Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 23

Mix tra affari e massoneria

 

Il pm di Potenza fa luce sulle presunte attività illecite delle logge sulle quali indaga dal 2005. Dei 24 indagati 15 vivono in Toscana  Potenza, 5 giugno 2007 – “Una inquietante commistione tra massoneria, affari, politica e apparati pubblici di ogni genere e specie”. La frase eloquente è quella usata dal pm di Potenza, Henry John Woodcock, per descrivere le indagini sulle presunte attività illecite delle logge massoniche sulle quali indaga dal 2005. Anche in questo caso il magistrato potentino ha sviluppato il lavoro investigativo partendo da un filone principale: quello che circa due anni fa portò in carcere, tra gli altri, il faccendiere Massimo Pizza per una truffa ai danni di alcuni imprenditori.Contro i 24 indagati il magistrato ipotizza i reati di associazione a delinquere finalizzata a un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione. Per raggiungere questo scopo gli indagati avrebbero promosso e partecipato associazioni segrete vietate dall’art. 18 della Costituzione, in particolare costituendo strutture associative di tipo massonico la cui esistenza è stata occultata. “Ovvero – aggiunge il Pm – venivano tenute segrete congiuntamente finalità e attività sociali, rimanendo sconosciuti, in tutto o in parte, e anche reciprocamente i rispettivi soci”.Dalle intercettazioni e dalle indagini effettuate, gli indagati non apparterrebbero a famiglie massoniche conosciute, quali il Grande Oriente d’Italia (GOI) o la Grande Loggia d’Italia degli antichi liberi accettati muratori (GLDI). Infatti le due organizzazioni create dai personaggi finiti nell’inchiesta, ovvero la Gran Loggia Unita Tradizionale (GLUT) e il Grande Oriente Universale (GOU), non hanno ottenuto il riconoscimento di quelle che sono le organizzazioni massoniche più autorevoli in Italia.  Secondo gli inquirenti, le indagini hanno messo in luce un quadro “piuttosto allarmante” riferito all’attività criminosa perseguita da un gruppo di persone “legate ed espressione di ambienti massonici deviati”, riconducibili a logge ‘coperte’ e cioè a strutture carenti di quelle caratteristiche di pubblicità interna ed esterna e di reciproca conoscenza tra i componenti. Secondo quanto accertato, inoltre, le logge che hanno le connotazioni di un gruppo ‘ben organizzato’ avrebbero una capacità operativa su tutto il territorio nazionale e anche all’estero.  Per gli inquirenti potentini i soggetti coinvolti, assidui frequentatori e animatori dell’associazionismo massonico in generale, “trovano in questo contesto un ambiguo ambito privilegiato nel quale, di volta in volta, instaurare contatti, raccogliere informazioni, cementare legami, procurarsi entrature, assicurarsi appoggi e rapporti privilegiati con la Pubblica amministrazione in particolare.Sarebbero emersi interessi sterminati che riguardano opere pubbliche, costituzioni di società off shore, fino alla compravendita di istituti bancari e di lotti di idrocarburi”. Una attività che poteva godere di un articolato intreccio di relazioni con soci in affari, ex commilitoni, fratelli di logge, ex appartenenti alla P2 e compagni di partito.
Intercettazioni ambientali e telefoniche, avrebbero, infatti, permesso di accertare i forti legami con gli ambienti di alcuni partiti politici in particolare.Vivono in Toscana 13 delle 24 persone iscritte nel registro degli indagati nell’inchiesta del pm di Potenza Henry John Woodcock sulla cosiddetta ‘Massoneria occulta’. Sei gli indagati tra Viareggio e la Versilia, cinque a Livorno e due all’Isola d’Elba, dove la polizia di Potenza ha eseguito perquisizioni a Marina di Campo e Portoferraio. Il reato ipotizzato è la violazione della legge Anselmi, per aver costituito strutture associative di tipo massonico. 

da quotidiano.net

Falsi rimborsi: giudice e imprenditore in cella

 

Perugia, 27 luglio 2010 – Il “giochino” funzionava così: un’azienda di costruzioni, che negli anni ’80 e ’90 aveva eseguito lavori in strutture militari in Sardegna, da qualche anno presentava documenti falsi — con carta intestata del Ministero della difesa — in cui veniva accertata l’esistenza di riserve non pagate e legate a lavori aggiuntivi (in realtà mai eseguiti). E una volta che il contenzioso finiva davanti alla magistratura civile per la contestazione da parte dell’Avvocatura dello Stato, c’era un giudice compiacente che indirizzava le cause a favore dell’impresa, facendole ottenere rimborsi esorbitanti e ricevendo, in cambio, lavori edili nella sua villa di Porto Cervo.

Questa la tesi dell’accusa, che parla di presunta associazione a delinquere composta da una famiglia di imprenditori, con due figli avvocati, e un giudice: un “team” che avrebbe sottratto per anni al Ministero della difesa vari milioni di euro. Per ora sono finiti in carcere il giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma, Giovanni Dionesalvi, l’imprenditore in pensione Giampaolo Mascia, la moglie Piera Balconi e i loro due figli, gli avvocati Vittorio e Giammarco. Accuse pesanti: falso in atto pubblico commesso da privato e da un pubblico ufficiale, corruzione in atti giudiziari e abuso di atti di ufficio.

L’inchiesta è in mano alla procura di Perugia (pm Giuseppe Petrazzini, gip Claudia Matteini) che ha competenza in casi che vedono coinvolti giudici romani. L’impresa che aveva effettuato lavori per conto del Ministero in alcune caserme da qualche anno a questa parte avrebbe cominciato a presentare documenti falsi — questa l’accusa — in cui sosteneva di aver compiuto ulteriori interventi, ritenendosi quindi debitrice di somme consistenti che, ogni volta, si aggiravano sui 2-3mila euro. Così si instaurava un contenzioso al tribunale civile (l’Avvocatura dello Stato ha quantificato 150 controversie) in cui il giudice onorario gestiva direttamente le carte o si adoperava con i colleghi per ‘istruirli’.

Giudice che — secondo il gip — era in rapporti di stretta amicizia con la famiglia coinvolta, e la cui villa in Sardegna era a fianco a quella dei Mascia. Gli inquirenti ritengono che la truffa, solo negli ultimi 7 mesi, abbia fatto intascare all’impresa 1,8 milioni di euro.
Le indagini sono in corso e gli investigatori sono alle prese con decine di migliaia di documenti da analizzare (per trasportare una parte delle carte da Roma a Perugia è stato necessario un furgone). Nel frattempo il gip ha confermato la custodia in carcere. Il giudice e uno degli avvocati, arrestati a Roma, sono nel carcere di Capanne, a Perugia. Gli altri tre sono stati arrestati in Sardegna.

“La condotta giudiziaria del giudice Giovanni Dionesalvi è stata sempre tecnicamente corretta e in linea con quanto imposto dal codice di procedura civile”, sostiene il suo legale, l’avvocato Remo Pannain.

MICHELE NUCCI

FALLIMENTOPOLI FIORENTINA: PROCESSO A UN GIUDICE

 

“Fallimentopoli fiorentina”: prosegue al Tribunale Penale di Genova il processo nato dall’inchiesta “Fallimentopoli fiorentina” gravissimo scandalo scoperto a Firenze che si concluse con duecento capi d’imputazione e trentasei indagati, quasi tutti pubblici ufficiali, fra i quali l’ex magistrato Sebastiano Puliga. Il processo è iniziato nel 2007 dopo l’udienza preliminare nella quale alcuni accusati avevano patteggiato la pena. Si riporta un elenco delle ditte e persone travolte dall’enorme giro corruttivo che si era radicato nell’ambito delle procedure fallimentari ed esecutive del Tribunale di Firenze e che aveva gravemente danneggiato centinaia di imprese e cittadini della Regione Toscana.

Uno sas – A.C. Fiorentina spa – Aeroploting srl – Afan srl – Alessi srl – Angiolo Del Gobbo – Antiche Fattorie Fiorentine – Antitesi Trend sas – Api Dolciaria – Api spa – Apollo Immobiliare – Apparita srl – Area bagno – Area Sas – Armeria Centrale srl – Art & Co. Srl – Assia Sistemi sas – Autocar 2000 srl – Autofficina Montalbano sas – Autosalone Montalbano – Autospa srl – B e A snc – Bandini Rubinetterie srl – Bardotti Patrizia – Base sas – Bassi Piero – Belgrave Zionela – Belisario Licia – Benvenuti Trading sas – Bianconi Marco – Bijoux Cascio – Bike City – Boninsegni Vittorio – Braccini elettroimpianti – Brescarta snc – Bruni Spa – C.S. sas – Cactvp scarl – Caldini Serafina – Cartomatic srl – Cinematografico Fiorentino sas – Centro Acca srl – Centro Nord Beni Imm. spa – Centrofoto srl – Ceramiche Artistiche Toscane snc – Ceramiche Brogioni snc – Ceramiche Brunelleschi spa – Cesic srl – Cessare Cacciarelli – Cessare Sestini srl – Coccio Umidificatori srl – Comart 2000 scarl – Condotta 29 sas – Confezioni Mascoff snc – Corsini Lorenzo – Cose così – Cottini Ignazio – Creazioni Barbara snc – Creazioni Il Leone srl – Cruciani Gianfranco – Cts Toscana Suinicultori srl – Cubattoli Costruzioni spa – D’Andrea Costruzioni srl – Da Nino sas – Daddi Enio – Dalia srl – Dama Restauri sas – David Fantucci sas – Di Già srl – Doney Ciocolato srl – Edil Sarno snc – Edilcima srl – Edilizia Industrializzata Martini srl – Edil-Sarno snc – Ediluco sas – Edilvami srl – Elettrotecnica Valdisieve – Elite S. Domenico – Elite San Domenico srl – Elto srl – Emporium srl – Eredi Paganelli – Erika Edizioni snc – Erta Canina srl – Essecarta srl – Europa 92 srl – Fantacci – Ferramenta Delfino srl – Finco srl – Fingepin – Fratelli Catalani – Free Time – Future srl – Gaia srl – Galli Mario – Gea Ferroviaria srl – Gefin srl – Gemignani srl – Giannelli snc – Sannino Gino – Gli Argini srl – Gori Maria Grazia – Gori Sostene – Goti Maria eredi – Grimaldi srl – Guarfin srl – Gvp sas (già Il Moro sas) – High Taste srl – I Due Torrenti Srl – Iciet-Sime spa – Ifd sas – Il Coccio Umidificatori srl – Il Ferrone spa – Il Gabbiano srl – Il Gioiello srl immobiliare – Il Maneggio srl – Il Pasticciere Fiorentino – Illario Pagliai srl – Immobiliare Corti – Immobiliare Fantacci – Immobiliare Lecconi – Immobiliare Messina – Immobiliare Montebuoni srl – Immobiliare Vari Giorgio – Impresa Edile Palazzolo snc – Industria laterizi Plp srl – Ingrolat sas – Innocenti Alba – Intermedical srl – Ips spa – Isocinesi 1 srl – La Biscondola sas – La Magona d’Italia spa – Landi Livio – Lanificio Walter Banci sas – Laterizi Plp srl – Laterizi Silap spa – Libertas Etruriae srl – Lo Scoiattolo Azienda agrituristica – Longinotti spa – Luciano Sostegni snc – Lu-Se snc – Lutrix srl – Madco srl – Maglieria Cosetta sas – Maneggio srl – Marchi Alberto – Margheri srl – Maria Grazia Gori – Martoccia Giuseppe – Massimo e Luca snc – Master Group srl – Meali Acciai srl – Melchiran srl – Messina – Mexital srl – Montebuoni srl – Montevivo snc – Monti Sandra – Nencioli Roberto – Neon Lamp sas – Noferini Rudi – Nuova Florenpesca srl – Open Informatica snc – Orcagna Costruzioni – Orsini srl – Paganelli eredi – Panami srl – Pancani Massimo – Par snc – Pelletterie Terzani – Pigreco System snc – Pima snc – Pratella srl – Prefabbricati Plp – Prefabbricati Toscani srl – Prestige Poggetto Imm. Srl – Previdenza Uno coop – Prisma snc – Promoarno srl – Pz srl – Quattro Emme srl – Ranfagni srl – Rassenno spa – Reflui Tech srl – Regnicoli Foresto – Relax – Relp Acciai srl – Replay Spa – Resco srl – Riba di Li Pira Rosa sas srl – Ricci Luciano snc – Rimaggio 3 srl – Risi Giuseppe snc – Ristorante Silvio snc – Romar sas – Salumificio del Colle srl – Salumificio Salis srl – Sama spa – Sammezzano spa – San Giusto scarl – Sangalli srl – Saturno srl – Seib srl – Sestini Andrea Cesare Sestini srl – Sestini Piero – Sieni Giancarlo – Silak spa – Silt srl – Sim & Fed – Sipel – Scriva Frederic – Siti spa – Siti srl – Sky Hotels srl – Sofiass srl – Sogima spa – Sostegni Luciano – Sostene Gori – Spagli Aldemaro – Stabilimento Cartotecnico di Castello – Stella Srl – Stigliano Sviluppo srl – Sts Servizio Turistico Sociale – Studio Moda sas – Tecnoimpianti Mugello sas – The Corner srl – Tipografia L’Artigiano – Tomasi Chimica srl – Toscana Factoring srl – Toscarta snc – Toscopasta snc – U.M. Portastampi srl – Vallarno Impex srl – Vari Giorgio – Vasco Guarducci – Vega srl – Vento srl – Verweyen snc – Vescovi Marcello – Vescovi Mario – Vitrum snc – Volta Industries srl

QUANTO COSTA LA CORRUZIONE DEI MAGISTRATI?

 
Malagiustizia. Quanto costa la corruzione? Mercimonio d’uffico
Calcolare quanto costa allo Stato la corruzione dei magistrati si può fare guardando qualche numero dell’inchiesta sulla fallimentopoli fiorentina condotta dalla Procura di Genova che di recente ha chiesto il rinvio a giudizio del giudice Sebastiano Puliga e una trentina di professionisti. 200 i capi d’imputazione. Le persone o ditte defraudate sono oltre 150 (in fondo l’elenco). Se è vero che la vicenda del Sannino (casosannino.com) ha generato un centinaio di cause tanto da veder impiegati una cinquantina uffici con i loro magistrati, segreterie, cancellieri, spese, ecc, immaginiamo quante cause ci saranno per le disperate vittime del Puliga che chiedevano e chiedono giustizia e si trovavano sempre a schiantarsi contro un muro di gomma. Sarà una cifra enorme in circa 27 anni di lavoro del Puliga come giudice a Firenze.
Se un solo caso mi costa 50 magistrati e corteo, per 150 sarebbe un’enormità di magistrati impegnati -si deduce- a coprire per 27 anni l’ingratitudine del Puliga e compagnia alle vittime, alle istituzioni e ai cittadini che sono costretti a pagare sempre più tasse a causa della corruzione. Immagina il malloppo sconfinato che sarà considerando quelli che covano nei tribunali italiani… e il Ministero di Giustizia non ha soldi sufficienti per pagare le conseguenze di questa emorragia d’avidità impazzita, realtà che incide parecchio nella conosciuta carenza di mezzi per mandare avanti il lavoro dei magistrati veri che seriamente si impegnano nella loro funzione.

Questa è una lista delle persone e ditte che sono state defraudate dall’exintoccabile corrotto (Procedimento penale 15183/2005 nei confronti di Puliga Sebastiano – Nato casualmente in Treviso il 26.08.1954)

A. Uno sas – 8e;
Aeroploting srl -1d
Alessi srl – 1 b
Alfredo Bartalani sas -14e
Angiolo Del Gobbo – 3 b
Antitesi Trend sas -13e
Apollo Immobiliare -1i
Apparita srl – g5,3
Area bagno – 3d
Assia Sistemi sas – 10e
Autocar 2000 srl – g4
Autofficina Montalbano sas – g5,103
Autosalone Montalbano – g5,103
Az. Agrituristica Lo Scoiattolo – g5,144
B e A snc -21e
Bandini Rubinetterie srl– 39b
Base sas – 17e
Bassi Piero (Api Dolciaria) – g5,12
Benvenuti Trading sas -22e
Bianconi Marco -1c
Bike City -23e
Boninsegni Vittorio 3 a
Brescarta snc – g5,16
C.S. sas – g5,33
Cactvp scarl – c.26 a
Cartomatic srl -4d
Cent. Cinematografico Fiorentino sas – g5,24
Centro Acca srl – g5,23
Centrofoto srl –c.28 a
Ceramiche Artistiche Toscane snc-10f
Ceramiche Brogioni snc – g5,17
Cesare Sestini- 74°
Comart 2000 scarl – 15b, 39b
Condotta 29 sas -31e
Confezioni Mascoff snc -86e
Cose così -16b
Cottini Ignazio – 33e
Creazioni Barbara snc – g5,30
Creazioni Il Leone srl – 71e
Cruciani Gianfranco -37e
Cts Toscana Suinicultori srl – 38 a
D’Andrea Costruzioni srl – g5,40
Da Nino sas – 45e
Daddi Enio – 47e
Dalia srl – 48e
Dama Restauri sas– g5,45
David Fantucci sas – g5,61
Di già srl – 18b
Edil Sarno snc – 20f
Edilcima srl -51e
Edilizia industrializzata Martini srl, 48 a
Ediluco sas– g5,49
Edilvami srl -53e
Elettrotecnica Valdisieve spa -84a
Elite San Domenico srl – 23f
Elto srl – 40 a
Emporium srl -41 a
Erika Edizioni snc– g5,53
Erta Canina srl – 54e
Essecarta srl – g5,57
Ferramenta Delfino srl– g5,46
Free Time – Nencioli -56 a
Future srl -23b
Gaia srl – 44 a
Galli Mario – 60e
Gea Ferroviaria srl – 27f
Gli Argini srl– g5,5
Grimaldi srl – 66e
High Taste srl -10d
Ifd sas – g5,77
Il Gabbiano srl– g5,65
Illario Pagliai srl – g5, 108
Immobiliare Corti – 16f
Immobiliare Fantacci -20b
Immobiliare Lecconi -14f
Immobiliare Messina – 35f
Immobiliare Montebuoni srl – 38f
Immobiliare Vari Giorgio – g5,171
Industria Laterizi Plp srl – 58 a
Ingrolat sas – 73e
Innocenti Alba – g5,79
Intermedical srl – 20c
Ips spa
Isocinesi 1 – 75e
La Biscondola sas– g5,14
Landi Livio – 77e
Libertas Etruriae srl – g5,85
Lu-Se snc -85e
Madco srl – g5,88
Maglieria Cosetta sas – g5,29
Maneggio srl – 47 a
Maria Grazia Gori -46 a
Martoccia Giuseppe – g5,98
Massimo e Luca snc – g5,100
Master Group srl – g5,101
Meali Acciai srl
Melchiran srl -90e
Mexital srl – 25b
Monti Sandra – 52 a
Nencioli Roberto (Free Time)– g5,105
Neon Lamp sas -92e
Noferini Rudi – 96e
Opern Informatica snc – g5,106
Orcagna Costruzioni – 100e
Orsini srl – 112e
Paganelli eredi -46 a
Panami srl – 116e
Pancani Massimo – g5,113
Par snc – g5,115
Pelletterie Terzani – 37b
Pigreco System snc – 119e
Pima snc – g5,117
Pratella srl -12d
Prefabbricati Plp -42f
Prefabbricati Toscani srl -125e
Prestige Poggetto Imm.srl, -g5 127
Previdenza Uno coop, – g5, 128
Prisma snc – 128e
Promoarno srl -28b
Pz sas – 30b
Quattro Emme srl – 131e
Ranfagni srl – 132e
Rassenno spa – 10c
Reflui Tech srl – 136e
Regnicoli Foresto -2j
Replay Spa -61 a
Resco srl – 138e
Riba di Li Pira Rosa sas srl
Rimaggio 3 srl – g5, 131
Risi Giuseppe snc – 142e
Ristorante Silvio snc – g5,133
Romar sas – g5, 134
Salumificio del Colle srl -67
San Giusto scarl -72a
Sangalli srl -161e
Saturno srl – 48f
Silt srl – g5,148
Sim & Fed – 28c
Siti spa – 168e
Siti srl (o silt?)-78 a
Sofiass srl – 170e
Sostegni Luciano -8h
Sostene Gori -46 a
Spagli Aldemaro – g5,151
Stigliano Sviluppo srl – g5,157
Sts-Servizio Turistico sociale -173e
Studio Moda sas -177e
Tecnoimpianti Mugello sas – g5,160
The Corner srl -36 a
Tomasi Chimica srl – g5,162
Toscana Factoring srl -16d
Toscopasta snc -82a
U.M. Portastampi srl – 123e
Verweyen snc – g5,175

Giudice, imprenditore e avvocati romani

 

PERUGIA (26 luglio) – Ci sono un giudice e due avvocati di Roma tra i cinque arrestati dai carabinieri per corruzione, concussione ed altri reati. L’inchiesta è svolta dalla sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di Perugia e della capitale.

In manette un ex imprenditore edile, sua moglie e i due figli, entrambi avvocati, tutti residenti a Roma: sono quattro dei cinque arrestati dai carabinieri al termine dell’operazione “Mattone d’oro” che ha portato anche all’arresto di un giudice. L’indagine – condotta dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura di Perugia – sarebbe scaturita da una denuncia dell’Avvocatura generale dello Stato su un contenzioso riguardante appalti tra il ministero della Difesa e la ditta dell’imprenditore arrestato.

Gli arrestati sono il giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma Giovanni Dionesalvi, l’imprenditore in pensione Giampaolo Mascia, la moglie Piera Balconi e i loro due figli, gli avvocati Vittorio e Giammarco.

L’ accusa contestata a vario titolo è associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Gli atti erano già stati vagliati dal procuratore di Roma, Giovanni Ferrara che poi li aveva trasmessi per competenza al capoluogo umbro. Secondo gli inquirenti la famiglia Mascia avrebbe promesso e dato “utilità” al giudice onorario del tribunale capitolino di in relazione alla gestione di alcune esecuzioni immobiliari affinchè fossero ritardate o quantomeno non eseguite.

«La condotta del giudice Giovanni Dionesalvi è stata sempre, tecnicamente, corretta ed in linea con quanto imposto dal codice di procedura civile». Così l’avvocato Remo Pannain, difensore del giudice onorario della IV sezione bis civile del tribunale di Roma.

Falsificando gli atti, chiedevano denaro dal ministero della Difesa per presunte «riserve» (in realtà inesistenti) relative ad alcuni lavori edili eseguiti dall’imprenditore edile, sardo ma residente a Roma, in strutture militari della Sardegna fra gli anni ’80 e ’90..

Dal gennaio scorso ad oggi, gli investigatori hanno quantificato un giro d’affari di un milione di euro. L’attività andava avanti da anni. Gli inquirenti sono alle prese con decine di migliaia di documenti da analizzare (per trasportare una parte di questo materiale da Roma a Perugia è stato necessario un furgone).

Ieri si sono svolti gli interrogatori di garanzia per le cinque persone arrestate giovedì scorso, con la collaborazione dei carabinieri della stazione di Porto Cervo (Sassari). Dopo la convalida degli arresti, per tutti è stata confermata la custodia in carcere. Il giudice e uno degli avvocati, arrestati a Roma, si trovano nel carcere di Capanne, a Perugia. Gli altri tre sono stati arrestati in Sardegna: la donna è rinchiusa nel carcere di Sassari, l’imprenditore e l’altro suo figlio avvocato sono nel carcere di Tempio Pausania.

Il giudice avrebbe ottenuto anche l’esecuzione di lavori edili gratuiti nella sua villetta a Porto Cervo, in cambio della sua partecipazione alla presunta associazione a delinquere. È quanto hanno potuto accertare gli investigatori, che stanno ancora svolgendo indagini anche per valutare altri eventuali vantaggi ottenuti dal giudice.

La ditta edile di Mascia negli anni ’80 e ’90 aveva eseguito lavori in strutture militari in Sardegna e, dopo circa 15-20 anni, aveva cominciato a presentare ricorsi (135 in tutto) alla magistratura civile per ottenere denaro dal ministero, facendo risultare (falsificando gli atti) l’esistenza di riserve legate a quei lavori. In molti casi i ricorsi erano stati trattati dallo stesso giudice arrestato, che aveva emesso i relativi decreti ingiuntivi alla Banca d’Italia, dando la possibilità all’imprenditore di riscuotere il denaro. In altri casi il giudice avrebbe tentato di parlare con i suoi colleghi per agevolare le pratiche.

da ilmessaggero.it

Otto anni per scrivere una sentenza, i boss liberi

 

di Francesco Viviano
(Giornalista)

Due mafiosi condannati otto anni fa a 24 anni di reclusione ciascuno, la moglie del boss Piddu Madonia condannata a 8 anni di reclusione e altri quattro favoreggiatori di Cosa nostra condannati a pene minori, sono liberi da 6 anni perché il giudice che emise la sentenza, Edi Pinatto non ne ha ancora scritto le motivazioni.

È un record, s’intende negativo, della giustizia italiana che ancora oggi rimane tale e che fa gridare allo scandalo il sindaco di Gela, Rosario Crocetta, che si è rivolto al ministero della Giustizia: «Non si può – dice – consentire che in uno Stato democratico basato sul diritto, lo Stato condanni ed un magistrato, a distanza di quasi otto anni non depositi una sentenza per cui un intero clan mafioso è in libertà e gira tranquillo per la mia città».

Edi Pinatto, 42 anni, da sette, da quando ha lasciato Gela, è pubblico ministero alla procura di Milano. La sua stanza è al quinto piano, la numero 512 e lui è quasi sempre presente, non si è mai assentato eppure, nonostante siano trascorsi esattamente 7 anni, 8 mesi e 18 giorni, non è riuscito a scrivere le motivazioni di quella condanna.

«Perché vuole sapere di questa sentenza? Io non posso parlare di cose di lavoro con i giornalisti», è la sua prima reazione.

E quando obiettiamo che non si tratta di rivelare segreti relativi ad inchieste in corso e che chiediamo di sapere perché tanto ritardo, Pinatto abbassa il volume della radio che trasmette brani di musica jazz e risponde serafico: «Guardi, io non posso proprio dire nulla, se vuole ne parliamo dopo, quando finirò di scrivere la sentenza».

Ma intanto sa che quei due mafiosi condannati, così come la moglie del boss Piddu Madonia, sono liberi?

«Sì lo so, ma non è la prima volta, non sono il solo a metterci tanto tempo. Le scriverò fra alcuni mesi, appena smaltirò questi fascicoli che lei vede sul mio tavolo, e solo allora potremmo parlarne. Adesso mi lasci lavorare».

La storia di questo processo, uno dei più lunghi della storia giudiziaria italiana, comincia nel dicembre del 1998, quando i carabinieri del Ros arrestano una cinquantina di mafiosi in tutta la Sicilia, tutti favoreggiatori e uomini di Bernardo Provenzano.

Tra questi Giuseppe Lombardo, Carmelo Barbieri, Maria Stella Madonia e Giovanna Santoro, rispettivamente sorella e moglie del boss della Cupola, Piddu Madonia da anni in carcere dove sta scontando una serie di ergastoli.

Il troncone nisseno, per competenza, passa al tribunale di Gela ed Edi Pinatto presiede la sezione che processerà i quattro imputati eccellenti, considerati esponenti di primo piano di Cosa nostra.

Il 22 maggio del 2000, in tempi brevissimi, arriva la sentenza di primo grado. Edi Pinatto condanna Lombardo e Barbieri a 24 anni di reclusione ciascuno, Maria Stella Madonia a 10, Giovanna Santoro ad 8 ed altri a pene minori.

Il magistrato avrebbe dovuto pubblicare i motivi della sentenza tre mesi dopo il pronunciamento.
Non lo ha ancora fatto.

Così nel 2002 tutti i condannati sono stati scarcerati per scadenza dei termini di custodia cautelare.

Pinatto nel frattempo aveva ottenuto il trasferimento dal Tribunale di Gela alla procura di Milano dove attualmente lavora.

Ma anche a Milano Edi Pinatto si è fatto la fama di «giudice lento» tanto da essere stato sollecitato dal capo del suo ufficio che gli ha contestato, per iscritto, il suo «basso rendimento» nelle inchieste milanesi di cui è titolare.

Il presidente del Tribunale di Gela, Raimondo Genco ha segnalato da tempo la vicenda della sentenza fantasma al Csm ed al ministero della Giustizia.

Convocato dal Csm nel giugno del 2004, Pinatto tentò di giustificarsi in qualche modo: «È certamente un caso scandaloso – ammise – ma non è il solo, ve ne sono altri».

In quell’occasione Pinatto venne “condannato” dal Csm a due anni di perdita di anzianità.

Ma delle motivazioni, anche in seguito, nessuna traccia.

Due anni dopo venne nuovamente convocato per lo stesso motivo. «La pervicacia dell´omissione dell´incolpato – disse il rappresentante dell’accusa al Csm – è anche denegata giustizia» e una «stasi incredibile».

L´accusa chiese alla sezione disciplinare del Csm di erogare la massima sanzione prima della rimozione, ma Pinatto se la cavò con altri due mesi di perdita di anzianità.

Tutti i suoi colleghi pensavano che avrebbe provveduto, invece tutto è fermo, come otto anni fa.

E i mafiosi? «Stanno qua, girano tranquilli per la città e – dice un investigatore di Gela – continuano a fare i mafiosi».

da La Repubblica

La storia di Angela L.: quando il giudice ti ruba la figlia

 

Di Matteo Spina

 
Questa è una storia tanto vera quanto drammatica. È l’odissea, durata dieci anni, di una famiglia che si vede strappare la figlia dalla malagiustizia. È soprattutto l’orrore di una bambina di 7 anni che viene prelevata da scuola da due carabinieri e per i successivi 120 mesi non vede più i genitori e il fratello. Per colpa di un’ingiustizia abnorme è costretta a vivere prima nei centri di affido temporaneo e poi in una famiglia adottiva alla quale non riesce né ad adattarsi né ad affezionarsi.
Una vicenda disperante, anche perché potrebbe capitare a chiunque. Ha origine da una falsa accusa di pedofilia, rivolta nel 1995 al padre della bambina, che si rivela inconsistente durante il processo che ne segue, quando ormai la bambina è stata presa in consegna dal tribunale dei minorenni e la sua esistenza corre lungo un binario implacabile, separato da quello dei genitori. Fu Panorama, nel maggio 2001, a rivelare la storia di Angela L. e della sua famiglia, vittime a Milano di questa ingiustizia senza fine. Panorama seguì il caso, cercando di far tornare al più presto Angela a casa. Da suo padre Salvatore, che era stato assolto in appello e in Cassazione (con tante scuse) dopo 2 anni e più trascorsi in carcere da innocente; da sua madre Raffaella, che non era mai stata nemmeno sfiorata dall’indagine, ma che non poteva più vedere la figlia solo perché aveva avuto il difetto di difendere il marito di cui conosceva bene l’assenza di colpa; da suo fratello Francesco, di poco più grande di Angela, che era rimasto con la madre e da lei era stato amorevolmente cresciuto malgrado infinite difficoltà.
Allora ogni sforzo era stato inutile. Pareva che il tribunale dei minorenni non volesse riconoscere l’errore nonostante la Cassazione. A dire dei giudici, la famiglia di Angela non era degna di riaverla perché suo padre e sua madre mostravano “inadeguata capacità genitoriale”: un giudizio crudele e inverosimile, visto quanto la coppia aveva lottato e sofferto per lei. Ma Salvatore e Raffaella non si sono mai arresi e nell’estate 2006, dopo lunghe ricerche, hanno ritrovato Angela, ormai diciassettenne, su una spiaggia di Alassio, in Liguria. Poi per altri 9 mesi l’hanno seguita da lontano, incerti sul da farsi e preoccupati di non aggiungere turbamenti ai traumi che la figlia aveva già subito. Infine la voce del sangue ha prevalso: “Non potevamo restare ancora lontani” dice la madre. Sono bastati pochi incontri clandestini, pochi abbracci. Ora da più di un anno Angela L. è tornata a casa, anche se a causa dell’adozione ha un cognome diverso dal suo e anche se dentro di sé porta ancora mille ombre. Ma ha deciso di raccontare tutta la sua storia in un libro: Rapita dalla giustizia (Rizzoli, 210 pagine, 18,50 euro), cui hanno collaborato Caterina Guarneri, giornalista di Chi, e Maurizio Tortorella, condirettore di Economy, per anni inviato speciale di Panorama. Così la vicenda di Angela L. si trasforma adesso in un atto d’accusa: per le tante vessazioni sopportate nella sua vita da “orfana per decreto”, per le tante ingiustizie vissute. E per quell’infanzia che le è stata rubata.

 

L'OSCURO SUICIDIO DELL'AVV. CORSO BOVIO E E LA MAGISTROPOLI PIEMONTESE

Libero Corso Bovio, uno dei più noti legali italiani, già difensore della Fiat e di altrettanto noti tangentisti si sarebbe suicidato il 9 luglio 2007 all’interno del suo studio, sparandosi un colpo in bocca, a pochi passi dal Palazzaccio di Giustizia di Milano.  

Il condizionale è d’obbligo, in considerazione degli oscuri retroscena non chiariti dai P.M. di Milano e dei tanti segreti custoditi dall’influente legale piemontese, già al centro di importanti processi e difese, sin dai tempi della prima tangentopoli.

Era appena tornato da un viaggio di lavoro a Prato, dove si era recato per una causa. Prima del fatale gesto aveva consegnato a un suo collaboratore una busta indirizzata alla moglie. E’ quanto è stato possibile ricostruire dalla parole del presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Paolo Giuggioli, giunto negli uffici di Bovio. Ad avvertire i carabinieri, intorno alle 14.15, è stata la centrale del 118, che avvertiva che in uno studio legale in via Podgora numero 13 a Milano si era verificato un suicidio. Sotto lo studio si è radunata una folla di avvocati, giornalisti e anche magistrati, che si dicono tutti sgomenti per la morte di Corso Bovio. Se nessuno si aspettasse veramente un gesto come questo è difficile dirlo. Di certo è che l’avv. Libero Corso Bovio a Prato, aveva difeso Annibale Viscomi. Il commercialista, insieme all’imprenditore Francesco Franceschini, era finito sotto processo con l’accusa di aver corrotto Mario Conzo, ex giudice fallimentare di Prato, nella vicenda del fallimento del mobilificio Aiazzone. Viscomi è stato condannato a due anni, mentre Franceschini è stato assolto. All’inizio dell’udienza Bovio ha chiesto di parlare per primo e, poco dopo le 9.30, ha svolto la sua arringa a favore di Viscomi, chiedendone l’assoluzione. Poi, insieme a un suo collaboratore, ha lasciato il palazzo di giustizia di Prato e in macchina si è diretto verso Milano.  

Fra i 40 e i 50 milioni di lire. Tale sarebbe stata la richiesta di Mario Conzo, ex presidente del tribunale di Biella, per favorire una transazione proposta da Francesco Franceschini, fondatore dell’ omonimo Euromercato di Calenzano, nel fallimento del mobilificio Piemonte, già Aiazzone, di cui nel ’97 aveva acquisito il marchio. La circostanza è emersa nel corso dell’interrogatorio del commercialista di Prato Annibale Viscomi, arrestato per corruzione in atti giudiziari insieme con Francesco Franceschini, di cui era consulente nella vertenza Aiazzone. L’inchiesta è stata condotta dai Pm milanesi Corrado Carnevali e Maurizio Romanelli, competenti nelle indagini sui magistrati in servizio in Piemonte.

Incastrato dalla moglie tradita, che il 28 marzo 2003 spifferò ai magistrati della procura di Biella la storia della tangente, il giudice Conzo, che nel settembre 2002 era andato prudentemente in pensione [come di norma viene consentito dal C.S.M. ai magistrati in odore di corruzione], ha ammesso di aver incassato da Viscomi il 3 gennaio 2002 l’equivalente in euro di 30 milioni, negando però di aver favorito Franceschini nella vertenza Aiazzone. Annibale Viscomi, interrogato dal Gip Andrea Pellegrino, ha fornito la sua versione dei fatti. Il giudice Conzo, che prima di arrivare a Biella nel ’95 era stato giudice fallimentare a Prato, andò a ritirare la bustarella il 3 gennaio 2002 nello studio pratese di Viscomi. «Nello studio ci sarà stato al massimo 10 secondi, giusto il tempo di prendere i soldi», ha ricordato il commercialista. «Gli ho dato 30 milioni e gli ho spiegato che era il massimo che gli potevo dare. E lui mi ha detto che me li avrebbe restituiti». Viscomi esclude di aver promesso un’ulteriore tranche di denaro e sostiene di aver tirato fuori i soldi «dal suo portafoglio». Franceschini, di cui era consulente per il fallimento, non gli chiese mai di avvicinare il giudice. Fu un’idea sua. Una fesseria. Viscomi si è dato dell’«ingenuo». Aveva già avuto problemi con Conzo quando era giudice a Prato. Non avrebbe più dovuto riprendere i contatti con lui. L’avvocato Gaetano Berni, che assiste Viscomi insieme con il collega milanese Corso Bovio, ha dichiarato che sarebbero state estrapolate e rese pubbliche solo alcune parti dell’interrogatorio, ma non ha voluto fornire ulteriori chiarimenti per non violare il segreto investigativo. Quanto a Francesco Franceschini, che probabilmente ora starà maledicendo la decisione di acquisire il marchio Aiazzone che gli ha procurato solo una montagna di guai, ha respinto le accuse, ha spiegato che si era rivolto a Viscomi solo per una consulenza e ha detto: «Non so perché avrebbe dovuto pagare il giudice».

L’inchiesta sull’ ex presidente Conzo include anche un altro tentativo di corruzione, proveniente da una persona vicina alla signora Rosella Piana, vedova Aiazzone. L’ uomo, buon conoscente di Conzo, andò dal magistrato a sollecitare lo sblocco dei capitali della signora Aiazzone, che in tal modo avrebbe potuto acquistare l’esclusiva per la vendita di cinture con fibbie di oro zecchino, platino e diamanti su 300 navi passeggeri della Costa e Festival. Il giudice ci avrebbe guadagnato un vitalizio non inferiore ai 4 milioni di lire al mese. Ma l’offerta pare fu respinta…

Ma chi erano gli altri più influenti clienti dell’avv. Libero Corso Bovio?

Certamente non le due rumene, che aveva assistito a scopo umanitario. I veri clienti dell’avvocato Bovio appartengono a ben altre classi, tanto più che la sua specializzazione erano i reati societari, ambientali, fallimentari e contro la pubblica amministrazione. Ecco dunque una serie di nomi eccellenti: Marcello Dell’Utri, pupillo dell’Opus Dei, che nonostante le condanne definitive e non, per false fatture e frode fiscale, tentata estorsione, concorso esterno in associazione mafiosa, siede rieletto in Senato; Stefano Ricucci, uno dei furbetti del quarterino; l’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia; gli attori interessati alla scalata dell’Antonveneta; la Impregilo, uno dei colossi Fiat per le costruzioni, legalmente appartenente a Piergiorgio e Paolo Romiti. Già, la Impregilo, Corso Bovio era andato personalmente due volte a Napoli in una settimana, aveva consegnato una memoria difensiva di duecentotrenta pagine per difendere l’operato della Impregilo dall’accusa di presunta truffa ai danni della Regione Campania; la società aveva in appalto lo smaltimento dei rifiuti della Campania, gara che aveva vinto nel 1999 contro l’offerta dell’Enel. Secondo le decisioni dei giudici napoletani Impregilo non potrà partecipare a gare pubbliche sui rifiuti per un anno; l’impresa sarebbe colpevole dell’emergenza rifiuti in Campania in quanto viene accusata di aver saputo da sempre che gli impianti non avrebbero mai funzionato. Alla società sono contestati illeciti penali per truffa, frode in pubbliche forniture ed è stato disposto un sequestro per 750 milioni di euro, intanto gli abitanti della Campania vivono in una discarica a cielo aperto. Coinvolti sono anche coloro che avrebbero dovuto vigilare e non l’hanno fatto, tra cui in primis il presidente della Regione Antonio Bassolino in qualità fino al 2004, di commissario straordinario per l’emergenza rifiuti. Il presidente della Commissione Ambiente del Senato, Tommaso Sodano, riferendosi all’Impregilo da anni denuncia “la condotta volontariamente colpevole di questa società”, Pecoraro Scanio rincalza dicendo che non si poteva mettere nelle mani di una sola azienda tutto il ciclo di smaltimento e di gestione dei rifiuti della Campania.

Certo queste cause sono delle vere e proprie patate bollenti per gli avvocati, anche per quelli bravi come Bovio, eppure non c’è motivo di non credere alla moglie Rita Percile quando pochi istanti dopo la disgrazia ha asserito che il suicidio del marito non poteva essere messo in relazione alle cause che stava trattando. Sicuramente la signora Percile, che non ha voluto farsi riprendere dalle telecamere mentre rilasciava queste dichiarazioni è in grado di valutare meglio di noi ogni elemento non solo per la vicinanza al marito, ma anche per le sue competenze, essendo essa stessa avvocato penalista, e lavorando inoltre in uno studio come quello dell’avvocato Ignazio La Russa. Nell’ambito della famiglia non tutti però la pensano come lei. La zia dell’avvocato, signora Gianna, è convinta del contrario, che le cause della morte possono essere legate proprio al lavoro del nipote, l’aveva visto preoccupato nel gennaio scorso tanto che gli aveva chiesto – chi mai può avercela con te? – e lui le aveva risposto: “c’è sempre qualcuno che ti vuole male”. Ricorda inoltre la signora che il nipote pur non soffrendo di cuore si sottoponeva a regolari controlli cardiologici dopo la morte del padre per infarto, era quindi una persona che aveva cura della propria salute. La signora si sofferma sulla generosità e sulla bontà del nipote; certo è difficile immaginare che un uomo così attento ed equilibrato non abbia valutato il dolore che la sua morte per di più così drammatica avrebbe arrecato alla madre, alla zia, alla sorella, alla nipote, alla moglie, agli amici, ragion per cui la contropartita doveva essere veramente alta. Anche in caso di depressione per arrivare a fare il gesto estremo che va contro ogni naturale istinto di sopravvivenza, questa dovrebbe essere così profonda che un segnale, se pur minimo, qualcuno dei più stretti collaboratori avrebbe dovuto coglierlo.

Ma i fatti rimangono, e il nove luglio, alle ore quattordici, chiuso nel suo studio di via Podgora n.13, l’avvocato cinquantanovenne Libero Corso Bovio viene trovato sdraiato sul pavimento del suo studio “suicidato” con una pistola sparato in bocca. All’arrivo della polizia si cercano, inutilmente, le chiavi della cassaforte, è necessario chiamare un fabbro per aprirla, dentro ci sono alcune pistole, tutte regolarmente denunciate come la Magnum 357; si apre la lettera per la moglie, ma non è una lettera d’addio, non ci sono spiegazioni, c’è solo del denaro, 14.000 euro e qualche oggetto personale. Tutti quelli che lo conoscevano, secondo le testimonianze raccolte dai giornali, restano increduli, ricordando l’umorismo, l’ironia, la compostezza, gli innumerevoli interessi, l’amore per il lavoro e il carattere vincente dell’avvocato Bovio.

Tutti ritengono assolutamente assurdo l’accaduto. Anche l’autopsia non ha evidenziato alcuna patologia e malattia grave. C’è chi addirittura afferma pubblicamente che Corso Bovio fu fatto ammazzare. E, “l’ordine sarebbe stato di Silvio Berlusconi“. Secondo Pietro Terenzio del Rotary milanese: “Egli era avvocato di Paolo Berlusconi, e i due avevano litigato furiosamente, sia in Loggia coperta a Milano che nel suo, di studio, giusto 6 mesi prima del tragico epilogo”. Pare che Corso Bovio minacciasse di far sapere di soldi riciclati alla mafia da parte di Paolo Berlusconi stesso, “me lo han detto”, riferisce, sempre, Terenzio, “sia al Rotary di C.so Porta Venezia a Milano che presso la Gran Loggia Italiana Massonica del, praticamente, nuovo Licio Gelli italiano, Giuseppe Sabato, mio ex Gran Maestro e non per niente dipendente Berlusconianissimo in Banca Esperia”. “Ora tirerò fuori tutti gli scheletri dall’armadio di Silvio Berlusconi che conosco benissimo, essendo stato mio ex socio in Roma Vetus”, conclude Terenzio.  http://www.girodivite.it/Il-giallo-della-morte-dell.html

Non conosciamo quale consistenza possano avere i sospetti della famiglia e del rotariano Terenzio ma è certo che la magistratura milanese (e non solo) ha sempre affossato ogni indagine sulle attività illecite delle logge massoniche.

http://www.lanazione.it/prato/2007/07/09/23354-appena_tornato_viaggio_prato.shtml
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/10/07/viscomi-ammette-la-mazzetta-cosi-detti-il.html

Perchè pecorella infanga Don Peppe Diana?

 

 di Roberto Saviano

Mi è capitato nella vita di fare pochissimi giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la memoria di chi nella mia terra è morto per combattere i clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana il giorno in cui alcuni cronisti locali, alcuni politici e diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione pubblica iniziarono un lento e subdolo tentativo di delegittimarlo.

Il venticello classico di certe parti d’Italia che calunnia ogni cosa che la smaschera; il tentativo di salvare se stessi dalla scottante domanda “perché io non ho mai detto o fatto niente?”. Ho letto in questi giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente della commissione giustizia, difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De Falco, poi condannato come mandante dell’omicidio di Don Peppe Diana. Mi ha colpito e ferito sentire alcune dichiarazioni dell’Onorevole Pecorella in merito all’assassinio di Don Peppe Diana. In una intervista al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21, Pecorella dichiara: “Io dico che tra i moventi indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso perché si volevano deviare le indagini che erano in corso su un altro gruppo criminale. E altri hanno riferito anche il fatto che conservasse le armi del clan. Nessuno ha mai detto perché è avvenuto questo omicidio, visto che non c’erano precedenti per ricostruire i fatti. Se uno conosce le carte del processo, conosce che ci sono indicate da diverse fonti, diversi moventi”.

Proprio leggendo le carte si evince chiaramente che non è così, Onorevole Pecorella. Perché dice questo? È vero esattamente il contrario. Dalle carte del processo emerge invece che è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte di Cassazione del 4 marzo 2004 conferma che Don Peppe è stato ucciso per il suo impegno antimafia e per nessun’altra ragione. Che De Falco (di cui lei, Onorevole, ha assunto la difesa) ha ordinato l’uccisione di Don Peppe per dimostrare, uccidendo un nemico in tonaca, un nemico senza armi, che il suo gruppo era più forte e coraggioso di quello di Sandokan. E anche per deviare la pressione dello Stato proprio sul clan Schiavone. Quelli che lei definisce più volte “moventi indicati” furono, come dimostrano le sentenze, delle calunnie che alcuni camorristi portarono per lungo tempo in sede processuale per discolparsi. Calunnie nate dal fatto che persino loro cercavano di lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del sangue innocente che avevano versato. Ne avevano vergogna. Questo è quel che dicono gli iter conclusi della giustizia italiana. Ed è per questo che la risposta che l’Onorevole Pecorella ha dato appena qualche giorno fa alla domanda se Don Diana, a suo avviso, non fosse stato ucciso per il suo impegno contro i clan lascia basiti.

L’onorevole dice: “Io non ho avvisi. Io riporto quello che è emerso nel processo e nulla più. Ci sono diversi moventi, c’è anche quello, che all’inizio non era emerso, che faceva attività anticamorra. Per la verità nel processo non è venuto fuori molto chiaro neanche questo come movente. È inutile che costruiamo delle fantasie sulle ipotesi. Quella dell’impegno anticamorra è tra le ipotesi. Ma nel processo non è emerso in modo clamoroso, non è mai venuta fuori un’attività di trascinamento, di gente in piazza. Non è che c’erano state manifestazioni pubbliche, documenti. Qualcuno ha detto anche questa ragione. Come vede ci sono tanti moventi. Certamente è stato ucciso dalla camorra. Chi viene ucciso dalla camorra è una vittima della camorra. Ora se è un martire bisogna capirlo dal movente che non è stato chiarito”.

È stato chiarito. Lo Stato Italiano considera Don Peppe un martire della battaglia antimafia, migliaia di persone hanno sfilato in sua difesa. E i documenti che non ci sarebbero, ci sono eccome. Hanno non solo un nome, ma anche un titolo: “Per amore del mio popolo non tacerò”. È il documento stilato da Don Peppe insieme ad altri preti della forania di Casal di Principe in cui viene annunciata una battaglia pacifica, ma priva di compromessi alle logiche dei clan, al loro predominio, alla loro mentalità, alla loro cultura, alla loro falsa aderenza alla fede cristiana. Persino Papa Giovanni Paolo II, dopo la morte di Don Peppino Diana, pronunciò nell’Angelus: “Voglia il signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro […] produca frutti [..]di solidarietà e di pace”. Per Giovanni Paolo non ci furono dubbi, fu un martire. Per Lei, Onorevole Pecorella, invece ce ne sono. Perché, mi chiedo?

Le chiedo inoltre se considera legittimo rivestire il ruolo di Presidente della Commissione Giustizia del Parlamento Italiano e portare avanti la difesa del boss Nunzio De Falco? Lei immagino mi risponderà di sì, che anche il peggiore dei presunti criminali, ne ha il diritto. Ma questo principio di garanzia vale soltanto fino al verdetto finale. Tale verdetto di colpevolezza del suo mandante è stato emesso e confermato. Quindi la prego di non diffondere falsi dubbi sulla condanna a morte di Don Diana. Chi ha ucciso Don Peppe Diana è uno dei clan più potenti e feroci d’Italia che ha ancora due latitanti, Iovine e Zagaria, liberi di investire, costruire, e portare avanti i loro affari.

Oggi, Onorevole Pecorella, lei è presidente della commissione d’inchiesta sui rifiuti, e i Casalesi, come saprà, sono i maggiori affaristi nel traffico di rifiuti tossici e legali. Loro quindi dovrebbero essere i suoi maggiori nemici anche se in passato ha difeso in sedi processuali i loro capi. La prego di avere rispetto per Don Peppe e non dare nuovamente credito a calunnie che negli anni passati killer e mandanti hanno cercato di riversare su una loro vittima innocente. Questa mia domanda non è questione di destra o di sinistra. La legalità è la premessa del dibattito politico, o almeno dovrebbe esserlo. La premessa e non il risultato. Quando iniziai a trascrivere delle parole che Don Peppe aveva detto nel Casertano ho ricevuto lettere commosse da molti lettori conservatori, da cattolici di Comunione e Liberazione sino ai ragazzi della Comunità di Sant’Egidio, dalla comunità ebraica romana e da tante altre.

La battaglia alle organizzazioni criminali, l’ho vista fare da persone di ogni estrazione politica e sociale. Ho visto, quando ero bambino, manifestazioni nei paesi assediati dalla camorra in cui sfilavano insieme militanti missini, democristiani, comunisti e repubblicani. L’onestà non ha colore, spesso così come non ne ha l’illegalità. Per questo, il mio non è un appello che possa essere ascritto a una parte politica. Non permetterò mai a nessuno, e come dicevo me lo sono giurato, che la memoria di Don Peppe sia oltraggiata da accuse false, demolite dai Tribunali, che ebbero il solo scopo di screditare le sue parole, emettendo nel silenzio il ronzio malefico “quello che dice non è vero”. Questo non lo permetterò. Lei mi dirà che questa mia è una battaglia troppo personale. Io le ribadirei che, sì, lo è, è vero. Tutto ciò che riguarda la mia terra, ormai riguarda la mia vita stessa e quindi non può che essere personale. Difendere la memoria di Don Peppe Diana è una questione personale anche per un’altra ragione: è una questione di onore. Onore è una parola che spesso hanno abusivamente monopolizzato le cosche facendola diventare sinonimo del loro codice mafioso. Ma è il tempo di sottrarla alle loro grammatiche. Onore è il sentire violata la propria dignità umana dinanzi a un’ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi, è agire per difendere ciò che merita di essere difeso. E io l’onore, l’ho imparato qui a Sud. Per meglio spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: “Tu non puoi capirlo dovresti esserci nato. In realtà essere del Sud è una cosa complessa. Comporta un’eredità di grandezza e di miseria, di conflitti interiori e di fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il senso aristocratico dell’onore e dell’orgoglio”. Mi piacerebbe poter mettere una parola definitiva su questo. Su quanto accaduto a don Peppe. Permettere di farlo riposare in pace. Riposare in pace significa non chiamarlo in causa laddove non può difendersi. A volte, come accade a molti miei compaesani per cui conserva il suo valore, mi viene di rivolgermi a lui. Don Peppe se è vero che tu hai visto la fine della guerra, perché, come dice Platone, solo i morti hanno visto la fine della guerra, sta a noi vivi il compito di continuare a combatterla. E non ci daremo pace.

da repubblica.it

A proposito del concorso in magistratura di Rho

Ho molto apprezzato il vostro articolo sul concorso a 500 posti per magistrato ordinario. Sono uno dei partecipanti e da quasi 2 anni invio mail a giornali, ma nessuno vuol dare risalto a quanto accaduto a milano. Dovete sapere che noi abbiamo fatto l’accesso agli atti ed abbiamo scoperto che i temi idonei sono fatti malissimo. C’è gente che parla di cose che non c’entrano nulla con la traccia. ad. esempio nel tema di amministrativo c’è un vincitore che ha parlato di pubblico impiego, fra l’altro concludendo che in materia di pubblico impiego vi è la giurisdizione di merito del Tar. a parte il fatto che non c’entra niente con la traccia che chiedeva dei contratti di servizio, ma comunque è un errore tremendo anche se la traccia fosse stata sul pubblico impiego. Sono pieni di errori e segni di riconoscimento palesissimi. c’è uno che nel tema di amministrativo si mette a parlare di patteggiamento!!! Dateci una mano perchè è assurdo che la cosa finisca così… io ho studiato 8 anni esclusivamente per questo concorso. ho preso 12 a civile e 15 a penale, ma non mi hanno promosso il tema di amministrativo che era fatto molto meglio di quello di quasi tutti gli idonei. Aiutateci in questa battaglia…
grazie

Fernando Gallone