FALLIMENTOPOLI E CRIMINALITÀ GIUDIZIARIA NEL VENETO:
92ENNE SPOGLIATA DELLA CASA E DERUBATA DI 1 MILIARDO!
OVVERO, QUANDO IL LEGITTIMO SOSPETTO È CERTEZZA!
Castelfranco Veneto. Abitava lì, da oltre 53 anni, l’anziana novantaduenne, Erminia Moino, affetta da demenza cronica del morbo di Alzhaimer, con la figlia Nellida Bernardi che l’accudiva nella casa coniugale lasciatale dal marito in usufrutto “vita natural durante”.
Una villetta modesta ma, situata su un’importante area fabbricabile, da poco inserita nel piano regolatore, di cui, invece, da tempo miravano impossessarsi noti speculatori senza scrupoli e banche locali (forse, vicini alla mafia del Brenta), trovando, sempre, però, la ferma opposizione della famiglia Bernardi.
Uno dei difensori di “Avvocati senza Frontiere” (ASF) racconta scandalizzato che le due anziane sono state, brutalmente, gettate in strada con una procedura lampo e l’intervento della forza pubblica, nonostante le molteplici opposizioni e il diritto d’usufrutto a vita.
Ciò, senza, neppure, tenere conto che, il medico curante della A.S.L. aveva dichiarato la “intrasportabilità” della madre inferma, paralizzata su una sedia a rotelle e bisognosa di cure.
In parole povere, i giudici del Tribunale di Treviso, Ufficiale Giudiziario, CC e Prefetto non hanno voluto sentire ragioni e respingendo ogni ragionevole appello dei difensori hanno, arbitrariamente, accolto le richieste della Cassa di Risparmio di Venezia (CARIVE) e della Prisma Immobiliare (ora Basso Costruzioni s.r.l.), dando il via libera, prima alla vendita all’asta dell’abitazione, eppoi alla frettolosa esecuzione dell’anomalo sfratto, degno di paesi privi di diritti certi.
La storia affonda le sue radici nella fallimentopoli trevigiana e nei piani di recupero speculativo delle aree del centro della ricca Castelfranco Veneto. Nel ’97, la sig.ra Nellida Bernardi, titolare di un mobilificio, la cui attività è, ormai, cessata da anni, a causa dell’avanzata età, si viene a trovare, suo malgrado, vittima del racket dei fallimenti e dell’usura bancaria.
Il mobilificio non ha debiti, eccetto un fido di circa L. 600 milioni con le banche, per cui formula un piano di rientro in 10 anni, offrendo a garanzia beni immobili del valore di oltre L. 4 miliardi, tra cui un capannone industriale, sede dell’azienda, e l’annessa abitazione che la Prisma vorrebbe rilevare in blocco, trovando la ferma opposizione della famiglia, disposta a vendere tutto il resto, ma non la casa (su cui, peraltro, grava il diritto di usufrutto a vita della madre, soggetto del tutto estraneo al successivo fallimento della ditta).
A questo punto, l’Immobiliare del Basso, pur avendo sottoscritto un preliminare di compravendita per il solo capannone, recede, in quanto, inconfessatamente, interessata a demolire l’intera area (che poi rileverà dal Tribunale fallimentare), onde portare a termine, con la complicità della giunta comunale, un profittevole piano di recupero speculativo della zona, con la costruzione di un nuovo complesso residen-ziale; cosa che risulterebbe impossibile, senza impossessarsi della casa delle due reticenti anziane.
Contemporaneamente, la CARIVE, dietro probabili pressioni del Basso, respinge qualsiasi bonario accordo, chiedendo sia il fallimento della ditta (una s.n.c.) e della sig.ra Bernardi, in proprio, sia la vendita dell’abitazione personale che il Tribunale, sorprendentemente, concede, nonostante non ne sussistessero le ragioni e pendesse un’istanza di concordato preventivo, avanzata dai difensori, i quali avevano richiesto un breve termine per concludere la vendita con altri soggetti interessati ad acquistare gli immobili.
Ed è così che la sig.ra Bernardi si è vista costretta a denunciare i giudici trevigiani che hanno pronunciato l’ingiusta sentenza di fallimento, sospettando un loro interesse personale, in quanto ignari delle ricusazioni e dei procedimenti disciplinari, da parte della 1^ Commissione Referente del C.S.M., hanno continuato a giudicare sia l’opposizione a fallimento sia ogni altra causa (rivendica abitazione, opposizione approvazione rendiconto, istanza revocazione crediti ammessi e querela di falso), in violazione del principio di terzietà del giudice.
Principio che, a norma dell’art. 51, co. 1, n. 4 c.p.c., sancisce “l’obbligo di astensione del magistrato che abbia conosciuto gli atti di causa in altro grado del processo”.
Dell’abnorme caso sono stati interessati la Procura di Bologna, competente per i reati commessi dai giudici del Veneto, il Procuratore Antimafia, dr. Vigna, il Procuratore Generale presso la Cassazione e il Ministro di Giustizia, ma tutti, in spregio alle loro funzioni, da circa 6 anni, sono rimasti inerti!
In particolare, è stata denunciata l’ingiustificata decisione del Tribunale di alienare l’abitazione privata, valutata appena L. 200.000.000, a fronte di un attivo realizzato di oltre L. 2 miliardi, già in grado di soddisfare i creditori al 100%, nonché l’ancora più arbitraria decisione, priva della benchè minima motivazione, del giudice dr. Donà di rigettare l’istanza per la “riduzione del pignoramento”, con cui veniva richiesto di limitare la vendita al solo fabbricato industriale del valore di oltre L. 800.000.000; somma che ben poteva ve-nire soddisfatta l’esigua pretesa della CARIVE di L. 49.000.000.
Dulcis in fundo, si è appreso che, recentemente, il dr. Giovanni Schiavon, ex Presidente del Tribunale di Treviso, da ritenersi uno dei principali responsabili dei denunciati abusi, è divenuto poco di meno che il Capo degli Ispettori ministeriali della c.d. “task force” nazionale che dovrebbe indagare sugli illeciti commessi dai magistrati e, quindi, anche su stesso!
FIGUARIAMOCI…….!!!!
Ma c’è di più. Quei bravi magistrati della 1^ Commissione Referente del C.S.M. che avrebbero avuto il compito di vagliare i denunciati illeciti commessi dai loro colleghi di Treviso, esercitando l’azione disciplinare, hanno archiviato tutto con una motivazione che dimostra la loro cialtroneria, inadeguatezza e assoluta mancanza di serietà nella lettura degli atti.
Basti dire che, nella decisione 20.11.02, hanno sostenuto trattarsi di “presunte irregolarità commesse nella trattazione di una procedura fallimentare a carico della Prisma Immobiliare s.r.l.” e di “censure ad attività giurisdizionale per la quale non vi sarebbero provvedimenti di competenza del C.S.M.”,
Peccato per loro che il fallimento riguardi non la Prisma Immobiliare s.r.l. bensì il Mobilificio Bernardi s.n.c !!!
Si ritiene, infine, doveroso segnalare ai lettori l’abnormità della situazione venutasi a determinare, a seguito del comportamento degli organi fallimentari e delle Autorità dello Stato Italiano, per cui la sig.ra Bernardi, pur avendo diritto al residuo di circa un miliardo di lire, giàricavato, da alcuni anni, dalla vendita dei suoi immobili, si trova, tuttora, paradossalmente, a vivere in condizioni di povertà estrema, con un sussidio di appena L. 250.000 mensili, erogato dal Tribunale, mentre giudici, politici e giornalisti, strapagati da noi cittadini, sembra sappiano discutere del “legittimo sospetto”, solo quando attiene gli interessi dei potenti e, non già, nei casi ben più gravi, di interesse generale, che riguardano la stragrande maggioranza dei comuni cittadini, vittime di conclamati abusi giudiziari, i quali non hanno mezzi, nè tantomeno televisioni e avvocati di grido per fare sentire le loro ragioni!