Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 25

LA P2 GIUDIZIARIA MILANESE SFRATTA ANZIANA DOPO 30ANNI DI CONVIVENZA DI FATTO

 Milano, 11 novembre 2009. Agenti e automezzi della Digos in Via Bergamo 3 Milano, in funzione antisociale per l’esecuzione di sfratti di anziani.  
A cura della Redazione.

QUESTAMANI UNA PENSIONATA MINIMA SETTANTENNE E’ STATA BRUTALMENTE SFRATTATA CON LA FORZA PUBBLICA DOPO 30 ANNI DI CONVIVENZA DI FATTO.
Il grave episodio già preannunciato ieri sera con un comunicato stampa di Avvocati senza Frontiere è avvenuto intorno alle ore 12, in Via Bergamo 3, Milano, in danno della sig.ra Maria Teresa Russo, dopo circa tre ore di assedio e di inutili tentativi di indurre l’Ufficiale Giudiziario procedente e la Polizia di Stato (Digos), scandalosamente presenti con ben due blindati e uno sproporzionato spiegamento di forze e agenti, a sospendere le operazioni, trattandosi di un’esecuzione illegittima, nei confronti di persona ultrassettantenne, afflitta da gravi patologie, per cui è prevista per legge la sospensione degli sfratti, sino al 31.12.2009, in base ai noti decreti governativi (Dlgs n. 158/2008 e n. 78/2009).
Ignorando le disposizioni di legge che impongono la sospensione automatica degli sfratti per finita locazione nei confronti di tali categorie di anziani disagiati l’U.G. e gli agenti della Digos hanno fisicamente impedito con l’uso della forza al Presidente di Avvocati senza Frontiere e al legale dell’anziana donna che l’assistono, di avvicinarsi all’abitazione, inducendo in tal modo la signora Maria Teresa Russo a subire una visita coattiva del medico della Asl, che già in precedenza ne aveva attestato le gravi condizioni di salute e l’intrasportabilità.
In tale contesto, l’anziana donna rifiutava il ricovero coattivo in una struttura per anziani, proposto dal medico della Asl e dagli assistenti sociali [peraltro contrario ai principi costituzionali: Art. 32], i quali insieme all’U.G., agli della Digos e al legale della controparte facevano pressioni morali e psicologiche affinchè l’anziana donna, rimasta sola per circa mezz’ora, lasciaasse immediamente l’abitazione, affermando che tanto la causa [invero ancora da istruirsi] sarebbe stata già “persa” e che “prima o poi se ne se sarebbe dovuta andare“.
Dopo di che, l’esecuzione di sfratto veniva portata ad estreme conseguenze con l’immissione nel possesso dei nipoti dell’ex convivente della sig.ra Russo, alla presenza dei legali delle parti e del Presidente di Avvocati senza Frontiere Dr. Pietro Palau Giovannetti che difendono l’anziana donna, i quali hanno denunciato gli atti di prevaricazione subiti dalla Digos e l’illegittimità dello sfratto, preannunciando di sporgere querela anche nei confronti dei magistrati (ritenuti appartenenti a una loggia coperta), che ignorando ogni ragione e più elementare diritto civile dell’anziana donna hanno permesso che l’esecuzione venisse portata ad estreme conseguenze.
A riguardo, si ricorda che i legali del Movimento per la Giustizia Robin Hood hanno già denunciato lo Stato Italiano avanti la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, in relazione alla violazione del diritto abitativo della sig.ra Maria Teresa Russo, vittima di una giustizia che calpesta i più elementari diritti umani, anche delle persone anziane e in stato di indigenza.
Nonostante ogni possibile opposizione e appello i giudici milanesi hanno infatti sinora negato alla Sig.ra Maria Teresa Russo qualsiasi diritto abitativo sulla propria casa coniugale di via Bergamo 3, ove ha convissuto per oltre 30 annimore uxorio” (quale convivente di fatto) con l’intestatario dell’appartamento, prematuramente deceduto senza lasciare a quanto parrebbe testamento.
30anni fa l’immobile venne acquistato dal convivente dell’anziana donna la quale, pur contribuendo al pagamento del prezzo e delle spese condominiali ordinarie e straordinarie per oltre 30 anni, non è mai formalmente divenuta intestataria, seppure risulti consigliera condominiale e cointestataria per volontà del de cuius delle richieste di pagamento degli oneri condominiali, come confermato dall’Amministratore del Condominio e da numerosi condomini.
Circostanze documentali e prove testimoniali che i giudici milanesi hanno letteralmente ignorato, rifiutando qualsiasi motivazione di diritto, anche limitatamente all’esclusione del diritto abitativo, ormai riconosciuto da una giurisprudenza sempre più orientata alla protezione della convivenza “more uxorio”. Negli anni l’abitazione di Via Bergamo è infatti diventata il centro della convivenza di fatto della coppia, anche durante la fase terminale dell’improvvisa malattia del defunto sig. Rugini Carlo, assistito fino alla fine dalla sua compagna.
L’azione di sfratto promossa dagli unici eredi legittimi, i nipoti, sinora avvallata dal Tribunale di Milano (e in fase di sospensiva della sentenza di primo grado anche dalla Corte d’Appello), si fonda sull’erroneo assunto che l’anziana donna, dopo la morte del convivente, non avrebbe più alcun titolo a permanere nella casa di abitazione, in quanto non riconoscibile ad avviso dei giudici della lobby giudiziaria milanese nè un diritto abitativo nè successorio.
Sulla base di queste distorte considerazioni di diritto che non trovano legittimazione in nessun altro Paese civile europeo [né tantomeno nella giurisprudenza di merito e legittimità] il Tribunale di Milano ha dichiarato risolto per “finita locazione” un preteso quanto inesistente contratto di “comodato precario” (durato la bellezza di 30 anni!!!).
La sig.ra Russo si è quindi rivolta alla rete di Avvocati senza Frontiere, istituita dalla Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, da cui ha ricevuto assistenza legale, in ogni sede, col patrocinio a spese dello Stato.
I legali dell’associazione hanno quindi proceduto su più fronti:
– da una parte la revoca della condanna al rilascio e l’accertamento dell’inesistenza del preteso contratto di “comodato precario”, impugnando la sentenza di primo grado;
– dall’altra hanno agito per l'”accertamento del diritto di successione (iure hereditario) o in via subordinata di usucapione del diritto abitativo, quale convivente di fatto.
Non avendo ottenuto alcuna tutela e provvedimento cautelare di sequestro dell’immobile sono stati poi proposti una raffica di reclami in via d’urgenza, ricorsi in opposizione all’esecuzione, ed infine, la denuncia alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, senza che i giudici milanesi, abbiano provveduto a tutelare i diritti dell’anziana e malata donna, la quale versa in condizioni di salute precarie, tanto da essere stata già dichiarata intrasportabile dal medico della Asl.
L’eclatante caso di malagiustizia milanese e italiana riporta con forza alla ribalta tre problematiche di largo interesse per l’opinione pubblica e la sopravvivenza dello Stato di Diritto, coinvolgendo milioni di famiglie italiane:
1) l’irrisolto problema delle unioni di fatto;
2) l’uso delle Forze dell’Ordine e l’assenza di controlli sulle attività della magistratura;
3) l’indipendenza della magistratura e non appartenenza a logge massoniche.
La prima problematica ci spinge a riflettere sull’annoso vuoto normativo lasciato da entrambi i governi in tema di patti di solidarietà civile (“pacs” o “dico”), ovvero sull’assenza di adeguate e più moderne soluzioni legislative (in questo caso riguardanti la mera tutela di una “normale” coppia), adatte alle esigenze che l’evoluzione sociale, culturale e di costume impone con urgenza alla collettività, e che nella maggioranza degli altri sistemi giuridici europei trovano riconoscimento e la dovuta considerazione, in alcun casi già da ben oltre 20 anni (Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Spagna, Portagallo, etc).
La seconda e la terza problematica ci spingono invece a riflettere su quali siano le effettive funzioni del sistema giudiziario italiano e i compiti delle Forze dell’Ordine e della Magistratura italiana, troppo spesso asserviti agli interessi della politica, delle mafie e della massoneria deviata che occupano e soffocano le istituzioni.
Tutori della legalità e dei diritti delle parti più deboli ?
O, cani da guardia del potere o delle logge massoniche che fanno affari con la giustizia?
Per maggiori informazioni e servizio fotografico dell’esecuzione: 02-36582657 – 329-2158780

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=159

ESAMI DI AVVOCATO A MILANO: UNA FARSA!

di Giampaolo Riccò (aspirante avvocato)

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.
ARTICOLO 4 COST. E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
Gentile Presidente Napolitano,
 mi chiamo Giampaolo Riccò, abito a Melegnano, vicino a Milano e aspiro a svolgere la professione di avvocato per cui mi sono laureato, dopo molti sacrifici e anni studio. Le scrivo questa lettera aperta, tramite questo giornale che rappresenta le aspettative di molti giovani avvocati e professionisti onesti, che come me credono nei principi di legalità e giustizia, per metterla al corrente dei fatti successi alla Fiera di Milano, in occasione dell’esame di stato per avvocati dello scorso 2007. Esame che mi permetto mettere in relazione all’art. 4 della Costituzione e all’anniversario del 25 aprile.

Come dai suoi interventi in televisione, che ho costantemente seguito, ricorre infatti il 60° anniversario della Costituzione Repubblicana. Tra poco, anche il 25 aprile, giorno della liberazione del Popolo Italiano: quante persone sono morte per la nostra democrazia e per il nostro Paese? Probabilmente Lei si starà chiedendo “ma cosa c’entra l’esame di stato per avvocati con l’articolo 4 della Costituzione e le persone che sono morte per la nostra Patria?  Le spiego allora subito la relazione.

Cominciamo dai  fatti successi alla Fiera di Milano.

In data 13 dicembre 2007 mi recavo alla Fiera di Milano per sostenere la terza prova d’esame, atto giudiziario, per diventare avvocato. Alle nove circa, dopo aver effettuato la registrazione all’ingresso e i relativi controlli, mi sono seduto alla mia postazione. Subito gli altri candidati  mi mettevano al corrente che nel padiglione si vociferava che la prova d’esame, atto civile, sarebbe stata una comparsa di risposta, riguardante un bene immobile. Nell’atto di citazione, l’attore, sosteneva di essere proprietario del bene e chiedeva il risarcimento del danno per il mancato godimento. La parte convenuta sosteneva, contrariamente, che il bene immobile fosse stato usucapito. Quella di quei giorni di dicembre era la quarta volta che mi presentavo per sostenere questo esame e ogni volta circolavano le voci sulle tracce d’esame ma io non ci credevo. Mi sono quindi alzato e mi sono recato a salutare un altro candidato che conoscevo dal periodo del tirocinio. Appena salutato anche lui mi confermava le stesse voci. Anche lui era scettico come me, ricordo però che mi disse “intanto che aspetto la dettatura delle tracce d’esame mi cerco le sentenze della Corte di Cassazione, non si sa mai”. Sono quindi tornato alla mia postazione per continuare a seguire le conversazioni dei miei colleghi d’avventura. Alle ore 9.30 tutti i candidati intorno alla mia postazione erano pronti per l’atto di diritto civile incluse le sentenze della Corte di Cassazione. Finalmente, poco dopo le 10.00, cominciava la dettatura delle tracce d’esame. Mentre il Presidente della commissione d’esame dettava la traccia relativa all’atto civile ci guardavamo sempre più sbigottiti: era proprio quella anticipata dalle voci di corridoio!

Durante la dettatura un ragazzo (“Il Messaggero” nell’articolo del 21 dicembre 2007 indicava erroneamente il sottoscritto) si è alzato e si è recato presso il banco della Presidenza per protestare mentre nel padiglione della Fiera fioccavano applausi, fischi, urla e invettive contro la Commissione d’esame. Io non so cosa si siano detti il candidato e il Presidente della commissione ma a un certo punto ho sentito dagli altoparlanti che il Presidente invitava il ragazzo a tornare a posto per continuare l’esame. A questo punto, mentre il Presidente continuava la dettatura mi sono avvicinato al banco della Presidenza. Ho aspettato che la dettatura finisse e ho subito riferito al Presidente che anch’ io ero a conoscenza della traccia d’esame in materia di diritto civile e che altri candidati vicino alla mia postazione ne erano a conoscenza. Chiedevo inoltre al Presidente d’esame di mettere a verbale l’accaduto. Il Presidente, invece, mi diceva che non avrebbe messo a verbale nulla e che, qualora lo volessi, avrei potuto denunciare il fatto ai Carabinieri presenti nel padiglione e lasciare l’aula d’esame. Mi sono quindi recato presso un gruppo di agenti di Polizia, in quanto i Carabinieri erano dall’altra parte del padiglione. Gli agenti mi facevano però notare che, contrariamente a quanto riferito dal Presidente d’esame, potevo chiedere ai commissari di verbalizzare e, successivamente, se ritenevo opportuno, lasciare l’aula e quindi ritirarmi dalla prova. Proprio in quel momento si stava avvicinando l’avvocato Lomboni vice-presidente della commissione d’esame con il quale ho avuto uno scambio di opinioni. Molto gentilmente l’avv. Lomboni chiamava il cancelliere capo, della segreteria esami avvocato del Tribunale di Milano, Dott.ssa Campagna, per procedere alla verbalizzazione dei fatti. Nel verbale indicavo come testimone un altro candidato vicino alla mia postazione, dichiaravo che altri candidati risultavano essere a conoscenza della traccia in materia civile e che mi ritiravo dalla prova consegnando la mia busta: erano le ore 11,35, come da pagina 3 del verbale della terza prova scritta, Corte di Appello di Milano, Segreteria esami di Stato. Alle ore 12,00 insieme all’avvocato Lomboni mi recavo presso il banco della presidenza per registrare la mia uscita dal Padiglione in quanto sino alle ore 12,00 non era consentito uscire.Tornato a casa ho redatto la denuncia sui fatti successi e l’ho presentata alla stazione dei Carabinieri di Melegnano. La mia querela la sta seguendo il P.M. Dott. Romanelli della  Procura di Milano. Un magistrato di cui è nota la serietà. Altre Procure stanno svolgendo parallelamente indagini in quanto la diffusione delle tracce sembra sia avvenuta attraverso internet e quindi coinvolge diverse sedi d’esame.

Questi Ecc.mo Sig. Presidente sono i fatti di quei giorni di dicembre.

L’articolo 4 della Costituzione Italiana di cui Ella è Supremo custode e garante recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”. Bene, anzi male, da “La Stampa” del 28 dicembre 2007, risulta che 30.000 praticanti hanno sostenuto l’esame nello scorso mese di dicembre. A Milano alla terza prova si sono presentati 3712 candidati e uno si è ritirato: il sottoscritto. Questi numeri sono in continuo aumento: a Milano se continuiamo così non ci stiamo più nel padiglione. La riforma dell’allora Ministro della Giustizia Castelli, che intendeva contrastare la diffusa pratica del trasferimento dei praticanti al fine di scegliere sedi di esame ritenute più agevoli (vedi Catanzaro), non ha funzionato: anzi ha peggiorato la situazione nel nord Italia. Gli esami scritti di Milano verranno corretti quest’anno dalla Corte di Appello di Bari e, a quanto mi risulta, ambedue le procure stanno svolgendo indagini incrociate.

A Milano e al nord Italia passano all’esame meno candidati rispetto ad altre sedi d’esame. Si dice che le università del nord Italia siano meglio organizzate e che preparano meglio gli studenti: comincio a dubitarlo, visti i risultati degli esami…

Non ci si capisce più nulla in questa Italia. Se la Repubblica riconosce il diritto al lavoro e allo Stato è demandato il compito di promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto, perché allora non ci viene riconosciuto lo status di avvocati?

Signor Presidente, gli esami di diritto li abbiamo già superati nelle  Università, abbiamo già fatto il tirocinio per due anni presso avvocati, abbiamo già sostenuto esami presso i nostri ordini professionali locali, abbiamo giurato di rispettare le leggi dello Stato davanti al Presidente di Tribunale. Cos’altro dobbiamo fare?

Forse, un esame come quello di Milano? Ma, secondo Lei, onestamente, era un esame di Stato? Eppoi, cortesemente mi spieghi a cosa serve un esame fatto in questa maniera e soprattutto a chi serve?

Stringendo, nell’ambiente sappiamo bene tutti che l’esame serve solo alla lobby degli avvocati per limitare l’accesso alla professione e frenare la concorrenza che sempre stando alle stime dei giornali avrebbe superato quota 160.000.

Ma allora perché parliamo di libera professione e di libero mercato?

In Italia Signor Presidente ci sono diversi conflitti d’interesse.

Lo vogliamo dire o facciamo finta di non capire che c’è un conflitto d’interessi grande come una casa anche negli esami di Stato?

Noi praticanti avvocati siamo esaminati da altri avvocati che evidentemente non ci vogliono fare entrare nel mercato o gli fa comodo lasciare le cose così come stanno.

Ammesso che gli esami di Stato servano a qualcosa (e questo è un bel punto di domanda), perché non veniamo esaminati da una parte terza, ad esempio dalle Università o da magistrati esperti di Tribunali e Corti di Appello?

La Costituzione dice che tutti hanno il diritto al lavoro e noi la nostra professione la vorremmo proprio cominciare a svolgere, prima di morire di fame e/o di invecchiare facendo esami a raffica uno dietro l’altro, come fanno anche tanti aspiranti magistrati.

Perché la casta degli avvocati continua ad impedircelo?

Non credo, meramente per motivi egoistici e/o corporativistici, perchè gli portiamo via le cause per le multe-autovelox, ma per ragioni di controllo politico e sociale.

La Repubblica dovrebbe promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro. Ma come: organizzando degli esami di Stato che sono una farsa?

Mi scusi, ma io sono un collega del Presidente della commissione d’esame, in quanto sono iscritto all’ordine forense; faccio presente che c’è qualcosa che non va, gli indico anche dei testimoni e, nonostante la sua pubblica funzione, si rifiuta di verbalizzare l’accaduto e non si adopera minimamente per controllare, come se l’accaduto non lo riguardasse (o forse, peggio, lo ritenesse un male da tollerare con cui la casta si sa ha ormai  imparato a convivere, tacendo).

Quanto Le denuncio Sig. Presidente Napolitano, lo può verificare dal verbale del 13 dicembre, redatto dal segretario e sottoscritto dallo stesso Presidente: 40 commissari che non verificano se i fatti da me denunciati e verbalizzati alle 11,35 sono veri.

Ma che ci stanno a fare? A quali logiche rispondono? Chi li ha nominati? Personalmente credo di essermi comportato correttamente: ero a conoscenza della traccia d’esame prima della dettatura e mi sono ritirato. Ma la commissione d’esame si è comportata altrettanto correttamente? Ironia della sorte: una materia dell’esame è il codice deontologico forense che all’articolo 6 “Doveri di lealtà e correttezza” afferma testualmente: “L’avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza”. Ma la commissione d’esame si è comportata correttamente? Ha fatto tutto quello che era necessario fare? 

E l’Ordine Forense cosa sta facendo? Ha riferito al Ministero i fatti successi in tutta Italia? Che decisioni hanno preso? Guardi che sono già passati più di tre mesi e a me non risulta ancora niente. Cosa aspettano?

Il senatore Alfredo Mantovano, ex magistrato, ha presentato a Palazzo Madama un’interrogazione con risposta scritta, all’ex Ministro della Giustizia Clemente Mastella, chiedendo anche quali provvedimenti intendeva assumere per garantire la piena legittimità di un esame che, se possibile, in misura superiore ad altri, deve caratterizzarsi per trasparenza e rispetto delle regole.

Risposte da quel Ministero attualmente nessuna.  

Tutti parlano di regole. Ma quali sono le regole da rispettare per un esame di Stato? Dal bando di iscrizione all’esame, non ho letto circa un’opzione da esercitarsi per avere le tracce la sera precedente. Sì, la sera precedente, ha capito bene, perché risulta che alcuni candidati sapessero della traccia la sera precedente, altri prima di entrare alla Fiera, altri come me una volta entrati e altri che non sapevano nulla.

Le chiedo: ma se questo esame è regolare, come faranno a correggere i compiti?

E la prossima volta ci daranno la possibilità di conoscere le tracce la sera prima a tutti oppure ancora a pochi eletti? E come ce li invieranno via e-mail?

Dobbiamo registrarci su qualche sito specializzato, pagando un extra?

Personalmente ho sempre pensato che all’esame di Stato tutti i candidati dovessero essere trattati  alla stessa maniera, con pari diritti e pari doveri. A Milano non è successo così: moltissimi candidati conoscevano la traccia in materia civile prima della dettatura. Ma allora i diritti non sono uguali per tutti. All’articolo 3 della Costituzione si dice anche che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l’uguaglianza dei cittadini impedendone l’effettiva partecipazione all’organizzazione economica e sociale del Paese. Lei ha più volte detto che la Costituzione deve essere applicata: ci vuole dare una mano?

Il secondo comma dell’articolo 4 della Costituzione cita: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Ecco gentile Presidente, non solo abbiamo il diritto al lavoro, e di sceglierlo, ma anche il dovere di svolgere una attività che concorra al progresso materiale o spirituale dell’Italia. Ci dica, allora, quando possiamo cominciare? Poco tempo fa, un Ministro della Repubblica ci ha definito dei “bamboccioni”. Facciamo due conti, visto che è responsabile del dicastero dell’economia: laurea a 25 anni, più due anni di tirocinio, più facciamo tre anni per l’esame, più cinque anni per mettere in piedi lo studio professionale (se va bene): totale a 35 anni possiamo dire di svolgere l’attività forense. Sì, Signor Presidente, la realtà è questa, con queste regole, solo a 35 anni si può uscire di casa: quindi 30.000 persone, che io chiamo i “precari di lusso”, sono in uno stato di dipendenza dai genitori. Molti di questi genitori, che hanno fatto parecchi sacrifici per mandare all’Università i loro figli, e che sono orgogliosi di aver dei ragazzi laureati in Giurisprudenza e prossimi avvocati (si spera), non riescono a capire perché fino a 35 anni non si riesca a sviluppare un’attività professionale. Ma se noi abbiamo un dovere di svolgere una attività che contribuisca al miglioramento della nostra società, come facciamo se le nostre istituzioni non ce lo consentono?

Ma le sembra una società “normale” questa dove le persone a 35 anni devono ancora dipendere dai genitori perché le istituzioni non gli consentono di lavorare? Siamo al paradosso: è lo Stato che ci impedisce di svolgere un’attività che per definizione è libera. Libertà di cui godono solo per quei raccomandati all’interno della casta o per quei pochi che ogni anno riescono a superare gli sbarramenti imposti dall’alto che costituiscono una forma implicita di numero chiuso, che alcuni anni fà, come molti ricorderanno, la Corporazione voleva rendere palese per legge.

Quanti sono gli avvocati che hanno ottenuto l’abilitazione a Catanzaro, dove qualche anno fa è avvenuto un altro scandalo all’esame di Stato? Se non lo sa consulti il P.M. Luigi De Magistris: 2.585 compiti tutti uguali: reato prescritto. in questa Italia, cambiano le regole ma gli scandali continuano.

Ora Signor Presidente veniamo al punto di coloro che hanno dato la vita per la Patria, lottando per la democrazia e l’uguaglianza dei cittadini italiani. Crede che i partigiani siano morti per uno Stato dove non si capisce più nulla? Dove contano più i furbi che le persone oneste? Una società dove i soldi sono più importanti delle persone? Una società fatta di ingiustizie e di privilegi?  Ma i vari Chinnici, Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, i Poliziotti, i Carabinieri, i Militari delle missioni di pace e tutti quelli che sono morti  per lo Stato Italiano, hanno dato la loro vita per questo tipo di società?

Io penso che se potessero tornare indietro, ci rifletterebbero non poco.

Magari direbbero: “ma chi me lo ha fatto fare?”.

Io credo che tutti i cittadini devono fare la loro parte per rendere migliore questa società. La liberazione dalla dittatura, la lotta alla mafia, devono essere un esempio, soprattutto ai giovani, per un rinnovamento profondo  del nostro Stato.

I diritti alla democrazia, all’uguaglianza dei cittadini, il diritto al lavoro non sono piovuti dal cielo ma sono stati conquistati con l’impegno e la vita di molte persone: questi diritti vanno assolutamente difesi. Alcuni dei giovani colleghi con i quali sono in contatto dicono che sono stato coraggioso a denunciare l’accaduto. Io non credo di essere stato coraggioso, credo di aver semplicemente fatto il mio dovere e di essermi comportato da cittadino. Ognuno di noi ha dei diritti e dei doveri: io credo di avere il diritto di essere equiparato agli altri candidati all’esame e credo di avere avuto il dovere, come cittadino, di denunciare i fatti successi, in quanto costituenti reato. 

Gli altri candidati e i membri della commissione dovrebbero a loro volta denunciare o testimoniare quanto a loro conoscenza: altrimenti le cose non cambieranno mai! L’omertà deve finire. Molti giovani colleghi hanno paura di esporsi. Lo stesso timore vige tra gli aspiranti magistrati che denunciando sono convinti di venire presi di mira ed esclusi dai processi selettivi di affiliazione alle rispettive Corporazioni professionali.

A questo punto c’è da domandarsi se dei futuri avvocati e magistrati non sono capaci di tutelare i propri diritti, come potranno difendere i diritti degli altri?

Non c’è quindi da stupirsi se la giustizia versi in stato comatoso da oltre 40 anni. 

A mio avviso è  assolutamente necessaria la modernizzazione del Paese e i giovani avvocati devono essere in prima linea per questo cambiamento. Alla trasmissione televisiva” Ballarò”, il Presidente dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato Catricalà e il ministro Bonino, hanno dichiarato che la liberalizzazione delle professioni sono una cosa necessaria per modernizzare il Paese ma che i partiti non la vogliono fare. E allora che si fa? Ogni tanto, noi cittadini, ci rivolgiamo alla magistratura per l’ennesimo scandalo, esame di stato o concorso pubblico che sia: ma quando la finiamo? La vogliamo mettere a posto questa povera Italia?

Nel programma del governo Prodi “Per il bene dell’Italia” a pagina 53 punto d. si legge “riformare in senso qualitativo il sistema dell’accesso, basato sulla frequenza di scuole forensi e di specializzazione per le professioni legali, sul tirocinio e su un esame di stato finale”. Che belle parole “riformare in senso qualitativo”; peccato però che, secondo voci di corridoio, il Ministero di Giustizia stava preparando un bel test di pre-selezione e quindi una prova aggiuntiva da superare (in senso quantitativo e non qualitativo). Ma poi mi chiedo: le facoltà di giurisprudenza e le scuole di specializzazione per le professioni legali a che cosa servono in Italia? Io credevo che preparassero gli studenti a svolgere un’attività lavorativa: quella di avvocato, magistrato o altre attività collegate. Ma quante scuole ed esami dobbiamo fare per diventare avvocati? Non è magari il caso di ripartire dalle Università e rivedere i corsi universitari per preparare le persone al mondo del lavoro senza dover sostenere questi esami che sono un costo sociale in quanto un impedimento all’accesso professionale di molti giovani? Non mi sembra sia una cosa tanto difficile: ma forse il problema è che non si vuole cambiare questa Italia decadente. Allora dato che il Parlamento è miope davanti a questa necessità di cambiamento, ho pensato che i cittadini debbano darsi da fare per cambiare le leggi dello Stato.

Con l’aiuto di Avvocati senza Frontiere stiamo cercando di organizzare un comitato per l’abrogazione degli esami di Stato.  L’indirizzo e-mail è esamemil@yahoo.it .

Pensi Signor Presidente, in un Italia dove manca il lavoro, 30.000 praticanti avvocati, e non so quanti sono quelli degli altri ordini professionali, avrebbero la possibilità di iniziare una professione a costo zero per lo Stato Italiano. Anzi si ridurrebbero i costi, quelli cioè che lo Stato sostiene per l’organizzazione di questi inutili esami farsa.

La proposta l’ho fatta. Ora tocca a Lei.

Grazie per l’attenzione e la risposta che vorrà concedere a tutti gli italiani onesti che come me credono nella giustizia e nei principi della Costituzione che Lei incarna.

Giampaolo Riccò (prima che aspirante avvocato, cittadino)

N.d.R.: E perché non aboliamo anche gli Ordini Avvocati?

Tanto a cosa servono se come ha detto Gian Antonio Stella non pretendono neppure dagli iscritti il rispetto delle regole deontologiche?

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=143

TREVISO: LA MAFIA DELLE ASTE

TRIBUNALE DI TREVISO. Maria Coletti, anziana pensionata, denuncia di essere vittima di una preordinata azione estorsiva da parte della Banca di Credito Cooperativo Alta Marca e di un gruppo di speculatori locali, che nonostante siano stati interamente soddisfatti delle rispettive pretese creditorie, aventi tra l’altro natura usuraria, ottengono illegittimamente dal Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Treviso, Umberto Donà, che l’abitazione e un annesso terreno di notevole prestigio di sua proprietà, siano messi all’asta a valori di pura ricettazione. Denunce, ricusazioni e ogni possibile forma di opposizione non sortiscono alcun effetto se non l’avvicendamento del dr. Donà, trasferito alle funzioni di Gip, coi giudici Valle e Bigi, che ne seguono supinamente le orme, senza neppure peritarsi di disporre una perizia contabile sulle somme effettivamente dovute e sull’effettivo valore dei beni pignorati nè, tantomeno, di acconsentire, pur a fronte del versamento di un acconto pari ad un quinto dell’intero importo indebitamente preteso, al pagamento rateale del residuo in 18 mensilità, mediante la cosiddetta “conversione del pignoramento“, espressamente prevista dall’art. 495 c.p.c. Dilazione che, alla luce delle precarie condizioni economiche di Maria Coletti e del suo status di pensionata e di vittima dell’usura non poteva quindi legittimamente non venire applicata.
L’immobile ha il torto di affacciarsi sui campi dell’Asolo Golf Club di proprietà della famiglia Benetton e di fare gola ai soliti speculatori immobiliari ben introdotti nel locale tribunale che, avvalendosi del clima di complicità e omertà regnante tra i magistrati di Treviso, intendono demolire tutto e costruire villette a schiera e strutture per nababbi. In buona sostanza, nessun magistrato se la sente di applicare la legge, ponendo fine a un sistema di malaffare giudiziario che, da decenni, asseconda gli illeciti interessi di un cartello di speculatori, in grado di condizionare le vendite giudiziarie e i fallimenti, attraverso la collusione di intranei ai centri di potere del Tribunale di Treviso. Non è certo un caso che al giudice Donà sia stata avvicendata la dr.ssa Franca Bigi, i quali risultano entrambi già indagati dalla Procura di Trento, per un’analoga estorsione paralegale in danno di Bernardi Nellida, patrocinata da Avvocati senza Frontiere. Né, tantomeno, può essere un caso che dopo ben otto opposizioni ad ogni singolo atto esecutivo, in cui sono state denunciate continue sparizioni di atti processuali e l’omessa fissazione delle udienze, l’immobile della signora Coletti, di mq. 525, oltre a mq. 1100 di terreno edificabile, del valore di almeno € 600.000,00, sia stato svenduto a soli € 123.000,00, in un’anomala gara senza incanto, all’unico offerente.  Tutto ciò, in assenza di qualsiasi provvedimento di sospensione dell’esecuzione e, addirittura, della stessa fissazione delle udienze di comparizione parti sulle predette opposizioni agli atti esecutivi, rimaste, tutt’oggi, inesaminate. Omissioni la cui pervicace impunità fanno venire meno il principio di legalità e il divieto di denegare giustizia, previsti dal nostro ordinamento, dando luogo ad un fenomeno ormai molto diffuso in tutto il Paese che potremmo definire di vero e proprio <dispotismo giudiziario>, che è il preludio alla soppressione anche formale dei diritti dei cittadini. A riguardo, basti dire che la povera signora Coletti e la segretaria dello studio legale che l’assiste hanno dovuto fare intervenire i Carabinieri, presso la cancelleria del Tribunale di Treviso, per potere riuscire ad esercitare il diritto di visionare il fascicolo di ufficio ed estrarre copie degli atti, previsto dall’art. 76 disp. att. c.p.c.  Senza parlare della sparizione del verbale con le offerte pervenute alla cancelleria, dapprima misteriosamente sparito, eppoi a dire del giudice dr. Valle rinvenuto nella sua stanza, senza che, però, tale verbale comprovante la liceità della gara risulti tuttora reperibile…
Dopo avere denunciato alla Procura Antimafia di Trieste l’operato dei magistrati di Treviso e l’inerzia del P.M. di Trento, Dr. De Benedetto, nei mesi scorsi i difensori della Sig.ra Coletti ottengono finalmente la sostituzione del G.E. dr.ssa Bigi, seppure ogni precedente ricusazione nei confronti dei giudici Donà, Valle e Bigi, fosse stata respinta dal Presidente del Tribunale Dr. Napolitano, il quale prima di andare in pensione pensa bene di denunciare il difensore della sig.ra Coletti al Consiglio dell’Ordine Avvocati. Mentre da parte sua la dr.ssa Bigi sporge denuncia per il preteso reato di “calunnia” alla Procura di Trento, sia nei confronti del legale che della parte, non trascurando prima però di trasferire la proprietà dell’immobile, senza preoccuparsi della pendenza di ben sei ricorsi in opposizione alla vendita, rimasti inesaminati, e del conflitto di interessi grande come la casa che ha alienato a valore vile, derivante dalla posizione di persona indagata e a sua volta parte lesa per le ipotesi di pretesa “calunnia” in suo danno.
Ma, anche con la nomina del nuovo giudice, Bruno Casciarri, seppur formalmente più corretto, la musica sembra non cambiare. Le udienze in sospeso finalmente vengono fissate, ma seppure sia stato provata l’irrisorietà del prezzo di aggiudicazione e che la sig.ra Coletti aveva già pagato sino all’ultimo centesimo quanto ancora indebitamente preteso dalla banca, a fronte di un’inesistente acquisto di titoli CTZ, mai richiesti, il Giudice dell’Esecuzione continua a tergiversare, senza provvedere a sospendere l’efficacia del decreto di trasferimento impugnato sin dal novembre dello scorso anno, mentre l’esecuzione di rilascio avviata dall’aggiudicatario prosegue indisturbata.

In tale anomalo contesto la Procura Antimafia di Trieste non ha ancora assunto alcun provvedimento a tutela della querelante sig.ra Coletti, seppure il P.M. di Trento risulti ingiustificatamente inerte, anche alle stesse sollecitazioni del G.I.P. dr. La Ganga, il quale dal 2005 ha ripetutamente e vanamente chiesto suppletive indagini a carico del dr. Donà e di altri magistrati trevigiani. Provvedimento rimasto illegittimamente ineseguito con il pretesto della pendenza di due ricorsi in Cassazione, proposti dal P.M. De Benedetto, avverso le citate richieste di suppletive indagini avanzate dal Gip. A riguardo non si può poi fare a meno di denunciare il comportamento omissivo e ostruzionistico della Procura Generale presso la Corte di Appello di Trento, che nonostante i ricorsi in Cassazione siano stati respinti da oltre due anni ha omesso di avocare le indagini e di esercitare l’azione disciplinare nei confronti del P.M. De Benedetto, che quale rappresentante della Pubblica Accusa non aveva alcun titolo né apparente interesse ad opporsi allo svolgimento delle indagini ritenute opportune dal Gip. Un’evidente inversione dei ruoli e stravolgimento delle funzioni giudiziarie, per cui ci ritroviamo a pagare lo stipendio a dei magistrati che, invece di tutelare i diritti dei più deboli, appaiono più protesi a proteggere ad oltranza gli interessi del potere e di coloro che attentano ai diritti dei cittadini, facendo perdere credibilità all’intero sistema giudiziario e speranza di legalità.
Al danno si è dulcis in fundo aggiunta la beffa, in quanto il P.M. De Benedetto ha richiesto l’archiviazione della querela relativa al caso Coletti, sostenendo falsamente e contrariamente a qualsiasi evidenza documentale trattarsi delle “medesime questioni oggetto del caso Bernardi”, per cui a suo dire sarebbe già intervenuta l’archiviazione. Cosa, invece, non corrispondente al vero, in quanto i due predetti improponibili ricorsi per Cassazione avverso le richieste di suppletive indagini avanzate dal GIP sono stati respinti, senza che in seguito siano mai state svolte le indagini a carico dei magistrati trevigiani e sia mai intervenuto alcun formale provvedimento di archiviazione, come dimostrato dall’attestazione di pendenza rilasciata dalla cancelleria del Tribunale, che è stata allegata alla Procura Antimafia di Trieste dalla quale da vari anni si attende giustizia e provvedimenti idonei a ripristinare la legalità presso il Tribunale di Treviso.
Senza contare che il Presidente della nostra Associazione, nelle more, è stato rinviato a giudizio dalla Procura di Treviso, a tempi di “giustizia scandinava”, per il preteso reato di diffamazione a mezzo internet, in qualità di responsabile del sito di Avvocati senza Frontiere, in cui si denunciano i casi Bernardi, Coletti e altri.
Eppure c’è ancora chi pensa che la mafia e la collusione dei giudici siano un fenomeno tipicamente delle regioni del Sud Italia e che la mafia giudiziaria non esista o non costituisca una priorità a cui la società civile deve porre urgentemente rimedio. N.B.: Il prossimo 14.5.08 alle ore 8.30, in pendenza di otto opposizioni ad ogni singolo atto esecutivo,  avrà luogo l’illecito spoglio paralegale dell’immobile, in assenza di qualsiasi provvedimento del G.E. di Treviso, dr. Casciarri e della DDA di Trieste.

Tratto da: “Viaggio nei tribunali più corrotti d’Italia”

Per saperne di più scarica la denuncia alla Procura di Trieste.

http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=142

 

RIAPRIAMO IL CASO DI DONATO BERGAMINI

Il 18 novembre del 1989 il centrocampista del Cosenza Donato Bergamini, 29 anni, morì a Roseto Capo Spulico, nella zona dell’ alto Jonio cosentino, investito da un autotreno lungo la statale 106 jonica. Il conducente del mezzo, Raffaele Pisano, 53 anni, imputato di omicidio colposo, fu assolto dal pretore di Trebisacce «per non avere commesso il fatto».
La sentenza venne confermata dalla Corte d’ appello di Catanzaro. La tesi dei giudici, sia in primo grado che in appello, fu che Bergamini si fosse suicidato. E sui motivi per i quali il giocatore del Cosenza si sarebbe tolto la vita erano state avanzate varie ipotesi. Era terrorizzato. Ma da chi o da che cosa? Donato Bergamini, eclettico centrocampista del Cosenza, il suo segreto se l’è portato nella tomba. Che motivo aveva un giovane di 27 anni, con un contratto che gli consentiva di guadagnare quasi 200 milioni all’anno, per decidere dapprima di eclissarsi, partire, emigrare, in ogni caso di lasciare Cosenza e il calcio, e poi scegliere di morire davanti agli occhi della fidanzata?
Si parla di droga. Si intravedono i contorni ancora oscuri di un giro pericoloso in cui il calciatore, che era originario di Boccaleone, nel Ferrarese, ma che era alla sua quinta stagione con la maglia rossoblù del Cosenza, sarebbe stato coinvolto. E quindi travolto.
Era notorio infatti che il giovane calciatore viaggiasse con una Maserati biturbo munita di radiotelefono che sarebbe appartenuto a un pregiudicato cosentino col quale Bergamini si accompagnava spesso. E’ notorio ancora che alcuni calciatori del Cosenza si erano fatti vedere in giro con persone che hanno a che fare con la giustizia. Ma tutto questo può servire per dare una spiegazione al tragico gesto? Forse no.
Ma c’è dell’altro. Per l’allenatore del Cosenza dell’epoca, Gigi Simoni, Donato Bergamini nell’ultimo periodo appariva triste e cupo, più del solito. Era un ragazzo spigliato, onesto ma anche introverso, ricordava padre Fedele Bisceglie, cappuccino, capo degli ultras cosentini e assistente spirituale della squadra del Cosenza, allora militante in serie B.
Ci sarebbero stati ancora altri segnali che qualcosa di recente era accaduto a turbare drammaticamente l’equilibrio psicofisico del giovane calciatore. Potrebbe essere stato un episodio avvenuto, a quanto pare, il giovedì precedente in un ristorante dell’hinterland: Bergamini sarebbe stato prelevato da tre brutti ceffi e portato via. Dove e perché? Potrebbe essere stato quello che ha convinto il giovane calciatore che per lui era meglio cambiare aria.
Sabato pomeriggio Bergamini lascia improvvisamente il ritiro della squadra. Vado a prendere le sigarette, ha detto agli amici, tra cui Michele Padovano, il compagno di squadra con cui divideva un appartamento a Roges di Rende, alla periferia di Cosenza. Poco più di un’ora dopo alla società è arrivata la notizia della tragedia. Il calciatore, infatti, aveva lasciato la città con la fidanzata, Isabella Internò, ventenne studentessa di Rende.
La ragazza è l’unica testimone e afferma, pur tra parecchie contraddizzioni, che Donato si è lanciato volontariamente sotto le ruote del pesante autotreno. La testimonianza combacia con quella di Raffaele Pisano, 38 anni, di Rosarno, che si trovava alla guida del pesante mezzo che si è trovato il giovane davanti con apparente chiaro intento suicida. Bergamini, secondo quanto afferma la ragazza, dapprima voleva solo mettere molti e molti chilometri di distanza tra lui e Cosenza. Non c’erano dubbi che avesse paura.
Aveva pregato la ragazza di accompagnarlo fino a Taranto per imbarcarsi per la Grecia (da notare che da Taranto, però, non partono navi per la Grecia), le aveva chiesto di seguirlo. La ragazza non voleva andare con lui, non voleva neppure arrivare fino a Taranto per riportarsi a Cosenza la Maserati. Devi capire, mi diceva mentre eravamo in macchina, racconta Isabella, se mi vuoi bene devi fare quello che ti dico, altrimenti te ne accorgerai. Poi si è fermato in una piazzola, è sceso dall’auto, si è buttato sotto l’autotreno.
Per ultimo c’è una telefonata giunta in casa Bergamini, a Boccaleone d’Argenta, cinque giorni prima di quella tragica sera di Roseto Capo Spulico. Bergamini aveva raggiunto Ferrara dopo il pareggio a Monza del Cosenza. La solita sosta del lunedì prima della ripresa degli allenamenti. Ricevette una telefonata, si alzò dal tavolo da pranzo e ritornò visibilmente scosso.
Chi era all’altra parte del telefono? Chi parlò con Bergamini quel giorno?
Troppe domande per un caso mai definitivamente chiuso che ci auguriamo venga presto presto riaperto dalla magistratura per fare luce sulle cause della morte di Donato. “Storie di calcio” http://www.storiedicalcio.altervista.org/donato_bergamini.html

Che non sia stato un suicidio sono in molti a crederlo 

Si comprese subito, e adesso la procura di Castrovillari potrebbe riaprire l’inchiesta che il Tribunale chiuse frettolosamente 17 anni fa sentenziando: fu morte cercata. Donato Bergamini, biondo centrocampista del Cosenza, ferrarese di Boccaleone estroso in campo e fuori, non aveva una frattura sul corpo. Una. Nonostante 64 metri di trascinamento sotto un camion. Sì, la versione ufficiale racconta che Bergamini il 18 novembre 1989 si è gettato sotto un autocarro. In queste settimane, grazie al testardo lavoro di alcuni giornalisti calabresi, sono diventate pubbliche le prime testimonianze dei vecchi compagni di club. Prima si è deciso a parlare l’ala destra Sergio Galeazzi, poi un calciatore riconoscibile come Michele Padovano. Hanno raccontato le ultime ore di Donato Bergamini, le telefonate ricevute in camera d’albergo, le due persone che lo fecero alzare dalla poltrona del Cinema Garden di Cosenza. “Se mi arriveranno nuovi atti e nuove testimonianze riaprirò l’inchiesta”, dice ora il pm Franco Giacomantonio, procura di Castrovillari, competente per territorio.
Attorno al ricordo si sta coagulando un nucleo di parenti, avvocati, giornalisti, ex compagni, ora anche politici. E spinge per una nuova verità. Il suicidio di Donato Bergamini – il calciatore che la sera del 18 novembre 1989, secondo il verbale dei carabinieri di Cosenza, si lanciò tra le ruote di un camion sulla statale 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico – non regge più.
Domizio Bergamini, padre di Donato, lo ha detto apertamente al “Il Quotidiano della Calabria”: “Mio figlio non si è suicidato, me lo hanno ucciso. Queste cose succedono solo in Calabria o quando ci sono di mezzo calabresi. L’hanno ucciso, bastava guardare il corpo dopo il decesso”. Sulla morte del calciatore biondo, che fu titolare nel Cosenza di Di Marzio, che contribuì alla risalita della squadra in serie B dopo 24 anni e fu richiesto invano dal Parma, ha scritto un libro Carlo Petrini, l’ex calciatore convertito al giornalismo investigativo: “Il calciatore suicidato”, il titolo. In quelle pagine ci sono tutte le contraddizioni dell’inchiesta, ma Petrini si allunga verso scenari criminali che portano troppo lontano. Il padre di Donato, invece, crede a una storia di passioni ferite e chiede un aiuto alla fidanzata del calciatore, unica testimone oculare ufficiale della morte di Bergamini insieme al camionista. “Una volta mi telefonò e mi disse che Donato le aveva promesso in eredità una Maserati. Le ho risposto che di macchine gliene avrei regalate due se mi avesse detto com’era morto mio figlio”. Gianni Di Marzio, che lo conosceva bene, oggi racconta: “Sembrano strane tutte queste storie della fuga in Grecia, del traghetto, di questo ragazzo che si è buttato sotto l’autocarro”. Altre novità le ha portate l’ex compagno Sergio Galeazzi, affidandole a un’intervista al settimanale “Cosenza Sport”. Ha raccontato come quelli del Cosenza calcio, in quei tardi anni ’80, avessero l’abitudine di trascorrere il sabato pomeriggio delle partite da disputare in casa al Cinema Garden, in centro. “Eravamo in galleria, Donato stava da solo, due file più avanti. Quando si è spenta la luce ed è iniziata la pubblicità ho visto Donato alzarsi. Ero seduto vicino all’ingresso, proprio all’inizio della fila di poltroncine, e ho fatto in tempo a seguirlo con lo sguardo. L’ho fatto istintivamente, come quando ti accorgi che sta accadendo qualcosa. Ho visto con sufficiente chiarezza che lo attendevano due persone. Ho visto solo le loro sagome, non so dire se fossero due uomini, un uomo e una donna. Non so se sono andati via insieme, ma di certo Donato non è più rientrato. Sono stato l’unico calciatore del Cosenza a non essere interrogato da magistrati e carabinieri. Con il passare del tempo ho capito che non c’era alcun interesse a riaprire il caso”.
Nel ventennale della sua morte, lo scorso18 novembre appunto, “Chi l’ha visto?” è sceso con le telecamere in Calabria e ha mostrato tutto quello che del caso Bergamini non tornava. Le scarpe riconsegnate alla famiglia erano perfettamente pulite, nonostante il presunto trascinamento del cadavere sotto il camion. L’orologio era intatto. La sorella Donata ha parlato, poi, di un’importante testimonianza sparita dal fascicolo. Ha segnalato come il telefono della famiglia Bergamini non sia mai stato messo sotto controllo. E ha ricordato le telefonate di minaccia ricevute, i vestiti spariti in ospedale e – addirittura – la morte di due impiegati del Cosenza calcio che avevano promesso alla famiglia nuovi particolari. “Il quadro lesivo”, ha dichiarato il medico che eseguì l’autopsia, “non era quello da trascinamento”.
La troupe di “Chi l’ha visto?” in quei giorni ha ricevuto l’ennesimo rifiuto a parlare da parte dell’ex fidanzata di Donato, sia direttamente dalla donna che dal marito, un poliziotto della Digos che nell’autunno dell’89 partecipò ai funerali del calciatore. Oggi il miglior amico di Bergamini, Michele Padovano – lui sarebbe diventato centravanti della Juventus, del Genoa, del Crystal Palace – , ha voluto rivelare come i vestiti che il calciatore aveva indosso al momento della morte non siano mai stati repertati dai carabinieri. “Dopo la celebrazione dei funerali li ho visti sul pullman, dentro una busta. I miei compagni se li passavano, ognuno voleva possedere qualcosa di Donato”.
Padovano ha un altro ricordo, preciso, sul 18 novembre 1989. Prima del cinema. Era con l’amico nella stanza d’albergo, il Motel Agip di Cosenza. “Dopo pranzo, riposavamo. La sveglia era fissata per le quattro del pomeriggio, lo spettacolo iniziava alle quattro e mezza. Intorno alle tre Donato ricevette una telefonata in camera. Non ci feci caso, ma lui cambiò espressione. Sembrava volesse parlarmene, non disse niente: diventò assente. Di solito andavamo al cinema con un’auto, quel giorno mi disse che avrebbe preso la sua. Voleva stare da solo. Accese il motore ed è stata l’ultima volta che l’ho visto”.
Sulla morte di Donato Bergamini è già partita un’interrogazione parlamentare, firmata, tra gli altri, dal ferrarese Dario Franceschini. Il prossimo 27 dicembre a Cosenza si svolgerà una manifestazione per chiedere la riapertura del caso.
Corrado Zunino (17 dicembre 2009)

La Scheda: Donato Bergamini (Boccaleone, 18 settembre 1962 – Roseto Capo Spulico, 18 novembre 1989)
Ha iniziato la sua carriera calcistica nella stagione 1982-83 indossando la maglia dell’Imola in Interregionale. L’anno successivo gioca nel Russi (sempre in Interregionale) dove vi resta per 2 stagioni.
Nel 1985 viene acquistato dal Cosenza che milita in Serie C1, club con il quale giocherà per 5 stagioni.
Al primo campionato in maglia rossoblù disputa 24 presenze senza alcuna rete. L’anno successivo gioca 28 partite realizzando 2 gol (contro Sorrento e Benevento). Nel 1987-1988 il Cosenza vince il campionato di Serie C1 e torna in B dopo 24 anni di assenza. Bergamini è titolare nella formazione di Gianni Di Marzio giocando 32 partite su 34. L’11 settembre del 1988 arriva l’esordio in Serie B (Cosenza-Genoa 0-0). In quella stagione, forse la più bella nella storia del Cosenza, realizza anche il suo primo ed unico gol nella partita Cosenza-Licata (2-0).
A causa di un infortunio riesce a giocare solo 16 partite. Malgrado ciò a fine stagione Bergamini ha diverse richieste sul mercato. Il Parma fa di tutto per ingaggiarlo, ma il Cosenza che vuole disputare un campionato di vertice, lo dichiara incedibile confermandolo per un’altra stagione, l’ultima della sua carriera.
Infatti, il 18 novembre 1989 viene trovato morto sulla statale 106 nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza.

AMMAZZATECI TUTTI!

di Rosanna Scopelliti

Mi chiamo Rosanna, ho 23 anni e sono la figlia di un giudice di Cassazione calabrese ucciso poco prima di Falcone e Borsellino. Ma non è per parlare di me che vi scrivo.
E’ trascorso più di un anno dalle grandi manifestazioni di Locri scaturite dalla rabbia per l’omicidio del Vice Presidente del Consiglio Regionale Francesco Fortugno, ciliegina sulla torta dopo decine di delitti impuniti perpetrati nella Locride ed in tutta la Calabria.
Dopo un anno e mezzo in Calabria si continua a morire, a pagare la mazzetta, a sopravvivere soggiogati dalla ‘ndrangheta.
Dopo un anno e mezzo noi ragazzi siamo ancora qui a combattere per contrastare ogni forma di mafia, da quella di strada a quella dei Palazzi, e riprenderci la nostra terra.
Molto spesso ci si sente immuni al problema ‘ndrangheta, finché non ci troviamo a doverne affrontare la prepotenza. Ce ne accorgiamo al momento di aprire un’attività, quando ‘qualcuno’ bussa alla tua porta chiedendo un ‘contributo’ per lasciarti lavorare, poi il ‘contributo’ diventerà un quarto, metà, tre quarti del guadagno dell’attività e sarai costretto o a scendere a compromessi o a chiudere ed andare via.
Tutto normale, preventivato, anche se completamente assurdo. Tutto consumato in silenzio.
Come quando ammazzano qualcuno a te caro e sai chi è stato, ma quel nome è troppo pesante da dire, così come diventa troppo rischioso chiedere che sia fatta giustizia, perché certi nomi sono impronunciabili.
E allora si ingoiano bocconi amari e si continua la solita vita.
Oppure può succedere che un giorno un ragazzo si senta umiliare dai compagni perché non ha la maglia firmata e non l’avrà mai perché in famiglia si fanno i salti mortali per arrivare a fine mese e allora, per dare una mano, per sentirsi qualcuno e farsi rispettare eccolo rivolgersi al ‘capetto’ di turno, eccolo ipotecare la sua vita, vendere la sua dignità per diventare ‘qualcuno’.
Che importa se poi rischia di finire in carcere per spaccio o per aver ucciso un uomo?
Che importa se avrà buttato nel fango la sua coscienza?
Perché, sia chiaro, alla fine chi ci rimette è la povera gente, non ‘lorsignori’.
No, quelli guardano dall’alto delle loro ville al Nord, sicuri ed al calduccio! C’è chi paga per loro.
In Calabria è rimasta solo la spietata manovalanza, quella che si occupa di tenere sotto controllo il territorio e soggiogare, sostituendosi allo Stato, i calabresi.
E’ quella a cui ci si rivolge per comprare i propri diritti, quella che alimentiamo con l’ignoranza e la paura…
Ed è proprio questo il senso che noi ragazzi del Movimento “Ammazzateci tutti” abbiamo dato alla manifestazione da noi promossa del 17 febbraio scorso a Reggio Calabria.
Noi vogliamo mettere in pratica le parole del Giudice Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.
Perché se continueremo a rivolgerci al ‘capobastone’ per ottenere i nostri diritti, se lasceremo che la ‘ndrangheta continui ad interferire nelle nostre vite con arroganza e prepotenza, se ci faremo ingannare dai suoi diabolici sorrisi, non riusciremo mai a liberarci dal suo giogo…
E’ la prima manifestazione auto-convocata che organizziamo a Reggio Calabria, la prima completamente auto-finanziata, anche se non nascondo che vorremmo fare appello a tutti i calabresi, commercianti, imprenditori, mamme e papà, perché ci aiutino anche economicamente nell’organizzazione della manifestazione, vorremmo infatti chiedere una sorta di ‘pizzo legalizzato‘, ovvero un contributo economico con tanto di certificato di acquisizione da parte loro di una ‘azione antimafia’ dal nostro virtuale pacchetto azionario.
Le mafie non sono un problema solo del Sud, ma sono il cancro dell’Italia intera e, finché si continuerà a fare il loro gioco ignorando e girandosi dall’altra parte, non potremo mai estirpare questa malattia. Per questo il nostro appello non vuole fermarsi solo ai calabresi, ma vuole essere un richiamo per TUTTI gli italiani onesti, perché c’è sempre, in ogni regione,
qualcosa che prende il nome di ‘mafiosità di comportamento’.
E’ il pensare di poter essere diversi rispetto agli altri, il pretendere di poter comprare e vendere dei diritti, il curarsi esclusivamente del proprio bene anche a scapito degli altri.
Un mio, seppur virtuale, abbraccio.
Rosanna Scopelliti
(figlia del giudice Antonino, ucciso da Cosa Nostra a Campo Calabro (RC) il 9 agosto 1991)

Fonte: Movimento “E ADESSO AMMAZZATECI TUTTI”
Giovani uniti contro tutte le mafie
www.ammazzatecitutti.org  –  http://17febbraio.ammazzatecitutti.org

TRENTO LA PROCURA CHE INSABBIA

DA MILANO A BRESCIA GIUSTIZIA ALLA ROVESCIA! DA BRESCIA A TRENTO SOLO UNA PAROLA AL VENTO. Ovvero, tre parallele storie di usura ed estorsione legalizzate dalla magistratura.

Fonte:  http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=49

In questa rubrica ospiteremo tutte quelle cronache giudiziarie di ordinaria ingiustizia che, per quanto eclatanti, difficilmente potrete leggere sui media di qualsiasi tendenza politica, in quanto talmente scomode agli interessi di ogni schieramento da essere sistematicamente censurate, nel timore che i lettori, i quali al tempo stesso sono elettori, comprendano come stiano effettivamente le cose e che nessun partito ha veramente a cuore la giustizia – né di affermare in concreto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Si tratta di storie che rivelano l’esistenza di un vasto sistema di malaffare, profondamente  radicato nel tessuto istituzionale, gestito direttamente dagli apparati dei partiti, e congenito al funzionamento stesso delle istituzioni e dell’economia di mercato, in grado di produrre un vertiginoso flusso di finanziamenti illeciti, clientelismo, voto di scambio e garanzie di impunità, dove gli interessi della politica, dell’imprenditoria, dell’informazione, della mafia, della criminalità organizzata, della giustizia e, financo, delle chiese e delle organizzazioni  antimafia, si fondono con gli interessi dei cosiddetti “poteri forti economico-finanziari globali“, dietro cui notoriamente si cela la lunga manus della massoneria internazionale che, almeno dai tempi di Benjamin Franklin (affiliato alla massoneria tra i padri fondatori degli Stati Uniti d’America) e di Garibaldi, controlla gli scenari internazionali e le sorti del mondo.      
Il “principio di intangibilità” degli affiliati alle varie consorterie affaristico-giudiziarie si contrappone quindi a quello di “uguaglianza di fronte alla legge“, per cui accade, come ora Vi raccontiamo, che da “Milano a Brescia la Giustizia funzioni alla rovescia” e che anche spostandosi di latitudine verso i più rigidi climi del nord le cose non cambino affatto.

I rappresentanti dei poteri forti e delle logge massomafiose che controllano il territorio, fanno da padroni nelle aule di giustizia e riescono quasi sempre a farla franca o, a venirne fuori con il minimo scotto, spesso con il compiacente avvallo degli organi di controllo della magistratura e dei Palazzi romani, tra cui lo stesso C.S.M., come invano denunciavano già negli anni novanta alcuni tra i migliori magistrati antimafia, come Salvo Boemi, Roberto Pennisi, Agostino Cordova, Alberto Di Pisa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri, minacciati di morte, messi a tacere e delegittimati dagli stessi rappresentanti di quei poteri occulti che avevano inascoltatamente denunciato … ________________________________________

L’INCREDIBILE STORIA DI UN CANCELLIERE DIRIGENTE DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO, DAPPRIMA VITTIMA DEGLI USURAI, EPPOI DEI GIUDICI.

Francesco Santomanco, ex Cancelliere Dirigente della Corte d’Appello di Milano, dopo 35 anni di onesto servizio, prima di venire illegittimamente spogliato della propria abitazione, denuncia di essere stato costretto a sottoscrivere da un gruppo di strozzini con aderenze nella locale magistratura, cambiali ipotecarie e titoli per oltre 1,2 miliardi delle vecchie lire, a fronte di un prestito di appena 60 milioni di lire e sottoposto all’ingiusto pignoramento di due immobili, tra cui appunto la casa ereditata dai genitori.
Gli immobili, situati nel centro storico, a due passi dalla Prefettura, con un valore di almeno € 6000 al metro quadrato, vengono valutati dal Tribunale di Milano a quotazioni da vera e propria ricettazione (€ 1500 al mq.) e alienati in aste deserte a società immobiliari.   
La denuncia per usura e frode processuale finalizzata all’estorsione viene archiviata senza svolgere alcuna indagine, da parte del P.M. Spataro e dal G.I.P. Varanelli, sostenendo contrariamente alle evidenze documentali e probatorie offerte che “non sarebbero state allegate le prove” dei reati denunciati.
Analoga totale assenza di tutela si registra anche da parte della Prefettura di Milano, che seppure, inizialmente, orientata ad accogliere l’istanza ai sensi delle Leggi Antiusura  nn. 108/96 e 44/99, dopo avere acquisito il parere negativo del Presidente del Tribunale, nega l’accesso al fondo previsto per le vittime dell’usura e financo la proroga di gg. 300 della sospensione dell’esecuzione di rilascio dell’abitazione.

Lo stesso avviene in sede civile coi molteplici ricorsi in opposizione alla vendita e al rilascio degli immobili, in cui si chiede la sospensione dell’esecuzione. Nonostante i ripetuti solleciti, ben 12 ricorsi di urgenza rimangono tutti pressoché inesaminati, sino all’accesso della forza pubblica, eppoi iniquamente respinti con la sconcertante motivazione che l’esecuzione di rilascio sarebbe stata “ormai in corso” e che la vendita seppure dapprima provvisoriamente sospesa, sarebbe “indenne da censure“. Ciò, giungendo a negare qualsiasi accertamento istruttorio sul valore effettivo degli immobili e sulla sussistenza di illegittime interferenze e interessi estorsivi che hanno inficiato di nullità l’intero processo esecutivo.
A seguito della pubblicazione del caso sul sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia in Lombardia), la Presidente della terza Sezione Esecuzioni immobiliari del Tribunale di Milano, dr.ssa Gabriella D’Orsi e altri giudici civili incaricati dei procedimenti, sporgono denuncia per “calunnia” sia nei confronti del Presidente dell’Associazione, responsabile del sito, sia nei confronti dell’ex Cancelliere Francesco Santomanco, che li aveva denunciati alla Procura di Brescia e al C.S.M., unitamente ai giudici penali e alla Prefettura di Milano, ipotizzando a loro carico i reati di falso ideologico, abuso continuato, omissione e interesse privato in atti di ufficio. 
Con quale risultato? I giudici sono ancora tutti lì; mentre l’ex Cancelliere anziano e malato, dopo essere stato brutalmente legato con le cinghie alla barella, perché non voleva uscire dalla sua casa, finisce al Dormitorio Pubblico di Via Ortles. E, senza che nessuno dei giudici che avevano ritenuto denunciarlo per “calunnia” provvedesse ad astenersi da ogni giudizio che lo riguardava, come obbligatoriamente previsto per legge, l’usurato viene anche condannato al pagamento di pesanti spese processuali per alcune diecine di migliaia di euro in ogni processo.
Lo sconcertante epilogo del caso è che a Milano chi denuncia di essere vittima dell’usura e della “compagnia della morte” che, notoriamente, controlla le vendite giudiziarie, viene lasciato solo, con il beneplacito di tutti gli organi della magistratura e delle istituzioni a cui Francesco Santomanco si era fiduciosamente rivolto.

Anche alla Procura di Brescia le cose non procedono diversamente.
Le varie denunce a carico dei magistrati di Milano o, non vanno avanti (in altre parole vengono affossate) o, vengono archiviate, sempre senza svolgere alcuna indagine né tanto meno informare, come suo diritto, la parte offesa che ne ha fatto richiesta ai sensi dell’art. 410 c.p.p., così da impedirgli di proporre opposizione alla richiesta del P.M. di archiviazione.

Il vento sembra non cambiare neppure alla Procura di Trento, tutt’oggi inerte, dove l’inchiesta si trasferisce per competenza territoriale, ex art. 11 c.p.p., a seguito della ulteriore denuncia dell’ex Cancelliere degli abusi commessi nei suoi confronti, da parte di magistrati della Procura di Brescia. E qui si intrecciano le altre due parallele storie di usura ed estorsione legalizzate di altre malcapitate vittime di “errori giudiziari”, commessi da magistrati di Treviso, di cui Vi parliamo in questo primo numero del giornale on line.

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FALLIMENTOPOLI E CRIMINALITA’ GIUDIZIARIA NEL TRIVENETO.  92enne affetta da Alzhaimer spogliata della casa e gettata in mezzo alla strada.

La seconda storia, di cui abbiamo già parlato ne “la Voce di Robin Hood” (Ottobre 2002), scaricabile dal sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia nel Veneto) è quella di una inerme vecchietta di 92 anni, Moino Ermina, affetta dal morbo di Alzhaimer, pure sommariamente estromessa dalla sua abitazione, insieme alla figlia, Nellida Bernardi, a seguito della solita vendita giudiziaria pilotata, per favorire una profittevole speculazione edilizia sull’importante area, ove si ergeva la sua modesta casa, sita nel centro storico della ricca e laboriosa Castelfranco Veneto.
Esecuzione che viene autorizzata dal Giudice dr. Umberto Donà del Tribunale di Treviso, seppure il ricavato della vendita dei beni societari (3,6 miliardi di lire) sia ampiamente in grado di coprire la pretesa vantata dalla Cassa di Risparmio di Venezia (Carive), di circa 2,0 miliardi di lire (somma che risultava peraltro gravata da pesanti tassi usurari).
Nasce così il caso Moino-Bernardi, le quali denunciano la Carive per avere artatamente provocato, dapprima il fallimento dell’azienda della famiglia Bernardi, eppoi  la vendita alla asta dell’abitazione privata, su cui gravava un diritto di abitazione a vita dell’anziana Moino.
Le due anziane denunciano, altresì, il Giudice Donà per avere autorizzato, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge e senza alcuna obbiettiva necessità, la vendita dell’usufrutto a vita, del valore di pochi milioni di lire, a fronte di una vessatoria fidejussione rilasciata dalla sig.ra Moino, in favore della figlia per l’erogazione di un mutuo ipotecario per l’originaria somma di appena lire 600.000.000.
Il motivo? L’area fabbricabile ove sorgeva la loro modesta abitazione era stata inserita nel piano regolatore del Comune di Castelfranco Veneto e ciò aveva scatenato gli appetiti di un costruttore  locale, il quale non esitava ad acquistare nella solita asta deserta e a prezzo vile l’immobile, nonostante le opposizioni e le plurime denunce dei legali delle vecchiette, che venivano sommariamente estromesse dalla forza pubblica, senza che, anche in questo caso, intervenisse la locale Prefettura, alla quale si erano ripetutamente rivolte. Nel frattempo la povera Sig.ra Moino è passata a miglior vita e la figlia continua a sopravvivere dal 1997 con un assegno alimentare mensile di € 250, erogatogli dal ricavato della vendita dei suoi beni immobili, ciò mentre il locale Tribunale fallimentare rifiuta del tutto illegittimamente di restituirgli la differenza residua di circa € 500.000, seppure sia già stato approvato da alcuni anni il piano di riparto.

Ma non è tutto. Nonostante la Sig.ra Bernardi abbia proposto querela nei confronti degli istituti bancari e della Basso Immobiliare s.r.l., nonché dei giudici del Tribunale di Treviso e vi siano ben quattro procedimenti pendenti presso la Procura di Trento (nn. 1047/99, 1629/99, 2039/99, 12939/01), per frode processuale, abuso continuato e interesse privato in atti d’ufficio, falso ideologico e favoreggiamento, nessuna attività investigativa è stata svolta a carico del dr. Donà e i fascicoli giacciono mestamente negli Uffici della Procura. Omessa attività di indagine che ha recentemente costretto la Sig.ra Bernardi a proporre istanza di avocazione delle indagini al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trento, il quale al momento è rimasto del tutto inerte…

Dulcis in fundo, la Basso Immobiliare s.r.l., sentendosi diffamata dalla pubblicazione del caso sul sito di “Avvocati senza Frontiere”, spalleggiata dalla Procura di Treviso, ha pensato bene di presentare querela per pretesa “diffamazione a mezzo internet“, il cui procedimento a carico del responsabile dell’Associazione, Dott. Pietro Palau Giovannetti, in questo caso si celebrerà in tempi sorprendentemente brevi, il 13 giugno 2007. Ovviamente, la difesa non mancherà di fare rilevare l’adozione di due pesi e due misure nella gestione della vicenda e di battersi per affermare i principi di verità e giustizia (organo giudicante permettendo…) che sono alla base dell’impegno sociale di Avvocati senza Frontiere. Sul punto si osserva che la querela per diffamazione a mezzo stampa, unitamente a quella per calunnia, è ormai diventata un autentico sport nazionale nelle mani della magistratura di regime, collusa coi poteri forti, come risultante da una ricerca dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, ove è emerso che tra le categorie professionali maggiormente coinvolte nei procedimenti di diffamazione a mezzo mass-media spicca al primo posto, guardacaso, proprio quella degli stessi magistrati con ben il 44% dei casi, seguiti dai privati (11%) e dalle persone giuridiche (11%) [S. Peron e E. Galbiati, “I Dossier di Tabloid, Relazione sulle sentenze emesse dalla Corte d’Appello civile di Milano nel biennio 2001-2002. Diffamazione a mezzo stampa”, in Supplemento Tabloid n. 6/2004). Con ciò ledendo il principio fondamentale della libertà di parola e di manifestazione del pensiero, espressi in modo del tutto chiaro nell’art. 21 della Costituzione, ovvero il diritto di critica. In proposito, occorre evidenziare che i concetti espressi in sede giurisprudenziale, circa  l’interesse per l’opinione pubblica alla divulgazione dei fatti: cioè la correttezza delle modalità di esposizione, la corrispondenza fra i fatti accaduti e i fatti narrati, come cause di giustificazione, rispetto al delitto di pretesa diffamazione, sono in evidente contrasto con l’antiquata ed autoritaria formula dell’art. 596 c.p., purtroppo ancora vigente, per cui l’imputato non è ammesso a provare a sua discolpa la verità o la notorietà del fatto (ex multis Cass. Pen. Sez. Unite 16 ottobre 2001 n. 37140). Nella specie, si pongono poi ulteriori problemi interpretativi circa la perseguibilità della querela, evidentemente proposta ed utilizzata a scopo meramente intimidatorio, in quanto secondo numerose pronunce dei giudici del merito (Tribunale di Teramo, Gip di Oristano …) si nega che si possa parlare di diffamazione a mezzo stampa, laddove lo strumento utilizzato sia la comunicazione telematica. Ciò in quanto nessun sito può essere raggiunto casualmente in assenza di una specifica conoscenza o di una precisa interrogazione ad un motore di ricerca; cosa che nel linguaggio giuridichese si traduce nel divieto di applicazione del principio analogico che non è previsto nel nostro sistema penale. In attesa di una definitiva più chiara pronuncia della Suprema Corte si resta nel frattempo nel dubbio.
Dubbi che invece non sussistono, circa la ricostruzione dei fatti di cui Nellida Bernardi e sua la sua anziana madre sono rimaste vittima, nonché circa le precise responsabilità ascritte alla Basso s.r.l., alla Carive e ai magistrati che sinora ne hanno coperto i delitti rimasti impuniti. _______________________________________

GOLF, BANCHE, GIUDICI E AFFARI

La terza parallela storia che chiude il cerchio del malaffare affaristico-giudiziario trevigiano e di questa prima serie di racconti, affermando il principio che <l’ingiustizia è uguale per tutti i poveracci> a qualsiasi latitudine del Paese, da Milano a Brescia e da Brescia a Trento, è quella di Coletti Maria, altra vittima della speculazione edilizia e dell’usura bancaria, che rischia nei prossimi mesi di vedersi illecitamente espropriare con il beneplacito della magistratura, della sua abitazione e di un circostante terreno di notevole prestigio, ad istanza della Banca di Credito Cooperativo Alta Marca, già da tempo nel mirino della Banca d’Italia e di indagini penali.
Il motivo? La sua modesta abitazione ha il torto di affacciarsi sui campi dell’Asolo Golf Club e di fare gola ai soliti speculatori immobiliari che intendono demolire tutto e costruire villette a schiera e strutture per nababbi.
Per la solita commistione di oscuri interessi tra giustizia e affari, seppure sia stato provato che la malcapitata vittima di turno abbia pagato sino all’ultimo centesimo quanto ancora indebitamente preteso dalla banca, a fronte di un’inesistente acquisto di titoli CTZ, mai richiesti dalla sig.ra Coletti, il solito Giudice dell’Esecuzione di Treviso Umberto Donà – lo stesso già indagato per il caso Bernardi – anche in questa circostanza si è rifiutato illegittimamente di sospendere la vendita e, prima di mandare la casa all’asta, di disporre una Perizia contabile per accertare l’effettiva situazione di dare/avere tra le parti, ovvero se il preteso acquisto di titoli CTZ non sia frutto di una truffa intentata dalla Banca di Credito Cooperativo Alta Marca.

Tutto ciò è stato da tempo vanamente denunciato alla Procura di Trento e al Presidente del Tribunale di Treviso, i quali sono rimasti del tutto inerti, come nel caso Bernardi, giungendo a respingere anche la richiesta di gratuito patrocinio e la stessa richiesta di ricusazione del dr. Donà, pur sussistendo un evidente insanabile conflitto di interessi tra la sua posizione di indagato e quella di Giudice dell’Esecuzione, cosa che non gli ha impedito di disporre la vendita all’asta per il 7.11.2007, infischiandosene anche delle opposizioni proposte dai difensori ai sensi degli artt. 569 c. 4, 615 e 617 c.p.c., per cui avrebbe avuto l’obbligo di disporre la sospensione automatica della vendita.
A quadrare gli ambigui fini della giustizia vi è il fatto che la Procura di Trento, in persona del P.M. De Benedetto, risulta ingiustificatamente inerte, anche alle stesse sollecitazioni del G.I.P. dr. La Ganga, il quale ha ripetutamente e vanamente chiesto indagini a carico del dr. Donà e di altri magistrati trevigiani. Provvedimento rimasto da quattro anni illegittimamente ineseguito con il pretesto che il P.M. avrebbe proposto due ricorsi in Cassazione avverso le richieste di indagini avanzate dal Gip. Cosa che non può che lasciare sgomenti, in quanto il P.M., quale rappresentante della Pubblica Accusa, non dovrebbe avere alcun titolo né apparente interesse ad opporsi a svolgere le suppletive indagini ritenute opportune dal Gip, prendendo in sostanza le difese dei giudici che sarebbe stato suo ineludibile dovere indagare, senza ritardo, assolvendo alle sue alte funzioni istituzionali. Un’evidente inversione dei ruoli e stravolgimento delle funzioni giudiziarie, per cui ci ritroviamo a pagare lo stipendio a dei magistrati che, invece di tutelare i diritti dei più deboli, proteggono gli interessi del potere e di coloro che attentano ai diritti dei cittadini, facendo perdere credibilità all’intero sistema giudiziario e speranza nella Giustizia. 
Nel caso Coletti, al danno si è aggiunta anche la beffa, in quanto il P.M. De Benedetto ha richiesto l’archiviazione, sostenendo contrariamente a qualsiasi evidenza documentale e logica di buona fede, trattarsi delle “medesime questioni oggetto del caso Bernardi“, per cui aveva proposto anni orsono la predetta improponibile impugnazione avverso le richieste di indagini avanzate dal GIP. Ricorsi del cui esito, occorre peraltro evidenziare, nulla si sa e si è mai saputo: cosa che denota come la giustizia anche presso la Suprema Corte di Cassazione sia in balia degli interessi di chi sta dalla parte di quei “poteri forti economico-finanziari globali”, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, che controllano l’economia e le istituzioni.
Un conflitto di interessi, quello del P.M. di Trento, che non può non stupire coloro i quali credono nell’indipendenza della Magistratura e nella supremazia del diritto, tanto più se si considera che a fronte dell’inerzia delle indagini a carico dei giudici sospettati di collusioni, il Presidente della nostra Associazione, è stato, come detto, rinviato a giudizio a tempi di “giustizia scandinava”, per diffamazione a mezzo internet, quale responsabile del sito https://www.avvocatisenzafrontiere.it/ , dove si denunciano i casi Bernardi, Santomanco ed altri.

Tony Red (Avvocato)

ENEL GAS BOLLETTE DA CAPOGIRO

Teramo. E’ comune a molti, in questi giorni, la spiacevole sensazione provata nell’aprire la cassetta delle lettere e trovare diverse fatture di Enel Gas che invitano gli utenti a pagare migliaia di euro per presunti consumi. Non è un caso che i vari punti Enel presenti sul territorio fossero stracolmi di cittadini, giunti per chiedere delucidazioni in merito. Qualcuno ha avvisato anche l’associazione “Robin Hood“, che si è dunque attivata per capire cosa fosse successo (n.d.r.: l’attività di detta associazione per quanto meritevole non è collegata nè allo stato riconosciuta dal Movimento per la Giustizia Robin Hood).   

La vicenda sembra risalire allo scorso agosto, quando l’associazione riscontrò le prime fatturazioni anomale per consumi presunti. La motivazione di “Enel Energia mercato libero Distribuzione Gas” fu la sostituzione del sistema informativo, cosa che bloccava anche eventuali reclami da parte dei consumatori. Il presunto aggiornamento avrebbe, però, procurato un nuovo codice utente. Ed è qui che si riallacciano le ultime bollette pervenute ai teramani. La fattura immediatamente successiva a quella di agosto (con nuovo codice e datata ottobre 2009) parla, infatti, di “prima lettura di attivazione”, cioè la tradizionale lettura che si effettua recandosi a casa dell’utente. Visita, in realtà, mai avvenuta. Le fatture si basano, quindi, su letture presunte, senza lettura di conguaglio e con scadenza ravvicinata.

Il numero elevato di fatture viene spiegato da “Robin Hood” con il fatto che Enel Energia è obbligata dalla legge ad essere in linea con l’emissione di un certo numero di fatture annue. “Siamo davanti al primo fattore sbagliato” commenta in merito Pasquale Di Ferdinando, presidente dell’associazione. “Non capiamo perché, pur avendo avuto a disposizione il periodo tra agosto ed ottobre, abbiano concentrato tutto in pochi giorni, ancor di più se, poi, nel 90% dei casi si tratta di fatture eccedenti anche a letture effettuate dopo aver ricevuto queste comunicazioni”.

Insomma, considerato un consumo medio per famiglia di 5.000 metri cubi al mese, un calcolo veloce sui consumi permette di verificare che la differenza fra le fatture ricevute è maggiore rispetto a quanto cosumato: in parole più semplici, gli utenti pagano più del consumo effettivo.

La circostanza sarà oggetto di una denuncia da parte di “Robin Hood” all’Autorità dell’Energia, che si aggiunge alle già migliaia di reclami pervenuti dai cittadini allo sportello unico Enel. Nel frattempo, l’associazione invita gli utenti a fare comunque istanza scritta di pagamento rateizzato, inviando contestualmente anche la propria lettura effettiva. Le richieste possono essere inviate via fax al numero verde 800 997 736.

Tania Di Simone

Da: www.cityrumors.it

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Per usufruire del servizi offerti in questa sezione riservata a legali, praticanti, periti e consulenti è necessario aver già aderito alla rete di Avvocati Senza Frontiere, tramite l’invio del modulo di adesione, unitamente al curriculum professionale e alla copia del tesserino rilasciato dal proprio Ordine di appartenenza, che possono venire trasmessi anticipatamente, anche a mezzo fax o posta elettronica, se debitamente sottoscritti con firma digitale.
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CONCORSI TRUCCATI: TRA INSABBIAMENTI E ARCHIVIAZIONI LA CREDIBILITA’ DELLA MAGISTRATURA ITALIANA SCENDE SEMPRE PIU’ IN BASSO.

In seguito alle molte richieste e al grande interesse suscitato nei nostri lettori, dalla pubblicazione degli articoli “i veli sui concorsi truccati dei magistrati” www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=140 e sul livello di credibilità sempre più basso della magistratura italiana www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=95  , vogliamo presentare un breve excursus dal 1992 ad oggi dei casi più salienti, per vedere cosa è stato fatto e se realmente qualcosa è cambiato.
Con il primo articolo del 2007 apparso sul tema un nostro anziano avvocato si domandava di quale credibilità potesse ancora godere la magistratura italiana se gli stessi concorsi per entrare a farne parte continuavano ad apparire poco trasparenti, come denunciato nei decenni precedenti da molteplici candidati, senza che si sia mai fatta piena luce sui diversi episodi di brogli e corruzione emersi in ogni parte d’Italia.
Correva l’anno 1992, quando trapelò per la prima volta che anche i concorsi per magistrati venivano truccati col beneplacito del Ministero di Giustizia e degli apparati di vigilanza: “Verbali sottoscritti da gente che non c’era, fascicoli spariti, elaborati giudicati “idonei” quando non lo erano affatto“. Passarono poi ben 13 lunghi anni prima di venire a sapere tramite un articolo di denuncia del Corriere della Sera, pubblicato nel 2005, che i gravi fatti del 1992 non avevano ancora trovato alcuna soluzione nelle aule di giustizia amministrativa italiana né tantomeno sanzione penale.
Nel 2005, nonostante l’autorevole denuncia di Silvio Pieri, ex Procuratore Generale del Piemonte, e le diverse interrogazioni parlamentari sul tema, la scandalosa vicenda del concorso truccato del 1992, risultava finita nel porto delle nebbie, così come ogni altra successiva denuncia del genere. Vale la pena qui ricordare il suggestivo episodio della fotocopiatrice integerrima che smascherò il broglio di una componente della commissione esaminatrice della sessione del marzo 2002 e al contempo magistrato di Cassazione con funzioni di sostituto P.G. presso la Corte d’ Appello di Napoli, la quale cercò di favorire la figlia di un ex componente del Csm, della corrente di Unicost, sostituendo clandestinamente durante la notte la prova giudicata negativa della sua protetta, ma venendo tradita dall’eccesso di zelo dell’incorruttibile copiatrice, utilizzata nottetempo dall’alto magistrato, che ripartendo al mattino misticamente vomitava fiumi di copie delle pagine contraffatte dalla giudice Dr.ssa Clotilde Renna.
Negli anni successivi, neppure l’agguerrito Ministro Alfano, al pari del Guardasigilli di centro-sinistra Mastella, provava a scalfire l’impenetrabile muro di gomma eretto dalla casta e dalle massomafie che la proteggono, sui criteri e le procedure che governano l’accesso alla magistratura. L’argomento, evidentemente troppo scottante anche per i falsi neoliberisti e i rampanti filoberlusconiani che sulla corruzione giudiziaria hanno prosperato, costruendo la loro fortuna economica e politica, continua così ad essere un tabù di cui nessuno si occupa.
Correva l’anno 2008, quando scoppia il nuovo caso della Fiera di Milano-Rho, in occasione dell’ennesimo Concorso Nazionale per Uditore Giudiziario truccato. Tra i 5600 aspiranti magistrati per soli 500 posti si scopre che c’è chi si può permettere di introdurre impunemente telefonini, appunti, codici “irregolari“, rispetto alle norme dettate dal concorso e addirittura libri di testo, tanto da scatenare un vero e proprio putiferio. Mentre decine di candidati urlavano in piedi “vergogna!“, un altro gruppo esprimeva il proprio sdegno chiedendo di annullare la prova.
Ma “more solito” tutto vien presto messo a tacere e il livello di preparazione e di moralità dei giudici italiani e la conseguente disponibilità a “non lasciarsi ammorbidire dal potere“, restano quelli che tutti abbiamo avanti agli occhi ogni giorno nelle aule d’udienza: aperto favoreggiamento dei più forti, nepotismo, corporativismo, prepotenza e arroganza mischiate spesso ad aperta ignoranza ed assenza di rispetto nei confronti di avvocati e soggetti più deboli. (C’è persino chi scrive durante la prova riscuotere con la “q”, chi confonde la Corte dell’Aja con la «Corte dell’Aiax», o un maturo Presidente di sezione di Corte d’Appello civile a Milano che alle soglie della pensione non conosceva neppure la differenza tra un reclamo in corso di causa ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. proposto al collegio da uno ex art. 669 septies c.p.c. proposto allo stesso giudice di merito).
La casta corrotta al pari della classe politica si protegge per autoriprodursi.
Ma la cosa che più fa scalpore nel caso del concorso di Rho è il fatto che, messi a parte i dissidi tra il Guardasigilli Alfano e il C.S.M., è lo stesso organo di autogoverno della magistratura a richiedere con voto a maggioranza la frettolosa archiviazione del caso. Tutto normale anche per il Ministero di Giustizia, nonostante le molteplici denunce inquietanti di tanti candidati che segnalavano con dovizia di particolari come durante la prova milanese fossero saltate tutte le regole del gioco e che rampolli figli di noti magistrati avessero potuto fruire del tutto indisturbati di materiale vietato.
Circostanza veramente anomala tenuto conto che il concorso per magistrati è ritenuto l’esame più controllato nel nostro Paese. I testi a disposizione dei candidati prima di venire ammessi e introdotti in aula vengono preventivamente verificati e timbrati da un’apposita commissione esaminatrice. Un cancelliere di Tribunale controlla siano realmente dei codici, che non vi siano nascosti appunti o fogli volanti e che siano conformi al bando. I nuovi brogli di Milano-Rho non potevano quindi venire liquidati, ancora una volta, laconicamente e senza alcuna indagine, per coprire le solite spinte corporative e gli oscuri interessi di chi controlla e manipola nell’ombra l’accesso in magistratura, prediligendo le logore logiche di nepotismo e di clientelismo, da cui si alimentano solo le massomafie, il malaffare e non di certo la legalità.
Le molteplici proteste dei candidati della prova svoltasi alla Fiera di Milano-Rho per cui dovette persino intervenire la Polizia Penitenziaria per proteggere la commissione esaminatrice cieca, sorda e complice, non sono quindi ancora una volta servite a nulla.
La complicità della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano.
Una cinquantina di candidati si recò in Procura a Milano per denunciare la gravità dei fatti di cui erano stati diretti testimoni, percependo che la Commissione intendesse mettere tutto a tacere per favorire i soliti raccomandati. Ma il procedimento, come di rito, viene frettolosamente archiviato, nonostante la quantità delle denunzie e la convergenza delle testimonianze, tutte acclaranti gravi irregolarità. Ciò, peraltro, senza disporre alcuna accurata necessaria indagine, seppure l’indignazione avesse inondato i siti web, estendendosi agli stessi consiglieri togati del Movimento per la giustizia e Magistratura Democratica che chiedevano un’inchiesta del Csm sulle innumerevoli irregolarità denunciate dai candidati.
Dai media si apprende della richiesta di apertura di un fascicolo da parte della 9° Commissione di Palazzo dei Marescialli con l’obiettivo di “avere cognizione oggettiva dello svolgimento delle prove concorsuali e assumere le opportune iniziative in difesa del prestigio e credibilità della magistratura la cui prima garanzia è riposta nell’assoluta affidabilità della procedura di selezione“. Ma, come denunciato, il 19 dicembre il C.S.M. definiva con una frettolosa archiviazione, eludendo ogni accertamento sullo svolgimento delle prove scritte del concorso indetto con D.M. 27/2/2008, svoltesi a Milano nei giorni 19/21 novembre 2008. La pratica era stata aperta da “I Giovani Magistrati”, all’indomani delle inquietanti notizie fornite da stampa e televisione, in ordine alle modalità di espletamento del concorso.
Dal sito www.movimentoperlagiustizia.it si apprende che nel corso della discussione plenaria, i consiglieri del Movimento per la giustizia chiesero invano il ritorno della pratica in Commissione per l’espletamento di ulteriore attività istruttoria, già inutilmente da loro richiesta anche in sede di Commissione, non condividendo la circostanza che la Commissione avesse voluto frettolosamente portare all’attenzione del plenum del C.S.M. una delibera monca, articolata sulla base di un’attività istruttoria carente, costituita essenzialmente dall’acquisizione delle sole relazioni del presidente della commissione di concorso (17, 20, 22 nov. e 1.12.08) e del direttore generale direzione magistrati del Ministero (25.11 e 9.12), nonché dalle audizioni dei commissari di concorso e di altri funzionari del Ministero di giustizia e della Procura Generale di Milano. “Nessun cenno nella delibera in esame del contenuto delle 19 missive, pervenute alla 9° Commissione anche via e-mail, delle quali più della metà regolarmente sottoscritte da candidati che segnalavano disfunzioni gravi o meno gravi riguardanti soprattutto il ritardo verificatosi il 19 novembre nella dettatura della traccia di diritto amministrativo e la presenza in loco di testi non consentiti”. Per saperne di più, in relazione alla dinamica degli eventi, i tre consiglieri dissidenti aggiungono di avere inutilmente richiesto l’audizione di alcuni dei candidati firmatari degli esposti.
Nessun cenno nella delibera del C.S.M. del contenuto della risposta del Ministro della Giustizia all’interrogazione parlamentare che, peraltro, si era sviluppata nel senso di una presa di distanza dall’operato della commissione di concorso.
Il sito dei giovani magistrati del Movimento per la giustizia denuncia poi di avere sostenuto con forza che non vi fosse alcuna urgenza di definire, in tempi così brevi, una pratica dai risvolti talmente delicati, con una delibera che, agli occhi dell’opinione pubblica, avrebbe corso il rischio di essere additata (n.d.r.: come in effetti, poi, accaduto) “come una risposta corporativa e sostanzialmente “a tutela” dell’operato della commissione di concorso“. Per di più, in una situazione in cui era in corso di indagini preliminari il procedimento aperto presso la Procura di Milano (iscritto a mod. 45), a seguito delle citate denunce pervenute dai candidati.
Del resto, diversi sono gli aspetti inquietanti mai chiariti dal C.S.M. e dalla Procura di Milano, le cui archiviazioni hanno proceduto di pari passo per mettere tutto a tacere. Secondo quanto affermato nella relazione del Presidente Fumo sarebbero stati “schermati” i settori riservati ai candidati onde evitare comunicazioni telefoniche. Questo assunto, come si legge nel sito dei giovani magistrati, è stato smentito dal Direttore generale del Ministero, dott. Di Amato, che ha ammesso la mancanza di schermatura elettronica nei padiglioni ove si svolgeva il concorso, riscontrata peraltro dal sequestro di apparecchi telefonici che risultavano funzionanti all’interno dei locali. È appena il caso di rilevare che, come si legge nella relazione ministeriale, la “possibilità di una schermatura elettronica non ipotizzabile per la sede di Roma” era stata una delle ragioni che avevano condotto l’autorità competente alla scelta di Milano quale sede esclusiva di concorso.
Quanto all’identificazione di circa 5.600 candidati con tesserini privi di fotografia e alla carenza di controlli anche dei testi e dei codici all’ingresso delle sale di esame (almeno 28.000 volumi), inutilmente proseguono i giovani magistrati di avere fatto richiesta di acquisizione di notizie più in dettaglio sui controllori (250 persone per ogni turno dislocate su 26 postazioni). Del pari, inutilmente hanno fatto richiesta di notizie sui 23 funzionari di segreteria e sui 750 addetti alla vigilanza durante le prove, che avrebbero potuto portare ad accertare le ragioni della discrasia tra l’enorme numero di addetti al controllo e gli insufficienti effetti del controllo medesimo. Accertamenti che avrebbero dovuto quindi trovare ingresso quantomeno in sede penale, onde poter escludere che l’indifferenza della commissione alle clamorose proteste dei candidati abbia inteso favorire i soliti raccomandati e che la prova invero “non fosse solo la solita farsa“.
Quanto allo svolgimento delle prove non ha poi convinto la scelta di non sorteggiare le materie nei diversi giorni di esame. “È vero che non vi era obbligo di legge in tal senso, ma è pur vero che ragioni di oppurtunità e trasparenza avrebbero dovuto indurre la commissione di concorso a procedere al sorteggio, così come le stesse ragioni inducono da anni il CSM a sorteggiare l’individuazione dei commissari di concorso”. Ma soprattutto, ciò che non ha convinto i giovani magistrati è stato l’indisturbato allontanamento del commissario, prof. Fabio Santangeli (poi dimessosi il 25.11), il giorno 19, che è stato la principale causa dell’abnorme ritardo nella dettatura della traccia di “diritto amministrativo”, avvenuta alle h.14. Parimenti, non hanno per niente convinto in particolare le giustificazioni fornite sul punto dal Presidente della Commissione, secondo il quale non sarebbe stato in alcun modo possibile trattenere nella sala il professore, senza chiarire la ragione perché non fosse stata approfondita sin dal primo momento la disponibilità di tempo del professore, evitando che partecipasse all’elaborazione dei testi. Cosa che poi provocava la ripetizione dell’operazione di individuazione /elaborazione delle tre tracce da sorteggiare, con l’ulteriore conseguenza della dettatura di una traccia ambigua, che ha causato ulteriori problemi di ordine pubblico, a causa delle diverse letture possibili.
L’esistenza di queste accertate disfunzioni ed il mancato chiarimento di aspetti essenziali ai fini di un regolare e sereno svolgimento delle prove di esame avrebbero consigliato, secondo gli esponenti del Movimento per la giustizia, maggiore cautela nell’adozione di una delibera di archiviazione da parte del CSM. In definitiva, non si è compreso che solo una adeguata istruttoria avrebbe dissipato tutti i dubbi e reso trasparente l’operato della Commissione.
Il nostro voto contrario, conclude il sito dei magistrati dissidenti, è determinato esclusivamente dall’esigenza di accertamento della verità. Esso non significa e non può significare “condanna”, ma rappresenta una decisa presa di distanza da una logica di “tutela” preventiva ed incondizionata in favore di tutti i protagonisti istituzionali della vicenda, troppo frettolosamente ritenuti attendibili, pur in difetto di quel “contraddittorio” con le voci dissonanti dei candidati, come da noi richiesto e ribadito. “Il voto contrario non significa quindi che si ritiene sussistere i presupposti per l’annullamento del concorso in via di autotutela, ma testimonia il nostro disaccordo su una risposta istituzionale del tipo “tout va très bien madame la marquise!“.
Ne deriva che “Madama la Marchesa” dovrebbe trovare del tutto preoccupante e scandaloso che anche l’ennesima indagine sui concorsi truccati in magistratura condotta dalla Procura di Milano sia stata frettolosamente archiviata in breve tempo, trascurando i molteplici riscontri probatori, che avrebbero dovuto indurre il P.M. a svolgere più accurate indagini, il quale senza neppure ascoltare le persone informate sui fatti e i candidati parti lese, prendeva invece per “oro colato” la relazione presidenziale e le sole fonti istituzionali.
E’ quindi lecito dubitare che gli inquirenti al pari dei politici e dei membri del C.S.M. abbiano agito seguendo quel profondo senso di giustizia che dovrebbe animare coloro a cui è affidata la sorte della legalità.
Cosa si può fare? La parola ai candidati, ai magistrati e ai cittadini onesti.
Basterebbero 4 semplici telecamere ben piazzate, e tutto filerebbe in piena trasparenza. Finalmente si premierebbe e tutelerebbe l’impegno di chi ha studiato seriamente: questo dovrebbe stabilirsi per legge in TUTTI i concorsi pubblici. E perché non si fa? Non c’è rispetto per i nostri figli, così si facilita l’accaparramento dei posti di responsabilità in mano agli ignoranti. Dappertutto. E’ veramente grave, questo. E’ veramente grave non reagire, non ribellarsi. (Difficile dargli torto e non riconoscere il valore deterrente e dissuasivo dell’idea).
Così si vuole un paese di baroni ignoranti“. Da Angelo (Un vero angelo di verità!).
A cosa serve questo concorso in magistratura?
A seguito degli scandalosi eventi di Rho, colgo l’occasione per esprimere ciò che ho sempre pensato in merito al concorso in magistratura. In Italia la crisi, e oserei dire la paralisi, del sistema giudiziario è dovuto principalmente alla carenza di personale giudicante, inquirente e amministrativo. Questa situazione non la si vuole affrontare politicamente, perché fa comodo alla classe dominante avere una magistratura che non funziona. Ebbene la struttura del nostro concorso in magistratura consente davvero che si sfornino magistrati quantitativamente e qualitativamente capaci di amministrare bene e velocemente la giustizia? Assolutamente no!!
E spiego il perché. Un concorso siffatto richiede una preparazione teorica estremamente elaborata e onnicomprensiva per conseguire la quale si impiegano un elevato numero di anni, in molti casi a due cifre. Se si ha poi la fortuna di passare il concorso grazie solo alla preparazione (e i fatti di Rho dimostrano che solo questa non è affatto sufficiente, o forse non è addirittura necessaria) i neo uditori saranno dei brillantissimi teorici, bravi conoscitori delle più svariate dottrine in materia giuridica, ma emeriti incompetenti da un punto di vista pratico e incapaci di amministrare la giustizia con rapidità ed efficienza, così come sarebbe ora che accadesse in un Stato normale.
E soprattutto si può essere bravi tuttologhi? Perché la magistratura non viene stratificata in competenze per materia? Magistrati che fanno solo civile, altri penale, lavoro, commerciale, fallimentare e così via. Si avrebbero così più magistrati più preparati. Dovrebbero esistere diversi concorsi in magistratura a seconda delle materie e il settore in cui specializzarsi dovrebbe essere individuato già dagli anni universitari. Solo così si potrebbero sfornare tanti magistrati, veramente seri, esperti in determinate materie e quindi capaci e professionali. E’ un’ottimizzazione di tempi e risorse. Ma quando a delle conclusioni così semplici non si vuole arrivare, è chiaro che non c’è la volontà di risolvere i problemi e non certo il modo.
Teniamoci le caste, il prestigio e il potere dei pochi, facciamo apparire come condotta deplorevole e facinorosa quella di chi denuncia i misfatti e gli scandali e non quella di chi li compie, proprio come ha fatto la commissione a Rho che anziché denunciare la gravità dei fatti scoperti dai candidati, ha minacciato questi ultimi di procedere a identificazione e a denuncia per turbativa del concorso. Viva l’Italia che se la prende con la parte lesa anziché evitare che si consumino quotidianamente lesioni dei diritti fondamentali dell’individuo. E viva l’Italia dei paradossi: giustizia inefficiente per carenza di magistrati e milioni di laureati in giurisprudenza disoccupati. Neo magistrati mostri di preparazione teorica (nel migliore dei casi) e completamente incapaci di tenere un’udienza o di scrivere una mera ordinanza di rinvio.
Da Graziella (Quali sacrosante parole! Sei una vera Robin Hood!).

Ho paura che tutti i concorsi in magistratura fatti in precedenza siano stati truccati e che solo adesso sia scoppiato lo scandalo. Basta svolgere la professione di avvocato per rendersi conto quanto siano impreparati i giovani magistrati. Anch’io al concorso ho visto i miei colleghi copiare le tracce dagli appunti fatti a fisarmonica ma per solidarietà fraterna, non ho voluto fare la spia, ma adesso che è scoppiato lo scandalo ho il dovere morale di dirlo.
Come si è potuto verificare tutto questo? Alcuni dicono che tutto ciò si è verificato a causa della negligenza dei controllori, altri dicono che la commissione voleva favorire soltanto i raccomandati. Una verità è certa, ed è che la magistratura è una casta chiusa, riservata soltanto a pochi eletti, cioè a coloro i quali hanno la fortuna di avere gli angeli in paradiso: non si spiegherebbe altrimenti il limite assurdo delle tre volte in cui si può tentare il concorso.
Mi auguro soltanto che il ministro Angelino Alfano annulli in autotutela questo concorso al fine di ripristinare la trasparenza e la legalità nel concorso in magistratura. Intanto, gli anni passano e la sospirata toga di magistrato non sembra arrivare mai: di tanti anni di studio non resta nient’altro che l’amarezza. Per non parlare poi della sofferenza dei nostri genitori che vorrebbe vederci sistemati. (Da Michele da Siracusa).

Sui Concorsi per magistrati e simili. Sono il papà di un ex concorrente al concorso. Vi invio il testo di quanto ho scritto al Tgcom, sperando che qualcuno ne faccia una battaglia.
Uno dei problemi di questi concorsi, come del resto per molti altri è l’assoluta mancanza di trasparenza. Infatti i concorsisti, molti dei quali prendono praticamente una seconda laurea, tanti sono gli anni che vengono dedicati ad una onerosa (anche economicamente) preparazione integrativa, alla fine hanno solo tre cartucce da sparare (solo tre concorsi); ma il bello è che non hanno nessun feedback dalle correzione dei compiti risultati inidonei; voglio dire che al di là del criptico giudizio non c’è altra informazione che consenta le prossime volte di “aggiustare il tiro”. Ma non sarebbe più corretto pubblicare gli elaborati anche “mascherando” le generalità dei concorrenti, semplicemente indicando, come del resto è già, l’idoneità o meno? E’ o non è un concorso pubblico per uno dei più importanti ruoli nell’ordinamento della repubblica? Ritengo ciò che è accaduto episodio ignobile e non c’è motivo di ritenere che precedentemente sia stato tutto in regola. Semplicemente, questa volta, la dilagante carenza organizzativa ha creato una situazione così ingestibile che ha avuto il pregio di fare da detonatore al peggiore approccio al concorso di chi si propone di amministrare la giustizia in modo adamantino e, dall’ altra parte per chi, parte del sistema, dovrebbe garantire che tutto si svolga nella massima serietà possibile. Credo di non sbagliarmi nel dire che ciò che avviene e le questioni che contornano il prima durante e il dopo del concorso siano la manifestazione più forte di arroganza del potere oggi riscontrabile nel nostro Paese. Non si comprende perché a tanta serietà trasmessa e percepita non corrispondano comportamenti adeguatamente qualitativi, almeno quelli esprimibili attraverso gli atti prodotti, che dovrebbero essere il vero biglietto da visita da presentare al mondo esterno.
A.M. (Una delle poche lettere firmate per capire il timore di ritorsioni da parte del sistema).

Egregio Direttore, sono un testimone oculare, aspirante magistrato. Ho letto un articolo sul vostro sito concernente il concorso a 380 posti di uditore giudiziario dove la commissione afferma che c’erano temi gravemente insufficienti. Personalmente partecipai a quel concorso e presi 19 allo scritto di amministrativo sull’acquisizione sine titulo coperto da giudicato, e non idoneo a penale. Credo che la commissione abbia esagerato dicendo quelle cose, perchè ho visto con i miei occhi che alcuni membri della stessa andavano ad aiutare i loro”pupilli”, io chiamai il Presidente presente in sala, e per risposta disse che non poteva farci nulla. Sono accadute cose strane ad esempio un mio conoscente seppe in anticipo i risultati degli scritti. Come ne venne a conoscenza? Forse perchè il padre è agganciato politicamente? E’ vero che i nomi devono restare segreti alla commissione? Ad esempio alcuni candidati non conoscevano le sentenze relative alla traccia di penale sulle scommesse clandestine e superarono lo scritto, io lessi le recensioni del Presidente Grillo sulla rivista Cassazione penale edita dalla Giuffrè e non lo superai.
Altri candidati fecero scena muta alla prova orale e presero il massimo dei voti.
Le pongo una domanda, siamo sicuri che la commissione non abbia volutamente esagerato, per mascherare le magagne come voi avete puntualmente pubblicato, avvenuta nei precedenti concorsi? La ringrazio anticipatamente, spero in un Suo riscontro.
A.S. (lettera firmata)

Pubblicato in: Responsabilità dei magistrati
L’ articolo è stato visualizzato 70914 volte al 3 agosto 2010

 http://www.lavocedirobinhood.it/Articolo.asp?id=197&titolo=CONCORSI TRUCCATI: TRA INSABBIAMENTI E ARCHIVIAZIONI LA CREDIBILITA’ DELLA MAGISTRATURA ITALIANA SCENDE SEMPRE PIU’ IN BASSO.