Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 26

A PROPOSITO DEI CONCORSI TRUCCATI IN MAGISTRATURA

Con perfetto sincronismo, mentre veniva pubblicato l’articolo sull’argomento, sul sito www.lavocedirobinhood.it , il TG1 alle ore 20,30, del 1° Agosto finalmente rendeva pubblico l’elaborato n. 668 di diritto penale nel quale il candidato  per ben due volte dimostrava l’improprio utilizzo dell’apostrofo, che è come dire l’ABC della Grammatica Italiana.

Preciso che non è l’unico e non è l’unica questione anomala, considerate anche le molteplici svisature (argomenti off limits) che hanno pervaso soprattutto gli elaborati di diritto ammnistrativo.

Nelle brevi interviste trasmesse, al TG, è singolare quella al magistrato Alberto Cisterna in organico alla DIA.

Le sue testuali parole, in riferimento alle idoneità concesse pressapoco a metà dei candidati, sono state:

“E’ un problema grave delle nostre università è un problema di cui bisogna prendere atto.., non vengono sfornati ragazzi abbastanza preparati per sostenere questo concorso. E’ un problema che va risolto con urgenza”.

Se non è politica questa…

Ma tutto ciò non spiega come sia possibile far traghettare sulla sponda degli idonei elaborati che nulla hanno a che vedere con il corretto scrivere né con i criteri stabiliti, sebbene questi ultimi siano estremamente incapsulati nella loro striminzita esposizione.

Sul punto occorre precisare che negli ultimi due concorsi, oltre alla laurea viene richiesta l’abilitazione all’esercizio della professione legale e/o il diploma di scuola di specializzazione postuniversitaria. Scusate se è poco!!

A dispetto di tutto ciò e dell’aumentato numero di candidati il numero degli idonei si è mantenuto sotto il valore di riferimento fornito dai rispettivi bandi.

Tutti asini? può darsi! Tale posizione ha una controveribilità pari a zero atteso che gli elaborati dei non idonei sono accessibili solo ai diretti interessati ed alle commissioni e non risultano, al momento, trasparenti azioni rivolte a fornire evidente prova di tutto quanto viene ripetutamente detto e ripetuto a proposito di impreparazione.

Il contesto è corroborato dalla potente schermatura di cui gode “la commissione esaminatrice” prima, durante e dopo lo svolgimento del concorso il quale presenta una singolare procedura di correzione che non prevede né voto (sotto il 12) né giudizio, né tanpoco di fornire la minuta dell’attività di correzione degli elaborati (tempi impiegati per singolo candidato per collegio), facendo di questa selezione la più discrezionale esistente (persino più di quella attuata per l’esame di maturità).

Infatti il CSM come una corazza protettrice, attua un super controllo persino sull’accesso agli atti del concorso, nonostante ne abbia deciso una volta per tutte le modalità (forum disponibile sul sito del ministero), dall’altra il concetto di insindacabilità che nel tempo si è fortemente consolidato nei tribunali amministrativi rende impermeabili le informazioni ed i ricorsi; questi ultimi quasi al 100%.

A proposito di schermatura, non si è capito a quale titolo e con quali specifiche tecniche le due funzioni rilevanti (presidente e DG ministeriale), hanno garantito la schermatura /non schermatura dei padiglioni fieristici. Forse all’insaputa di tutti sono stati contattati i gestori di telefonia mobile per provvedere a mettere “al buio” il sito e ci sono riusciti solo parzialmente. O più semplicemente l’uno riusciva ad usare il cellulare e l’altro no? Sarebbe interessante saperlo, visto che nelle 4 interrogazioni parlamentari prodotte, a nessuno è venuto in mente di chiederlo.

A.T. (lettera firmata da un candidato aspirante magistrato)
 http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=197&titolo=CONCORSITRUCCATI:TRAINSABBIAMENTIEARCHIVIAZIONI
LA CREDIBILITA’ DELLA MAGISTRATURA ITALIANA SCENDE SEMPRE PIU’ IN BASSO.

 

Racket delle case popolari: altre 400 denunce in Procura

 

Sgomberi e arresti nelle case Aler occupate abusivamente non hanno minimamente fermato i malavitosi che gestiscono migliaia di alloggi pubblici in città. Frediano Manzi che per primo ha denunciato il fenomeno, ha raccolto 400 nuove denunce di altrettanti inquilini che presto saranno presentate in Procura. «L’ultimo episodio risale appena a due giorni fa in via Asturie». Per questo impegno il fondatore di «Sos racket e usura», oggetto di quotidiane minacce, ha deciso di trasferire la famiglia in una località riservata. «Io però resto e continuo il mio impegno».
L’occupazione sistematica delle case pubbliche ha raggiunto in questi ultimi anni livelli preoccupanti perché ormai su un patrimonio di circa 75mila unità abitative, almeno 4mila sono in mano alla malavita. Facile immaginare le ricadute, prima di tutto sulle casse dell’Azienda proprietaria di questo vasto patrimonio immobiliare che non riesce a incassare gli affitti. Inoltre in questi stabili vanno insediandosi ladri, spacciatori e stranieri irregolari. Insomma un intero universo che si muove nella illegalità e nella clandestinità.
«Il sistema è semplice – spiega Manzi – contando sulla incuria delle pubbliche amministrazioni, questi criminali hanno iniziato a impossessarsi degli alloggi rimasti liberi, perché l’ultimo inquilino si è trasferito oppure è morto. Sfondano la porta, cambiano le serrature e di fatto diventano proprietari. Il solito tam tam di “radio case popolari”, provvede poi a far incontrare domanda e offerta». L’ultimo affare sabato quando una africano clandestino, dopo aver versato 3mila euro a un italiano è entrato in un alloggio di via Asturie 6, che da quel momento sarà suo. Rimarrà senza pagare l’affitto con la certezza di non essere sfrattato.
Il presidente di «Sos racket e usura» l’anno scorso aveva raccolto un voluminoso dossier sugli stabili di via padre Luigi Monti, a Niguarda, gestito dal clan di Giovanna Pesco. La donna, chiamata «signora Gabetti», venne poi arrestata insieme alla figlia e al convivente e al processo, il pm ha appena chiesto una condanna di sei anni. «Ma nulla è cambiato nel frattempo» denuncia Manzi che ha già pronto materiale nuovo da portare ai giudici. Si tratta di 400 questionari raccolti da altrettanti inquilini regolari ancora in via Monti, dove altri hanno sostituito la «signora Gabetti». Ma anche nelle vie Ciriè, Menabrea, Lessona, Console Marcello, Pascarella, Tracia e Rapallo, cioè tra Niguarda e Quarto Oggiaro. Questionari che raccontano puntualmente la stessa storia: una banda prende possesso di alcuni alloggi, li «rivende» a balordi che si barcamenano tra furti e spaccio, minacciando chiunque si ribelli. Quasi tutti gli inquilini precisano di aver presentato denunce, verbali e scritte, a polizia e carabinieri, Comune e Aler.
«C’è una sostanziale inerzia delle autorità e qualche volta anche connivenza. Basti pensare che pochi giorni fa hanno arrestato un ispettore della Gefi, società che gestisce parte del patrimonio Aler, coinvolto nel racket – accusa Manzi -. Provincia e Sindacato inquilini della Cgil si erano inoltre impegnati per distribuire e raccogliere i questionari, ma non si sono mai mossi. E io sono rimasto ancora volta solo. Ed è proprio questo isolamento che, come insegnano le storie di tante vittime di mafia, consente poi alla malavita organizzata di colpire. Per questo, dopo telefonate e fax di morte e assalti ai miei coschi di fiori, ho messo in salvo la famiglia. Ma la mia lotta continua».

 

da ilgiornale.it

A Niguarda è ancora racket degli alloggi

 

«Ho pagato 3 mila euro a un italiano»
L’arresto della «signora Gabetti» non ha fermato le occupazioni abusive controllate dalla malavita
«Io, costretta a pagare per un alloggio nel quartiere ripulito dal racket» (11 maggio 2010)
Racket case popolari, arrestate la «signora Gabetti» e la figlia (11 novembre 2010)

MILANO – Di nuovo un’occupazione abusiva. E chi è entrato nell’alloggio vuoto del Comune, in via Asturie, ha pagato il pizzo di 3.000 euro ad un italiano. Nello stesso quartiere di Niguarda, nel regno di Giovanna Pesco, alias «signora Gabetti», già arrestata lo scorso novembre, perché ritenuta la regina della gestione degli alloggi popolari. Ma, evidententemente, non era l’unica a tenere in piedi il racket.

L’ULTIMO CASO – L’altra notte, infatti, gli agenti della polizia locale, insieme ad ispettori Aler, hanno pizzicato un egiziano di 37 anni, che abusivamente era entrato in una abitazione. L’uomo ha dichiarato di aver pagato per la disponibilità dell’alloggio, 3.000 euro a un italiano. Non solo: insieme con un altro, ogni fine mese pagava una sorta di affitto. L’extracomunitario è stato denunciato per occupazione abusiva dietro compenso. Mentre l’alloggio è stato messo in sicurezza e «blindato».

UN QUARTIERE DIFFICILE – Proprio a Niguarda, nel quartiere dei blitz continui delle forze dell’ordine. Tra degrado e papponi. Cocaina e manette. Dove meno di un mese fa sei colpi di pistola sono stati esplosi contro la latteria di un pregiudicato, in via Padre Luigi Monti. E c’è chi dice che siano stati due rom in sella a un motorino. Li hanno visti. Sparavano con due pistole. Si dice anche «per fatti di droga». E, nei giorni a seguire, una rissa dietro l’altra. Sempre rom che se le danno tra di loro. Proprio nella via dello scandalo del racket degli alloggi. Dove nel giro di pochi mesi sono piovute denunce, inchieste e arresti. E il quartiere aveva tirato un sospiro di sollievo. Ma è durato poco. L’altra sera l’ennesimo sgarro alle istituzioni.

40 ANNI DI ABUSI – «Stavolta ­ ­­- sottolinea il vicesindaco Riccardo De Corato – i residenti del quartiere hanno collaborato, segnalando uno strano via vai di egiziani in quei locali. Così siamo riusciti ad interventire. Le dichiarazioni dell’egiziano sono ora al vaglio della magistratura che dovrà indagare sulla presenza di soggetti legati al racket delle case abusive nel quartiere». Gli inquilini però fanno ancora l’elenco di chi ha occupato illegalmente: una ventina di rom, molti parenti delle famiglie storiche malavitose, un egiziano, due pregiudicati. «Il problema è a monte – spiegano i detective del commissariato Greco-Turro. Negli anni ’70 e ’80 gli alloggi popolari furono occupati per necessità da meridionali che non hanno mai pagato l’affitto. Nella via Cirié i campani e i pugliesi, in via Padre Luigi Monti i siciliani e nei viali Fulvio Testi e Sarca, i calabresi. Il Comune non era attrezzato per fronteggiare l’abusivismo e quindi fece una sanatoria. Così molti pagarono le spese, ma non gli affitti. Quindi il Comune si rivolse a società private per recuperare gli alloggi. Il resto è storia d’oggi: quando ci dicono che dobbiamo sgomberare un alloggio, noi lo facciamo. Quello che segue, però, spetta alle istituzioni».

Michele Focarete

da corriere.it

STRAGE DI BOLOGNA. STRAGE DI STATO.

A 30 anni dalla strage di Bologna è ormai chiaro (quasi) a tutti che si è trattato dell’ennesima strage di Stato, come quelle che l’hanno preceduta a Milano e a Brescia (P.zza Fontana e P.zza della Loggia).

La strage di Bologna si inserisce infatti in un momento molto difficile della storia italiana degli ultimi cinquanta anni. Siamo nei cosiddetti “anni di piombo”, quando il Paese è attraversato da una crisi economica e da forti conflitti sociali. In questi anni nasce e si sviluppa in Italia il terrorismo politico, l’azione politica violenta di gruppi estremisti di destra e di sinistra, che agiscono al di fuori del normale confronto politico democratico e che, mediante la cd. “strategia della tensione” hanno l’obiettivo di provocare la crisi delle strutture democratiche dello Stato. Questa strategia si realizza attraverso una serie di attentati contro persone che svolgono in qualche modo un ruolo attivo nella vita democratica del Paese (magistrati, uomini politici, rappresentnanti delle forze dell’ordine, professori universitari), ma assume anche la forma di vere e proprie stragi nelle piazze, nelle banche, sui treni che coinvolgono anche semplici cittadini. Per la strage di Bologna vengono accusati e condannati all’ergastolo, dopo molti e lunghi processi due esponenti dell’estremismo di destra: Francesca Mambro e Valerio Fioravanti che, ancora oggi, stanno scontando la pena. I due terroristi, che hanno ammesso il loro coinvolgimento diretto in altri fatti di sangue, per quanto riguarda Bologna si sono sempre proclamati innocenti, adombrando l’intervento dei servizi segreti. Anche questa strage, dunque, è stata considerata come un atto inserito nella strategia della tensione che ha caratterizzato gli anni ‘70 e i primi anni ‘80. Ma con il passare del tempo numerose ipotesi sono state avanzate riguardo il possibile coinvolgimento di elementi diversi dall’estremismo politico in questo come di altri tragici eventi che hanno insanguinato quel periodo. Alcune di queste ipotesi sono poi diventate “verità giudiziarie”: nel corso dei processi per la strage di Bologna, ad esempio, sono stati accertati e confermati con sentenza i tentativi di alcuni elementi cosiddetti “deviati” dei servizi segreti italiani di depistare le indagini dei magistrati per evitare che fosse fatta piena luce su quello che era successo. Perché questi depistaggi? Anche a questa domanda non è ancora possibile dare una risposta certa e il comportamento degli ultiimi giorni dei più alti rappresentanti delle nostre istituzioni che hanno disertato la cerimonia, confermano l’arroganza del potere e l’assoluta assenza di volontà da parte dello Stato Italiano di raggiungere la verità e di rendere giustizia alle vittime e ai loro parenti. Di seguito pubblichiamo la ricostruzione della vicenda politico-giudiziaria a cura della Associazione dei famigliari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980.  

IL 2 AGOSTO 1980 ALLA STAZIONE DI BOLOGNA ESPLODE UNA BOMBA CHE CAUSA 85 MORTI 200 FERITI
L’avvio delle indagini trovò un incredibile iniziale ostacolo nel tentativo, protrattosi per 24 ore, di mettere in dubbio la natura dolosa dello scoppio, infatti vennero ipotizzate cause fortuite quali lo scoppio di una caldaia.
Si tentò, da un lato di evitare reazioni della piazza e dall’altra, come era successo per la strage di Piazza Fontana, di ritardare il rinvenimento di tracce utili.
L’intervento della Procura della Repubblica di Bologna fu tempestivo e l’approccio serio: gli investigatori misero subito a fuoco le protezione di cui il frastagliato mondo del terrorismo eversivo di destra aveva goduto e continuava a godere a Roma malgrado la città fosse stata sottoposta negli ultimi due anni ad una escalation di violenze e di attentati (di particolare significato l’attentato al C.S.M. e l’uccisione del Giudice Amato).
Già alla fine di agosto comincia ad essere abbozzata una ipotesi accusatoria indirizzata anche verso ideatori e depistatori, ma il passaggio dell’inchiesta dalla Procura all’Ufficio Istruzione segna una sorta di inversione di tendenza: l’indagine comincia ad essere spezzettata. Viene inviata a Roma per competenza l’indagine sull’associazione eversiva. Si fanno più pesanti i depistaggi.
Eppure la strage era stata preannunciata anche un mese prima (colloquio tra Rinani e Presilio), negli ambienti dei servizi se ne troveranno addirittura tracce scritte (rapporto Spiazzi) – colloquio tra Amos Spiazzi e Ciccio Mangiameli –omicidio Mangiameli. Il giudice Amato,nelle audizioni del 25 marzo e 13 giugno 1980, davanti al CSM, aveva segnalato la pericolosità dinamitarda dei gruppi eversivi di destra (audizioni del 25 marzo e 13 giugno 1980)

  • Depistaggi : al momento dei primi arresti avvenne un incontro tra Licio Gelli (Gran Maestro della loggia massonica P2) e Elio Cioppa (Alto dirigente del S.I.S.M.I.) ‘State sbagliando tutto, la pista è quella internazionale’:
    In quel momento iniziano contrasti feroci all’interno del tribunale, in parte fomentati da pubblicazioni di stampa, che avvalorano tesi e avvenimenti fantasiosi tendenti a screditare i giudici che avevano svolto la prima parte dell’indagine, avvalorando poi un disegno massonico internazionale con l’obiettivo di portare i giudici su piste internazionali estremamente inverosimili e fantasiose. ‘IL GRANDE LABIRINTO’ giornalista PAMPARANA.
    Tutto ciò causa grande sconcerto nell’opinione pubblica e nei familiari delle vittime.
  • L’1 Giugno 1981 si costituisce
    L'”ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980″ con lo scopo statutario di : “OTTENERE CON TUTTE LE INIZIATIVE POSSIBILI LA GIUSTIZIA DOVUTA“.
    Al momento della costituzione vi sono 44 persone, poi si associano in 300.
    Ogni 4 mesi l’Associazione va in tribunale ad incontrare i giudici, subito dopo convoca una conferenza stampa per far conoscere lo stato delle cose e la sua opinione.
    Momenti di grande tensione che i familiari hanno sempre vissuto con grande dignità non lasciandosi portare in giro da falsi consiglieri.
    Una delle cause, per cui i processi nelle altre stragi si sono chiusi con un nulla di fatto, è da ascriversi ai depistaggi che hanno avuto successo e ai collegi di difesa che si sono divisi affermando, molte volte, convinzioni di singoli avvocati. I depistaggi arrivarono a volte a provocare perfino la divisione all’interno dei collegi di difesa delle parti civili.
    L’Associazione assume posizioni molto dure nei confronti di chiunque appaia sottovalutare la gravità della mancata risposta giudiziaria all’ansia dell’accertamento della verità.
  • Il 6 Aprile 1983 assieme alle Associazioni delle stragi di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, dell’Italicus costituisce a Milano l’Unione dei Familiari delle Vittime per Stragi
  • All’inizio del 1984 inizia la raccolta di firme in calce alla proposta di legge di iniziativa popolare per : ‘L’ABOLIZIONE DEL SEGRETO DI STATO NEI DELITTI DI STRAGE E TERRORISMO‘. Consegnata all’On. Francesco Cossiga, allora Presidente del Senato, il 25 LUGLIO 1984, corredata da circa 100.000 firme, la legge deve ancora essere discussa dal nostro Parlamento. ( oggi 28.2.1997)
  • Il 19 Gennaio 1987 inizia il processo, i giudici svolgono un
    meticoloso lavoro di analisi degli antefatti teorici partendo dal Convegno dell’Istituto Pollio, la sentenza viene emessa l’11 Luglio 1988
    I condannati per depistaggio sono tutte persone iscritte a logge massoniche e Licio Gelli è, come si è detto, il Gran Maestro della loggia massonica P2. Il Generale Pietro Musumeci e il Colonnello Giuseppe Belmonte sono alti ufficiali del S.I.S.M.I. servizio segreto militare
    Nell’estate del 1989 l’avvocato di parte civile Roberto Montorsi incontra Licio Gelli e passa dalla parte degli imputati tradendo la fiducia che gli era stata accordata.
  • Subito si scatena una campagna che cerca di squalificare tutto il lavoro dei magistrati, dell’Associazione e del Collegio di Parte Civile.
    Vi fu una campagna di stampa martellante che per tutta l’estate fino all’apertura del processo d’appello ( ottobre 1989), prendendo le difese dell’avvocato, considerava l’inchiesta frutto di un teorema, e di un intrigo del partito comunista.
    L’Associazione fu accusata di fare un’attività di spionaggio cercando di far passare come illecita la sua attività di informatizzazione degli atti del processo.
    Questa fu la preparazione del processo d’Appello, il clima di tutto il procedimento risentì di quella situazione.
  • Il processo d’Appello iniziò nell’ottobre 1989 la sentenza fu emessa il 18 Luglio 1990. TUTTI ASSOLTI DALL’ACCUSA DI STRAGE.
    Da segnalare: il Procuratore Generale aveva chiesto l’appesantimento delle pene.
    La sentenza fu definita dall’Associazione una Provocazione.
    Immediata presa di posizione dell’M.S.I. che chiese la cancellazione dalla lapide presso la stazione di Bologna della scritta ‘Strage Fascista’
    Il Presidente del Consiglio Andreotti si disse d’accordo ed il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga chiese ufficialmente scusa all’M.S.I..
  • Il 2 Agosto 1990 il Senato approva una legge che porta lo stesso titolo di quella presentata dall’Unione ‘Abolizione del segreto di stato nei delitti di Strage e terrorismo’, ma nulla ha a che fare con quella, anzi peggiora quella esistente.
  • Il 12 Febbraio 1992 le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione emette la sentenza.
    IL PROCESSO D’APPELLO VA RIFATTO !
    La Corte ha sentenziato che la sentenza d’Appello è:
    – ILLOGICA
    – PRIVA DI COERENZA
    – NON HA VALUTATO IN TERMINI CORRETTI PROVE E INDIZI
    – NON HA TENUTO CONTO DEI FATTI CHE PRECEDETTERO E SEGUIRONO L’EVENTO
    – IMMOTIVATA O SCARSAMENTE MOTIVATA
    – IN ALCUNE PARTI I GIUDICI HANNO SOSTENUTO TESI INVEROSIMILI CHE NEPPURE LA DIFESA AVEVA SOSTENUTO.
  • Inizio del 2° Processo d’Appello ottobre 1993
    CONFERMA DELL’IMPIANTO ACCUSATORIO DEL PROCESSO DI 1° GRADO.
    , termine 16 Maggio 1994
  • Il 12 giugno 1994 appare un’intervista della Mambro e Fioravanti sul Corriere della Sera; l’argomento era : ‘NOI ALL’ERGASTOLO LORO AL GOVERNO‘ si prendevano in considerazione le esperienze passate di alcuni esponenti di Alleanza Nazionale( Gasparri, Storace, Bontempo, Fini), rilevando il passato comune, la militanza comune, l’offerta di cariche elevate all’interno dell’M.S.I. in favore della Mambro.
    Circa un mese dopo viene fondato a Roma nella Sede dell’ARCI il comitato in difesa della Mambro e Fioravanti ‘E se fossero innocenti‘. Questo comitato a cui aderiscono intellettuali di tutte le estrazioni propone tesi che nulla hanno a che fare con la realtà processuale. Il materiale che in tribunale aveva fatto figure penose perché non supportato da nulla viene ora riproposto all’opinione pubblica per confonderla.
    Risposta immediata da parte dell’Associazione, viene stampato un libretto intitolato ‘Contributo alla Verità’ in cui vengono riportate le tesi del comitato confutate sulla base degli atti processuali e non con valutazioni sentimentali o ipotetiche.
    La campagna di disinformazione di questo comitato dilaga su tutti i giornali, le televisioni di stato gli concedono ampi spazi, le televisioni FININVEST dedicano almeno 3 trasmissioni di 2 ore altre televisioni ne ospitano costantemente alcuni esponenti di spicco.
    Cercano di far accreditare nell’opinione pubblica la tesi dei due capri espiatori.
  • Il 2 agosto 1995 il Senato approva di nuovo una legge che ha lo stesso titolo di quella proposta dai familiari delle vittime : ABOLIZIONE DEL SEGRETO DI STATO NEI DELITTI DI STRAGE E TERRORISMO, ma il contenuto prevede ancora la possibilità di porre il segreto di stato per quei reati.
  • Fine 1994: Viene nominato presidente della “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” il senatore Giovanni Pellegrino.
  • Alla fine del 1995 il senatore redige una pre-relazione stampata nel volume “Luci sulle stragi”: l’Assocciazione ne disapprova il contenuto.
  • Prima dell’inizio del processo in Cassazione gli imputati mettono in atto un ennesimo depistaggio. Richiesta di archiviazione del Giudice Giovagnoli su caso Sparti De Giglio
  • Il 22 Novembre inizia il processo in Cassazione, la sentenza viene emessa il 23 Novembre 1995.
    VIENE CONFERMATA NELLA SOSTANZA LA SENTENZA DEL 2° PROCESSO D’APPELLO.
  • Nel 1996 il senatore Pellegrino viene rieletto alla commissione e l’Associazione dirama un comunicato.
  • Il 18 giugno 1996 la Corte d’Appello di Firenze assolve Picciafuoco; il Procuratore Generale ricorre in Cassazione.
    La Cassazione assolve in via definitiva Picciafuoco
  • 2000: Esce il volume Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri con Giovanni Pellegrino, “Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro”, Einaudi, 2000. (considerazioni di Gianni Flamini)

Vicenda Ciavardini:

A cura dell’Associazione dei famigliari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 2 Agosto 1980. Via Polese n.22 40122 Bologna     tel. ++39-51-253925 / fax ++39-51-253725     bologna@stragi.it
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LA SOLITA MAFIA TREVIGIANA

 

Membri della lega invocano metodi da SS contro gli immigrati, Senza strascichi giudiziari. La condanna beffa nel Paese degli insulti. Sentenza (e appello) da record per aver detto “vergogna” a una giunta leghista. Accade in provincia di Treviso

Su col morale: la giustizia sa essere velocissima. In una regione come il Veneto in cui la prima udienza di 44 processi civili è stata fissata dalla Corte d’Appello di Venezia nel 2017 (pazienza, pazienza…) un pubblico ministero di Treviso ci ha messo tre-giorni-tre a presentare appello contro l’assoluzione di una signora che aveva osato dire agli assessori comunali di Vittorio Veneto la parola «Vergognatevi!». Ai milioni di processi che impantanano i tribunali si aggiungerà anche lo strascico di questo. Quali siano gli esempi arrivati in questi anni dall’alto, li ricordiamo tutti. Una rinfrescatina? Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca capo dello Stato, fu liquidato da Vittorio Sgarbi in piazza Montecitorio come «una scorreggia fritta». Roberto Maroni spiegò che «Bossi ce l’ha duro, Berlusconi ce l’ha d’oro, Fini ce l’ha nero, Occhetto ce l’ha in (censura) ».

Gianni Baget Bozzo tuonò in diretta televisiva che «il popolo deve molto a Berlusconi. E col cazzo che questa è adulazione». Il leghista Enrico Cavaliere si avventurò dai banchi della Camera a dire: «C’è puzza di merda in questo posto». Alessandra Mussolini mandò una lettera pubblica al Senatur in cui diceva: «Si’ proprio nu chiachiello e nun tien’ manch’e palle p’ffa na vera rivoluzione». Massimo D’Alema bacchettò Carlo Ripa di Meana con il suo tipico garbo: «Dice solo cazzate». Romano Prodi sibilò a Enrichetto La Loggia, in pieno dibattito parlamentare, l’invito «Ma vaffan… » seguito da un’interrogazione parlamentare dell’offeso: «Risponde al vero che lei mi ha mandato fanculo?». Quanto ai tempi più recenti, va ricordato almeno Silvio Berlusconi, che dopo aver precisato di avere «troppa stima per l’intelligenza degli italiani per pensare che ci possano essere in giro così tanti coglioni che possano votare a sinistra», se l’è presa con chi «sputtanando il premier sputtana anche l’Italia». E poi Antonio Di Pietro, che ad Annozero ha detto «col massimo rispetto, Berlusconi è un delinquente » per incitare successivamente a «buttar fuori Minzolini a calci in culo ». E ancora Gianfranco Fini («Chi dice che gli stranieri sono diversi è uno stronzo…») e Roberto Calderoli: «È stronzo anche chi li illude».

Per non dire di Tommaso Barbato e Nino Strano che, il giorno della caduta del governo Prodi, urlarono al Senato contro Nuccio Cusumano: «Pezzo di merda, traditore, cornuto, frocio!» e «Sei una checca squallida!». E via così: potremmo andare avanti per ore. Bene: in questo contesto, in cui una parte del Paese accusa l’altra d’avere le mani lorde di sangue dei crimini staliniani e l’altra metà risponde imputando agli avversari di essere golpisti e goebbelsiani, la signora Ada Stefan si è spericolatamente spinta a contestare una decisione urbanistica della giunta comunale leghista di Vittorio Veneto. La scelta di non demolire un complesso edilizio che avrebbe dovuto diventare un «polo sportivo d’interesse nazionale » con due campi di calcio, un impianto di pattinaggio a rotelle, tribune, foresterie, palestre, parcheggi e un sacco di altre cose compresi un po’ di «spazi commerciali accessori». Una cosa grossa. Edificata su un terreno per il quale il piano regolatore prevedeva fossero «ammessi solo gli impianti per il gioco, gli spettacoli all’aperto e le attrezzature sportive».

Scelta giusta o sbagliata? Non ci vogliamo manco entrare: non è questo il punto. Il fatto è che, essendo state costruite solo le strutture commerciali e non quelle sportive, un gruppo di abitanti della zona aveva chiesto alla giunta di smetterla con le deroghe e, dato che il progetto originale era stato stravolto e dunque risultava tutto abusivo, di procedere con le ruspe. Al che l’amministrazione aveva risposto che «l’esigenza del ripristino della legalità non è sufficiente a giustificare la demolizione richiesta, occorrendo comparare l’interesse pubblico alla rimozione con l’entità del sacrificio imposto al privato». Parole discutibili. Tanto più alla luce di una serie di sentenze di sette o otto Tar (veneto compreso) e del Consiglio di Stato presentate dal legale degli abitanti della zona, Daniele Bellot, tutte molto chiare: in casi del genere l’abuso va abbattuto. Ma neppure questo è il punto. Il punto è che, durante un consiglio comunale, esasperata dalle resistenze della maggioranza all’idea di demolire il complesso, la signora Ada Stefan sbottò: «Vergognatevi! ».

Un’offesa gravissima, secondo Mario Rosset, già segretario e consigliere della Lega. Al punto di meritare una denuncia. Denuncia finita sul tavolo di un magistrato trevisano. Il quale, incredibile ma vero, decise di emettere un decreto penale che condannava la signora «per avere offeso l’onore e il prestigio del consiglio comunale di Vittorio Veneto dicendo ad alta voce, rivolta al loro indirizzo, “Vergognatevi”». Un verdetto sconcertante. Che Ada Stefan decise di non accettare chiedendo di andare a processo. Processo aperto e chiuso giorni fa nel giro di pochi minuti: per il giudice Angelo Mascolo la signora andava assolta «perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.». Faccenda chiusa? Macché: tre giorni dopo (tre giorni: in un Veneto in cui i magistrati sono sommersi di arretrati e, stando alla relazione della stessa presidente Manuela Romei Pasetti, «trascorrono mediamente 272 giorni tra la sentenza di 1˚ grado e l’arrivo alla Corte d’Appello») il sostituto procuratore Giovanni Cicero impugnava l’assoluzione. Il processo andrà avanti: la signora Stefan, secondo lui, va castigata. Il tutto in una provincia come Treviso.

Dove il sindaco leghista Giancarlo Gentilini ha ordinato «la pulizia etnica contro i culattoni» ed è arrivato a invocare «il linciaggio in piazza». Dove il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni si è spinto a dire: «Gli immigrati? Peccato che il forno crematorio del cimitero di Santa Bona non sia ancora pronto» aggiungendo che «l’immigrato non è mio fratello, ha un colore della pelle diverso». Dove il consigliere comunale leghista della città capoluogo Pierantonio Fanton ha teorizzato che «gli immigrati sono animali da tenere in un ghetto chiuso con la sbarra e lasciare che si ammazzino tra loro». Dove un altro consigliere leghista, Giorgio Bettio, è sbottato tempo fa urlando che occorreva «usare con gli immigrati lo stesso metodo delle SS: punirne dieci per ogni torto fatto a un nostro cittadino». Il tutto senza particolari strascichi giudiziari. E sarebbe un reato dire «vergognatevi»? Messa così lo diciamo anche noi: vergognatevi.

 Gian Antonio Stella

da corriere.it

INDUZIONE ALL'EMIGRAZIONE

100 KM DI RABBIA E DI PASSIONE

 di Antonio Forcillo

Questa non è una storia inventata, ma ciò che è accaduto realmente una settimana fa, esattamente il 26 e 27 luglio 2010.

Partenza alla mattina, alle sette in punto, dal piazzale antistante l’ospedale di Tinchi di Pisticci (MT); destinazione Potenza.

Poco più di 100 km a piedi, sulla superstrada Basentana, in marcia serrata per il Consiglio Regionale straordinario che doveva decidere sulle sorti dell’Ospedale metapontino.

Venti temerari, semplici cittadini non dipendenti né di asl né dell’ospedale, che si sono cimentati in un’impresa memorabile, quasi impossibile.

Ma non siamo all’inizio della storia, in quanto già da più di un mese, esattamente dal primo luglio, un altro gruppo di cittadini è asserragliato sul tetto più alto di quell’ospedale che si è deciso di chiudere. 

Insieme ai più giovani che si alternano nei turni massacranti di presidio continuo, per giorno e notte, alcuni autentici frammenti di storia vivente.

Uno di loro, 86 anni, ex compagno di brandina in carcere di Rocco Scotellaro ai tempi delle lotte contadine, e amico di Carlo Levi.

Quello di Tinchi è un ospedale distrettuale importantissimo; ha servito egregiamente per trent’anni 50.000 cittadini d’inverno che d’estate diventano più di 300.000, che si sono visti privare improvvisamente di quell’ultimo bene residuo, essenziale per la sopravvivenza di una vasta comunità, quella metapontina.

Qualcuno penserà che è colpa di Tremonti, dei tagli alla sanità del Governo Berlusconi…

Niente di tutto ciò!

La chiusura di quell’ospedale, vanto di tutta la Basilicata per l’ottima valenza del suo personale e dei suoi conti economici, fa parte di una strategia criminale di lungo corso che vuole indurre all’emigrazione forzata le popolazioni d’origine di questi territori, dopo che un’altra emigrazione di massa, nei decenni scorsi, le ha già pesantemente decimate.

Induzione forzata all’emigrazione in un territorio ricchissimo e rigoglioso, sicuramente il più ricco d’Europa per gli enormi giacimenti di petrolio e gas naturale qui presenti.

D’altronde, l’individuazione del sito unico delle scorie di Scanzano Jonico, distante da Tinchi meno di 15 km, già qualche anno fa sarebbe servito proprio a questo.

Abbiamo percorso i 100 km in 27 ore esatte, arrivando davanti al palazzo delle Regione stremati, alle 10 in punto del giorno dopo, sdraiandoci per terra con i piedi doloranti e roventi per le bolle e il sudore.

Un vero e proprio record, ha gridato qualcuno con il suo ultimo barlume di forza.

Alle otto di sera, dopo un’interminabile giornata di attesa spasmodica davanti al Palazzo, sotto il sole cocente e due terribili acquazzoni beccati in pieno, la maggioranza di governo lucano ha bocciato entrambe le uniche due mozioni previste, che avrebbero restituito almeno in parte i servizi e i reparti sottratti all’Ospedale di Tinchi.

Ha, cioè, deciso di non decidere; nella costanza di una consuetudine efferata e aberrante.

Quella di Basilicata, a maggioranza PD, è sicuramente l’ultima énclave o roccaforte di una sinistra dittatoriale e sanguinaria, che riesce a impedire ai sindacati e ai lavoratori di poter partecipare, alla magistratura di indagare, alle televisioni e ai giornali nazionali di trasmettere…

Con un fil di voce e di nascosto, per paura delle feroci epurazioni e ritorsioni diffuse e qui all’ordine del giorno, molti cittadini cominciano a osare dove non hanno mai osato…

Iniziano cioè a paragonare questo regime repressivo a una vera e propria reincarnazione già compiuta:   quella di CEAUSESCU!

Tinchi, 2 agosto 2010  

Antonio Forcillo

LA LOTTA DELL'OSPEDALE DI TINCHI

100 KM DI RABBIA E DI PASSIONE

 di Antonio Forcillo

Questa non è una storia inventata, ma ciò che è accaduto realmente una settimana fa, esattamente il 26 e 27 luglio 2010.

Partenza alla mattina, alle sette in punto, dal piazzale antistante l’ospedale di Tinchi di Pisticci (MT); destinazione Potenza.

Poco più di 100 km a piedi, sulla superstrada Basentana, in marcia serrata per il Consiglio Regionale straordinario che doveva decidere sulle sorti dell’Ospedale metapontino.

Venti temerari, semplici cittadini non dipendenti né di asl né dell’ospedale, che si sono cimentati in un’impresa memorabile, quasi impossibile.

Ma non siamo all’inizio della storia, in quanto già da più di un mese, esattamente dal primo luglio, un altro gruppo di cittadini è asserragliato sul tetto più alto di quell’ospedale che si è deciso di chiudere. 

Insieme ai più giovani che si alternano nei turni massacranti di presidio continuo, per giorno e notte, alcuni autentici frammenti di storia vivente.

Uno di loro, 86 anni, ex compagno di brandina in carcere di Rocco Scotellaro ai tempi delle lotte contadine, e amico di Carlo Levi.

Quello di Tinchi è un ospedale distrettuale importantissimo; ha servito egregiamente per trent’anni 50.000 cittadini d’inverno che d’estate diventano più di 300.000, che si sono visti privare improvvisamente di quell’ultimo bene residuo, essenziale per la sopravvivenza di una vasta comunità, quella metapontina.

Qualcuno penserà che è colpa di Tremonti, dei tagli alla sanità del Governo Berlusconi…

Niente di tutto ciò!

La chiusura di quell’ospedale, vanto di tutta la Basilicata per l’ottima valenza del suo personale e dei suoi conti economici, fa parte di una strategia criminale di lungo corso che vuole indurre all’emigrazione forzata le popolazioni d’origine di questi territori, dopo che un’altra emigrazione di massa, nei decenni scorsi, le ha già pesantemente decimate.

Induzione forzata all’emigrazione in un territorio ricchissimo e rigoglioso, sicuramente il più ricco d’Europa per gli enormi giacimenti di petrolio e gas naturale qui presenti.

D’altronde, l’individuazione del sito unico delle scorie di Scanzano Jonico, distante da Tinchi meno di 15 km, già qualche anno fa sarebbe servito proprio a questo.

Abbiamo percorso i 100 km in 27 ore esatte, arrivando davanti al palazzo delle Regione stremati, alle 10 in punto del giorno dopo, sdraiandoci per terra con i piedi doloranti e roventi per le bolle e il sudore.

Un vero e proprio record, ha gridato qualcuno con il suo ultimo barlume di forza.

Alle otto di sera, dopo un’interminabile giornata di attesa spasmodica davanti al Palazzo, sotto il sole cocente e due terribili acquazzoni beccati in pieno, la maggioranza di governo lucano ha bocciato entrambe le uniche due mozioni previste, che avrebbero restituito almeno in parte i servizi e i reparti sottratti all’Ospedale di Tinchi.

Ha, cioè, deciso di non decidere; nella costanza di una consuetudine efferata e aberrante.

Quella di Basilicata, a maggioranza PD, è sicuramente l’ultima énclave o roccaforte di una sinistra dittatoriale e sanguinaria, che riesce a impedire ai sindacati e ai lavoratori di poter partecipare, alla magistratura di indagare, alle televisioni e ai giornali nazionali di trasmettere…

Con un fil di voce e di nascosto, per paura delle feroci epurazioni e ritorsioni diffuse e qui all’ordine del giorno, molti cittadini cominciano a osare dove non hanno mai osato…

Iniziano cioè a paragonare questo regime repressivo a una vera e propria reincarnazione già compiuta:   quella di CEAUSESCU!

Tinchi, 2 agosto 2010  

Antonio Forcillo

4 AGOSTO 2010 PER RICORDARE FRANCESCO

 

Appuntamento a Vallo della Lucania per ricordare Francesco Mastrogiovanni

Speriamo di essere in tanti la sera del 4 agosto in  Piazza Vittorio Emanuele di Vallo della Lucania (SA), insieme alle associazioni, ai movimenti di base ed alle individualità che da un anno, senza sosta, hanno promosso in tutta Italia, insieme al Comitato verità  e giustizia per Francesco Mastrogiovanni, iniziative pubbliche per chiedere che vengano chiarite le responsabilità, a tutti i livelli, per la tragica morte dell’insegnate libertario.

 Durante il ricovero coatto, Franco venne legato mani e piedi al letto di contenzione per oltre 80 ore, senza ricevere nutrimento,  fino a quando sopraggiunse la morte per edema polmonare.

 Ad un anno di distanza dalla tragica morte del maestro più alto del mondo (come lo chiamavano i suoi scolari) il processo con giudizio immediato dovrà  delineare,  con maggiore chiarezza, i contorni di una storia intrisa di pregiudizio politico, di violenza e di disprezzo per i più elementari diritti umani.

 La richiesta di giustizia (la verità  la conosciamo già grazie ai video dell’orrore acquisiti dalla magistratura) salirà con la musica dell’Angel Galzerano Trio, con le parole di Sabatino Catapano, con le controdeduzioni tecniche del medico Agnesina Pozzi e le riflessioni del presidente della UNASAM Gisella Trincas.

Pochi giorni fa il senatore del PD, Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare da lui guidata nelle visite a sorpresa svolte nei mesi di giugno e luglio in alcuni ospedali psichiatrici italiani, ha confermato ciò che da anni il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa afferma a proposito di quelle “zone del silenzio” che sono diventati gli Ospedali psichiatrici giudiziari.

 La battaglia per ottenere giustizia per Mastrogiovanni, nel primo anniversario dell’ennesimo odioso delitto di Stato, è un tutt’uno con quella per l’abolizione del TSO e delle misure di contenzione.

Angelo Pagliaro (Membro Comitato Verità  e Giustizia per Franco Mastrogiovanni)

CONCORSI PUBBLICI TRUCCATI

di Antonio Giangrande

(Avvocato non abilitato, scrittore, accademico senza cattedra di Sociologia Storica, giornalista e Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie)

Antonio Giangrande è autore del libro “L’Italia del trucco, l’Italia che siamo”, in cui presenta un “Dossier sui concorsi pubblici truccati”. Esso è il frutto di anni di ricerche ed approfondimenti su un sistema che sforna la nostra classe dirigente, e per questo, dai risultati che ottiene, la medesima dimostra la propria inadeguatezza.

Antonio Giangrande lo fa in occasione della prova scritta del concorso forense, che si tiene presso la Corte d’Appello, come ogni anno a metà dicembre, e in relazione alla riforma che imprime maggiori tutele alla lobby, stilata in Parlamento da chi si è abilitato con un sistema truccato.

Lo fa in seguito alla missiva del Governo del 5 ottobre 2009, in risposta alla sua richiesta di intervento per la tutela dei diritti soggettivi su un caso concreto: “esistono concorsi irregolari e violazione della tutela giudiziaria. Provvederemo”. Intervento mai arrivato. «Nessuno come me conosce il fenomeno ed ha il coraggio di parlarne. Ho partecipato ad un concorso in polizia da incensurato e da parà. – testimonia Giangrande – Ho superato brillantemente i test scritti e le prove psico-fisiche-attitudinali: ero tra i primi, ma altri mi hanno preceduto, estromettendomi dal numero chiuso. Lo stesso dicasi per il concorso di autista dei mezzi speciali del Ministero della Giustizia. Ho partecipato ad un concorso per comandante dei vigili urbani. Lo ha vinto, precedendomi, chi l’aveva indetto e regolato, da comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale, trattenendo rapporti professionali con i commissari d’esame. Per aver pubblicato le sue motivazioni sulla stampa di tutto il mondo, sono stato denunciato per diffamazione dal Pubblico Ministero che aveva archiviato il mio esposto penale. Per anni (a due cifre) ho partecipato al concorso forense. Ho visto abilitarsi tanta gente inetta. Ho visto tante illegalità e le ho sempre denunciate. Ho pagato per questo. Il mio nome è conosciuto da tutte le commissioni d’esame ed inserito nella loro lista nera».

Con il discorso ufficiale del Magnifico Rettore, Prof. Ing. Domenico Laforgia, è stato inaugurato a Brindisi il 3/12/2009 l’anno accademico 2009-2010 dell’Università del Salento. Presenti alla cerimonia Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati e diverse altre insigne personalità del mondo politico, economico e culturale della penisola salentina.

In quella sede ha palesato una realtà, che molti cercano di ignorare o tacitare. “…..Questo è un altro dato che si presta ottimamente ad una lettura politica. Il familismo non è la ferita pruriginosa di questa o quella Università, ma di tutto il sistema occupazionale italiano. È una malattia endemica del Paese che ha contagiato tutti i campi, dalla politica alle libere professioni, dal giornalismo al mondo dello spettacolo, dall’industria a tutto il comparto pubblico. Familismo, nepotismo e clientelismo non sono le conseguenze di un sistema malato, come spesso si dice, ma sono il segno più evidente di una mancanza effettiva di alternative possibili. Ed è questa povertà di occasioni che mette in moto il meccanismo, che diventa perverso e nocente alla comunità quando non è neppure compensato dal merito.”

In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Mariastella Gelmini si trova dunque a scegliere, spiegherà essa stessa a Flavia Amabile de “ La Stampa.it ”: «La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l’esame per ottenere l’abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l’esame. Per gli altri, nulla. C’era una logica di casta». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l’esame a Reggio Calabria». I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c’era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme. Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell’Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». E l’esame? Com’è stato l’esame? Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta, Salerno.

Il sistema di abilitazione truccato riguarda tutte le professioni intellettuali: magistrati, avvocati, professori universitari, giornalisti, ecc. La domanda che ci si dovrebbe porre è: dov’è il trucco?

COMMISSIONI D’ESAME: con la riforma del 2003, (decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, coordinato con la legge di conversione 18 luglio 2003, n. 180), dopo gli scandali e le condanne sono stati esclusi dalle commissioni d’esame i Consiglieri dell’Ordine degli Avvocati, competenti per territorio, mentre i Magistrati e i Professori universitari non possono correggere gli scritti del loro Distretto. Le commissioni locali fanno gli orali e vigilano sullo scritto, mentre gli elaborati sono corretti da altre commissioni estratti a sorte. Questa riforma, di fatto, mina la credibilità delle categorie coinvolte. Le Commissioni  e le sottocommissioni hanno un diverso metro di giudizio, quindi alla fine bisogna affidarsi anche alla buona sorte per avere una commissione più benevola. Naturalmente, le Commissioni del nord continuano ad avere un atteggiamento pro lobby, limitando l’accesso all’avvocatura al 30% circa dei candidati, per paura che i futuri avvocati del sud emigrino al nord. A riguardo ci sono state interrogazioni scritte al Ministro della Giustizia da parte di deputati (n. 4-10247, presentata da Pietro Fontanini mercoledì 16 giugno 2004 nella seduta n. 478 e n. 4-01000 presentata da Silvio Crapolicchio mercoledì 20 settembre 2006 nella seduta n. 038). Dubbi sono sorti anche sul modo di abbinare le commissioni. Il deputato lucano Vincenzo Taddei (PdL) ha presentato un’interrogazione scritta al Ministro della Giustizia. Il motivo della richiesta di intervento è preciso: per ben tre anni consecutivi, nel 2005, 2006 e 2007, da quando sono entrate in vigore le modifiche sullo svolgimento dell’esame di avvocato, le prove scritte dei candidati della Corte d’Appello di Potenza stranamente sono state sempre corrette presso la Corte d’Appello di Trento con percentuali di ammessi all’orale sempre molto basse (nel 2007 circa il 18%).

LE TRACCE: sono conosciute giorni prima la sessione,  tant’è che il senatore Alfredo Mantovano ha presentato una denuncia penale ed una  interrogazione a al Ministro della Giustizia (n. 4-03278 presentata il 15 gennaio 2008 Seduta n. 274).

INIZIO DELLE PROVE: la lettura delle tracce avviene secondo le voglie del Presidente della Corte d’Appello, che variano da città a città. Nel 2006 la lettura delle tracce a Lecce è stata effettuata alle ore 11,45 circa, anziché alle 09,00 come altre città. In questo modo i candidati hanno tempo di farsi dettare le tracce e i pareri sui palmari e cellulari, molto prima della lettura ufficiale.

IL MATERIALE CONSULTABILE: nel 2008, tra novembre e dicembre il caos. Se al concorso di magistratura succede di tutto, a quello di avvocatura è ancora peggio. Due concorsi diversi, stessa sorte. Niente male per essere un concorso per futuri magistrati ed avvocati. Niente male, poi, per un concorso organizzato dal ministero della Giustizia. Dentro le aule di tutta Italia, per il concorso di avvocati che si svolge in ogni Corte d’Appello italiana, è entrato di tutto: fotocopie, bigliettini con possibili tracce e, soprattutto, palmari e cellulari. Ma sul concorso in magistratura svolto a Milano c’è ne da parlare. Sopra i banchi i codici «commentati» vietati, con il timbro del ministero che ne autorizzava l’utilizzo. Relazione pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia e protocollata con il n. 19178/2588 del 24/11/2008, in cui il presidente denuncia l’atteggiamento «obliquo e truffaldino da parte di non pochi candidati e, tra questi, un vicequestore della Polizia di Stato, trovata in possesso di una rilevante dose di appunti, nascosta tra la biancheria intima». Eppure le regole dovevano essere più rigide. Dovevano esserci più controlli. Era stato assicurato dal ministero della Giustizia. Con tanto di sanzioni e espulsioni.

IL MATERIALE CONSEGNATO: per norma si dovrebbe consegnare ogni parere in una busta, contenente anche una busta più piccola con i dati del candidato. Ma non è così. Le buste con i dati si possono aprire prima della lettura degli elaborati. A Roma, venerdì 13 marzo 2009, alla fine è dovuta intervenire la polizia penitenziaria. Al grido di “Buffoni! Buffoni!” centinaia di esaminandi del padiglione 6 al concorso di notaio si sono scagliati contro la commissione. “Questo esame è una farsa – hanno gridato – ci sono gli estremi per poterlo annullare”. Si è visto “gente che infilava un nastro rosso nella busta” per farsi riconoscere, gente che “aveva le tracce già svolte” e gente che, dopo aver chiacchierato con i commissari, “si faceva firmare la busta in modo diverso”.

CORREZIONE DEGLI ELABORATI: la legge 241/90 e il Ministero della Giustizia dettano le regole in base alle quali si deve svolgere la correzione, per dare i giudizi. Essi attengono alla rappresentanza delle categorie degli avvocati, magistrati e professori universitari, oltre all’attenzione data alla sintassi, grammatica, ortografia e, cosa, fondamentale, sui principi di diritto del parere dato. Cosa fondamentale, la legge regola la trasparenza dei giudizi. Di fatto le commissioni sono illegittime, perché mancanti, spesso, di una componente necessaria. Di fatto i compiti non sono corretti, perché sono immacolati e perché non vi è stato tempo sufficiente a leggerli. Di fatto le motivazioni sono mancanti o infondate. A riguardo vi è stata interrogazione presentata dal deputato Giorgia Meloni (n. 4-01638 mercoledì 15 novembre 2006 nella seduta n.072). Molti ricorsi sono accolti dalla giustizia amministrativa.

Di scandali per i compiti non corretti, ma ritenuti idonei, se ne è parlato.

Intanto il concorso notarile ha i suoi i precedenti che parlano chiaro: nel 2005 candidati ammessi agli orali nonostante errori da somari, atti nulli che vengono premiati con buoni voti, mancata verbalizzazione delle domande, elaborati di figli di professionisti ed europarlamentari prima considerati “non idonei” e poi promossi agli orali.

Riguardo la magistratura, l’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri, proprio Luigi de Magistris.

O ancora l’esame di ammissione all’albo dei giornalisti professionisti del 1991, audizione riscontrabile negli archivi di radio radicale, quando la presenza di un folto gruppo di raccomandati venne scoperta per caso da un computer lasciato acceso nella sala stampa del Senato proprio sul file nel quale il caposervizio di un’ agenzia, commissario esaminatore, aveva preso nota delle prime righe dei temi di tutti quelli da promuovere.

E ancora lo scandalo denunciato da un’inchiesta del 14 maggio 2009 apparsa su “ La Stampa ”. A finire sotto la lente d’ingrandimento del quotidiano torinese l’esito del concorso per allievi per il Corpo Forestale. Tra i 500 vincitori figli di comandanti, dirigenti, uomini di vertice. La casualità ha voluto, inoltre, che molti dei vincitori siano stati assegnati nelle stazioni dove comandano i loro genitori. Una singolare coincidenza che diventa ancor più strana nel momento in cui si butta un occhio ad alcuni “promemoria”, sotto forma di pizzini, ritrovati nei corridoi del Corpo forestale e in cui sono annotati nomi, cognomi, date di nascita e discendenze di alcuni candidati. «Per Alfonso, figlio di Rosetta», «Per Emidio, figlio di Cesarina di zio Antonio», «Per Maria, figlia di Raffaele di zia Maria». Piccole annotazioni, certo. Il destino, però, ha voluto che le tutte persone segnalate nei pizzini risultassero vincitrici al concorso.

TUTELA AMMINISTRATIVA: i ricorsi al Tar, stante l’immane giurisprudenza a sostegno, sono automaticamente vincenti. Unica condizione presentarsi con il principe del foro locale. Per ovviare all’ovvia ritrosia degli ordini di abilitare chi ha vinto un ricorso, la legge 17 agosto 2005 n. 168 di conversione (con modificazioni)  del decreto legge 30 giugno 2005 n. 115, contiene un norma destinata a sconvolgere gli esami di Stato di tutte le professioni intellettuali (in particolare di quelle di avvocato, notaio, commercialista  ed architetto, le più bersagliate di ricorsi ai Tar e al Consiglio di Stato). Insomma, il candidato che supera le prove orali, anche se l’ammissione è stata decisa da ordinanze dei Tar, “consegue a ogni effetto” l’abilitazione professionale.

Se si è indigenti, però, l’ammissione al patrocinio pagato dallo Stato è impedito dalle relative commissioni presso i Tribunali Amministrativi formate ai sensi della finanziaria 2007 (Governo Prodi) da 2 magistrati del Tar e da un avvocato.

Dr Antonio Giangrande (Presidente Associazione contro tutte le mafie).

www.controtuttelemafie.it – www.malagiustizia.eu – www.ingiustizia.info

Per sostenere l’associazione. Chiedi il libro http://www.controtuttelemafie.it/contributi.htm

CONCORSI TRUCCATI PER AVVOCATI. ASSOCIAZIONE A DELINQUERE?

ESPOSTO PENALE ED AMMINISTRATIVO DI ANTONIO GIANGRANDE

Così è per il Dott. Antonio Giangrande che invano invoca da anni l’applicabilità dell’art. 416 bis c.p. o di altre norme penali e amministrative, in quanto più persone, in special modo i Consiglieri dell’Ordine degli Avvocati, Magistrati e Professori Universitari, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della funzione pubblica e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti realizzano profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri o procurano voti a sé od ad altri in occasione di consultazioni elettorali politiche, amministrative e di categoria professionale.  

Nella particolareggiata denuncia si legge che “i soggetti su indicati, identificati attraverso la loro partecipazione come commissari alle varie sessioni d’esame di abilitazione forense tenutesi negli ultimi 6 anni presso tutte le Corti d’appello d’Italia, in generale, ed a Lecce, in particolare:

1.    al fine di sottacere l’evasione fiscale e contributiva a danno dei praticanti avvocato;

2.    al fine di limitare indebitamente la concorrenza professionale forense;

3.    al fine di essere rieletti nel Consiglio dell’OrdineAvvocati, attraverso il voto di scambio, conseguente alla raccomandazione elargita;

4.    al fine di gestire gli incarichi giudiziari;

5.    al fine di introitare profitti e realizzarsi socialmente a danno di soggetti deboli;

6.    al fine di occultare ogni sistematica violazione del diritto di difesa dei soggetti deboli e di ogni altro abuso ed omissione Forense e Giudiziaria;

in qualità della carica rivestita e in qualità di commissari d’esame nelle varie sessioni d’esame per l’abilitazione forense truccano gli esami stessi, con l’intento di selezionare i candidati secondo affidabilità e nepotismo, anziché secondo preparazione e valore, affinché il sistema fondato sulla solidarietà, sull’omertà e sull’assoggettamento per realizzare profitti, non venga scalfito”.

Non mancano ovviamente le ritorsioni per coloro i quali come il dott. Antonio Giangrande cercano di ribellarsi, quale la reiterata bocciatura e la persecuzione penale per reati inesistenti, con l’impedimento di ogni attività di difesa. Tale denunciata attività qualificata dal querelante come “mafiosa” si basa in sede di esame e di valutazione:

a) sui suggerimenti dati durante la prova scritta e le agevolazioni alle copiature su altri compiti, su testi e sull’utilizzo di cellulari e computers palmari;

b)  sulla correzione dichiarata valida, ma avvenuta in tempi insufficienti;

c)  sulla mancanza di motivazione riferita alle valutazioni date;

d)  sull’impedimento all’autotutela o al diritto di opposizione alle valutazioni date;

e)  sul rapporto tra idonei e omonimia con persone influenti e studi legali affermati;

f)   sul rapporto territoriale di provenienza tra commissari e idonei;

g)  sulla disparità di percentuale di idonei tra le varie sedi d’esame;

h)  sulla  sistematica opera d’insabbiamento delle innumerevoli denuncie penali presentate per abuso d’ufficio dei commissari d’esame.

Questo sistema criminale non ha potuto impedire l’intervento del Parlamento, che resosi conto dell’illegalità perpetrata, con la L. 180/03, ha punito tutti i componenti delle commissioni d’esame:

1.      i consiglieri dell’ordine degli avvocati sono stati cacciati;

2.      i magistrati e i professori sono stati sbugiardati, in quanto si è prevista l’incompatibilità territoriale tra candidati e commissioni d’esami. Gli scritti effettuati presso una sede di Corte d’Appello, ma le correzioni effettuati presso altra sede.

Certo è strano che, affermato formalmente l’esistenza di un sistema mafioso, anche attraverso i dibattiti in Senato e alla Camera in sede di conversione del D.L.112/03 nella L.180/03, non si è proceduto penalmente contro Avvocati, Magistrati e Professori Universitari. Come strano è che anche quest’anno si è prorogato questo sistema mafioso, lasciando le commissioni libere di poter raccomandare i loro protetti come e quanto prima, mentre al posto dei Consiglieri dell’Ordine degli Avvocati in carica sono subentrati coloro i quali lo erano precedentemente. Giusto per dire che la legge non è uguale per tutti. Giusto per dire che i mafiosi non sono tutti uguali. Per questi motivi, sperando che almeno presso l’autorità adita si applichi la legge senza impunità ed immunità e senza distinzione di ceto o di categoria, l’esponente conclude presentando esposto penale ed amministrativo contro i soggetti identificati da soli, o in correità con persone non conosciute, per gli atti e i fatti e per i reati applicabili, scaturenti da una doverosa indagine, con istanza di punizione, con riserva di costituzione di parte civile nell’instaurando procedimento penale, che a quanto ci consta è stata archiviata senza alcuna indagine, nonostante la richiesta di sequestro penale dei compiti corretti, oltre all’audizione di tutti coloro, informati dei fatti, che, non risultati idonei, sono disposti a rompere l’omertà. Sarebbe bastato, secondo il Dott. Antonio Giangrande,  verificare le denuncie insabbiate, presentate contro le commissioni d’esame.