali quello che è accaduto a Franco Mastrogiovannni in un altro lager psichiatrico, ha rivissuto la dolorossima storia della morte del fratello minore avvenuta per la mano assassina di chi avrebbe dovuto curarlo.
Ci chiede di aiutarla a fare in modo di accertare la verità sulla morte del fratello.
La storia si ripete.
La contenzione come principale metodologia terapeutica, l’indaguatezza del personale infermieristico e delle strutture sanitarie, le condizioni di degrado morale in cui vengono tenuti i degenti ai quali viene tra l’altro imposto di rimanere vestiti tutto il giorno con il pigiama, senza che sussistano necessità di sorta, condizionandoli a ritenere di essere malati cronici.
Rossana affida il suo sfogo anche al web, chiedendo aiuto alla comunità virtuale per avviare una battaglia di verità che porti all’accertamento delle responsabilità penali non solo dell’infermiere che aveva l’affidamento del fratello ma anche dei vertici dell’Azienda Sanitaria Provinciale che hanno colposamente permesso e determinato con comportamenti omissivi e negligenti, contrari alle loro funzioni, un calvario di quasi tre anni, conclusosi nel più tragico dei modi.
L’autismo è una malattia che colpisce un numero sempre maggiore di famiglie soprattutto al sud.
Di questa forma di disabilità si conosce ancora troppo poco e le famiglie che vivono questo dramma conducono una vita difficile, spesso abbandonati al loro destino senza alcun sostegno da parte delle istituzioni sanitarie.
Lo scorso 31 ottobre Stefano Biondo avrebbe compiuto 23 anni.
In occasione del suo compleanno si è tenuta a Siracusa l’inaugurazione della sede di “Astrea”, un’associazione socio-culturale nata per volontà dei suoi familiari, con lo scopo di favorire programmi a tutela dei minori e dei disabili.
Il triste epilogo della breve vita di questo giovane con il cuore e l’anima da bambino non deve rimanere impunito. E’ compito delle Autorità di far luce sulle responsabilità della sua barbara uccisione da parte del personale infermieristico, affinchè casi del genere non si ripetano mai più, ponendo fine alla pratica della contenzione.
“La nostra iniziativa – dice Rossana La Monica – vuole sensibilizzare il territorio alla difesa dei più deboli. Stiamo intraprendendo numerose collaborazioni con altre associazioni. Ci proponiamo di organizzare servizi di assistenza a portatori di handicap, ai minori in difficoltà, alle donne sole e molestate, vogliamo essere un punto di riferimento per chi vive ai margini della società”.
Il nome scelto per il progetto non è casuale. “Astrea – continua Rossana – è una figura della mitologia greca che simboleggia la giustizia. La stessa che chiedo a gran voce per Stefano, morto in un luogo dove avrebbe invece dovuto essere curato e tutelato”.
Secondo il Dott. Francesco Coco, Consulente del P.M., il decesso di Stefano è stato provocato da “asfissia meccanica da soffocazione causata o dalla chiusura diretta di naso e bocca o dalla compressione di gabbia toracica”..
Conclusioni che confermano l’ipotesi accusatoria della sorella e di alcuni testimoni che il decesso di Stefano sia stato cagionato da atti dolosi posti in essere dall’infermiere che lo ha barbaramente “incaprettato” a terra, legandolo con del cavo elettrico, impedendogli di muoversi e respirare, fino all’asfissia fatale.
E’ vergognoso che ciò nonostante il P.M. abbia chiesto l’archiviazione.
Solo la ferma opposizione della famiglia di Stefano alla richiesta di archiviazione ha per ora impedito l’insabbiamento del caso, nell’ambito del quale l’infermiere ritenuto responsabile è indagato per omicidio colposo.
Sono figli di un dio minore, osserva amareggiato un genitore di un altro ragazzo autistico che non intende rassegnarsi.
La vicenda di Stefano ne è una triste testimonianza con i continui rimpalli alla ricerca di una sistemazione sempre negata.
“Ma adesso – commenta amaramente la sorella – un posto dove non darà fastidio glielo hanno trovato: una bara”.
Lì non darà più fastidio a nessuno nel frenetico mondo moderno, completamente disumanizzato e asservito agli interessi della politica e del mercato, dove la sanità è solo un business nelle mani delle mafie e delle multinazionali farmaceutiche.
I malati sono solo cavie, numeri, posti letto, o carne da macello, perdendo la loro dignità e dimensione di esseri umani.
Nessuno trova il tempo per soffermarsi a riflettere sulla condizione dei portatori di disturbi autistici e le cause da cui originano.
Gli scienziati non hanno finora individuato le origini della malattia, conclude la sorella di Stefano, ma molti esperti concordano sull’influenza dei fattori ambientali sullo sviluppo cerebrale dei bambini durante la gravidanza o nei primi mesi di vita.
La signora Rossana La Monica ha scritto anche al Ministero della Giustizia che ha trasmesso l’esposto alla competente autorità giudiziaria, ribadendo laconicamente di non avere “alcuna facoltà di interferire né sulle decisioni già rese dall’autorità giudiziaria, né sui procedimenti in corso dinanzi ad essa.”
Noi sappiamo che non è così e continueremo a seguire il caso e siamo pronti a costituirci parte civile.
Pietro Palau Giovannetti
(presidente Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood)

ILVA: CONTINUA LA STRAGE DEI LAVORATORI

Pubblichiamo il comunicato stampa dell’Associazione Legami d’Acciaio (ex lavoratori ThyssenKrupp e Famigliari delle vittime), dando la nostra piena solidarietà ai lavoratori dell’Ilva di Taranto e alla Famiglia Masella, per la tragedia che l’ha colpita, privandola dell’affetto di Claudio, ennesima vittima sacrificale per morte sul lavoro in nome del profitto dei padroni e padrini politici dell’Ilva.
La nostra fraterna solidarietà e il nostro cordoglio oltre alla Famiglia, ai cari e agli amici di Claudio, va innanzitutto agli operai dell’Ilva, in particolare a tutti quelli che si battono per la salute e la sicurezza sul proprio posto di lavoro, nelle linee e nei repartiin cui ogni giorno entrano a testa alta per lavorare con la propria dignità e purtroppo devono fare i conti con uno scenario da guerra a causa delle pessime condizioni del luogo di lavoro e degli impianti: volutamente lasciati nell’incuria da parte dell’Azienda, che con pressioni e vessazioni sugli operai chiede di lavorare in condizioni fuori dalla legalità, sia per quanto riguarda le normative sulla sicurezza e la salute, sia per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro e dei turni fino alla negazioni più palesi, in spregio totale della legalità e della Costituzione Italiana, in nome dell’unico valore che conta per lorsignori: il profitto.
In nome del profitto e per conto di padron Riva si continua a morire all’Ilva di Taranto così come in tutte le fabbriche, le aziende e i cantieri del Bel Paese, in ogni settore produttivo, dall’industria all’edilizia, in agricoltura, senza che si ponga un freno a questa continua strage di lavoratrici e lavoratori, che fa più di 1000 morti l’anno (i dati Inail sono in parte inesatti, non tenendo conto dei morti in itinere e delle categorie che lavorano nei trasporti e sulle strade, senza dimenticare il lavoro nero…) di quella che oramai si può definire senza retorica e senza timori di essere smentiti, una vera e propria guerra sferrata dal padronato
contro i lavoratori.
L‘Ilva di Taranto è un vero e proprio campo di battaglia, più che una normale fabbrica: detiene il triste record italiano ed europeo di morti sul lavoro e di inquinamento ambientale, con oltre 50 morti dal 1993 ad oggi
(i dati che circolano in questi giorni sono in parte falsi: com’è noto alcuni incidenti e morti relativi soprattutto a ditte appaltatrici vengono opportunamente occultati) con i vari governi nazionali e locali che poco o nulla hanno fatto per fermare la continua strage di lavoratori ed eliminarele emissioni e l’inquinamento provocato dagli impianti.
Non è necessario essere Lavoratori dell’Ilva di Taranto, o essere dei tecnici, per conoscere e discutere di ciò. Noi ex operai della ThyssenKrupp, sappiamo bene cosa vuol dire lavorare in condizioni precarie e di insicurezza: quella maledetta notte del 6 dicembre del 2007 ci ha portato via a noi nostri sette compagni Antonio, Angelo, Bruno, Roberto, Rocco, Rosario e Giuseppe. Lo abbiamo inciso sulla nostra pelle e nelle nostre coscienze!

La nostra solidarietà e vicinanza nella lotta per la salute e la sicurezza nell’Ilva e nella Città di Taranto va anche a quei i lavoratori e a quei cittadini che si battono senza se e senza ma per la difesa della salute dentro e fuori la fabbrica, per un futuro lavorativo e di progresso per Taranto che salvaguardi insieme salute e posti di lavoro, anche se si dovesse riconvertire l’attività produttiva.Condizioni e soluzioni precise, molto chiare e semplici, che sino ad oggi non sono state mai né proposte né tanto meno messe in campo dalle Istituzioni, anche quando governi regionali e nazionali di segno progressista potevano e dovevano fare per intervenire nel merito delle questioni gravi poste dal sito di Taranto.

Non dovrebbe essere il Primo Cittadino il garante primo ed ultimo della salute dei Cittadini? Come mai in tutti questi anni (dal 1993, inizio della gestione Riva) i vari Sindaci che si sono succeduti non hanno mai posto il problema, emettendo un’ordinanza che bloccasse le produzioni, affinché si mettessero in sicurezza gli impianti e si iniziasse a produrre in modo meno inquinante?

Il problema di base è che sono tanti i responsabili di questa situazione, ma uno in modo particolare: padron Riva, che da quando ha acquisito l’Ilva dallo Stato ha accumulato ingenti profitti senza reinvestire neanche una parte dei profitti in innovazione tecnologica e miglioramento della sicurezza interna e per la bonifica del territorio. Riva è responsabile di questa situazione, che si è drammaticamente posta negli ultimi mesi alla ribalta nazionale (ovviamente oltre che a Taranto, noi ed altri in Italia, inascoltati denunciavamo già da tempo questa terribile situazione…) quindiRiva deve mettere mano al portafoglio e fare i necessari interventi urgenti per frenare la situazione e programmare con un piano di interventi per il futuro, il risanamento e la bonifica del sito contestualmente alle produzioni, pur alternando limitazioni temporanee a queste ultime. Tutto ciò non può e non deve essere a costo zero per Riva ma con precisi impegni, senza agevolazioni (come è avvenuto nella svendita di vent’anni fa), come si vorrebbe far pagare anche oggi  allo Stato (utili ai padroni e oneri alla collettività) gli errori ed i crimini commessi dalla famiglia Riva.

Noi diffidiamo dalla propaganda distorta e fuorviante fatta da pseudo rappresentanti del mondo ambientalista che non hanno niente di meglio da proporre che chiudere subito lo stabilimento (così da creare una nuova cattedrale nel deserto come successo a Bagnoli e in tanti altri luoghi), dai vari rappresentanti politici di partiti o lobby di potere, dai rappresentanti di Istituzioni ed Enti preposti alla salute e ai diritti di lavoratori e cittadini e dai sindacati gialli (FIM-Cisl e UIL-Uilm in particolare, che si è scoperto essere a libro paga dei Riva): personaggi di varia natura che non hanno a cuore il destino dei lavoratori e dei cittadini di Taranto, che hanno fatto e faranno solo gli interessi di padron Riva e dei suoi accoliti. Non bisogna chiudere ma trovare soluzioni (possibili) per riconvertire lo stabilimento a produzioni che siano utili, sostenibili per l’ambiente e compatibili con la dignità dei lavoratori. Ciò è possibile ma soprattutto è necessario! Perché le soluzioni sbrigative e liquidatorie o alla meno peggio aprono la strada al peggio…

Solo attraverso la salvaguardia dei posti di lavoro (utili e dignitosi), come unica soluzione per uscire dalla crisi, si può intraprendere una strada (difficile ma percorribile) di risanamento dell’Ilva e del territorio di Taranto.

 

Torino, 31 Ottobre 2012                                                                             Ass. Legami d’Acciaio Onlus

MASTROGIOVANNI. Una sentenza pionieristica da una parte e di compromesso all'italiana dall'altra che rende giustizia solo a metà

SENTENZA MASTROGIOVANNI. Una sentenza pionieristica da una parte e di compromesso all’italiana dall’altra, che rende giustizia solo a metà. Se infatti la sentenza si pone come una pietra miliare capace di abbattere il muro di omertà in materia di responsabilità medica e di misure di contenzione, purtuttavia non è stata in grado di far piena luce sulle pratiche medievalistiche in essere presso il lager psichiatrico di Vallo della Lucania che coinvolgevano tutto il personale sanitario, invece incomprensibilmente assolto.
Il Giudice nella pregiudievole situazione ambientale del Tribunale di Vallo della Lucania ha mostrato comunque notevole coraggio nel prendere le opportune distanze dal P.M. Martuscelli che aveva cercato di demolire l’impianto accusatorio originario, svolgendo le difese dei medici, sebbene la sentenza abbia poi inflitto pene molto lievi che corrispondano più o meno a quelle richieste dallo stesso P.M., il quale aveva modificato i capi d’accusa configurando il solo reato di omicidio colposo, facendo decadere l’accusa di sequestro di persona, chiedendo peraltro la condanna anche degli inferimieri… Avvocati senza Frontiere, pur dando atto trattarsi di una importante sentenza che, oltre a riconoscere il ruolo delle Associazioni no profit, quali parti civili, lascerà un segno, aprendo la strada ad una regolamentazione dei metodi di contenzione nei reparti di psichiatria e dei trattamenti sanitari obbligatori, preannuncia che proporrà appello, richiedendo al Procuratore Generale che faccia altrettanto affinché sia affermata la resposabilità anche degli infermieri quali esecutori di ordini illegittimi come alla Diaz di Genova per i fatti del G8.
La lettura integrale del dispositivo:
http://www.ondanews.it/vallo-della-lucania-processo-mastrogiovanni-condannati-i-medici-e-assolti-gli-infermieri_3053835.html

PROCESSO D'APPELLO PER ANDREA DESSENA IL GIOVANE PASTORE SARDO 22ENNE CONDANNATO ALL'ERGASTOLO SENZA PROVE

COMUNICATO STAMPA IN MERITO AL PROCESSO DI APPELLO A CARICO DI ANDREA DESSENA. UDIENZA 26.10.2012 AVANTI ALLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO DI SASSARI
Venerdì 26 ottobre si aprirà presso la Corte d’Assise d’Appello di Sassari il processo d’appello a carico di Andrea Dessena accusato di duplice omicidio ed attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Macomer in Sardegna, in regime di isolamento.
Il giovane pastore, a seguito di un processo di primo grado, a dir poco anomalo, in cui sono state violate tutte le regole del giusto processo e in più in generale le più elementari norme di giustizia, era stato condannato avanti alla Corte d’Assise di Nuoro alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per anni tre anni.
L’imputato la cui difesa viene patrocinata dall’Associazione Avvocati senza Frontiere in considerazione della rilevanza sociale e della anomalia del caso, derivante da palese fumus persecutionis, si ribadisce, veniva condannato sulla base di un’accusa del tutto indimostrata, basata sulle dichiarazioni o meglio sulle presunte dichiarazioni di accusa di un confidente di polizia, le cui dichiarazioni non sono mai state verbalizzate, né è mai stato sentito in contraddittorio in un’aula di tribunale.
Processo, quello di primo grado, che per le modalità sommarie con le quali si è svolto, più che un processo della Repubblica democratica italiana porta alla mente i processi veneziani dell’Inquisizione, quando era sufficiente introdurre delle lettere accusatorie anonime introdotte nelle c.d. “bocche del leone”, cioè piccole fessure nei muri con la testa del leone alato in cui era possibile introdurre scritti accusatori. La malcapitata vittima di queste anomine denunce spesso non disinteressate e promananti da interessi opposti, si trovava davanti all’inquisizione e condannato al rogo, come Giordano Bruno e altre migliaia di vittime, a seguito di processi farsa celebrati in oltre 500 anni di torture, confessioni estorte, roghi e stragi di innocenti.
Per l’affermazione dei principi di legalità e giustizia la difesa di Andrea Dessena ha rivolto alla Corte d’Assise d’Appello una serie di richieste istruttorie di riapertura del processo, in particolare l’esame testimoniale del “confidente” che accuserebbe l’imputato, la trascrizione di un “cd” consegnato da un testimone che in aula ha denunciato di essere stato oggetto di minacce e pressioni da parte delle forze dell’ordine (cd che è stato acquisito agli atti ma che non è mai stato oggetto di doverosa trascrizione), perizia dei tabulati telefonici che scagionano completamente l’imputato in quanto quest’ultimo si trovava a 10 km di distanza dal luogo del delitto nonché alcuni confronti fra diversi testimoni che hanno rese dichiarazioni contrastanti sui fatti.
Venerdì prossimo pertanto la Corte d’Assise d’Appello di Sassari si pronuncerà preliminarmente sulle richieste di rinnovazione istruttoria decidendo di riaprire il dibattimento: in quest’ultimo caso fisserà un calendario di udienze per lo svolgimento del processo, riservandosi di adire la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Il difensore conclude infatti l’atto di appello, affermando che la sentenza di condanna di Andrea Dessena al massimo della pena, è, si ribadisce, ingiusta in quanto sono stati violati i principi giuridici fondamento del nostro Stato di diritto, cioè i principi del “giusto processo” affermati dalla Carta Costituzionale e dai principi dettati in sede di Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
“Questa sentenza – prosegue il difensore – è tanto ingiusta quanto gravosa, dettata da un evidente pregiudizio nei confronti dell’imputato, ritenuto soggetto socialmente pericoloso ed irrecuperabile. Questa difesa si augura ma al tempo stesso ne è intimamente convinto che il Giudice superiore sappia giudicare i fatti con obiettività e soprattutto con serenità, serenità che è mancata totalmente a Nuoro ed è sufficiente leggere i verbali d’udienza”.
Per maggiori informazioni sul processo e conoscere i motivi di appello:
http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2012/04/12/news/il-nuovo-legale-di-dessena-e-una-condanna-ingiusta-1.3926026
http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2012/04/10/news/in-difesa-di-dessena-gli-avvocati-senza-frontiere-1.3796135
http://blog.libero.it/ValledelCedrino/11225174.html
Scarica il testo integrale dell’Atto di Appello:
Appello Dessena Andrea
A cura della Segreteria di Avvocati senza Frontiere

VALTELLINOPOLI E PROCESSO GANDELLI

IL CASO. NELL’APPALTOPOLI VALTELLINESE CADONO LE ACCUSE CONTRO GIANFRANCO GANDELLI.

Tribunale di Sondrio. Domani 19 ottobre 2012 avanti al Tribunale valtellinese, in composizione collegiale, si terrà la conclusiva e probabilmente decisiva udienza nel processo che vede imputato Gandelli Gianfranco, del tutto estraneo ai fatti, come già emerso nel corso del dibattimento, con tale Callina Davide, accusato principale di tre incendi dolosi e un presunto tentativo di estorsione.
Del tutto differente è la posizione dei due imputati, anche a livello simbolico, nella diversità dei difensori.
Ill Callina difeso dallo studio Ghedini-Longo, notoriamente principali difensori dell’ex premier Silvio Berlusconi.
Il Gandelli assistito dai legali di Avvocati senza Frontiere, in persona dell’Avv. Antonino Rossi.
I fatti: Callina e Gandelli, entrambi piccoli imprenditori della Valtellina, sono accusati di aver appiccato in tre circostanze incendi ad escavatori di due ditte di escavazioni della Valtellina rispettivamente la TMG e VALENA COSTRUZIONI e di aver richiesto il “pizzo” per € 100.000 nei confronti del titolare della TMG, Guglielmo Trivella.
Il processo è stato molto seguito nella piccola realtà valtellinese, sia per le anomalie che hanno contraddistinto le indagini sia per la circostanza che tale inchiesta ha determinato una vera e proprio terremoto a livello politico istituzionale nella città e nella provincia di Sondrio.
Infatti a seguito delle intercettazioni telefoniche con le quali erano state intercettati anche i cellulari delle persone offese, è emerso un incredibile ed impressionante sistema di corruzione nel settore degli appalti pubblici che ha coinvolto i vertici locali di Lega Nord e Pdl, partiti oramai da un ventennio egemoni degli equilibri affaristico-mafiosi in Valtellina.
Le gare d’appalto venivano, secondo la prospettazione accusatoria, pilotate con accordi fra le imprese TMG e VALENA COSTRUZIONI il cui titolare è il cognato del segretario della Lega Nord di Sondrio, con la partecipazione di imprese “di comodo” con sede fuori dalla provincia di Sondrio che partecipavano alle gare d’appalto solo per garantire una finzione di regolarità, quando al contrario gli appalti erano già stati assegnati previa lauti compensi ai vari politici, tecnici ed amministratori comunali….
Si sottolinea che contemporaneamente al processo Callina-Gandelli si sta svolgendo il dibattimento relativa alla c.d. “Appaltopoli in Valtellina”.
Venendo alla posizione di Gandelli Gianfranco, per cui AVVOCATI SENZA FRONTIERE ha prestato la propria assistenza legale, stante la posizione di vittima sacrificale e ubna chiamata di correità per coprire ben altre responsabilità, questi nel marzo 2008 veniva sottoposto ad un’ingiusta detenzione di ben 70 giorni sulla base a seguito di una alquanto strana “confessione” da parte del coimputato Callina Davide avvenuta presso i locali della Questura di Sondrio, alle due di notte, senza la presenza né dell’avvocato difensore, né del pubblico ministero, “confessione” contenente anche accuse di correità nei delitti di incendio doloso e tentativo di estorsione.
Non solo. Sempre nel corso delle indagini l’arresto di Gandelli veniva giustificato anche sulla base del contenuto di una telefonata intercettata fra Gandelli e il suo precedente difensore, Avvocato Giovanni Agostini del Foro di Sondrio. Telefonata pacificamente inutilizzabile in quanto lesiva del diritto di difesa.
Nel corso del dibattimento è emersa in maniera chiara e limpida l’estraneità ai fatti di Gandelli, le cui accuse si sono sfarinate progressivamente: i verbali di chiamata in correità sono stati dichiarati inutilizzabili in quanto contrari ai principi del giusto processo, l’analisi dei tabulati telefonici che secondo la tesi accusatoria avrebbe dovuto dimostrare la presenza dell’imputato sui cantieri oggetto degli incendi hanno portato a risultati opposti alle tesi accusatorie: non vi è alcuna prova che Gandelli fosse lì in quei giorni e in quegli orari.
Si aspetta domani la decisione del Tribunale di Sondrio, anche se nessuna sentenza potrà risarcire Gandelli di 70 giorni di ingiusta detenzione, di sofferenza morale e di condanna anticipata da parte della comunità valtellinese.
p. AVVOCATI SENZA FRONTIERE
la Segreteria

ALER: LE MANI DELLA 'NDRANGHETA SULLE CASE POPOLARI

IL CASO. Gestione Aler e ‘ndrangheta. Pisapia: “Sono preoccupato”.
La figlia del boss Costantino è stata assunta dopo l’intervento dell’ex assessore Zambetti
e ha anche avuto una casa in affitto. L’ente sta collaborando all’indagine della Procura
di ILARIA CARRA
Il Comune vuole vederci chiaro sull’Aler e sulla gestione dell’edilizia popolare a rischio di infiltrazioni mafiose. È lo stesso Pisapia a esprimere preoccupazione: «Dove c’è la presenza della mafia è normale che il sindaco si preoccupi e se ne occupi», ha detto. E ancora: «Sono preoccupato nell’insieme per la gestione di Aler: si erano avuti dei segnali e abbiamo fatto i nostri interventi». Anche perché l’ente regionale gestisce non solo il suo patrimonio, ma pure quello delle case popolari comunali. E in ballo c’è il rinnovo della convenzione che scade a fine anno: il Consiglio comunale dovrà decidere se proseguire o meno su questa strada o affidarsi ad altri.
Quei quattromila voti comprati dalla ‘ndrangheta.
Dalla consulenza di 100mila euro concessa nel 2010 a Michele Ugliola, indagato per corruzione e grande accusatore dell’ex presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, all’assunzione e all’appartamento dato in affitto a Teresa Costantino, figlia di Eugenio, che secondo la procura è il boss della ‘ndrangheta da cui sarebbero arrivati
i voti per le regionali all’assessore Domenico Zambetti. Le ombre gettate sull’Aler dalle inchieste che stanno scuotendo il Pirellone non lasciano tranquillo Palazzo Marino, e infatti il sindaco ha avuto un colloquio con il consigliere che rappresenta il Comune nel cda dell’ente, Luca Beltrami Gadola (uno dei saggi antimafia del sindaco, tra l’altro).
L’assessore al Demanio, Lucia Castellano, ha già inviato una richiesta ufficiale all’Aler l’ennesima, dice per avere l’elenco di tutti gli alloggi sfitti, e quindi a rischio racket, e per conoscere i dettagli dell’assunzione della figlia di Costantino: «Già la vecchia convenzione in scadenza prevede che si metta in comune il patrimonio comunale con quello di Aler – dice Castellano – Il Comune deve lavorare sull’offerta complessiva di 70mila alloggi a Milano. Ma Aler non ha mai collaborato. Nel momento in cui ci sono queste indagini su situazioni penalmente rilevanti, voglio fare chiarezza sulla politica immobiliare dell’ente». E il rinnovo della convenzione con cui Palazzo Marino ha affidato all’ente la gestione delle sue 40mila case popolari? «Deciderà il Consiglio – risponde – Finora noi abbiamo lavorato per il rinnovo, si valuterà sulla base degli accertamenti in corso».
Anche il Pd chiede chiarezza. «C’è scarsa trasparenza su una miriade di liste di assegnazione minori», denuncia il capogruppo del Pd a Palazzo Marino, Carmela Rozza. Che sottolinea i troppi «casi al di fuori del controllo dell’amministrazione: il personale, le assegnazioni temporanee o fuori graduatoria, i cambi di alloggio. Una serie di assegnazioni fatte con liste gestite tutte da Aler su cui il Comune non ha nessun riscontro». Aler ha promesso al Comune una pronta risposta alle richieste di documentazione e in una nota fa sapere di «essere attivamente impegnata a fornire agli inquirenti tutte le informazioni e la documentazione utili all’indagine».
(17 ottobre 2012)
http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/10/17/news/gestione_aler_e_ndrangheta_pisapia_sono_preoccupato-44674482/
Nota di redazione:
Finalmente forse qualcosa si muove. Denunciamo inascoltatamente da oltre 10 anni il controllo politico-mafioso sulla gestione del patrimonio edilizio pubblico di Aler Milano S.p.A., una vera e propria associazione a delinquere protetta da una gran parte della magistartura milanese, sino alla Suprema Corte di Cassazione.

LA LEGALIZZAZIONE MORALE E POLITICA DELLA TRATTA DELLE SCHIAVE

Mihaela e la tratta delle schiave

Un mese fa a Roma una ragazza rumena è stata brutalmente aggredita da due bastardi e data alle fiamme. I giornali hanno titolato “Prostituta data alle fiamme“, cancellandola come persona. Per loro era solo una puttana, se l’era cercata, evidentemente. La ragazza ha 22 anni, è sopravvissuta, si chiama Mihaela. Era finita sul marciapiede come altre migliaia di vittime nell’indifferenza della società e delle istituzioni. In Italia avviene da tempo, sotto i nostri occhi, una gigantesca tratta delle schiave. Giovani, spesso minorenni, in bella mostra nel centro delle città, nelle periferie, nei viali delle circonvallazioni. Stuprate a pagamento da italiani pervertiti. Costrette a prostituire il loro corpo da infami magnaccia che non finiscono mai in galera. L’Italia non è un Paese civile. Questa storia deve finire, il governo si dia una mossa. Il blog ha deciso di seguire la vicenda di Mihaela, ora ricoverata al Centro Grandi Ustionati di Roma.

Intervista al Prof. Paolo Palombo, Direttore Centro Grandi Ustionati, Ospedale Sant’Eugenio – Roma
Intervistatore – Innanzitutto volevamo chiederle semplicemente come sta la ragazza?
Prof. Palombo – Diciamo che le condizioni della ragazza adesso sono sicuramente migliorate perché lei è arrivata con un’ustione del 53%, quindi un’ustione molto pesante, quasi tutta di terzo grado che colpisce parte dell’addome e tutti gli altri inferiori e parte del braccio e avambraccio di destra e sinistra, quindi ha già subito 4 interventi chirurgici, quindi stiamo andando, piano, piano verso un miglioramento delle condizioni.
Intervistatore– Quindi possiamo affermare che la prognosi non è più riservata ma…
Prof. Palombo– La prognosi continua a essere riservata, diciamo che la percentuale Quoad Vitam possiamo essere più ottimisti.
Intervistatore– Quoad valitudinem
Prof. Palombo – Quoad valitudinem vedremo quali saranno gli esiti cicatriziali dopo l’intervento.
Intervistatore– È stata mantenuta almeno all’inizio in uno stato di sedazione profonda, c’è stata questa necessità?
em>Prof. Palombo – No, non c’è mai la necessità nei pazienti con gravi ustioni di metterle in sedazione profonda perché l’ustione di per sé stesso quando è di terzo grado, quindi quando è a tutto spessore dà dolore ovviamente, sono bruciate anche le terminazioni sensitive e dolorifiche, è stata messa in una posizione cosiddetta intubata, è stata messa sotto un coma farmacologico e anestesiologico nelle prime ore per stabilizzare un po’ la sua situazione, poi non c’è stata più nessuna necessità, respira spontaneamente perché lei non ha ustioni sul volto o ne ha inalato sostanze nocive.
Intervistatore– Le è sembrata una ragazza spaventata al di là della condizione clinica?
Prof. Palombo – Direi che sicuramente di spavento ne ha avuto molto, perché posso immaginare che prima che ci sia stato questo evento dell’ustione, non credo che sia stato immediato, lei non ci ha riferito granché però è immaginabile che sia stata forse anche maltrattata, quindi sicuramente lo spavento c’è stato molto, quando ci arrivano a noi in quelle condizioni, la fase di spavento è già stata in parte superata, nel senso che sta in uno stato abbastanza di shock quindi il problema è legato a questo aspetto, sicuramente l’atto è un atto vile, infame che non giustifica qualunque cosa uno possa fare nella vita, non giustifica certo che si possa fare una cosa del genere, è veramente vergognoso.
Intervistatore– Ne sta ancora condizionando la tutela da parte dell’autorità giudiziaria o adesso…
Prof. Palombo – Noi non sappiamo da questo punto di vista quello che accade perché da noi l’autorità giudiziaria viene soltanto quando è possibile per prendere dei dati e quando sarà possibile per interrogarla, per il resto noi non ci occupiamo di questo aspetto, ci occuperemo di lei fino alla completa guarigione e anche a una certa riabilitazione.
Intervistatore – Ha il supporto dei familiari che la vengono a trovare?
Prof. Palombo – La vengono a trovare dei parenti, familiari a oggi non li abbiamo ancora visti, perché lei è rumena, però vengono delle amiche, degli amici, però le sue visite sono attraverso un vetro che sicuramente separa la zona di alta terapia intensiva dall’area di visita e quindi questo…
Intervistatore – Non c’è stato comunque uno scambio verbale tra lei e queste persone che la vengono a trovare?
Prof. Palombo – Sì, sì, parlano al citofono
Intervistatore – Quando sarà fuori…
Prof. Palombo – La cosa è un po’ lunga in questi casi, immaginatevi che una paziente del genere starà con noi, salvo situazioni che potrebbero modificarsi e che non ci auguriamo, diversi mesi.
Intervistatore- Ho capito, dentro quel reparto o ci può essere un trasferimento che va più o meno intensivi.
Prof. Palombo – Il trasferimento ci sarà fin quando le sue condizioni con consentiranno di trasferirla nel reparto al di fuori dell’alta terapia intensiva e quindi quando sarà possibile, ma questo non è certo molto a breve, anche perché è una ragazza molto giovane e dobbiamo salvaguardarle anche la funzione degli arti e di quant’altro e soprattutto il rischio, uno dei rischi più importanti che ci sono nelle malattie a ustione è l’infezione che è un evento inevitabile, in quanto in un centimetro quadro di pelle di un soggetto normale, come siamo io e lei, lei sa che i batteri sono divisi in colonie e quindi in un centimetro quadro ci sono 12 miliardi di colonie di batteri, quindi considerando che una colonia di batteri sta sui 24 miliardi, lei può avere un’idea di quanto è importante l’azione di difesa cutanea nei confronti delle infezioni e qui la cute non vi è più e quindi l’infezione viene combattuta con antibiotici immunostimolanti e tutti quegli altri residui terapeutici che sono necessari per far superare questa fase alla paziente.
Intervistatore- Al di là della tutela giudiziaria, il giorno in cui verrà dimessa prevedete un percorso di supporto, di assistenza in questi casi o verrà demandata…
Prof. Palombo – Noi abbiamo già un supporto di assistenza psicologico nel senso che già dal primo momento noi abbiamo una psicologa che lavora all’interno della struttura che supporta e sostiene questi pazienti e tutti i nostri pazienti, poi sicuramente prima di dimetterla dobbiamo cercare di capire, anche con l’autorità, quale sarà il percorso migliore, noi possiamo anche prevedere che probabilmente per un periodo di riabilitazione ci sarà necessità forse di mandarla in una struttura altamente riabilitativa perché come successe per l’indiano che, se vi ricordate, ebbe lo stesso cattivo episodio presso la stazione di Nettuno, poi dopo quando siamo riusciti di metterlo nella condizione di mettersi in piedi e di camminare, per la terapia l’abbiamo mandato all’Istituto Maugeri di Avellino dove sono specializzati per una grossa terapia riabilitativa per questi tipi di pazienti.
Intervistatore- Il clima chiaramente è di piena collaborazione con le autorità, di Frascati…
Prof. Palombo – Sì, per quello che possiamo fare noi, ma ovviamente noi molto spesso raramente veniamo a conoscenza di qual è stata la vera causa della situazione.
Intervistatore– Va bene Professore, la ringraziamo per il suo aiuto, è stato veramente molto gentile e grazie per quello che sta facendo per la ragazza.
Prof. Palombo – Grazie a voi, è stato un piacere.”

“COMUNICATO;
Un mese fa Laboratorio Donnae ha creato su FB l’evento MICHELA SIAMO NOI a seguito del drammatico episodio in cui Michela di 22 anni, rumena, costretta a prostituirsi è stata bruciata dai suoi aguzzini. Ci sarà una MANIFESTAZIONE SIMULTANEA giovedì 18 ottobre – Giornata Europea contro la tratta – alle 18 nelle città italiane. Alla manifestazione, apartitica, partecipano donne e associazioni femminili che si sono organizzate a Roma, Trieste, Modena, Cernusco sul Naviglio, Savona, Reggio Calabria e altre.Ciascun gruppo si fa carico di produrre comunicati e inviti. Testimoniamo solidarietà a Michela e a tutte le donne in condizioni di schiavitù. Un paese non può dirsi civile se non garantisce l’integrità dei corpi, delle donne nate in Italia e di quelle che qui hanno scelto di vivere. Ma anche di quelle che sono portate qui con la forza o con l’inganno. FACCIAMO DELLA NOSTRA INDIGNAZIONE UN FATTO POLITICO. Firmiamo la petizione:
http://www.petizionionline.it/petizione/tratta-non-volgiamo-lo-sguardo/7099
le firme possono essere raccolte anche su carta, chiederemo un incontro ai Ministri Cancellieri e Riccardi per consegnarle”

Fonte:                                                                                                                               http://www.beppegrillo.it/2012/10/mihaela_e_la_tratta_delle_schiave.html#commenti?s=n2012-10-13