QUESTAMANI UNA PENSIONATA MINIMA SETTANTENNE E’ STATA BRUTALMENTE SFRATTATA CON LA FORZA PUBBLICA DOPO 30 ANNI DI CONVIVENZA DI FATTO.
Il grave episodio già preannunciato ieri sera con un comunicato stampa di Avvocati senza Frontiere è avvenuto intorno alle ore 12, in Via Bergamo 3, Milano, in danno della sig.ra Maria Teresa Russo, dopo circa tre ore di assedio e di inutili tentativi di indurre l’Ufficiale Giudiziario procedente e la Polizia di Stato (Digos), scandalosamente presenti con ben due blindati e uno sproporzionato spiegamento di forze e agenti, a sospendere le operazioni, trattandosi di un’esecuzione illegittima, nei confronti di persona ultrassettantenne, afflitta da gravi patologie, per cui è prevista per legge la sospensione degli sfratti, sino al 31.12.2009, in base ai noti decreti governativi (Dlgs n. 158/2008 e n. 78/2009).
Ignorando le disposizioni di legge che impongono la sospensione automatica degli sfratti per finita locazione nei confronti di tali categorie di anziani disagiati l’U.G. e gli agenti della Digos hanno fisicamente impedito con l’uso della forza al Presidente di Avvocati senza Frontiere e al legale dell’anziana donna che l’assistono, di avvicinarsi all’abitazione, inducendo in tal modo la signora Maria Teresa Russo a subire una visita coattiva del medico della Asl, che già in precedenza ne aveva attestato le gravi condizioni di salute e l’intrasportabilità.
In tale contesto, l’anziana donna rifiutava il ricovero coattivo in una struttura per anziani, proposto dal medico della Asl e dagli assistenti sociali [peraltro contrario ai principi costituzionali: Art. 32], i quali insieme all’U.G., agli della Digos e al legale della controparte facevano pressioni morali e psicologiche affinchè l’anziana donna, rimasta sola per circa mezz’ora, lasciaasse immediamente l’abitazione, affermando che tanto la causa [invero ancora da istruirsi] sarebbe stata già “persa” e che “prima o poi se ne se sarebbe dovuta andare“.
Dopo di che, l’esecuzione di sfratto veniva portata ad estreme conseguenze con l’immissione nel possesso dei nipoti dell’ex convivente della sig.ra Russo, alla presenza dei legali delle parti e del Presidente di Avvocati senza Frontiere Dr. Pietro Palau Giovannetti che difendono l’anziana donna, i quali hanno denunciato gli atti di prevaricazione subiti dalla Digos e l’illegittimità dello sfratto, preannunciando di sporgere querela anche nei confronti dei magistrati (ritenuti appartenenti a una loggia coperta), che ignorando ogni ragione e più elementare diritto civile dell’anziana donna hanno permesso che l’esecuzione venisse portata ad estreme conseguenze.
A riguardo, si ricorda che i legali del Movimento per la Giustizia Robin Hood hanno già denunciato lo Stato Italiano avanti la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, in relazione alla violazione del diritto abitativo della sig.ra Maria Teresa Russo, vittima di una giustizia che calpesta i più elementari diritti umani, anche delle persone anziane e in stato di indigenza.
Nonostante ogni possibile opposizione e appello i giudici milanesi hanno infatti sinora negato alla Sig.ra Maria Teresa Russo qualsiasi diritto abitativo sulla propria casa coniugale di via Bergamo 3, ove ha convissuto per oltre 30 anni “more uxorio” (quale convivente di fatto) con l’intestatario dell’appartamento, prematuramente deceduto senza lasciare a quanto parrebbe testamento.
30anni fa l’immobile venne acquistato dal convivente dell’anziana donna la quale, pur contribuendo al pagamento del prezzo e delle spese condominiali ordinarie e straordinarie per oltre 30 anni, non è mai formalmente divenuta intestataria, seppure risulti consigliera condominiale e cointestataria per volontà del de cuius delle richieste di pagamento degli oneri condominiali, come confermato dall’Amministratore del Condominio e da numerosi condomini.
Circostanze documentali e prove testimoniali che i giudici milanesi hanno letteralmente ignorato, rifiutando qualsiasi motivazione di diritto, anche limitatamente all’esclusione del diritto abitativo, ormai riconosciuto da una giurisprudenza sempre più orientata alla protezione della convivenza “more uxorio”. Negli anni l’abitazione di Via Bergamo è infatti diventata il centro della convivenza di fatto della coppia, anche durante la fase terminale dell’improvvisa malattia del defunto sig. Rugini Carlo, assistito fino alla fine dalla sua compagna.
L’azione di sfratto promossa dagli unici eredi legittimi, i nipoti, sinora avvallata dal Tribunale di Milano (e in fase di sospensiva della sentenza di primo grado anche dalla Corte d’Appello), si fonda sull’erroneo assunto che l’anziana donna, dopo la morte del convivente, non avrebbe più alcun titolo a permanere nella casa di abitazione, in quanto non riconoscibile ad avviso dei giudici della lobby giudiziaria milanese nè un diritto abitativo nè successorio.
Sulla base di queste distorte considerazioni di diritto che non trovano legittimazione in nessun altro Paese civile europeo [né tantomeno nella giurisprudenza di merito e legittimità] il Tribunale di Milano ha dichiarato risolto per “finita locazione” un preteso quanto inesistente contratto di “comodato precario” (durato la bellezza di 30 anni!!!).
La sig.ra Russo si è quindi rivolta alla rete di Avvocati senza Frontiere, istituita dalla Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, da cui ha ricevuto assistenza legale, in ogni sede, col patrocinio a spese dello Stato.
I legali dell’associazione hanno quindi proceduto su più fronti:
– da una parte la revoca della condanna al rilascio e l’accertamento dell’inesistenza del preteso contratto di “comodato precario”, impugnando la sentenza di primo grado;
– dall’altra hanno agito per l'”accertamento del diritto di successione (iure hereditario) o in via subordinata di usucapione del diritto abitativo, quale convivente di fatto.
Non avendo ottenuto alcuna tutela e provvedimento cautelare di sequestro dell’immobile sono stati poi proposti una raffica di reclami in via d’urgenza, ricorsi in opposizione all’esecuzione, ed infine, la denuncia alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, senza che i giudici milanesi, abbiano provveduto a tutelare i diritti dell’anziana e malata donna, la quale versa in condizioni di salute precarie, tanto da essere stata già dichiarata intrasportabile dal medico della Asl.
L’eclatante caso di malagiustizia milanese e italiana riporta con forza alla ribalta tre problematiche di largo interesse per l’opinione pubblica e la sopravvivenza dello Stato di Diritto, coinvolgendo milioni di famiglie italiane:
1) l’irrisolto problema delle unioni di fatto;
2) l’uso delle Forze dell’Ordine e l’assenza di controlli sulle attività della magistratura;
3) l’indipendenza della magistratura e non appartenenza a logge massoniche.
La prima problematica ci spinge a riflettere sull’annoso vuoto normativo lasciato da entrambi i governi in tema di patti di solidarietà civile (“pacs” o “dico”), ovvero sull’assenza di adeguate e più moderne soluzioni legislative (in questo caso riguardanti la mera tutela di una “normale” coppia), adatte alle esigenze che l’evoluzione sociale, culturale e di costume impone con urgenza alla collettività, e che nella maggioranza degli altri sistemi giuridici europei trovano riconoscimento e la dovuta considerazione, in alcun casi già da ben oltre 20 anni (Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Spagna, Portagallo, etc).
La seconda e la terza problematica ci spingono invece a riflettere su quali siano le effettive funzioni del sistema giudiziario italiano e i compiti delle Forze dell’Ordine e della Magistratura italiana, troppo spesso asserviti agli interessi della politica, delle mafie e della massoneria deviata che occupano e soffocano le istituzioni.
Tutori della legalità e dei diritti delle parti più deboli ?
O, cani da guardia del potere o delle logge massoniche che fanno affari con la giustizia?
Per maggiori informazioni e servizio fotografico dell’esecuzione: 02-36582657 – 329-2158780
Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 25
TREVISO: LA MAFIA DELLE ASTE
TRIBUNALE DI TREVISO. Maria Coletti, anziana pensionata, denuncia di essere vittima di una preordinata azione estorsiva da parte della Banca di Credito Cooperativo Alta Marca e di un gruppo di speculatori locali, che nonostante siano stati interamente soddisfatti delle rispettive pretese creditorie, aventi tra l’altro natura usuraria, ottengono illegittimamente dal Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Treviso, Umberto Donà, che l’abitazione e un annesso terreno di notevole prestigio di sua proprietà, siano messi all’asta a valori di pura ricettazione. Denunce, ricusazioni e ogni possibile forma di opposizione non sortiscono alcun effetto se non l’avvicendamento del dr. Donà, trasferito alle funzioni di Gip, coi giudici Valle e Bigi, che ne seguono supinamente le orme, senza neppure peritarsi di disporre una perizia contabile sulle somme effettivamente dovute e sull’effettivo valore dei beni pignorati nè, tantomeno, di acconsentire, pur a fronte del versamento di un acconto pari ad un quinto dell’intero importo indebitamente preteso, al pagamento rateale del residuo in 18 mensilità, mediante la cosiddetta “conversione del pignoramento“, espressamente prevista dall’art. 495 c.p.c. Dilazione che, alla luce delle precarie condizioni economiche di Maria Coletti e del suo status di pensionata e di vittima dell’usura non poteva quindi legittimamente non venire applicata.
L’immobile ha il torto di affacciarsi sui campi dell’Asolo Golf Club di proprietà della famiglia Benetton e di fare gola ai soliti speculatori immobiliari ben introdotti nel locale tribunale che, avvalendosi del clima di complicità e omertà regnante tra i magistrati di Treviso, intendono demolire tutto e costruire villette a schiera e strutture per nababbi. In buona sostanza, nessun magistrato se la sente di applicare la legge, ponendo fine a un sistema di malaffare giudiziario che, da decenni, asseconda gli illeciti interessi di un cartello di speculatori, in grado di condizionare le vendite giudiziarie e i fallimenti, attraverso la collusione di intranei ai centri di potere del Tribunale di Treviso. Non è certo un caso che al giudice Donà sia stata avvicendata la dr.ssa Franca Bigi, i quali risultano entrambi già indagati dalla Procura di Trento, per un’analoga estorsione paralegale in danno di Bernardi Nellida, patrocinata da Avvocati senza Frontiere. Né, tantomeno, può essere un caso che dopo ben otto opposizioni ad ogni singolo atto esecutivo, in cui sono state denunciate continue sparizioni di atti processuali e l’omessa fissazione delle udienze, l’immobile della signora Coletti, di mq. 525, oltre a mq. 1100 di terreno edificabile, del valore di almeno € 600.000,00, sia stato svenduto a soli € 123.000,00, in un’anomala gara senza incanto, all’unico offerente. Tutto ciò, in assenza di qualsiasi provvedimento di sospensione dell’esecuzione e, addirittura, della stessa fissazione delle udienze di comparizione parti sulle predette opposizioni agli atti esecutivi, rimaste, tutt’oggi, inesaminate. Omissioni la cui pervicace impunità fanno venire meno il principio di legalità e il divieto di denegare giustizia, previsti dal nostro ordinamento, dando luogo ad un fenomeno ormai molto diffuso in tutto il Paese che potremmo definire di vero e proprio <dispotismo giudiziario>, che è il preludio alla soppressione anche formale dei diritti dei cittadini. A riguardo, basti dire che la povera signora Coletti e la segretaria dello studio legale che l’assiste hanno dovuto fare intervenire i Carabinieri, presso la cancelleria del Tribunale di Treviso, per potere riuscire ad esercitare il diritto di visionare il fascicolo di ufficio ed estrarre copie degli atti, previsto dall’art. 76 disp. att. c.p.c. Senza parlare della sparizione del verbale con le offerte pervenute alla cancelleria, dapprima misteriosamente sparito, eppoi a dire del giudice dr. Valle rinvenuto nella sua stanza, senza che, però, tale verbale comprovante la liceità della gara risulti tuttora reperibile…
Dopo avere denunciato alla Procura Antimafia di Trieste l’operato dei magistrati di Treviso e l’inerzia del P.M. di Trento, Dr. De Benedetto, nei mesi scorsi i difensori della Sig.ra Coletti ottengono finalmente la sostituzione del G.E. dr.ssa Bigi, seppure ogni precedente ricusazione nei confronti dei giudici Donà, Valle e Bigi, fosse stata respinta dal Presidente del Tribunale Dr. Napolitano, il quale prima di andare in pensione pensa bene di denunciare il difensore della sig.ra Coletti al Consiglio dell’Ordine Avvocati. Mentre da parte sua la dr.ssa Bigi sporge denuncia per il preteso reato di “calunnia” alla Procura di Trento, sia nei confronti del legale che della parte, non trascurando prima però di trasferire la proprietà dell’immobile, senza preoccuparsi della pendenza di ben sei ricorsi in opposizione alla vendita, rimasti inesaminati, e del conflitto di interessi grande come la casa che ha alienato a valore vile, derivante dalla posizione di persona indagata e a sua volta parte lesa per le ipotesi di pretesa “calunnia” in suo danno.
Ma, anche con la nomina del nuovo giudice, Bruno Casciarri, seppur formalmente più corretto, la musica sembra non cambiare. Le udienze in sospeso finalmente vengono fissate, ma seppure sia stato provata l’irrisorietà del prezzo di aggiudicazione e che la sig.ra Coletti aveva già pagato sino all’ultimo centesimo quanto ancora indebitamente preteso dalla banca, a fronte di un’inesistente acquisto di titoli CTZ, mai richiesti, il Giudice dell’Esecuzione continua a tergiversare, senza provvedere a sospendere l’efficacia del decreto di trasferimento impugnato sin dal novembre dello scorso anno, mentre l’esecuzione di rilascio avviata dall’aggiudicatario prosegue indisturbata.
In tale anomalo contesto la Procura Antimafia di Trieste non ha ancora assunto alcun provvedimento a tutela della querelante sig.ra Coletti, seppure il P.M. di Trento risulti ingiustificatamente inerte, anche alle stesse sollecitazioni del G.I.P. dr. La Ganga, il quale dal 2005 ha ripetutamente e vanamente chiesto suppletive indagini a carico del dr. Donà e di altri magistrati trevigiani. Provvedimento rimasto illegittimamente ineseguito con il pretesto della pendenza di due ricorsi in Cassazione, proposti dal P.M. De Benedetto, avverso le citate richieste di suppletive indagini avanzate dal Gip. A riguardo non si può poi fare a meno di denunciare il comportamento omissivo e ostruzionistico della Procura Generale presso la Corte di Appello di Trento, che nonostante i ricorsi in Cassazione siano stati respinti da oltre due anni ha omesso di avocare le indagini e di esercitare l’azione disciplinare nei confronti del P.M. De Benedetto, che quale rappresentante della Pubblica Accusa non aveva alcun titolo né apparente interesse ad opporsi allo svolgimento delle indagini ritenute opportune dal Gip. Un’evidente inversione dei ruoli e stravolgimento delle funzioni giudiziarie, per cui ci ritroviamo a pagare lo stipendio a dei magistrati che, invece di tutelare i diritti dei più deboli, appaiono più protesi a proteggere ad oltranza gli interessi del potere e di coloro che attentano ai diritti dei cittadini, facendo perdere credibilità all’intero sistema giudiziario e speranza di legalità.
Al danno si è dulcis in fundo aggiunta la beffa, in quanto il P.M. De Benedetto ha richiesto l’archiviazione della querela relativa al caso Coletti, sostenendo falsamente e contrariamente a qualsiasi evidenza documentale trattarsi delle “medesime questioni oggetto del caso Bernardi”, per cui a suo dire sarebbe già intervenuta l’archiviazione. Cosa, invece, non corrispondente al vero, in quanto i due predetti improponibili ricorsi per Cassazione avverso le richieste di suppletive indagini avanzate dal GIP sono stati respinti, senza che in seguito siano mai state svolte le indagini a carico dei magistrati trevigiani e sia mai intervenuto alcun formale provvedimento di archiviazione, come dimostrato dall’attestazione di pendenza rilasciata dalla cancelleria del Tribunale, che è stata allegata alla Procura Antimafia di Trieste dalla quale da vari anni si attende giustizia e provvedimenti idonei a ripristinare la legalità presso il Tribunale di Treviso.
Senza contare che il Presidente della nostra Associazione, nelle more, è stato rinviato a giudizio dalla Procura di Treviso, a tempi di “giustizia scandinava”, per il preteso reato di diffamazione a mezzo internet, in qualità di responsabile del sito di Avvocati senza Frontiere, in cui si denunciano i casi Bernardi, Coletti e altri.
Eppure c’è ancora chi pensa che la mafia e la collusione dei giudici siano un fenomeno tipicamente delle regioni del Sud Italia e che la mafia giudiziaria non esista o non costituisca una priorità a cui la società civile deve porre urgentemente rimedio. N.B.: Il prossimo 14.5.08 alle ore 8.30, in pendenza di otto opposizioni ad ogni singolo atto esecutivo, avrà luogo l’illecito spoglio paralegale dell’immobile, in assenza di qualsiasi provvedimento del G.E. di Treviso, dr. Casciarri e della DDA di Trieste.
Tratto da: “Viaggio nei tribunali più corrotti d’Italia”
Per saperne di più scarica la denuncia alla Procura di Trieste.
http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=142
RIAPRIAMO IL CASO DI DONATO BERGAMINI
Il 18 novembre del 1989 il centrocampista del Cosenza Donato Bergamini, 29 anni, morì a Roseto Capo Spulico, nella zona dell’ alto Jonio cosentino, investito da un autotreno lungo la statale 106 jonica. Il conducente del mezzo, Raffaele Pisano, 53 anni, imputato di omicidio colposo, fu assolto dal pretore di Trebisacce «per non avere commesso il fatto».
La sentenza venne confermata dalla Corte d’ appello di Catanzaro. La tesi dei giudici, sia in primo grado che in appello, fu che Bergamini si fosse suicidato. E sui motivi per i quali il giocatore del Cosenza si sarebbe tolto la vita erano state avanzate varie ipotesi. Era terrorizzato. Ma da chi o da che cosa? Donato Bergamini, eclettico centrocampista del Cosenza, il suo segreto se l’è portato nella tomba. Che motivo aveva un giovane di 27 anni, con un contratto che gli consentiva di guadagnare quasi 200 milioni all’anno, per decidere dapprima di eclissarsi, partire, emigrare, in ogni caso di lasciare Cosenza e il calcio, e poi scegliere di morire davanti agli occhi della fidanzata?
Si parla di droga. Si intravedono i contorni ancora oscuri di un giro pericoloso in cui il calciatore, che era originario di Boccaleone, nel Ferrarese, ma che era alla sua quinta stagione con la maglia rossoblù del Cosenza, sarebbe stato coinvolto. E quindi travolto.
Era notorio infatti che il giovane calciatore viaggiasse con una Maserati biturbo munita di radiotelefono che sarebbe appartenuto a un pregiudicato cosentino col quale Bergamini si accompagnava spesso. E’ notorio ancora che alcuni calciatori del Cosenza si erano fatti vedere in giro con persone che hanno a che fare con la giustizia. Ma tutto questo può servire per dare una spiegazione al tragico gesto? Forse no.
Ma c’è dell’altro. Per l’allenatore del Cosenza dell’epoca, Gigi Simoni, Donato Bergamini nell’ultimo periodo appariva triste e cupo, più del solito. Era un ragazzo spigliato, onesto ma anche introverso, ricordava padre Fedele Bisceglie, cappuccino, capo degli ultras cosentini e assistente spirituale della squadra del Cosenza, allora militante in serie B.
Ci sarebbero stati ancora altri segnali che qualcosa di recente era accaduto a turbare drammaticamente l’equilibrio psicofisico del giovane calciatore. Potrebbe essere stato un episodio avvenuto, a quanto pare, il giovedì precedente in un ristorante dell’hinterland: Bergamini sarebbe stato prelevato da tre brutti ceffi e portato via. Dove e perché? Potrebbe essere stato quello che ha convinto il giovane calciatore che per lui era meglio cambiare aria.
Sabato pomeriggio Bergamini lascia improvvisamente il ritiro della squadra. Vado a prendere le sigarette, ha detto agli amici, tra cui Michele Padovano, il compagno di squadra con cui divideva un appartamento a Roges di Rende, alla periferia di Cosenza. Poco più di un’ora dopo alla società è arrivata la notizia della tragedia. Il calciatore, infatti, aveva lasciato la città con la fidanzata, Isabella Internò, ventenne studentessa di Rende.
La ragazza è l’unica testimone e afferma, pur tra parecchie contraddizzioni, che Donato si è lanciato volontariamente sotto le ruote del pesante autotreno. La testimonianza combacia con quella di Raffaele Pisano, 38 anni, di Rosarno, che si trovava alla guida del pesante mezzo che si è trovato il giovane davanti con apparente chiaro intento suicida. Bergamini, secondo quanto afferma la ragazza, dapprima voleva solo mettere molti e molti chilometri di distanza tra lui e Cosenza. Non c’erano dubbi che avesse paura.
Aveva pregato la ragazza di accompagnarlo fino a Taranto per imbarcarsi per la Grecia (da notare che da Taranto, però, non partono navi per la Grecia), le aveva chiesto di seguirlo. La ragazza non voleva andare con lui, non voleva neppure arrivare fino a Taranto per riportarsi a Cosenza la Maserati. Devi capire, mi diceva mentre eravamo in macchina, racconta Isabella, se mi vuoi bene devi fare quello che ti dico, altrimenti te ne accorgerai. Poi si è fermato in una piazzola, è sceso dall’auto, si è buttato sotto l’autotreno.
Per ultimo c’è una telefonata giunta in casa Bergamini, a Boccaleone d’Argenta, cinque giorni prima di quella tragica sera di Roseto Capo Spulico. Bergamini aveva raggiunto Ferrara dopo il pareggio a Monza del Cosenza. La solita sosta del lunedì prima della ripresa degli allenamenti. Ricevette una telefonata, si alzò dal tavolo da pranzo e ritornò visibilmente scosso.
Chi era all’altra parte del telefono? Chi parlò con Bergamini quel giorno?
Troppe domande per un caso mai definitivamente chiuso che ci auguriamo venga presto presto riaperto dalla magistratura per fare luce sulle cause della morte di Donato. “Storie di calcio” http://www.storiedicalcio.altervista.org/donato_bergamini.html
Che non sia stato un suicidio sono in molti a crederlo
Si comprese subito, e adesso la procura di Castrovillari potrebbe riaprire l’inchiesta che il Tribunale chiuse frettolosamente 17 anni fa sentenziando: fu morte cercata. Donato Bergamini, biondo centrocampista del Cosenza, ferrarese di Boccaleone estroso in campo e fuori, non aveva una frattura sul corpo. Una. Nonostante 64 metri di trascinamento sotto un camion. Sì, la versione ufficiale racconta che Bergamini il 18 novembre 1989 si è gettato sotto un autocarro. In queste settimane, grazie al testardo lavoro di alcuni giornalisti calabresi, sono diventate pubbliche le prime testimonianze dei vecchi compagni di club. Prima si è deciso a parlare l’ala destra Sergio Galeazzi, poi un calciatore riconoscibile come Michele Padovano. Hanno raccontato le ultime ore di Donato Bergamini, le telefonate ricevute in camera d’albergo, le due persone che lo fecero alzare dalla poltrona del Cinema Garden di Cosenza. “Se mi arriveranno nuovi atti e nuove testimonianze riaprirò l’inchiesta”, dice ora il pm Franco Giacomantonio, procura di Castrovillari, competente per territorio.
Attorno al ricordo si sta coagulando un nucleo di parenti, avvocati, giornalisti, ex compagni, ora anche politici. E spinge per una nuova verità. Il suicidio di Donato Bergamini – il calciatore che la sera del 18 novembre 1989, secondo il verbale dei carabinieri di Cosenza, si lanciò tra le ruote di un camion sulla statale 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico – non regge più.
Domizio Bergamini, padre di Donato, lo ha detto apertamente al “Il Quotidiano della Calabria”: “Mio figlio non si è suicidato, me lo hanno ucciso. Queste cose succedono solo in Calabria o quando ci sono di mezzo calabresi. L’hanno ucciso, bastava guardare il corpo dopo il decesso”. Sulla morte del calciatore biondo, che fu titolare nel Cosenza di Di Marzio, che contribuì alla risalita della squadra in serie B dopo 24 anni e fu richiesto invano dal Parma, ha scritto un libro Carlo Petrini, l’ex calciatore convertito al giornalismo investigativo: “Il calciatore suicidato”, il titolo. In quelle pagine ci sono tutte le contraddizioni dell’inchiesta, ma Petrini si allunga verso scenari criminali che portano troppo lontano. Il padre di Donato, invece, crede a una storia di passioni ferite e chiede un aiuto alla fidanzata del calciatore, unica testimone oculare ufficiale della morte di Bergamini insieme al camionista. “Una volta mi telefonò e mi disse che Donato le aveva promesso in eredità una Maserati. Le ho risposto che di macchine gliene avrei regalate due se mi avesse detto com’era morto mio figlio”. Gianni Di Marzio, che lo conosceva bene, oggi racconta: “Sembrano strane tutte queste storie della fuga in Grecia, del traghetto, di questo ragazzo che si è buttato sotto l’autocarro”. Altre novità le ha portate l’ex compagno Sergio Galeazzi, affidandole a un’intervista al settimanale “Cosenza Sport”. Ha raccontato come quelli del Cosenza calcio, in quei tardi anni ’80, avessero l’abitudine di trascorrere il sabato pomeriggio delle partite da disputare in casa al Cinema Garden, in centro. “Eravamo in galleria, Donato stava da solo, due file più avanti. Quando si è spenta la luce ed è iniziata la pubblicità ho visto Donato alzarsi. Ero seduto vicino all’ingresso, proprio all’inizio della fila di poltroncine, e ho fatto in tempo a seguirlo con lo sguardo. L’ho fatto istintivamente, come quando ti accorgi che sta accadendo qualcosa. Ho visto con sufficiente chiarezza che lo attendevano due persone. Ho visto solo le loro sagome, non so dire se fossero due uomini, un uomo e una donna. Non so se sono andati via insieme, ma di certo Donato non è più rientrato. Sono stato l’unico calciatore del Cosenza a non essere interrogato da magistrati e carabinieri. Con il passare del tempo ho capito che non c’era alcun interesse a riaprire il caso”.
Nel ventennale della sua morte, lo scorso18 novembre appunto, “Chi l’ha visto?” è sceso con le telecamere in Calabria e ha mostrato tutto quello che del caso Bergamini non tornava. Le scarpe riconsegnate alla famiglia erano perfettamente pulite, nonostante il presunto trascinamento del cadavere sotto il camion. L’orologio era intatto. La sorella Donata ha parlato, poi, di un’importante testimonianza sparita dal fascicolo. Ha segnalato come il telefono della famiglia Bergamini non sia mai stato messo sotto controllo. E ha ricordato le telefonate di minaccia ricevute, i vestiti spariti in ospedale e – addirittura – la morte di due impiegati del Cosenza calcio che avevano promesso alla famiglia nuovi particolari. “Il quadro lesivo”, ha dichiarato il medico che eseguì l’autopsia, “non era quello da trascinamento”.
La troupe di “Chi l’ha visto?” in quei giorni ha ricevuto l’ennesimo rifiuto a parlare da parte dell’ex fidanzata di Donato, sia direttamente dalla donna che dal marito, un poliziotto della Digos che nell’autunno dell’89 partecipò ai funerali del calciatore. Oggi il miglior amico di Bergamini, Michele Padovano – lui sarebbe diventato centravanti della Juventus, del Genoa, del Crystal Palace – , ha voluto rivelare come i vestiti che il calciatore aveva indosso al momento della morte non siano mai stati repertati dai carabinieri. “Dopo la celebrazione dei funerali li ho visti sul pullman, dentro una busta. I miei compagni se li passavano, ognuno voleva possedere qualcosa di Donato”.
Padovano ha un altro ricordo, preciso, sul 18 novembre 1989. Prima del cinema. Era con l’amico nella stanza d’albergo, il Motel Agip di Cosenza. “Dopo pranzo, riposavamo. La sveglia era fissata per le quattro del pomeriggio, lo spettacolo iniziava alle quattro e mezza. Intorno alle tre Donato ricevette una telefonata in camera. Non ci feci caso, ma lui cambiò espressione. Sembrava volesse parlarmene, non disse niente: diventò assente. Di solito andavamo al cinema con un’auto, quel giorno mi disse che avrebbe preso la sua. Voleva stare da solo. Accese il motore ed è stata l’ultima volta che l’ho visto”.
Sulla morte di Donato Bergamini è già partita un’interrogazione parlamentare, firmata, tra gli altri, dal ferrarese Dario Franceschini. Il prossimo 27 dicembre a Cosenza si svolgerà una manifestazione per chiedere la riapertura del caso.
Corrado Zunino (17 dicembre 2009)
La Scheda: Donato Bergamini (Boccaleone, 18 settembre 1962 – Roseto Capo Spulico, 18 novembre 1989)
Ha iniziato la sua carriera calcistica nella stagione 1982-83 indossando la maglia dell’Imola in Interregionale. L’anno successivo gioca nel Russi (sempre in Interregionale) dove vi resta per 2 stagioni.
Nel 1985 viene acquistato dal Cosenza che milita in Serie C1, club con il quale giocherà per 5 stagioni.
Al primo campionato in maglia rossoblù disputa 24 presenze senza alcuna rete. L’anno successivo gioca 28 partite realizzando 2 gol (contro Sorrento e Benevento). Nel 1987-1988 il Cosenza vince il campionato di Serie C1 e torna in B dopo 24 anni di assenza. Bergamini è titolare nella formazione di Gianni Di Marzio giocando 32 partite su 34. L’11 settembre del 1988 arriva l’esordio in Serie B (Cosenza-Genoa 0-0). In quella stagione, forse la più bella nella storia del Cosenza, realizza anche il suo primo ed unico gol nella partita Cosenza-Licata (2-0).
A causa di un infortunio riesce a giocare solo 16 partite. Malgrado ciò a fine stagione Bergamini ha diverse richieste sul mercato. Il Parma fa di tutto per ingaggiarlo, ma il Cosenza che vuole disputare un campionato di vertice, lo dichiara incedibile confermandolo per un’altra stagione, l’ultima della sua carriera.
Infatti, il 18 novembre 1989 viene trovato morto sulla statale 106 nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza.
AMMAZZATECI TUTTI!
di Rosanna Scopelliti
Mi chiamo Rosanna, ho 23 anni e sono la figlia di un giudice di Cassazione calabrese ucciso poco prima di Falcone e Borsellino. Ma non è per parlare di me che vi scrivo.
E’ trascorso più di un anno dalle grandi manifestazioni di Locri scaturite dalla rabbia per l’omicidio del Vice Presidente del Consiglio Regionale Francesco Fortugno, ciliegina sulla torta dopo decine di delitti impuniti perpetrati nella Locride ed in tutta la Calabria.
Dopo un anno e mezzo in Calabria si continua a morire, a pagare la mazzetta, a sopravvivere soggiogati dalla ‘ndrangheta.
Dopo un anno e mezzo noi ragazzi siamo ancora qui a combattere per contrastare ogni forma di mafia, da quella di strada a quella dei Palazzi, e riprenderci la nostra terra.
Molto spesso ci si sente immuni al problema ‘ndrangheta, finché non ci troviamo a doverne affrontare la prepotenza. Ce ne accorgiamo al momento di aprire un’attività, quando ‘qualcuno’ bussa alla tua porta chiedendo un ‘contributo’ per lasciarti lavorare, poi il ‘contributo’ diventerà un quarto, metà, tre quarti del guadagno dell’attività e sarai costretto o a scendere a compromessi o a chiudere ed andare via.
Tutto normale, preventivato, anche se completamente assurdo. Tutto consumato in silenzio.
Come quando ammazzano qualcuno a te caro e sai chi è stato, ma quel nome è troppo pesante da dire, così come diventa troppo rischioso chiedere che sia fatta giustizia, perché certi nomi sono impronunciabili.
E allora si ingoiano bocconi amari e si continua la solita vita.
Oppure può succedere che un giorno un ragazzo si senta umiliare dai compagni perché non ha la maglia firmata e non l’avrà mai perché in famiglia si fanno i salti mortali per arrivare a fine mese e allora, per dare una mano, per sentirsi qualcuno e farsi rispettare eccolo rivolgersi al ‘capetto’ di turno, eccolo ipotecare la sua vita, vendere la sua dignità per diventare ‘qualcuno’.
Che importa se poi rischia di finire in carcere per spaccio o per aver ucciso un uomo?
Che importa se avrà buttato nel fango la sua coscienza?
Perché, sia chiaro, alla fine chi ci rimette è la povera gente, non ‘lorsignori’.
No, quelli guardano dall’alto delle loro ville al Nord, sicuri ed al calduccio! C’è chi paga per loro.
In Calabria è rimasta solo la spietata manovalanza, quella che si occupa di tenere sotto controllo il territorio e soggiogare, sostituendosi allo Stato, i calabresi.
E’ quella a cui ci si rivolge per comprare i propri diritti, quella che alimentiamo con l’ignoranza e la paura…
Ed è proprio questo il senso che noi ragazzi del Movimento “Ammazzateci tutti” abbiamo dato alla manifestazione da noi promossa del 17 febbraio scorso a Reggio Calabria.
Noi vogliamo mettere in pratica le parole del Giudice Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.
Perché se continueremo a rivolgerci al ‘capobastone’ per ottenere i nostri diritti, se lasceremo che la ‘ndrangheta continui ad interferire nelle nostre vite con arroganza e prepotenza, se ci faremo ingannare dai suoi diabolici sorrisi, non riusciremo mai a liberarci dal suo giogo…
E’ la prima manifestazione auto-convocata che organizziamo a Reggio Calabria, la prima completamente auto-finanziata, anche se non nascondo che vorremmo fare appello a tutti i calabresi, commercianti, imprenditori, mamme e papà, perché ci aiutino anche economicamente nell’organizzazione della manifestazione, vorremmo infatti chiedere una sorta di ‘pizzo legalizzato‘, ovvero un contributo economico con tanto di certificato di acquisizione da parte loro di una ‘azione antimafia’ dal nostro virtuale pacchetto azionario.
Le mafie non sono un problema solo del Sud, ma sono il cancro dell’Italia intera e, finché si continuerà a fare il loro gioco ignorando e girandosi dall’altra parte, non potremo mai estirpare questa malattia. Per questo il nostro appello non vuole fermarsi solo ai calabresi, ma vuole essere un richiamo per TUTTI gli italiani onesti, perché c’è sempre, in ogni regione,
qualcosa che prende il nome di ‘mafiosità di comportamento’.
E’ il pensare di poter essere diversi rispetto agli altri, il pretendere di poter comprare e vendere dei diritti, il curarsi esclusivamente del proprio bene anche a scapito degli altri.
Un mio, seppur virtuale, abbraccio.
Rosanna Scopelliti
(figlia del giudice Antonino, ucciso da Cosa Nostra a Campo Calabro (RC) il 9 agosto 1991)
Fonte: Movimento “E ADESSO AMMAZZATECI TUTTI”
Giovani uniti contro tutte le mafie
www.ammazzatecitutti.org – http://17febbraio.ammazzatecitutti.org
TRENTO LA PROCURA CHE INSABBIA
DA MILANO A BRESCIA GIUSTIZIA ALLA ROVESCIA! DA BRESCIA A TRENTO SOLO UNA PAROLA AL VENTO. Ovvero, tre parallele storie di usura ed estorsione legalizzate dalla magistratura.
Fonte: http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=49
In questa rubrica ospiteremo tutte quelle cronache giudiziarie di ordinaria ingiustizia che, per quanto eclatanti, difficilmente potrete leggere sui media di qualsiasi tendenza politica, in quanto talmente scomode agli interessi di ogni schieramento da essere sistematicamente censurate, nel timore che i lettori, i quali al tempo stesso sono elettori, comprendano come stiano effettivamente le cose e che nessun partito ha veramente a cuore la giustizia – né di affermare in concreto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Si tratta di storie che rivelano l’esistenza di un vasto sistema di malaffare, profondamente radicato nel tessuto istituzionale, gestito direttamente dagli apparati dei partiti, e congenito al funzionamento stesso delle istituzioni e dell’economia di mercato, in grado di produrre un vertiginoso flusso di finanziamenti illeciti, clientelismo, voto di scambio e garanzie di impunità, dove gli interessi della politica, dell’imprenditoria, dell’informazione, della mafia, della criminalità organizzata, della giustizia e, financo, delle chiese e delle organizzazioni antimafia, si fondono con gli interessi dei cosiddetti “poteri forti economico-finanziari globali“, dietro cui notoriamente si cela la lunga manus della massoneria internazionale che, almeno dai tempi di Benjamin Franklin (affiliato alla massoneria tra i padri fondatori degli Stati Uniti d’America) e di Garibaldi, controlla gli scenari internazionali e le sorti del mondo.
Il “principio di intangibilità” degli affiliati alle varie consorterie affaristico-giudiziarie si contrappone quindi a quello di “uguaglianza di fronte alla legge“, per cui accade, come ora Vi raccontiamo, che da “Milano a Brescia la Giustizia funzioni alla rovescia” e che anche spostandosi di latitudine verso i più rigidi climi del nord le cose non cambino affatto.
I rappresentanti dei poteri forti e delle logge massomafiose che controllano il territorio, fanno da padroni nelle aule di giustizia e riescono quasi sempre a farla franca o, a venirne fuori con il minimo scotto, spesso con il compiacente avvallo degli organi di controllo della magistratura e dei Palazzi romani, tra cui lo stesso C.S.M., come invano denunciavano già negli anni novanta alcuni tra i migliori magistrati antimafia, come Salvo Boemi, Roberto Pennisi, Agostino Cordova, Alberto Di Pisa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri, minacciati di morte, messi a tacere e delegittimati dagli stessi rappresentanti di quei poteri occulti che avevano inascoltatamente denunciato … ________________________________________
L’INCREDIBILE STORIA DI UN CANCELLIERE DIRIGENTE DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO, DAPPRIMA VITTIMA DEGLI USURAI, EPPOI DEI GIUDICI.
Francesco Santomanco, ex Cancelliere Dirigente della Corte d’Appello di Milano, dopo 35 anni di onesto servizio, prima di venire illegittimamente spogliato della propria abitazione, denuncia di essere stato costretto a sottoscrivere da un gruppo di strozzini con aderenze nella locale magistratura, cambiali ipotecarie e titoli per oltre 1,2 miliardi delle vecchie lire, a fronte di un prestito di appena 60 milioni di lire e sottoposto all’ingiusto pignoramento di due immobili, tra cui appunto la casa ereditata dai genitori.
Gli immobili, situati nel centro storico, a due passi dalla Prefettura, con un valore di almeno € 6000 al metro quadrato, vengono valutati dal Tribunale di Milano a quotazioni da vera e propria ricettazione (€ 1500 al mq.) e alienati in aste deserte a società immobiliari.
La denuncia per usura e frode processuale finalizzata all’estorsione viene archiviata senza svolgere alcuna indagine, da parte del P.M. Spataro e dal G.I.P. Varanelli, sostenendo contrariamente alle evidenze documentali e probatorie offerte che “non sarebbero state allegate le prove” dei reati denunciati.
Analoga totale assenza di tutela si registra anche da parte della Prefettura di Milano, che seppure, inizialmente, orientata ad accogliere l’istanza ai sensi delle Leggi Antiusura nn. 108/96 e 44/99, dopo avere acquisito il parere negativo del Presidente del Tribunale, nega l’accesso al fondo previsto per le vittime dell’usura e financo la proroga di gg. 300 della sospensione dell’esecuzione di rilascio dell’abitazione.
Lo stesso avviene in sede civile coi molteplici ricorsi in opposizione alla vendita e al rilascio degli immobili, in cui si chiede la sospensione dell’esecuzione. Nonostante i ripetuti solleciti, ben 12 ricorsi di urgenza rimangono tutti pressoché inesaminati, sino all’accesso della forza pubblica, eppoi iniquamente respinti con la sconcertante motivazione che l’esecuzione di rilascio sarebbe stata “ormai in corso” e che la vendita seppure dapprima provvisoriamente sospesa, sarebbe “indenne da censure“. Ciò, giungendo a negare qualsiasi accertamento istruttorio sul valore effettivo degli immobili e sulla sussistenza di illegittime interferenze e interessi estorsivi che hanno inficiato di nullità l’intero processo esecutivo.
A seguito della pubblicazione del caso sul sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia in Lombardia), la Presidente della terza Sezione Esecuzioni immobiliari del Tribunale di Milano, dr.ssa Gabriella D’Orsi e altri giudici civili incaricati dei procedimenti, sporgono denuncia per “calunnia” sia nei confronti del Presidente dell’Associazione, responsabile del sito, sia nei confronti dell’ex Cancelliere Francesco Santomanco, che li aveva denunciati alla Procura di Brescia e al C.S.M., unitamente ai giudici penali e alla Prefettura di Milano, ipotizzando a loro carico i reati di falso ideologico, abuso continuato, omissione e interesse privato in atti di ufficio.
Con quale risultato? I giudici sono ancora tutti lì; mentre l’ex Cancelliere anziano e malato, dopo essere stato brutalmente legato con le cinghie alla barella, perché non voleva uscire dalla sua casa, finisce al Dormitorio Pubblico di Via Ortles. E, senza che nessuno dei giudici che avevano ritenuto denunciarlo per “calunnia” provvedesse ad astenersi da ogni giudizio che lo riguardava, come obbligatoriamente previsto per legge, l’usurato viene anche condannato al pagamento di pesanti spese processuali per alcune diecine di migliaia di euro in ogni processo.
Lo sconcertante epilogo del caso è che a Milano chi denuncia di essere vittima dell’usura e della “compagnia della morte” che, notoriamente, controlla le vendite giudiziarie, viene lasciato solo, con il beneplacito di tutti gli organi della magistratura e delle istituzioni a cui Francesco Santomanco si era fiduciosamente rivolto.
Anche alla Procura di Brescia le cose non procedono diversamente.
Le varie denunce a carico dei magistrati di Milano o, non vanno avanti (in altre parole vengono affossate) o, vengono archiviate, sempre senza svolgere alcuna indagine né tanto meno informare, come suo diritto, la parte offesa che ne ha fatto richiesta ai sensi dell’art. 410 c.p.p., così da impedirgli di proporre opposizione alla richiesta del P.M. di archiviazione.
Il vento sembra non cambiare neppure alla Procura di Trento, tutt’oggi inerte, dove l’inchiesta si trasferisce per competenza territoriale, ex art. 11 c.p.p., a seguito della ulteriore denuncia dell’ex Cancelliere degli abusi commessi nei suoi confronti, da parte di magistrati della Procura di Brescia. E qui si intrecciano le altre due parallele storie di usura ed estorsione legalizzate di altre malcapitate vittime di “errori giudiziari”, commessi da magistrati di Treviso, di cui Vi parliamo in questo primo numero del giornale on line.
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FALLIMENTOPOLI E CRIMINALITA’ GIUDIZIARIA NEL TRIVENETO. 92enne affetta da Alzhaimer spogliata della casa e gettata in mezzo alla strada.
La seconda storia, di cui abbiamo già parlato ne “la Voce di Robin Hood” (Ottobre 2002), scaricabile dal sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia nel Veneto) è quella di una inerme vecchietta di 92 anni, Moino Ermina, affetta dal morbo di Alzhaimer, pure sommariamente estromessa dalla sua abitazione, insieme alla figlia, Nellida Bernardi, a seguito della solita vendita giudiziaria pilotata, per favorire una profittevole speculazione edilizia sull’importante area, ove si ergeva la sua modesta casa, sita nel centro storico della ricca e laboriosa Castelfranco Veneto.
Esecuzione che viene autorizzata dal Giudice dr. Umberto Donà del Tribunale di Treviso, seppure il ricavato della vendita dei beni societari (3,6 miliardi di lire) sia ampiamente in grado di coprire la pretesa vantata dalla Cassa di Risparmio di Venezia (Carive), di circa 2,0 miliardi di lire (somma che risultava peraltro gravata da pesanti tassi usurari).
Nasce così il caso Moino-Bernardi, le quali denunciano la Carive per avere artatamente provocato, dapprima il fallimento dell’azienda della famiglia Bernardi, eppoi la vendita alla asta dell’abitazione privata, su cui gravava un diritto di abitazione a vita dell’anziana Moino.
Le due anziane denunciano, altresì, il Giudice Donà per avere autorizzato, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge e senza alcuna obbiettiva necessità, la vendita dell’usufrutto a vita, del valore di pochi milioni di lire, a fronte di una vessatoria fidejussione rilasciata dalla sig.ra Moino, in favore della figlia per l’erogazione di un mutuo ipotecario per l’originaria somma di appena lire 600.000.000.
Il motivo? L’area fabbricabile ove sorgeva la loro modesta abitazione era stata inserita nel piano regolatore del Comune di Castelfranco Veneto e ciò aveva scatenato gli appetiti di un costruttore locale, il quale non esitava ad acquistare nella solita asta deserta e a prezzo vile l’immobile, nonostante le opposizioni e le plurime denunce dei legali delle vecchiette, che venivano sommariamente estromesse dalla forza pubblica, senza che, anche in questo caso, intervenisse la locale Prefettura, alla quale si erano ripetutamente rivolte. Nel frattempo la povera Sig.ra Moino è passata a miglior vita e la figlia continua a sopravvivere dal 1997 con un assegno alimentare mensile di € 250, erogatogli dal ricavato della vendita dei suoi beni immobili, ciò mentre il locale Tribunale fallimentare rifiuta del tutto illegittimamente di restituirgli la differenza residua di circa € 500.000, seppure sia già stato approvato da alcuni anni il piano di riparto.
Ma non è tutto. Nonostante la Sig.ra Bernardi abbia proposto querela nei confronti degli istituti bancari e della Basso Immobiliare s.r.l., nonché dei giudici del Tribunale di Treviso e vi siano ben quattro procedimenti pendenti presso la Procura di Trento (nn. 1047/99, 1629/99, 2039/99, 12939/01), per frode processuale, abuso continuato e interesse privato in atti d’ufficio, falso ideologico e favoreggiamento, nessuna attività investigativa è stata svolta a carico del dr. Donà e i fascicoli giacciono mestamente negli Uffici della Procura. Omessa attività di indagine che ha recentemente costretto la Sig.ra Bernardi a proporre istanza di avocazione delle indagini al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trento, il quale al momento è rimasto del tutto inerte…
Dulcis in fundo, la Basso Immobiliare s.r.l., sentendosi diffamata dalla pubblicazione del caso sul sito di “Avvocati senza Frontiere”, spalleggiata dalla Procura di Treviso, ha pensato bene di presentare querela per pretesa “diffamazione a mezzo internet“, il cui procedimento a carico del responsabile dell’Associazione, Dott. Pietro Palau Giovannetti, in questo caso si celebrerà in tempi sorprendentemente brevi, il 13 giugno 2007. Ovviamente, la difesa non mancherà di fare rilevare l’adozione di due pesi e due misure nella gestione della vicenda e di battersi per affermare i principi di verità e giustizia (organo giudicante permettendo…) che sono alla base dell’impegno sociale di Avvocati senza Frontiere. Sul punto si osserva che la querela per diffamazione a mezzo stampa, unitamente a quella per calunnia, è ormai diventata un autentico sport nazionale nelle mani della magistratura di regime, collusa coi poteri forti, come risultante da una ricerca dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, ove è emerso che tra le categorie professionali maggiormente coinvolte nei procedimenti di diffamazione a mezzo mass-media spicca al primo posto, guardacaso, proprio quella degli stessi magistrati con ben il 44% dei casi, seguiti dai privati (11%) e dalle persone giuridiche (11%) [S. Peron e E. Galbiati, “I Dossier di Tabloid, Relazione sulle sentenze emesse dalla Corte d’Appello civile di Milano nel biennio 2001-2002. Diffamazione a mezzo stampa”, in Supplemento Tabloid n. 6/2004). Con ciò ledendo il principio fondamentale della libertà di parola e di manifestazione del pensiero, espressi in modo del tutto chiaro nell’art. 21 della Costituzione, ovvero il diritto di critica. In proposito, occorre evidenziare che i concetti espressi in sede giurisprudenziale, circa l’interesse per l’opinione pubblica alla divulgazione dei fatti: cioè la correttezza delle modalità di esposizione, la corrispondenza fra i fatti accaduti e i fatti narrati, come cause di giustificazione, rispetto al delitto di pretesa diffamazione, sono in evidente contrasto con l’antiquata ed autoritaria formula dell’art. 596 c.p., purtroppo ancora vigente, per cui l’imputato non è ammesso a provare a sua discolpa la verità o la notorietà del fatto (ex multis Cass. Pen. Sez. Unite 16 ottobre 2001 n. 37140). Nella specie, si pongono poi ulteriori problemi interpretativi circa la perseguibilità della querela, evidentemente proposta ed utilizzata a scopo meramente intimidatorio, in quanto secondo numerose pronunce dei giudici del merito (Tribunale di Teramo, Gip di Oristano …) si nega che si possa parlare di diffamazione a mezzo stampa, laddove lo strumento utilizzato sia la comunicazione telematica. Ciò in quanto nessun sito può essere raggiunto casualmente in assenza di una specifica conoscenza o di una precisa interrogazione ad un motore di ricerca; cosa che nel linguaggio giuridichese si traduce nel divieto di applicazione del principio analogico che non è previsto nel nostro sistema penale. In attesa di una definitiva più chiara pronuncia della Suprema Corte si resta nel frattempo nel dubbio.
Dubbi che invece non sussistono, circa la ricostruzione dei fatti di cui Nellida Bernardi e sua la sua anziana madre sono rimaste vittima, nonché circa le precise responsabilità ascritte alla Basso s.r.l., alla Carive e ai magistrati che sinora ne hanno coperto i delitti rimasti impuniti. _______________________________________
GOLF, BANCHE, GIUDICI E AFFARI
La terza parallela storia che chiude il cerchio del malaffare affaristico-giudiziario trevigiano e di questa prima serie di racconti, affermando il principio che <l’ingiustizia è uguale per tutti i poveracci> a qualsiasi latitudine del Paese, da Milano a Brescia e da Brescia a Trento, è quella di Coletti Maria, altra vittima della speculazione edilizia e dell’usura bancaria, che rischia nei prossimi mesi di vedersi illecitamente espropriare con il beneplacito della magistratura, della sua abitazione e di un circostante terreno di notevole prestigio, ad istanza della Banca di Credito Cooperativo Alta Marca, già da tempo nel mirino della Banca d’Italia e di indagini penali.
Il motivo? La sua modesta abitazione ha il torto di affacciarsi sui campi dell’Asolo Golf Club e di fare gola ai soliti speculatori immobiliari che intendono demolire tutto e costruire villette a schiera e strutture per nababbi.
Per la solita commistione di oscuri interessi tra giustizia e affari, seppure sia stato provato che la malcapitata vittima di turno abbia pagato sino all’ultimo centesimo quanto ancora indebitamente preteso dalla banca, a fronte di un’inesistente acquisto di titoli CTZ, mai richiesti dalla sig.ra Coletti, il solito Giudice dell’Esecuzione di Treviso Umberto Donà – lo stesso già indagato per il caso Bernardi – anche in questa circostanza si è rifiutato illegittimamente di sospendere la vendita e, prima di mandare la casa all’asta, di disporre una Perizia contabile per accertare l’effettiva situazione di dare/avere tra le parti, ovvero se il preteso acquisto di titoli CTZ non sia frutto di una truffa intentata dalla Banca di Credito Cooperativo Alta Marca.
Tutto ciò è stato da tempo vanamente denunciato alla Procura di Trento e al Presidente del Tribunale di Treviso, i quali sono rimasti del tutto inerti, come nel caso Bernardi, giungendo a respingere anche la richiesta di gratuito patrocinio e la stessa richiesta di ricusazione del dr. Donà, pur sussistendo un evidente insanabile conflitto di interessi tra la sua posizione di indagato e quella di Giudice dell’Esecuzione, cosa che non gli ha impedito di disporre la vendita all’asta per il 7.11.2007, infischiandosene anche delle opposizioni proposte dai difensori ai sensi degli artt. 569 c. 4, 615 e 617 c.p.c., per cui avrebbe avuto l’obbligo di disporre la sospensione automatica della vendita.
A quadrare gli ambigui fini della giustizia vi è il fatto che la Procura di Trento, in persona del P.M. De Benedetto, risulta ingiustificatamente inerte, anche alle stesse sollecitazioni del G.I.P. dr. La Ganga, il quale ha ripetutamente e vanamente chiesto indagini a carico del dr. Donà e di altri magistrati trevigiani. Provvedimento rimasto da quattro anni illegittimamente ineseguito con il pretesto che il P.M. avrebbe proposto due ricorsi in Cassazione avverso le richieste di indagini avanzate dal Gip. Cosa che non può che lasciare sgomenti, in quanto il P.M., quale rappresentante della Pubblica Accusa, non dovrebbe avere alcun titolo né apparente interesse ad opporsi a svolgere le suppletive indagini ritenute opportune dal Gip, prendendo in sostanza le difese dei giudici che sarebbe stato suo ineludibile dovere indagare, senza ritardo, assolvendo alle sue alte funzioni istituzionali. Un’evidente inversione dei ruoli e stravolgimento delle funzioni giudiziarie, per cui ci ritroviamo a pagare lo stipendio a dei magistrati che, invece di tutelare i diritti dei più deboli, proteggono gli interessi del potere e di coloro che attentano ai diritti dei cittadini, facendo perdere credibilità all’intero sistema giudiziario e speranza nella Giustizia.
Nel caso Coletti, al danno si è aggiunta anche la beffa, in quanto il P.M. De Benedetto ha richiesto l’archiviazione, sostenendo contrariamente a qualsiasi evidenza documentale e logica di buona fede, trattarsi delle “medesime questioni oggetto del caso Bernardi“, per cui aveva proposto anni orsono la predetta improponibile impugnazione avverso le richieste di indagini avanzate dal GIP. Ricorsi del cui esito, occorre peraltro evidenziare, nulla si sa e si è mai saputo: cosa che denota come la giustizia anche presso la Suprema Corte di Cassazione sia in balia degli interessi di chi sta dalla parte di quei “poteri forti economico-finanziari globali”, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, che controllano l’economia e le istituzioni.
Un conflitto di interessi, quello del P.M. di Trento, che non può non stupire coloro i quali credono nell’indipendenza della Magistratura e nella supremazia del diritto, tanto più se si considera che a fronte dell’inerzia delle indagini a carico dei giudici sospettati di collusioni, il Presidente della nostra Associazione, è stato, come detto, rinviato a giudizio a tempi di “giustizia scandinava”, per diffamazione a mezzo internet, quale responsabile del sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ , dove si denunciano i casi Bernardi, Santomanco ed altri.
Tony Red (Avvocato)
ENEL GAS BOLLETTE DA CAPOGIRO
Teramo. E’ comune a molti, in questi giorni, la spiacevole sensazione provata nell’aprire la cassetta delle lettere e trovare diverse fatture di Enel Gas che invitano gli utenti a pagare migliaia di euro per presunti consumi. Non è un caso che i vari punti Enel presenti sul territorio fossero stracolmi di cittadini, giunti per chiedere delucidazioni in merito. Qualcuno ha avvisato anche l’associazione “Robin Hood“, che si è dunque attivata per capire cosa fosse successo (n.d.r.: l’attività di detta associazione per quanto meritevole non è collegata nè allo stato riconosciuta dal Movimento per la Giustizia Robin Hood).
La vicenda sembra risalire allo scorso agosto, quando l’associazione riscontrò le prime fatturazioni anomale per consumi presunti. La motivazione di “Enel Energia mercato libero Distribuzione Gas” fu la sostituzione del sistema informativo, cosa che bloccava anche eventuali reclami da parte dei consumatori. Il presunto aggiornamento avrebbe, però, procurato un nuovo codice utente. Ed è qui che si riallacciano le ultime bollette pervenute ai teramani. La fattura immediatamente successiva a quella di agosto (con nuovo codice e datata ottobre 2009) parla, infatti, di “prima lettura di attivazione”, cioè la tradizionale lettura che si effettua recandosi a casa dell’utente. Visita, in realtà, mai avvenuta. Le fatture si basano, quindi, su letture presunte, senza lettura di conguaglio e con scadenza ravvicinata.
Il numero elevato di fatture viene spiegato da “Robin Hood” con il fatto che Enel Energia è obbligata dalla legge ad essere in linea con l’emissione di un certo numero di fatture annue. “Siamo davanti al primo fattore sbagliato” commenta in merito Pasquale Di Ferdinando, presidente dell’associazione. “Non capiamo perché, pur avendo avuto a disposizione il periodo tra agosto ed ottobre, abbiano concentrato tutto in pochi giorni, ancor di più se, poi, nel 90% dei casi si tratta di fatture eccedenti anche a letture effettuate dopo aver ricevuto queste comunicazioni”.
Insomma, considerato un consumo medio per famiglia di 5.000 metri cubi al mese, un calcolo veloce sui consumi permette di verificare che la differenza fra le fatture ricevute è maggiore rispetto a quanto cosumato: in parole più semplici, gli utenti pagano più del consumo effettivo.
La circostanza sarà oggetto di una denuncia da parte di “Robin Hood” all’Autorità dell’Energia, che si aggiunge alle già migliaia di reclami pervenuti dai cittadini allo sportello unico Enel. Nel frattempo, l’associazione invita gli utenti a fare comunque istanza scritta di pagamento rateizzato, inviando contestualmente anche la propria lettura effettiva. Le richieste possono essere inviate via fax al numero verde 800 997 736.
Tania Di Simone
Da: www.cityrumors.it
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