Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 27

INDAGINI INSABBIATE

 

“Guai giudiziari per Falcone, Salvarani, Scarpellini e Tolettini”

(R.P.) “Una raffica di denunce e un ponderoso esposto indirizzato alla procura della repubblica di Trento contro alcuni big della magistratura e delle forze dell’ordine del Vicentino. A redigere il tutto Angelo Di Natale, ex collaboratore di Canale 68 Veneto, oggi tra i giornalisti di punta della Rai siciliana. La vicenda cui fa riferimento Di Natale è collegata in modo indiretto ad una serie di scoop che lo stesso giornalista firmò per Canale 68 nel 2004. Reportage nei quali si parlava di abusi commessi a danno di minori ad opera di sacerdoti in una parrocchia di Thiene, nel vicentino. Direttamente la vicenda è collegata invece al libro Mani D’Angelo che Marco Milioni (estensore de LaSberla.net) pubblicò nel 2006. Nel libro si facevano le chiose al comportamento degli inquirenti seguito agli scoop di Canale 68. Per quel libro Di Natale e Milioni sono stati querelati per diffamazione da Giorgio Falcone (attuale pm presso la procura berica) e da Giovanni Scarpellini, all’epoca dei fatti comandante dei carabinieri di Thiene e ora comandante dei vigili urbani del medesimo comune. Il processo a carico dei due ha appurato che le indagini furono insabbiate, tanto che Di Natale dopo l’assoluzione definitiva è partito al contrattacco. Ieri sono stati denunciati infatti tra gli altri: il sostituto procuratore Falcone per il reato di calunnia; il procuratore Ivano Nelson Salvarani per i reati di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale e di rifiuto di atti d’ufficio; l’ex capitano dei carabinieri Scarpellini per i reati di calunnia, di falsa testimonianza e di subornazione; il sovrintendente di polizia Flavio Bellossi per il reato di falsa testimonianza; il giornalista Ivano Tolettini de Il Giornale di Vicenza per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio. A dare la notizia è stato lo stesso Di Natale (nella foto) il quale in merito alla vicenda ha diramato oggi una nota breve e una più articolata unitamente all’intero testo dell’esposto.

10 marzo 2009

http://www.lasberla.net/index.php/2009/03/guai-giudiziari-per-falcone-salvarani-scarpellini-e-tolettini/

LA MAFIA A VICENZA

 

«… Libertà di violazione delle leggi e delle regole, che i dirigenti pubblici, i politici e la magistratura accordano ai colletti bianchi, ai poteri forti». Pesano come macigni le parole che Fulvio Rebesani, ex consigliere comunale, uno degli esponenti di spicco del comitato contro gli abusi edilizi, nonché responsabile provinciale del sindacato inquilini Sunia, usa in una lettera aperta alla città redatta il 30 luglio. Il documento è un vero j’accuse nei confronti dell’amministrazione comunale vicentina e soprattutto nei confronti della magistratura berica. Le due istituzioni, che sono messe da un certo punto di vista sullo stesso piano, vengono anche prese di mira perché il loro comportamento andrebbe a scapito dei cittadini di Vicenza, sui quali, sempre secondo Rebesani, aleggia lo spettro di un potere non troppo dissimile da quello mafioso.

di Marco Milioni  http://www.lasberla.net/index.php/2010/08/poteri-occulti-rebesani-versus-comune-e-magistratura/

LA MAFIA A VICENZA di Fulvio Rebesani
La Lega ha scritto che il Veneto è “pulito”, non ha presenze mafiose. Un paio di giorni dopo c’è stato l’arresto a Mogliano Veneto in provincia di Treviso di Vito Zappalà, uno dei latitanti mafiosi più ricercati, condannato a 29 anni di galera. Questo tipo di persone non si muovono mai da sole e sarà interessante accertare quali suoi compari alloggino nel Veneto. Però a Vicenza abbiamo un problema formalmente di natura diversa ma parimenti grave: le zone franche, una sorta di libertà di violazione delle leggi e delle regole, che i dirigenti pubblici, i politici e la magistratura accordano ai colletti bianchi, ai poteri forti.
Abbiamo avuto la cosiddetta circolare Rossetto; una circolare diramata dagli uffici tecnici municipali durante gli anni ’90 e tenuta in piedi sino al 2002. Un provvedimento in forza del quale un dirigente, arrogandosi poteri che sono solo del consiglio comunale, ritenne di dare agli uffici tecnici medesimi disposizioni che consentivano di rovesciare le disposizioni del piano regolatore in fatto di distanze fra edifici vecchi e in edificazione. Costruire più vicino significa allargare la base degli immobili e quindi aumentare la cubatura. Migliaia di metri cubi abusivi sono stati fabbricati in questo modo, impunemente. E quando la magistratura ha inquisito quel dirigente non ha istruito un giudizio a tempi brevi ma ha atteso, atteso ed i reati considerati si sono prescritti.
Entrando in via Vecchia Ferriera dopo Ponte Alto, alla sinistra è in via di completamento un grande edificio che ammonta più o meno ad un volume di 60.000 metri cubi. L’ufficio del pubblico ministero ha tenuto nel cassetto per cinque anni la perizia, da lui disposta, che rilevava varie illegittimità. Avrebbe potuto intervenire quando si era alle fondamenta, ma ha atteso ingiustificatamente. I potenti proprietari del fabbricato ed i loro progettisti possono dormire tranquilli; tutto finirà nel fumo della prescrizione, se non interverrà prima qualche altro pubblico ministero.
A fronte di questo immobile ce n’è un altro (è il cosiddetto palazzo, ha un volume di 70.000 metri cubi) che è stato completato da quattro o cinque anni. Tale immobile è finito al centro di un processo penale sei anni dopo che il consulente del pubblico ministero aveva consegnato la relazione: sei anni di attesa ingiustificata e di cammino verso la prescrizione. Erano imputati i proprietari, i progettisti, un dirigente comunale Lorella Bressanello (moglie dell’ex sindaco Enrico Huellweck) e un altro dirigente del comune di Vicenza, Roberto Pasini: tutti assolti.
I giudici hanno negato l’esistenza del vincolo paesaggistico riconosciuto dalla Regione, autorità competente in materia, sulla base di un documento preparatorio del piano regolatore del 1979, ma poi superata dal testo del piano effettivamente approvato, che ad esso non fa alcun riferimento. Dunque con questa trovata all’italiana è caduta l’accusa. Inoltre i giudici hanno negato l’intenzionalità del dirigente. Costoro non sapevano, non volevano, non intendevano… «Ah,intendo, il suo cervel, Dio lo riposi,/in tutt’altre faccende affaccendato/a questa roba è morto e sotterrato…». Il resto ce l’ha messo la Corte d’Appello di Venezia che, a fronte del ricorso del Procuratore della Repubblica di Vicenza contro la inaccettabile sentenza assolutoria, non ha ancora fissato, a distanza di ben due anni, la data del processo.
Anche a Vicenza ci sono le vendette trasversali. Tu fai un esposto contro gli abusi di certi tecnici comunali? Ebbene loro ti puniscono con il potere che hanno. C’é stato il caso di una associata al comitato vicentino contro gli abusi edilizi alla quale è stato contestato un abuso (inestente) risalente al 1930… Ad un altro, sempre di questo comitato, hanno cercato di rilevare un difformità edilizia (sempre inventata) di cinquant’anni fa. E se non possono colpirti direttamente lo fanno contro tuoi familiari come è successo ad altro membro del comitato contro l’abusivismo edilizio.
Il comitato contro l’abusivismo edilizio ha il merito di aver scovato numerose illegittimità penali, amministrative e contabili degli uffici comunali del capoluogo berico. Sebbene con la sua azione abbia permesso alla municipalità di incassare una cifra pari 500.000 euro più euro meno, i suoi membri vanno puniti. “Che imparino a farsi gli affaracci loro!” Già, perché il comune di Vicenza è affare dei soli dirigenti comunali? Non voglio ovviamente generalizzare: le mie riflessioni riguardano l’edilizia privata e dintorni.
Il comune di Vicenza non ha soldi; a me sembra che non vada a prenderseli dove ci sono ed ha diritto di averli. Non mi riferisco all’evasione fiscale, argomento certo interessante, bensì sempre all’edilizia. Per edificare una casa bisogna pagare gli oneri di urbanizzazione ed un contributo del costo di costruzione: per l’industria c’è solo quest’ultimo gravame. L’importo di queste voci è fermo da circa vent’anni nonostante in questo periodo l’inflazione sia cresciuta di circa il 30%. Un enorme regalo agli speculatori a spese dei cittadini di Vicenza. Ma c’è un altra perdita consistente. Nell’area di via Vecchia Ferriera vi sono numerosi edifici che, approfittando del fatto che l’area è industriale, sono stati edificati pagando al comune, cioè a tutti noi, solo una spettanza pari al 10% del costo di costruzione. Di contrasto le attività installate in loco sono quasi tutte commerciali, ma non hanno corrisposto all’ente locale gli oneri di urbanizzazione, in questo caso dovuti (mediamente il 30% dei costi di costruzione). Così il nostro comune, cioè noi, non ha incassato centinaia di migliaia di euro, che non intende incassare.
C’è poi la questione della cosiddetta torre Girardi, la quale sorge a qualche centinaia di metri prima del casello autostradale di Vicenza ovest. La provincia lo ha dichiarato interamente abusivo con un provvedimento confermato presso i tribunali amministrativi; però il comune non lo demolisce prendendo a pretesto due perizie di comodo, una disposta per di più dallo stesso comune. Di più, sempre in riferimento alla vicenda della torre Girardi il comune di Vicenza non provvede nemmeno ad incassare quanto comunque gli spetta. L’assessore all’edilizia privata Pierangelo Cangini ha affermato con grande clamore che, essendoci degli abusi (bontà sua), incasserà ben 900.000 euro. Ma, secondo le leggi urbanistiche, spetterebbero al comune un bel po’ di soldi in più. Anzi una montagna di soldi in più. Sei o sette milioni di euro; cioè il valore venale dell’edificio. Anche qui l’amministrazione rinuncia ai diritti di coloro che rappresenta, cioè sempre noi.
Quanto riportato ora in modo un po’ generico per ragioni di brevità, è comunque il frutto di una analisi scrupolosa, corroborata da una documentazione completa. Ad ogni modo da questo quadro pur sommario e parziale, risulta l’impotenza, scelta liberamente, della magistratura vicentina e del comune di fronte ai poteri forti ed ai colletti bianchi. Ciò costituisce una grave ingiustizia ed iniquità, una negazione del principio di legalità e di uguaglianza di trattamento, ma è anche fonte di minor erogazione di servizi ai cittadini di Vicenza dovuta alle minori entrate a causa di queste acquiescenze rispetto ai desiderata dei vari potentati che trovano domicilio dentro e fuori i palazzi delle istituzioni. Ovviamente sono i cittadini a farne le spese. In termini di accesso agli asili nido e ai centri estivi; in termini di accesso alla assistenza domiciliare, di aiuto agli sfrattati ed alle famiglie in difficoltà sulla casa; in termini di accesso agli interventi per i giovani e per lo sport. Per caso tutti questi scompensi sono dovuti alla mancata acquisizione di quei fondi?

Fulvio Rebesani
Vicenza, 30 luglio 2010

LE SCHIAVE DELLA ROMAGNA

 

di Federico Formica e Matteo Marini

Guadagnano meno di mille euro al mese. Lavorano 14 ore al giorno, senza mai un turno di riposo. E pagano anche il pizzo ai mediatori che le portano in Italia.

La verità sulle “stagionali” negli alberghi fra Rimini e Cervia (21 giugno 2010)

Il tavolino è di quelli da giardino, di plastica bianca, a poco prezzo. Sopra la tovaglia color senape c’è il “Piccolo manuale informativo per i lavoratori stagionali, comunitari e non”: fotocopie di articoli di cronaca e accanto le tabelle con le tariffe aggiornate divise per categoria di hotel e mansioni. Di fronte c’è il cavalletto con le “civette”, anche queste bilingue, “informazioni sindacali” si legge. È da questo angolo quasi invisibile del corso di Gatteo a Mare che sono venute alla luce le testimonianze dello sfruttamento e della tratta dei lavoratori dall’Est Europa fino alle spiagge della Romagna.
La videoinchiesta Dalla Romania a Cesenatico: ecco come funziona la tratta
Quattro sere a settimana Sandra prende posto in via delle Nazioni, che divide Cesenatico da Gatteo a Mare, in quel breve tratto di costa rimasto sotto la provincia di Forlì-Cesena. È cominciato tutto quando lei, che ora lavora in un’industria che produce piadine, faceva la stagione come donna ai piani, a pulire le camere. Veronika, la sua collega romena le raccontò quanto prendeva al mese: 950 euro. Cinquanta euro meno di lei, ma lavorando il doppio. Un orario da schiava, 12 ore al giorno. Nei periodi di piena, come nella settimana di Ferragosto, anche di più. Così Sandra ha deciso di informare i lavoratori stagionali sui loro diritti, soprattutto gli stranieri che arrivano qui ogni anno ad aprile e che poi a settembre tornano a casa. Nei decenni del “boom”, fino alla fine del ‘900 parlavano sardo, calabrese, campano. Ora l’accento è quello dell’Europa dell’est. La maggioranza sono romeni, ma vengono anche da Moldavia e Polonia. Donne soprattutto, gli ingranaggi invisibili dell’enorme macchina del turismo di massa.  Con l’aiuto di Ercole Pappalardo, sindacalista della Filcams-Cgil di Cesenatico, si è documentata e in collaborazione con l’associazione Rumori sinistri, un collettivo che ha sede a Rimini, ha messo su il suo piccolo “ufficio”. I romeni che passano la sera, dopo una giornata interminabile fatta di pulizie, cucina, piatti e servizio ai tavoli, leggono l’invito nella loro lingua. Alcuni passano oltre perché non si fidano, altri si fermano e chiedono come possono fare per avere il sussidio di disoccupazione una volta terminata la stagione, oppure quanto dovrebbero prendere realmente di stipendio in base al loro orario di lavoro. Sandra mostra loro le tabelle salariali e la maggior parte delle volte li invita a procedere con una vertenza. Scrivendo su un foglietto il numero di cellulare di Ercole.
«Vedi, tu prendi 1.200 euro, ma lavori 13 ore, senza giorno libero», spiega a una ragazza, «Bene, se ci metti il giorno che non hai e gli straordinari che non ti pagano dovresti prenderne 3.500». Poi chiede loro di compilare una scheda, anonima, sulla quale registra i loro dati. Età, provenienza, anno di arrivo in Italia e stipendio. In due anni Sandra ha raccolto 245 testimonianze. La maggior parte sono donne romene, impiegate per le pulizie delle camere, servizio in sala o aiuto cucina. Quasi tutte hanno pagato per trovare un contratto in Italia. Prima dell’entrata della Romania nell’Unione europea le tariffe potevano arrivare anche a 1.000 euro. Ora pagano dai 400 ai 750 a degli intermediari che hanno contatti con gli hotel di tutta la Romagna, ma anche in Trentino per la stagione invernale.
Secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sul turismo di Federconsumatori, l’Emilia Romagna è la regione con le camere più economiche in Italia. Degli oltre 4.500 alberghi la metà è concentrata sulla costa. Ospitalità e divertimento a basso prezzo, che hanno permesso alla Riviera di reggere anche alla crisi. Ma è una competitività che pesa anche sulle spalle di queste persone.
La tratta. «Esistono delle agenzie che operano in Romania. Hanno depliant, cataloghi e organizzano i viaggi con pulmini che portano in Italia i dipendenti». È il direttore del Grand Hotel di Cesenatico, Luigi Godoli, a confermare l’esistenza di un sistema gestito da intermediari che dall’Est (non solo dalla Romania, ma anche da Moldavia e Polonia) procurano personale agli hotel della Riviera. «Noi abbiamo una persona, un italiano, che vive là. Ma non ci costa nulla. Immagino che prenda una percentuale sullo stipendio dei lavoratori. Credo sia una cosa normale».

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/le-schiave-della-romagna/2129327

Sanità di padre in figlio

  

Un gruppo di professori a tirare le fila dei concorsi medici in tutta Italia. E a pilotare i vincitori. Così le cattedre si regalano in famiglia. A danno dei malati. Ora una indagine della Procura mette nel mirino le università di Novara, Padova e Udine.

Una fitta rete di amicizie, come la tela di un ragno: pochi baroni che condizionano interi settori della sanità. Dal cuore del Nord-Est. Epicentro i due policlinici di Udine e Padova, due prestigiose università.

A Padova gli inciuci baronali sono arrivati al punto che un uomo navigato come il professore di Chirurgia Ermanno Ancona, già vicesindaco della città e ascoltatissimo dal governatore Giancarlo Galan, che ne ha fatto il suo consigliere numero uno per le faccende medico-scientifiche, aveva scritto il 10 maggio scorso ai colleghi una lettera assai imbarazzante: “Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e dire che non esiste nella nostra Facoltà la questione etica. Non è la prima volta che alcuni colleghi aprono le porte dei propri gruppi di lavoro a figli od altri discendenti stretti, creando per loro un percorso accademico agevolato rispetto a quello degli altri comuni collaboratori. Quel che è certo è che questo costume umilia tutti gli altri docenti o aspiranti docenti che operano all’interno della struttura perché è la prova dell’esigua valutazione che si dedica al valore ed al merito all’interno della nostra facoltà. Ebbene è giunto il momento per dire che questo costume deve essere allontanato dalla Facoltà di Medicina di Padova prima di diventare uno degli argomenti di scandalo”. Profetiche le parole del consigliere di Galan. Perché di lì a poco ecco arrivare il siluro. Che parte da lontano.

E precisamente dalle 19 dell’otto novembre 2007 quando Antonio Ambrosiani, direttore della clinica di Ginecologia e ostetricia dell’ateneo, si trova contemporaneamente a cena al nono piano dell’Hotel Le Royal Meridien di Shanghai, ospite della Sigo, la società italiana di ginecologia e ostetricia, di cui era presidente, e in sala operatoria per un intervento di ‘taglio cesareo complesso’. Lo attesta un documento firmato da Erich Cosmi, medico della clinica, in cui compare Ambrosiani come primo operatore del cesareo. E qui iniziano i guai, perché le foto attestano, invece, che Ambrosiani è a Shanghai e il procuratore di Padova, Orietta Canova, indaga. La Asl licenzia in tronco Gianfranco Fais, il medico responsabile delle sale parto che ha firmato i registri, e sospende il professore.

Ma la macchina giudiziaria è partita. E avvia il ciclone di concorsopoli.

Che arriva a Padova e ad Ambrosiani partendo da Novara dove il procuratore capo, Francesco Saluzzo, ha aperto un’inchiesta sul sistema di consorterie che sovraintende all’assegnazione delle cattedre di ginecologia e ostetricia in buona parte del paese. Protagonista è ancora Ambrosiani insieme a Nicola Surico, direttore di Ginecologia e ostetricia dell’ospedale universitario di Novara e professore ordinario alla facoltà di medicina della città. Secondo la procura, però, le riunioni di un gruppo di una trentina di medici avvenivano a Padova, in particolare nell’antica Biblioteca della facoltà. Qui si sarebbero prese le decisioni sui concorsi. La Procura lavora su una serie di fax e mail. Come quella in cui, nel 2003, il professore di Padova scrive: “Carissimo, ti ricordo i nostri candidati”. O ancora: “Elezioni professori ordinari-concorso a un posto di professore ordinario presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca, il ‘nostro candidato’ Antonio Cardone”. Che vinse. I documenti racconterebbero di una conventicola di professori legati ad Ambrosiani capaci di pilotare i concorsi di professore ordinario in Ostetricia e ginecologia un po’ in tutt’Italia: da Foggia a Milano, da Brescia a Parma, a Roma. A Foggia nel 2005 su cinque commissari , quattro erano membri del gruppo della Biblioteca; a Milano nel 2006, cinque su cinque.

E per prima cosa, i figli: Guido Ambrosiani è professore ginecologo a Padova nella stessa clinica del padre. La figlia di Surico, Daniela, invece, vince nel 2005 il concorso per ricercatrice di ginecologia proprio all’università di Novara, dove il padre è ordinario. I tre commissari di concorso che la assumono provengono tutti, caso rarissimo, da Padova. Ha un bel da predicare Ancona: così fan tutti.

Anche nella vicina Udine dove va in scena la saga della famiglia Bresadola: tre membri all’università, altri tre in ospedale. È dal 2005 che Daniele Franz, ex deputato di An, denuncia lo scandalo e considera:”Essere parente o affine del professor Fabrizio Bresadola risulta essere condizione non necessaria, ma sufficiente per ottenere un impiego nell’ambito del mondo accademico ed in particolare nella facoltà di medicina e chirurgia”. Fabrizio è il capostipite: fino a un anno fa era anche presidente dell’azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine e dal ’97 dirige la clinica di Chirurgia generale ed è professore ordinario al dipartimento di Scienze chirurgiche. Insieme a lui lavorano il figlio Vittorio e la di lui moglie, Maria Grazia Marcellino, che ha trovato posto, anche lei, nella medesima clinica. E, per non fare differenze tra figli, ecco l’altro figlio di Fabrizio Bresadola, Marco, che è un filosofo. Ma ha la cattedra a medicina, Storia della medicina.

Curioso che Vittorio sia professore associato di chirurgia toracica e abbia conseguito l’idoneità alla selezione di professore associato nel 2001 quando in commissione, a Siena, sedeva Dino De Anna, collega del padre a Udine e coautore, insieme a Vittorio, di venti lavori presentati alla commissione di cui egli stesso fa parte. Questo non si può fare, anche se nel valutare il collega Vittorio, il professor De Anna afferma che i lavori sono “in massima parte attribuibili allo stesso candidato”. D’altra parte Dino De Anna è impegnato a far politica: due volte senatore per Forza Italia, fratello dell’assessore regionale Elio, fino a pochi mesi fa presidente della Provincia di Pordenone.

De Anna fa politica e Bresadola l’accademico, ma entrambi sono nati alla stessa scuola, all’ombra del grande chirurgo ferrarese Ippolito Donini (il cui figlio Annibale, per inciso, è professore di Chirurgia a Perugia). Suo allievo era anche Alberto Liboni, oggi professore di Chirurgia a Ferrara. Dove Liboni, nel 2006, gestisce un concorso di associato di chirurgia generale: della commissione fanno parte Fabrizio Bresadola e Mario Trignano, allievo di Bresadola e professore a Sassari. Chi vince la prova? Paolo Zamboni e Vincenzo Gasbarro che lavorano presso l’istituto di chirurgia generale di cui è direttore Liboni. Bresadola scrive del vincitore: “Di alto profilo l’attività operatoria”. Paolo Zamboni è disabile e non opera più da circa dieci anni.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Sanita-di-padre-in-figlio/2056369&ref=hpsp

Francesco Carbone ,un caso italiano di diritti calpestati e malagiustizia

 

Mi chiamo Carbone Francesco e scrivo per metterla al corrente della mia vicenda che per la quale ho avuto a che fare con elementi dei servizi segreti e massoneria.
Premesso che di tutto cio’ che denuncio , ho e ho consegnato le prove: foto , video , documenti cartacei ufficiali , registrazioni telefoniche e degli incontri avvenuti con i Dirigenti di Poste Italiane , ditta Appaltante, dirigenti usl 20 verona, Procura di Verona, Guardia di Finanza di Verona.
Ho denunciato con denuncia querela i capi della Procura di Verona Papalia e Schinaia , i quali , pur avendo in mano tutte la prove fornite da me allegate alla mia denuncia penale contro alti dirigenti Di Poste Italiane , Dirigenti dell’Ispettorato del Lavoro, Dirigenti dello Spisal (USL) , ditte appaltanti e un dirigente della Cgil, non hanno fatto alcuna indagine e dopo 17 mesi e 8 giorni hanno archiviato la mia denuncia senza neanche avvisarmi come la legge prevede in base all’art 408 cpp, inserendola volontariamente a mod 45 Fatti non costituenti reato per distogliere dall’azione penale gli alti funzionari che avevo denunciato per gravi reati penali .
Hanno leso il mio diritto di avere giustizia per i diritti negati e hanno leso l’erario dello stato per le somme non recuperate dall’evasione fiscale che ho documentato, e il non recupero delle somme che dovevano essere sanzionate per lo sfruttamento di lavoro nero e le gravi carenze di igiene e sicurezza nei posti di lavoro.
Brevemente spiego la situazione. 
Io per 7 anni sono stato responsabile su Verona della ditta che ha l’appalto di Poste Italiane fino a quando sono stato costretto a dare le mie dimissioni a seguito di minacce e vessazioni ricevute dall’amministratore della ditta appaltante , e dagli alti dirigenti di Poste Italiane per le mie lamentele sulle lacune lavorative che praticamente erano:
nessun tipo di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, obbligati a fare lavori che non ci competevano per contratto, presenza di lavoratori in nero, straordinari sottopagati in nero, mezzi di trasporto mal messi e spesso senza revisione, estorsione di denaro agli autisti prelevato dalle buste paga sotto forma di rimborso, continui insulti e minacce dal personale e dai dirigenti di Poste Italiane.

Praticamente ho denunciato i fatti al dirigente della Cgil il quale oltre a non fare niente mi ha consigliato di non disturbare gli alti Dirigenti di Poste Italiane che in quel momento erano occupati a preparare i nuovi appalti , in quanto avrei perso il posto di lavoro e vedendo la mia perseveranza, ha riferito a tutti gli autisti che per colpa mia e delle mie continue lamentele avrebbero perso il posto di lavoro , creando attorno a me il vuoto.
Ho denunciato presso l’ispettorato del lavoro la presenza ,all’interno di Poste Italiane ,di lavoratori in nero con tesserino identificativo fornito dai dirigenti di Poste Italiane e non è
stato fatto alcun controllo, inoltre alla richiesta di informazioni da parte della Procura di Verona, il direttore ordinario Palumbo risponde che non ha proceduto all’ispezione in quanto nutriva forti dubbi sulla veridicita’ di cio’ che io avevo denunciato ma non verifica la veridicita’ e non mi denuncia per false informazioni a un pubblico ufficiale.
Ho denunciato presso lo Spisal di Verona (USL) tutte le irregolarità riguardanti la sicurezza e igiene nei posti di
lavoro ed è stato fatto solo qualche controllo a seguito della mia minaccia di denunciarli per omissione di atti d’ufficio, tra l’altro la mia denuncia presentata il 28/09/2007 e’ stata protocollata il 13 novembre 2007 subito dopo la mia minaccia di denunciarli alle autorita’.
Ho collaborato per mesi con elementi dei Servizi Segreti della Guardia di Finanza di Verona e volontariamente non e’ stato fatto alcun controllo ne sull’evasione fiscale da me documentata, anzi mi hanno fatto ritardare la denuncia che dovevo presentare in procura.
Sono stato minacciato dagli uomini di fiducia dell’appaltante dicendomi che era inutile mettermi contro di loro in quanto l’appaltante era il nipote dell’ex capo della Polizia e dei Servizi Segreti Ferdinando Masone e erano appoggiati molto bene politicamente e tra l’altro anche se avessi fatto denunce alla magistratura, l’allora ministro della Giustizia era Mastella e a loro dire , era in stretto contatto con tutti gli appaltanti del centro sud Italia.
Dopo tutto ciò essendo sicuri di essere intoccabili avendomi fatto terra bruciata attorno, il Direttore del Triveneto di Poste Italiane Roberto Arcuri a seguito della mia caparbieta’ a non fare lavori che non mi competono per contratto o che vanno contro la sicurezza,
manda una raccomandata al mio datore di lavoro obbligandomi a non entrare in tutti gli uffici di Poste Italiane e di consegnare il pass di entrata , in quanto elemento indesiderato per aver chiesto il rispetto del contratto e della sicurezza sul lavoro.
A questo punto prendo tutta la documentazione in mio possesso ( documenti , foto e video) e vado a presentare denuncia alla Procura della Repubblica allegando il tutto.
Dopo un mese il mio avvocato viene convocato per consegnare alla procura tutti i numeri di telefono di tutti i lavoratori in nero e poi il nulla.
Nessuna convocazione e dopo 17 mesi e 8 giorni , dopo che gli appalti erano stati riconsegnati alle stesse ditte, il capo della procura Schinaia mi archivia la denuncia senza neanche avvisarmi come la legge prevede ,con nessuna motivazione e senza interpellare il Gip (FACCIO PRESENTE CHE ALL’EPOCA DEI FATTI OLTRE A ESSERE PERSONA OFFESA DAI REATI ERO INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO OBBLIGATO DAL CODICE PENALE A DENUNCIARE FATTI DI RILEVANZA PENALE).
Secondo lei è giusto e normale in una Nazione definita Civile , perdere il posto di lavoro , perdere la dignità , perdere il diritto di avere giustizia per aver fatto il mio dovere e aver preteso imiei diritti?
Mi sono dovuto ritrasferire con tutta la mia famiglia nella mia terra di origine la Sicilia.
Mi ritrovo disoccupato da 2 anni , deriso e guardato male da tutti in quanto mi sono messo contro alti Dirigenti pensando di avere giustizia e come ciliegina sulla torta mi viene negato il diritto di chiedere il risarcimento dei danni subiti da me e dalla mia famiglia. 
Agli atti delle indagini mancano documenti importanti che erano stati inseriti a loro dire dai miei avvocati e che comunque dovevano inserire i direttori di ulls e direzione lavoro nelle loro misere e false perizie . Per questo motivo e per tutti gli altri motivi gravi ho scritto al presidente della Repubblica e al Ministro Alfano chiedendo che immediatamente vengano inviati gli ispettori a verona per sequestrare e verificare l’operato del Capo della Procura.
Ancora una volta nessuno si muove e nessuno fa niente.
Ho consegnato la richiesta fatta al ministro Alfano e la lettera
al Presidente della Repubblica allegando tutta la documentazione in mio possesso piu le denunce anche a:
Procura di Roma
Procura Generale di Roma
Consiglio Superiore della magistratura.
A tutt’ora nulla………..
Ho fatto tante altre denunce querele in seguito
all’archiviazione e sono tutte ferme nelle procure di Verona Venezia e Roma e sicuramente insabbiate con il mod 45 classificando le mie denunce criminalmente come fatti non contenenti reato per autoarchiviarle senza fare alcuna indagine in quanto non sono stato convocato da nessuno.
L’Onorevole Fini ha posto la mia denuncia all’attenzione della Commissione competente e non ho ricevuto alcuna risposta.
La mia dettagliata denuncia si trova anche all’attenzione del Ministro Sacconi e la Direzione Generale del Ministero del Lavoro e non ho ricevuto alcuna risposta e nessuna ispezione e’ stata fatta.
La mia denuncia dettagliata si trova anche all’attenzione del Ministro Brunetta il quale l’ha posta all’attenzione dell’ispettorato della Pubblica funzione a dicembre del 2008 a tutt’ora non ho ricevuto alcuna risposta e nessuna ispezione e’ stata avviata.
Il 28 aprile ho inviato una richiesta di intervento disciplinare al CSM per i procuratori che volontariamente hanno messo la mia denuncia querela a mod 45 per autoarchiviarla.
Ho chiamato il CSM e mi hanno risposto che la mia
richiesta e’ in mano al relatore dal 5 maggio e la pratica e’ 309/2010.
Giorno 07 giugno 2010 il CSM mi risponde con una lettera ciclostilata inserendo anche cio’ che avevo chiesto nella prima istanza , che le richieste disciplinari le possono richiedere solo il Ministro e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione e per cio’ non faranno alcun intervento sia nei confronti dei procuratori Capo e non saranno aperte le indagini sulla denuncia auto archiviata con metodi criminali e mafiosi.
Mi invitano a rivolgermi alle autorita’ competenti per denunciare civilmente o penalmente i Procuratori Capo Papalia e Schinaia, pur avendogli consegnato nella documentazione anche la denuncia querela presentata a Verona il 23 Febbraio 2010 nei confronti dei Procuratori Capo e gli appartenenti dei Servizi Segreti e tutti coloro che hanno impedito , ritardato, omesso le normali procedure di indagini, occultando documenti o presentando documenti totalmente falsi.
Pur essendo coinvolte le Procure di Roma, Verona , Venezia , e Termini Imerese in quanto le denunce querele, anche se per diversi reati, sono tutte collegate alla prima denuncia autoarchiviata, non ho mai potuto parlare e non sono mai stato convocato da nessun Magistrato o forze dell’ordine in merito a cio’ che ho denunciato.
Violando l’art 112 della Costituzione, ( il Magistrato ha l’obbligo dell’azione penale), non viene avviata alcuna indagine o procedimento penale ne nei confronti di chi ho denunciato e neanche nei miei confronti per calunnia , false informazioni a pubblici ufficiali e non vengo neanche denunciato per diffamazione pur avendo pubblicato via web e in particolar modo su facebook non solo la vicenda ma anche le denunce scannerizztate foto e video.
L’unica cosa di cui sono certo e’ che per fatto il mio dovere , mi ritrovo disoccupato , senza giustizia e attenzionato dalla Digos come se fossi un criminale.
Spero che qualcuno abbia modo di indirizzarmi a qualche Magistrato onesto , organo di informazione e che mi convochi per poter dire tutto cio che so e il tutto con prove alla mano,
foto , video , documentazione cartacea , registrazioni telefoniche e registrazioni audio delle offerte per comprarmi e delle minacce per farmi star zitto.
Con immensa stima 
Francesco Carbone
Villafrati (PA) 90030

Edmond, un caso di malagiustizia tra Italia e Gran Bretagna

La vicenda che vi stiamo raccontando sembra la sceneggiatura di un film holliwoodiano, ma in realtà è la vera storia di un cittadino albanese regolarmente soggiornante nel Regno Unito. Il 26 ottobre del 2004 viene ucciso a Genova il cittadino Marcello Miguel Espana Castillo. La polizia italiana comincia a indagare sull’accaduto. Attraverso alcune intercettazioni telefoniche si arriva alla conclusione che l’assassino sia un certo Edmond Arapi, che spesso usa anche l’alias di Edmond Braka (detto anche Mondi).  Sarebbe infatti proprio durante un intercettazione telefonica che Braka confessa l’omicidio ad un suo amico albanese, un certo Ermir Braho. Il processo proseguo e Edmond Arapi viene condannato in contumacia a 19 anni di carcere per aver ucciso Espana Castillo.

Nel frattempo, dall’altra parte della Manica, Edmond Arapi lavora al Caffè David a Leek. Edmond è giunto in Gran Bretagna nel settembre del 1999, richiedendo asilo politico. Nel 2002 conosce Georgina, britannica, ora la madre dei suoi 3 figli e iniziano a vivere insieme. Edmond, impegnato tra famiglia e lavoro, è ignaro di quanto succede a Genova sul suo conto. Dopo 6 anni di permanenza continua in Gran Bretagna senza mai espatriare Edmond Arapi decide di tornare in Albania per celebrare il matrimonio con la sua compagna. È il 18 ottobre del 2006. Due mesi dopo, a dicembre del solito anno, la coppia ritorna dall’Albania transitando per Milano, senza nessun problema.

In Italia, il processo va avanti e il 30 aprile 2007, Edmond viene condannato definitivamente  a 16 anni, in presenza del difensore assegnatogli d’ufficio che in verità non lo ha mai contattato. Intanto il “diretto interessato” è totalmente all’oscuro di tutto. Il 20 maggio del 2009, la coppia ritorna in Albania, in vacanze per qualche settimana. Al loro rientro, Edmond Arapi viene arrestato all’aeroporto di Gatwick a seguito di un mandato di cattura europeo emesso dall’Italia per l’accusa dell’omicidio di Marcello Miguel Espana Castillo. È l’inizio dell’odissea giudiziaria di Edmond.

Lui ha un alibi di ferro. Oltre a non essere mai uscito dal Regno Unito dal 2000 al 2006,  il giorno dell’omicidio di Espana Castillo, Edmond ha firmato molte ricevute di pagamento del locale in cui era dipendente, a migliaia di km da Genova. Una perizia grafica ha dimostrato che la calligrafia nelle ricevute sia inequivocabilmente la sua. Anche i suoi superiori hanno confermato la sua presenza e in quel periodo Edmond aveva appena cominciato a frequentare un corso per aumentare di livello e diventare chef.

Edmond non ha mai ricevuto nessuna comunicazione della sua citazione in giudizio e tantomeno della condanna definitiva a 16 anni. Elementi che gli hanno impedito di difendersi per dimostrare la sua innocenza ed estraneità all’accaduto. In aggiunta a questi, lo status di richiedente asilo, gli imponeva la richiesta di un permesso particolare ogni qualvolta dovesse lasciare il Regno Unito per brevi periodi.
La procedura di identificazione del presunto autore del reato è stata particolarmente carente, in quanto non mirata e forse effettuata su una foto di gruppo, dalla sorella e dalla fidanzata di Ermir Braho (la persona con cui il tale Edmond Braka/Edmond Arapi avrebbe parlato al telefono confessandoli l’omicidio). Per di più Edmond è scagionato in tutto anche dalla prova del DNA.

Ma di tutti gli elementi a suo favore nessuno ne vuole sapere e la procedura di estradizione prosegue. Arapi viene bloccato per 12 mesi, passando anche svariate settimane in carcere, e i suoi avvocati ricorrono in appello contro questa decisione inammissibile.  Intanto la vicenda viene riportata, considerato l’assurdità dell’accaduto, sui principali media inglesi, dalla BBC al Telegraf ed altri. Il caso arriva poi in parlamento dove la deputata Karen Bradley si prende a cuore la questione e fa un interrogazione direttamente al Primo Ministro Cameron. “È a conoscenza il primo ministro dell’estradizione di Edmond Arapi, il quale sta per essere estradato in Italia perché condannato in contumacia? – chiede la parlamentare a Cameron che le risponde di voler trattare sicuramente il caso anche con il Ministro della Giustizia. Il caso assume dimensioni nazionali e diventa emblematico di come a volte la giustizia italiana sia troppo sbrigativa quando si tratta di giudicare cittadini non italiani.

Il 15 giugno 2010 presso l’Altra Corte di Londra, Gemma Lindfield, l’avvocato che rappresentava il governo italiano, ha ammesso che il sig. Edmond Arapi è stato vittima di un furto di identità da parte di qualcuno, ora in libertà.  

La vicenda è stata seguita e patrocinata anche dall’Associazione Fair Trials International, che attraverso i suoi portavoce, ha invitato i paesi europei di rivedere il meccanismo del mandato di cattura europeo, cercando di evitare situazioni cosi imbarazzanti nel futuro.  
Il caso Edmond Arapi sicuramente fa riflettere su alcune questioni. Non si poteva verificare prima l’alibi e le informazioni fornite da Arapi? Bisognava aspettare l’intervento del Primo Ministro inglese e di tutta la carta stampata inglese prima di ammettere che c’era stato un errore di valutazione?

Ancora una volta registriamo come ci sia il silenzio totale nei media italiani, quando si tratta di casi che vedono discolpati cittadini non italiani, ingiustamente condannati dalla giustizia italiana.

da albanianews.it

Sfrattata, devasta con i bambini ufficio Aler

 

La donna ha distrutto nove computer, una fotocopiatrice e una calcolatrice professionale. 

Sfrattata dalla casa popolare in via Lulli, a Milano, si è presentata con i figli di sette e nove anni negli uffici dell’Aler e ha distrutto nove computer, una fotocopiatrice, una calcolatrice professionale e danneggiato 11 auto parcheggiate nel cortile. Letizia D., 31 anni, è stata arrestata per danneggiamento aggravato. Ai poliziotti la donna ha detto di essere stata sfrattata quando lei non era in casa e che all’interno era rimasto il cane. I figli sono stati affidati alla nonna.

da Repubblica.it

Milano, scacco al racket delle case popolari

Operazione per gli alloggi del Comune nel popolare quartiere di Quarto Oggiaro. Un ex ispettore fra i cinque arrestati: chiedeva prestazioni sessuali alle inquiline
 

Scacco al racket delle occupazioni abusive nelle case del Comune a Milano. C’è anche un pubblico funzionario, un ex ispettore della Gefi (che all’epoca dei fatti contestati gestiva per conto di Palazzo Marino gli alloggi oggetto delle perquisizioni) tra i cinque arrestati dell’ operazione antiracket condotta dalla squadra mobile e dal commissariato Quarto Oggiaro nell’omonimo quartiere della città. Si tratta di Marco Veniani, 55 anni, accusato di chiedere sesso agli inquilini abusivi per cancellare la pratica dello sgombero.

FOTO Il blitz a Quarto Oggiaro

Il gruppo aveva messo in atto un un sistema per gestire gli alloggi popolari e rompere i lucchetti degli appartamenti, dandoli poi a chi sborsava un prezzo fra i 1.500 e i 2.500 euro. Le accuse sarebbero di associazione per delinquere finalizzata alla compravendita di occupazioni abusive in alloggi pubblici e concussione, in quanto l’uomo era incaricato di pubblico servizio. Gli altri quattro destinatari delle ordinanze sono Giorgio De Martino, 66 anni, e Vincenzo Sannino, 63, custodi degli immobili in via Pascarella ai civici 18 e 20; Gaetano Camassa, pluripregiudicato di 69 anni, e Salvatore Rizzo, 49, che veniva usato come manovale per sfondare le porte. Il gip nel suo provvedimento ricorda le denunce dell’associazione Sos racket e usura, che nei mesi scorsi hanno portato ad altri arresti, in particolare attraverso un video che ha fatto scattare l’inchiesta.

VIDEO Le immagini che hanno fatto scattare l’inchiesta

Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Federica Centonze si legge che Veniani, agendo in qualità di incaricato di pubblico servizio, nel giugno 2008 avrebbe chiesto a un’inquilina abusiva “di procurargli indebitamente la disponibilità sessuale di giovani donne, lasciandole chiaramente intendere che lui stesso si sarebbe interessato per bloccare la pratica di sgombero dall’immobile dalla suddetta abusivamente occupato, unitamente al figlio minore, e chiedendo se in cambio gli procurava una ragazza che accettasse di intrattenere rapporti sessuali con lui, ovvero di congiungersi carnalmente o praticargli un rapporto orale, non riuscendoci stante il diniego” della donna.

da Repubblica.it

L’AQUILA. LORO NON SCRIVONO… VOI FATE GIRARE!

 

L’AQUILA. LORO NON SCRIVONO… VOI FATE GIRARE!

Noi possiamo fare poco, ma facciamo almeno girare queste verità
abbracci a tutti e viva viva la mia meravigliosa città:  L’AQUILA!

Maria Teresa Dei Dolci Aveja dall’Aquila.

Ieri mi ha telefonato l’impiegata di una società di recupero crediti, per conto di Sky.
Mi dice che risulto morosa dal mese di settembre del 2009.
Mi chiede come mai. Le dico che dal 4 aprile dello scorso anno ho lasciato la mia casa e
non vi ho più fatto ritorno, causa terremoto.
Il decoder Sky giace schiacciato sotto il peso di una parete crollata.
Ammutolisce.
Quindi si scusa e mi dice che farà presente quanto le ho detto a chi di
dovere, poi, premurosa, mi chiede se ora, dopo un anno, è tutto a posto.
Mi dice di amare la mia città, ha avuto la fortuna di visitarla un  paio di anni fa. 

Ne è rimasta affascinata.

Ricorda in particolare una scalinata in selci che scendeva dal Duomo verso la basilica di Collemaggio.

Mi sale il groppo alla gola.
Le dico che abitavo proprio lì. Lei ammutolisce di nuovo.

Poi mi invita a raccontarle cosa è la mia  città oggi. Ed io lo faccio.
Le racconto del centro militarizzato.
Le racconto che non posso andare a casa mia quando voglio.
Le racconto che, però, i ladri ci vanno indisturbati.
Le racconto dei palazzi lasciati lì a morire.
Le racconto dei soldi che non ci sono, per ricostruire.
E che non ci sono neanche per aiutare noi a sopravvivere.
Le racconto che, dal primo luglio, torneremo a pagare le tasse ed i contributi, anche se non lavoriamo.
Le racconto che pagheremo l’i.c.i. ed i mutui sulle case distrutte e ripartiranno regolarmente i pagamenti dei prestiti.
Anche per chi non ha più nulla. Che, a luglio, un terremotato con uno stipendio lordo di 2.000 euro vedrà in busta paga 734 euro di retribuzione netta.

Che non solo torneremo a pagare le tasse, ma restituiremo subito tutte quelle non pagate dal 6 aprile.
Che lo stato non versa ai cittadini senza casa, che si gestiscono da soli,
ben ventisettemila, neanche quel piccolo contributo di 200 euro mensili che dovrebbe aiutarli a pagare un affitto.
Che i prezzi degli affitti sono triplicati. Senza nessun controllo.
Che io pago , in un paesino di cinquecento anime, quanto Bertolaso pagava per un appartamento in via Giulia, a Roma.
La sento respirare pesantemente. Le parlo dei nuovi quartieri costruiti a
prezzi di residenze di lusso.
Le racconto la vita delle persone che abitano lì. Come in alveari senz’anima.

Senza neanche un giornalaio o un bar.
Le racconto degli anziani che sono stati sradicati dalla loro terra lontani
chilometri e chilometri. Le racconto dei professionisti che sono andati via.
Delle iscrizioni alle scuole superiori in netto calo. Le racconto di una
città che muore e lei mi risponde, con la voce che le trema.
” Non è possibile che non si sappia niente di tutto questo. Non potete
restare così. Chiamate i giornalisti televisivi. Dovete dirglielo, chiamate
la stampa. Devono scriverlo.”
Loro non scrivono voi fate girare.

IL MISTERO DEI TROPPI RICORSI MILITARI RESPINTI

 

Roma, 8 luglio 2010

Si è appreso ufficialmente solo di recente, ma l’avvocato Giorgio Carta, ufficiale in congedo dell’Arma, aveva da tempo presentato una denuncia penale alla Procura della Repubblica di Roma chiedendo di fare luce sull’abnorme numero di ricorsi al TAR respinti allorché erano proposti contro il Ministero della Difesa.

Una situazione, questa, nota davvero a tutti: militari, avvocati e stati maggiori. Non a caso, nel corso dell’audizione del 4 novembre 2009 dinnanzi alla quarta commissione difesa del Senato, il direttore generale per il personale militare della Difesa, Mario Roggio, aveva addirittura potuto vantarsi che solo il 5 per cento dei ricorsi intentati contro il Ministero avevano esito positivo per i militari ricorrenti.

Ritenere, però, che il 95 per cento dei ricorsi sia davvero infondato è palesemente improbabile, specie se si considera che molti dei ricorsi accolti riguardano semplici accessi agli atti e silenzi dell’Amministrazione, nei quali è quasi impossibile dare torto ai ricorrenti.

Pertanto, l’avvocato Carta aveva voluto vederci chiaro e aveva denunciato tutto all’autorità giudiziaria penale di piazzale Clodio (n. 69370/09 R.G.).
La Procura della Repubblica di Roma, però, ha chiesto l’archiviazione che, nonostante l’opposizione del legale, è stata effettivamente disposta dal GUP di Roma, lo scorso 28 giugno (n. 16080/10 R.G.G.I.P.), adducendo la genericità delle accuse mosse ai giudici. «Ciò che sconcerta – riferisce l’avvocato – non è tanto l’esito della denuncia, ma la circostanza che la Procura romana non abbia ritenuto di ascoltare nessuno dei 15 testimoni indicati, tutti militari, forze dell’ordine e avvocati che si occupano di diritto militare. Il fascicolo delle indagini, dopo sei mesi, constava solo di un foglio. Non solo: la mia istanza di accertamenti era specificamente rivolta verso quattro giudici, ma l’indagine – si fa per dire – è stata protocollata come “contro ignoti”».

«La battuta di arresto non mi scoraggia. Anzi, sono ancora più determinato a vederci chiaro, raccogliendo nuovi elementi di prova e nuovi testimoni. A tal fine, chiedo di contattarmi a chiunque abbia notizia di documenti e di fatti utili ad istruire una nuova, più incalzante, denuncia. La mia battaglia è solo all’inizio e molti sono i colleghi avvocati che mi hanno assicurato il loro appoggio e che hanno deciso di dire basta ad uno stato di cose che, da tempo, alimenta il malessere tra i più fedeli servitori dello Stato, cioè Carabinieri e Forze armate in genere».

Da www.GrNet.it