Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 20

Malasanità e malagiustizia. Chi le denuncia viene punito!

Un giornalista di Panorama vestito da medico si era infiltrato nei reparti dell’ospedale di Isernia per dimostrare il degrado che regnava in corsia. Ora a quasi due mesi di distanza qual è stato il provvedimento dei responsabili sanitari dopo la clamorosa inchiesta-denuncia? Il licenziamento di un primario. Meglio di niente, si dirà. Però il medico in questione, Cristiano Huscher, non è stato cacciato perché ritenuto responsabile del degrado, ma perché sospettato di aver aiutato il giornalista a documentare quel degrado. “La commissione di inchiesta interna ha ritenuto che sia stata raggiunta la prova, con ogni ragionevole certezza, che il giornalista di Panorama, qualificatosi come dottor Trimarchi, sia stato presentato da lei…”: così Huscher, primario di chirurgia dell’ospedale di Isernia, che respinge l’accusa e dice di essere stato raggirato dal cronista, è stato cacciato.

A quanto risulta nessun provvedimento è stato emesso nei confronti dei responsabili di altri reparti in cui il giornalista è entrato.
Ma, cosa ancor più incredibile, nessun provvedimento è stato indirizzato a medici e chirurghi che fumano all’interno dei blocchi operatori. Che non indossano guanti e mascherine durante gli interventi chirurgici. Che disattendono tutte le norme in materia di infezioni ospedaliere. Nulla di nulla.

Alla commissione di inchiesta dell’Asrem (Azienda Sanitaria Regionale del Molise) interessava scovare e colpire il presunto “traditore”. Per la salute dei malati c’è tempo.

http://blog.panorama.it/italia/2010/02/03/in-molise-licenziato-il-primario-aiuto-panorama-a-denunciare-il-degrado/

VERDINI, L'AQUEDOTTO, IL MOLISE

La Toscana e il Molise, la Banca di Credito Cooperativo Fiorentino di Campi Bisenzio e l’acquedotto milionario, le ipotesi di riciclaggio che pesano su Denis Verdini e l’associazione di imprese Btp. Nessun delirio di metà agosto. Solo una coincidenza.
 Il coordinatore del Pdl, Denis Verdini appunto, al centro di una bufera giudiziaria, avrebbe sostenuto fortemente il gruppo Btp dell’amico costruttore Riccardo Fusi.
Btp sta per Baldissini-Tognozzi-Pontello, il mega raggruppamento di imprese che ha partecipato alla gara d’appalto per la realizzazione dell’acquedotto molisano, quella gestita direttamente (con colpe gravi come hanno scritto i giudici del Consiglio di Stato) dalla Molise Acque e finita nel mirino prima della giustizia amministrativa e poi di quella penale. Anche se, sotto quest’ultimo profilo, non si muove foglia nonostante ci siano sei indagati (tutti i componenti della commissione che giudicò quegli appalti milionari, gli stessi che non avevano titoli e competenze come scrissero i giudici…) e nonostante l’allora procuratore della Repubblica, Mario Mercone, avesse fatto richiesta di incidente probatorio sugli atti dell’appalto. Fatto sta che il dottor Mercone è stato trasferito a Cassino e dell’intera questione non si è saputo più nulla. Silenzio.
Secondo i magistrati di Firenze, il Credito Cooperativo Fiorentino di Campi Bisenzio (la banca del coordinatore del Pdl, dicono gli inquirenti) avrebbe sostenuto la ‘spericolata attività imprenditoriale di Fusi’ – come scrive La Repubblica – in maniera poco prudente. Al punto che i dirigenti non avrebbero concesso alcun prestito alla Btp se non fosse intervenuto personalmente Verdini. Lo sostengono gli imprenditori di Bankitalia che hanno messo a soqquadro atti, documenti e quant’altro. I magistrati sospettano che fusi (patron della Btp) e Verdini siano soci occulti.
La Btp arrivò seconda nella gara per l’appalto milionario per l’affidamento dei lavori di costruzione dell’acquedotto molisano centrale. I progetti, come si ricorderà, furono esaminati da una commissione che non aveva i titoli per farlo e l’aggiudicazione fu firmata prima dell’udienza fissata dai giudici a seguito del ricorso avanzato proprio dalla Btp.
I giudici amministrativi hanno anche stabilito una sorta di ‘risarcimento’ per la Btp. Il 10% del valore della gara, sui 4 milioni di euro. Una somma importante a fronte delle stranezze che hanno caratterizzato la gestione dell’appalto milionario finita all’attenzione – per i profili di competenza – del Tar, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica. Nel frattempo alla guida dell’azienda speciale Molise Acque è stato nominato l’avvocato Stefano Sabatini.
Qualche mese fa, invece, il presidente del Cda dell’impresa di costruzioni Baldassini-Tognozzi-Pontello, Riccardo Fusi, indagato nell’inchiesta fiorentina sui grandi eventi, si è dimesso dalla carica. Fusi è accusato di corruzione e anche per associazione per delinquere aggravata dalla finalità mafiosa.
“In considerazione del particolare momento nel quale mi vengo a trovare – scrive Fusi in una lettera al cda della Btp – nell’interesse della società e di tutti i suoi addetti, ritengo doveroso rassegnare le mie dimissioni dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione, cosicchè l’azienda possa continuare ad operare serenamente e senza ombre come sempre fatto. Contemporaneamente – aggiunge Fusi – avrò la possibilità di tutelare con maggiore serenità la mia persona, certo di poter dimostrare la mia totale estraneità a tutti i fatti che mi vengono contestati”.
 Nell’inchiesta Fusi è indagato per corruzione con riferimento anche all’appalto per la scuola dei marescialli dei carabinieri, a Firenze. Nelle numerose telefonate intercettate, uno degli interlocutori di Fusi risulta essere il coordinatore del Pdl Denis Verdini, anch’egli indagato per corruzione con riferimento alla nomina di Fabio De Santis a provveditore alle opere pubbliche della Toscana.
Ma la Bpt entra prepotentemente anche nella regione Abruzzo con il consorzio «Federico II» nato proprio allo scopo di prendere appalti all’Aquila nel dopo-sisma, sotto gli auspici del coordinatore nazionale del Pdl Verdini. Lo stesso esponente nazionale del partito del premier ha ammesso, nell’interrogatorio davanti ai pm fiorentini, «di aver raccomandato» il presidente dell’impresa Btp, Fusi, «perché avesse qualche appalto in Abruzzo. Anche perché era in un momento in cui lavorava poco». Verdini ha parlato «delle difficoltà economiche della Btp» e del fatto che «se può aiutare un’impresa con 3mila dipendenti lo fa». Lo stesso esponente Pdl chiamò al telefono, il 17 giugno 2009, l’imprenditore Fusi indagato per corruzione, e gli passò il presidente della Regione Gianni Chiodi.
22 Agosto 2010
http://www.primapaginamolise.it/detail.php?news_ID=34727

Chi sono le aziende della ricostruzione? i poteri forti in Abruzzo.

I Poteri forti in Abruzzo

Chi sono le aziende della ricostruzione in Abruzzo?
E fra indagati e rapporti opachi, c’è anche un’ex azienda di Silvio e Paolo Berlusconi.

Negli appalti, in Abruzzo, qualcosa potrebbe essere andata storta. Per ora, l’attenzione della magistratura si è concentrata sul G8. Ma sono gli stessi appalti delle ricostruzione a meritare qualche considerazione in merito ai soggetti coinvolti: ci imbattiamo, infatti, in complicati intrecci, conflitti d’interesse, rapporti con ditte discutibili, imprenditori e dirigenti con disavventure giudiziarie.

 

Ad incuriosirci particolarmente è il progetto C.a.s.e: un acronimo che sta per complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili; 184 edifici complessivi, per un totale di circa 4.600 appartamenti, capaci di resistere a nuovi sismi, immersi nel verde. In pratica, la famosa new town.  Un progetto per una spesa totale di circa 710 milioni di euro. Secondo l’Ara, l’associazione per la ricostruzione dell’Aquila, troppi soldi spesi male. Per l’Ara, infatti, il costo al metro quadro del progetto Case è pari a 2.850 euro, contro un costo di costruzione medio di un palazzo a norma antisismica pari a €.1.100,00/1.300,00 mq.
Ma chi ha ricostruito l’Aquila? Sono 16 le ditte o consorzi che si sono aggiudicate l’appalto per la realizzazione dei 150 edifici del progetto Case. Si tratta solo di un primo livello di indagine perché le norme emergenziali varate dopo il sisma hanno dato la facoltà alle imprese capofila di convocare le ditte subappaltanti senza bando, in base ad un mero rapporto fiduciario; le nuove norme, inoltre,  hanno anche derogato alla legge 163 del 2006 del codice dei contratti pubblici, prevedendo che si potessero affidare in subappalto lavori fino al 50% della commessa.

Tra le aziende vincitrici, la ditta che si è aggiudicata il maggior numero di lotti, cinque, fa capo all’Associazione temporanea d’imprese (Ati) Maltauro/Taddei. Proprio la Taddei, abruzzese, ha subappaltato alcuni lavori di ricostruzione all’Impresa Generale Costruzioni srl di Gela, che era già stata oggetto di quattro segnalazioni della Direzione Investigativa Antimafia che la individuavano come referente del clan mafioso dei Rinzivillo di Gela.
Anche nel passato della vicentina Maltauro, intanto, compaiono macchie legate all’aver operato in territori piagati dalla mafia edile. La Maltauro fu indagata per presunte tangenti a politici e funzionari per l’aggiudicazione della gara d’appalto per la realizzazione, alla fine degli anni ’80, del 1° e 3° lotto dei capannoni della zona artigianale di Villafranca, Messina.

Enrico e Giuseppe Maltauro furono anche sotto inchiesta per le tangenti all’ex ministro socialista De Michelis per i lavori del raccordo autostradale con l’aeroporto Marco Polo di Venezia e per l’ampliamento della terza corsia della Venezia-Padova. Giuseppe Maltauro, d’altronde, nel “Veneto bianco”, era uomo vicino al cinque volte Presidente del Consiglio Mariano Rumor e alle gerarchie ecclesiastiche. La Maltauro, una volta chiusa la stagione di Mani Pulite, è diventata una degli attori di maggiore peso, in Italia, soprattutto nelle commesse militari: ha già lavorato a Sigonella, La Maddalena ed Aviano.
Grazie all’ottimo rapporto Berlusconi- Gheddafi, ha anche recentemente sottoscritto una joint-venture con la compagnia aeronautica di Stato libica, Finmeccanica e AgustaWestland; oltre ad aver vinto un bando per  la realizzazione ad Abou-Aisha, nelle vicinanze dell’aeroporto di Tripoli, di un centro-assemblaggio per gli elicotteri da guerra A109 Power.

Un’altra ditta vincitrice di Case è la Raffaello Pellegrini Costruzioni, diretta, fra l’altro, dal presidente dell’associazione costruttori di Sardegna Maurizio De Pascale. Nelle oltre ventimila pagine di atti giudiziari relativi al caso “Protezione Civile”, inoltre, emerge che la Pellegrini era la subappaltata della Consortile Arsenale, riconducibile ad Anemone; mentre Guido Bertolaso, Mauro Della Giovampaola, il funzionario agli arresti accusato di aver favorito Anemone, e Francesco Piermarini, il cognato di Bertolaso, telefonavano con utenze intestate alla medesima ditta diretta De Pascale. La Pellegrini, negli anni scorsi, è stata anche coinvolta anche nella inchiesta sugli abusi edilizi relativi al Biochimico di Cagliari.
Un’altra ditta vincitrice è la Sled che fa capo a Wolf Chitis, già in manette, negli anni 90, dopo una breve latitanza, per gli appalti truccati della metropolitana di Napoli.

Sempre scorrendo i nomi delle aziende vincitrici, troviamo la ditta che fa capo agli abruzzesi fratelli Frezza, Armido e Walter. La loro impresa, fra l’altro, aveva firmato proprio i lavori dell’ospedale di San Salvatore, miseramente crollato durante il sisma. L’azienda è stata anche accusata, ingiuriosamente secondo i suoi legali, di aver costruito un garage, sotto al numero civico 79 di via XX Settembre, che sarebbe la causa del crollo del palazzo stesso, in occasione del terremoto.

La CoGe Spa di Parma, insieme al Consorzio Esi, ha vinto un lotto per 2.095.720 euro. Nella CoGe, presieduta oggi come allora da Lino Mion, nel 1988, entrò, con una quota del 50%, Silvio Berlusconi. L’attuale premier, in seguito, si defilò; nella CoGe, tuttavia, sono passati sicuramente il fratello Paolo Berlusconi e, forse, il fratello del generale Mario Mori. Secondo una relazione della Dia del 1999, infatti, era il fratello dell’ex capo del Ros, attualmente sotto processo per la mancata cattura di Provenzano, quel tale Giorgio Mori presente nella proprietà della CoGe; ma un errore materiale nel documento della Dia rende ancora oggi oggetto di disputa questa attribuzione. Di certo, alla CoGe, lavorava anche Salvatore Simonetti, sospettato di essere legato alla mafia di San Giuseppe Jato.

Anche alla Donati-Tirrena-Dema sono stati affidati lavori per oltre due milioni di euro. Maurizio Donati, della Dema Costruzioni, ed Enrico Donati, della Tirrena Srl, proprio insieme, infatti, sono finiti, l’anno scorso, sul registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla Procura di Larino sul progetto Silcra, relativo alle costruzioni post terremoto in Molise. Sempre affari, sempre terremoti. Maledettissimi ma profittevoli terremoti.

Terremoto e corruzione, tutti liberi gli indagati

L’AQUILA. Tutti liberi gli indagati nell’inchiesta sulla corruzione legata a lavori per il post-terremoto. Questa mattina il gip del tribunale dell’Aquila, Marco Billi, ha revocato le misure di custodia cautelare per Ezio Stati, Vincenzo Angeloni, Marco Buzzelli e Sabatino Stornelli. Secondo i giudici non esistono più le esigenze di custodia cautelare e non c’è più il pericolo dell’inquinamento delle prove. Ezio Stati, 62 anni, ex tesoriere della Democrazia cristiana e padre dell’ex assessore regionale Daniela Stati, si trovava agli arresti domiciliari nella propria abitazione in via Mazzarino ad Avezzano. Angeloni, già parlamentare ed ex presidente delle squadre di calcio di Avezzano e Valle del Giovenco, aveva ottenuto i domiciliari dopo tre settimane di carcere.

Marco Buzzelli, compagno di Daniela, era ai domiciliari ad Avezzano, con il permesso di poter raggiungere la scuola dove insegna. Per l’imprenditore marsicano Sabatino Stornelli c’è invece l’obbligo di dimora nel comune di Roma. Secondo l’accusa l’assessore regionale Daniela Stati, che si è dimessa perché indagata, si è adoperata per la variazione dell’ordinanza 3805 del 3 settembre 2009 e la sua sostituzione con l’ordinanza 3808 del 15 settembre 2009 al fine di far rientrare tra le società richiamate nel documento anche Abruzzo Engineering spa.

Società che per il 30% fa capo a Stornelli e che avrebbe dovuto ottenere lavori per un milione e mezzo di euro. Il gruppo Stati, sempre secondo le accuse della Procura, voleva agevolare le società di Stornelli e Angeloni; gli imprenditori si sono sdebitati con una serie di regalie: un anello con diamante per la Stati, un televisore per il padre Ezio, una consulenza e un’Audi A4 per Buzzelli.

31 agosto 2010

da “Il Centro”.   

MALASANITA' VIDEOINCHIESTA

Ho indossato un camice bianco, un paio di zoccoli verdi e sono entrato negli ospedali. Mi sono attaccato al petto un cartellino con un nome fasullo: dottor Valerio Trimarchi, dell’inesistente associazione Orchidea bianca onlus. Ho assunto le vesti di un volontario, laureato in medicina in procinto di fare la specializzazione. È bastato per spalancarmi le porte di reparti, pronto soccorso, sale operatorie.

Trattato come un medico da pazienti, inservienti, infermieri, colleghi. Questi ultimi mi hanno accolto nei loro camerini, mi hanno assegnato l’armadietto e gli indumenti da lavoro. Sono entrato a contatto diretto con i malati, ho fatto il giro di visite del mattino e ho preso parte (ma non ho preso i ferri in mano, tranquilli) a interventi chirurgici.

Gli ospedali al centro di questa inchiesta sono quattro: a Catanzaro, Napoli, Isernia e Venafro, in provincia di Isernia. Nel corso dell’indagine (tutta documentata da una telecamera nascosta) ho visto barboni che mangiano e dormono a pochi metri dai malati, zingare che passano fra i letti a chiedere l’elemosina, cinesi che entrano nei reparti per vendere ai bambini giocattoli privi di ogni standard di sicurezza.

Poi medici e infermieri che fumano, alcuni perfino dentro i blocchi operatori. Ho seriamente rischiato di togliere dei punti di sutura dalla testa di una donna. Soprattutto, ho visto da vicino come il personale sanitario si comporta a volte nei nostri ospedali. Come vengono ignorate le più basilari regole di comportamento e di igiene, la cui inosservanza provoca ogni anno circa 500 mila infezioni e più di 5 mila morti. Pazienti che erano andati a curarsi per altre cause.

Catanzaro
Sono le 7 di martedì 29 settembre, Ospedale Pugliese di Catanzaro. Per un’ora faccio su e giù con gli ascensori. Le norme prescrivono che la biancheria pulita segua un percorso diverso da quella sporca. I rifiuti ospedalieri, organici, non devono transitare negli stessi ascensori utilizzati da medici, pazienti o per il cibo. A Catanzaro non funziona così. Passa tutto per lo stesso montacarichi. Ci sono dentro quando si apre la porta. Un operaio: “Dottò, sta scendendo?”. Rispondo di sì e lui spinge all’interno il carrello con un bel po’ di bidoni gialli messi uno sopra l’altro fino al soffitto. Ci stringiamo nel poco spazio disponibile. Li abbiamo addosso. Nell’etichetta esterna c’è scritto: “Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo“.

Dentro possono esserci garze imbevute di sangue, siringhe, residui di interventi chirurgici, anche materiale radioattivo utilizzato nella medicina nucleare. La porta dell’ascensore si apre, pochi minuti dopo sono sempre lì con il carrello del cibo.
Alle 8 e mezzo eccomi in pediatria. Entro nella saletta dei medici. Ce ne sono tre, più due infermiere. Mi presento: sono il dottor Trimarchi dell’associazione Orchidea bianca onlus. Dico tutto velocemente, come fosse la più famosa organizzazione sanitaria italiana, nella speranza di far scattare il tipico meccanismo per cui non chiedi ulteriori informazioni per paura di passare per deficiente davanti agli altri. È andata. Spiego che mi sono appena laureato e che la nostra struttura ci manda a fare degli stage in giro per gli ospedali. Vorrei stare un giorno con loro per vedere come lavorano. Non c’è problema, nessuno chiede una lettera di incarico, un documento, una preventiva richiesta alla direzione generale. Nulla. Mi accettano sulla parola.

Da questo momento parte quel processo che poi si ripeterà in alcuni dei centri successivi: basta farsi vedere in giro con un infermiere o un medico perché tutti gli altri ti considerino uno di loro, un nuovo arrivato. Ogni minuto che passa, ogni gesto è un tassello che va ad arricchire la tua tracciabilità. Fino a non riuscire più a risalire al momento originario. Ovvero, come sei entrato lì. Chi ti ha mandato. Chi ti ha aperto le porte per primo.

Sono a tutti gli effetti il dottor Trimarchi. Il primo a darmene atto è l’imbianchino che dipinge i muri del corridoio. Mi saluta con una certa deferenza. La puzza della vernice si sente, eccome. Le infermiere mi accolgono nella loro saletta. Una mi prepara il caffè. Poi mi offre una sigaretta. Lei accende e apre la finestra. Mi infilo nella camera dei medici. Anche qui si fuma.

Dopo mezz’ora il battaglione muove alla volta delle camere dei bambini per il consueto giro mattutino delle visite. Alla testa c’è il medico più esperto. Camice aperto, mani in tasca o a giocare con le chiavi, passa da un letto all’altro dispensando affettuosi buffetti e barzellette. Le visite avvengono tutte senza guanti e senza un minimo di privacy, ogni comunicazione è a partecipazione collettiva.

Prima mi sono informato sulle diagnosi dei malati: c’è chi ha un’infezione generalizzata, chi da morso di zecca, chi ha la mononucleosi, l’epatite. In una stanza ci sono tre letti: due adolescenti e un bambino. Dopo aver toccato le ragazze il medico infila la mano dentro la bocca del piccoletto. Ma non vede bene. Allora afferra la tapparella, la tira su. Poi fa alzare il bambino, lo mette a favore di luce e gli rificca la stessa mano in bocca. Un altro bambino ha delle strane macchie sul corpo. Dietro un orecchio la pelle è aperta. Il medico ci passa le mani, poi invita l’assistente ad avvicinarsi. Tocca pure lei. Senza guanti. L’équipe si consulta. Non si riesce a capire a cosa siano dovute. Le gambe sono piene. Uno butta lì l’ipotesi tubercolosi, un altro epatite.

Durante una visita, il medico mi coinvolge: “Lei che ne pensa, dottor Trimarchi?”. Sono con le spalle al muro, non so cosa fare. Ripete la domanda, vuole sapere se in presenza di quei valori la diagnosi è corretta. Rispondo che non lo so, non è quella la mia specializzazione. “E in che cosa siete specializzato voi, dottore?”. Già, bella domanda. In sociologia, in sociologia medica, ecco. Dico così e subito mi do del deficiente. Ma che c’entra la sociol…? “Bene!” esclama il medico. “Ho giusto un caso di cui vi potete occupare allora”. Sono pronto. “Una bambina alla quale abbiamo scoperto il diabete. Ma la mamma, che è qui con lei, è analfabeta”. In una camera singola c’è un bambino con gravi malformazioni. Sembra affetto da sindrome di Down. È grasso, gonfio dalla testa ai piedi, sproporzionato.

Mentre il medico si avvicina lui gli sfila lo stetoscopio dalla giacca. Ci gioca con le mani. Se lo attacca alle orecchie, al petto. Alla fine il dottore lo riprende e lo rimette in tasca. Ci sono altri piccoli da visitare.
Intorno alle 11 esco e vado a prendere il caffè al bar di fronte all’ospedale. Con camice e zoccoli, cosa vietata. Ma sono in buona compagnia. Torno dentro, sulle scale trovo una zingara che chiede l’elemosina. La tengo d’occhio. Dopo un po’ si infila in un reparto, si fa largo tra i parenti in visita, arriva perfino ai letti dei malati.

Provo a entrare nel blocco operatorio. Suono il campanello. Un’infermiera mi apre la porta. Saluto con piglio sicuro e vado dentro. Dopo pochi metri c’è un’altra porta a vetri opachi. Su un cartello c’è un avviso rivolto a tutto il personale: “Si ricorda che è assolutamente vietato entrare nelle sale operatorie senza divise, calzari, cappellini e mascherine adeguate”. Gli indumenti sono lì a fianco. Li ignoro. La porta si apre su un corridoio, sulla destra ci sono due sale operatorie. Un infermiere mi viene incontro. Non ha calzari, cuffia, guanti: nulla. Gli dico che sto cercando il dottor Vattelappesca, un dottore di cui ho letto il nome su un cartello in giro. “Sta al piano di sotto”. Ribatto: mi ha detto di trovarci qui per prendere accordi per un intervento. Tanto basta, semaforo verde. La scena si ripete identica nella camera successiva. Sulla soglia una donna parla al cellulare. La chiamata sembra di lavoro. La seguo dentro. Mette il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni, prende una garza e si rimette al lavoro. Non ha cambiato i guanti. Le sue mani si posano sull’uomo operato. Con lei c’è un’altra donna: naso fuori dalla mascherina. A un metro, una infermiera vestita come fosse in reparto. Ha soltanto una cuffia sui capelli, che lascia scoperti grandi ciuffi sul davanti. Non ha i calzari. Come me, che sto a due metri dal lettino operatorio con le stesse scarpe che avevo poco prima al bar di fronte all’ospedale.

All’uscita del reparto un uomo mi chiede com’è andata l’operazione, è preoccupato. Rispondo che è tutto ok e prego Dio che sia vero. Lo rassicuro, la madre si è risvegliata. Mi stringe le mani, mi ringrazia, dice che però si tratta della moglie.
Un infermiere mi ha raccontato di un barbone che mangia e dorme dentro la struttura. Lo trovo seduto davanti al reparto di medicina nucleare, tra l’ascensore e la corsia, dove passano i malati. È grosso, dorme piegato su se stesso. Ha due sacchetti pieni di cianfrusaglie. Le gambe sono gonfie, le caviglie non si distinguono. Puzza. Ha i capelli lunghi e la barba. Accanto a lui c’è un piatto di plastica con i resti del pranzo che ha appena consumato. Lo chiamano “Carminuzzo”, diminuitivo di Carmelo, ha il mio stesso nome.

Continuo il giro. Fra gente che mi chiede informazioni. Non so che rispondere, mi scuso, dico che è il mio primo giorno. Mi becco auguri e pure qualche bacio. Incrocio una ragazza cinese. Ha uno zaino sulle spalle e una sorta di bancarella ambulante davanti con bracciali, orologi e giocattoli. La seguo. Un’infermiera le chiede un cinturino, contrattano. Entra ed esce dalle stanze, anche in pediatria, dove vende i suoi giochi di plastica privi degli standard di sicurezza previsti dall’Unione Europea.

Napoli
Giovedì primo ottobre il dottor Valerio Trimarchi si presenta al Pellegrini di Napoli, nel centro storico. Non ho fortuna. L’ospedale è piccolo, si conoscono tutti, dal primario all’ultimo dei volontari. Riesco comunque a fare un giro all’interno. Non sono ancora le 8 del mattino. Diversi ricoverati dormono sulle barelle nei corridoi. Le condizioni igieniche sembrano scarse. Sul davanzale di una finestra ci sono decine di mozziconi di sigarette. Stessa situazione al pronto soccorso.
L’ingresso dell’ospedale dà su una strada molto trafficata. Poco più su c’è l’arrivo della metropolitana. È una fiumana di persone che si trascina tra auto e moto. In mezzo vedo infermieri e medici in divisa, uno addirittura con la tuta operatoria. Vanno al bar o nei negozietti della via.

Isernia
Per entrare all’ospedale di Isernia, in Molise, mi infilo in un vorticoso giro di conoscenze tipico di una certa Italia dove l’amicizia e il clientelismo la fanno da padrone. Si trova sempre qualcuno che ti consiglia a un altro, che a sua volta non si prende nemmeno la briga di capire chi sei. Gli basta soltanto sapere che sta facendo un favore. Si va avanti così, in una sorta di catena di Sant’Antonio della quale non si riesce più a venire a capo.

Intanto Valerio Trimarchi venerdì 2 ottobre di buon mattino arriva in divisa d’ordinanza all’ospedale Veneziale. Dico che mi sono appena laureato e che mi accingo a scegliere la specializzazione. In medicina generale i pazienti sono tutti anziani. I medici si fermano ai piedi del letto, guardano la cartella, si confrontano, prescrivono esami. Le mani ce le mettono gli infermieri. Si passa da un pannolone all’altro fino alle flebo: senza guanti. Solo un’infermiera è ligia al dovere. Gli altri quasi la rimproverano per l’inutile perdita di tempo. Alla fine vado al bar.

Una dottoressa in camice bianco è appoggiata a un’auto parcheggiata. Aspetta qualcuno. Un medico in tuta verde attraversa la strada. Torno nel blocco operatorio. Mi conoscono tutti, mi muovo in totale libertà. Vedo medici e infermieri senza copriscarpe, mascherine. Senza guanti. Un paio di chirurghi fumano. A pochi metri dalle sale dove si operano i malati, i posacenere sono pieni di mozziconi.

Intorno alle 2 del pomeriggio mi accingo a lasciare l’ospedale. Sbaglio l’uscita. Percorro un corridoio pieno di scatoloni, qualcosa a metà tra un magazzino e un ripostiglio. I muri sono scrostati, alcune piastrelle divelte. Cammino per una decina di metri quando sulla destra mi trovo una porta spalancata: dentro ci sono tre malati che dormono sui lettini. Fanno la dialisi. Le condizioni igieniche sono scadenti. A metà corridoio, senza alcuna porta divisoria, c’è un bagno con due sanitari dove si scaricano pale e pappagalli.

Nel pomeriggio accompagno un medico all’ospedale di Campobasso, nel reparto di anatomia patologica, dove da Isernia mandano ad analizzare i tessuti asportati. Davanti a un cartello con scritto “Vietato fumare” una dottoressa ci intrattiene con una sigaretta fra le mani. La stessa mattina le sono arrivati dei “pezzi” che ancora non riesce a capire perché siano stati asportati. Ci invita a prendere l’abitudine di segnalare la sospetta diagnosi. E accende una seconda sigaretta.

Venafro
Il giorno dopo, su segnalazione di un medico di Isernia, vado a trovare un collega a Venafro, distante una trentina di chilometri. Ha l’aspetto provato, è stanco. Ha voglia di parlare e di sfogarsi. Fare l’ortopedico lì è come essere in trincea, ti arriva di tutto e lavori in condizioni estreme. Con gente che fuma in sala operatoria. Ogni volta che impianta una protesi, dopo che ha cucito prega Dio perché non subentrino complicazioni e infezioni.

Quello che intende lo vedo con i miei occhi lunedì 5 ottobre. Faccio un rapido giro per il reparto. Le camere sembrano supermercati. I comodini faticano a contenere bottiglie, biscotti, patatine e pasticcini. I medici mi danno subito del collega. Dico che sono troppo buoni e che non merito ancora quel titolo perché devo fare la specializzazione. Non importa, sono molto gentili. Mi invitano nella loro stanza, mi affidano un armadietto e una tuta per la sala operatoria. C’è da correre a fare gli interventi. Ci cambiamo.

Nel blocco operatorio ci sono i canonici indumenti monouso. Poi, stranamente, gli spogliatoi sono più avanti nel percorso che porta alle sale operatorie. Le regole vengono molto disattese. L’infermiere che assiste il chirurgo non indossa guanti. Mentre l’operazione è in corso la porta si apre: è un medico in camice bianco e scarpe normali. Rimane sulla soglia a chiacchierare con i colleghi.
Torno in reparto. Sul tavolo della saletta infermieri c’è dell’uva. Il medico mangia e con la stessa mano tocca la medicazione di una donna. Una signora cammina con un mucchio di lenzuola tra le braccia. Ha disfatto lei stessa il letto della figlia. Intanto il medico controlla la mano fasciata di un uomo. Tre dita sono nere, in necrosi. Dai polpastrelli escono fili di ferro. Lui ci infila le mani, che non ha mai lavato dopo avere mangiato l’uva.

Rimango solo, mi trovo davanti una signora: “Dottò, stamattina il primario mi ha detto che prima di uscire mi devono togliere questi punti dalla testa. Ma ora lui non c’è più. Che fa, me li toglie lei?”. Esito. Poi chiedo a un’infermiera di indicarmi la medicheria perché, specifico bene, devo togliere i punti a quella donna. Entriamo. Faccio accomodare la signora, prendo un paio di strumenti, ci gioco, la guardo e le dico che forse è meglio aspettare il primario. Con la salute della gente è meglio non scherzare.

PARENTOPOLI NELLA SANITA'

Sotto accusa il presidente del Molise: “Parentopoli nella sanità”. Il deficit sanitario regionale ha raggiunto in otto anni 600 milioni. Tre figli, due fratelli e due cugini e la dinastia Iorio occupò Isernia.

di Giuseppe Caporale

ISERNIA – All’ospedale “il Veneziale” di Isernia non c’è vento di crisi. Mentre sulla gran parte dei nosocomi della regione si abbattono tagli e ridimensionamenti (con tanto di rivolte cittadine), per porre un argine al deficit sanitario arrivato a 600 milioni di euro in otto anni, al Veneziale no. Qui accade tutt’altro. Infatti, in questo ospedale la Regione Molise ha deciso di investire altro denaro, attivando una nuova unità operativa (una “stroke unit”) che costerà alle esangui casse regionali più di un milione di euro. Un finanziamento indirizzato al reparto di neurofisiopatologia, diretto dal primario Nicola Iorio, fratello del governatore. Fondi che saranno gestiti dalla direttrice del distretto sanitario regionale di Isernia, Rosa Iorio, sorella del governatore. Ma i due Iorio citati non sono gli unici parenti di Michele, presidente della Regione, che lavorano al Veneziale.

L’elenco, in verità, è lungo ed anche al centro di interrogazioni in consiglio regionale: il cognato Sergio Tartaglione (marito di Rosetta Iorio) è il primario del reparto di psichiatria e presidente dell’ordine dei medici di Isernia; il figlio del governatore, Luca Iorio, nell’ospedale lavora in qualità di medico chirurgo; il cugino del presidente, Vincenzo Bizzarro, attuale consigliere regionale di Forza Italia, è stato direttore del distretto sanitario di Isernia, ed una volta in pensione ha lasciato il posto alla cugina Rosa (nominata tra le polemiche in virtù della sua laurea in giurisprudenza).

L’elenco prosegue: la moglie del cugino del governatore, Luciana De Cola, ricopre, al Veneziale, il ruolo di vice direttrice sanitaria. Il primario del reparto di Cardiologia è Ulisse Di Giacomo, senatore di Forza Italia e coordinatore regionale del partito di Berlusconi. Anche lui al Veneziale ha un parente nel suo stesso staff medico. Lavora a Isernia, ma in un centro medico privato (Hyppocrates), convenzionato anche con la Regione, Raffaele Iorio (figlio del governatore) in qualità di direttore medico.

La parentopoli ha dato anche problemi giudiziari a Michele Iorio: a causa dell’assunzione del terzo figlio, Davide Iorio, presso una multinazionale estera che ha lavorato per la Regione Molise, il governatore è stato indagato dalla procura di Campobasso per corruzione. I magistrati ipotizzano una correlazione tra il contratto di lavoro del giovane e le consulenze affidate dall’ente alla società. Ma i parenti di Iorio lavorano anche negli uffici della Regione. Infatti un’altra cugina di Iorio, Giovanna Bizzarro, ricopre il ruolo di funzionaria, mentre il fratello della moglie del presidente, Paolo Carnevale, risulta direttore della società pubblica Arpa (Azienda regionale per la protezione ambientale) di Isernia.

Dai parenti poi si passa ai colleghi di area politica. Gianfranca Testa, candidata alle elezioni comunali di Isernia con la lista civica (voluta da Michele Iorio) “Progetto Molise”, è stata da poche settimane nominata direttrice del distretto sanitario di Venafro. Le connessioni coinvolgono anche lo staff del governatore. Il figlio del suo portavoce, Giuseppe Scarlatelli, è stato assunto negli uffici del distretto sanitario di Termoli con l’incarico di “correttore di bozze” del giornalino dell’ente.

La fitta ragnatela è contenuta in un dossier prodotto dal consigliere regionale del Pd Michele Petraroia, che racconta: “L’ultimo episodio è sintomatico. Anche la figlia di uno degli autisti del governatore è entrata a lavorare per un ente regionale. Senza concorso, per chiamata diretta…”.

La Repubblica.it

Corruzione, arrestati in Molise agenti e carabinieri

Campobasso, è finito in carcere anche il comandante dell’Arma

Otto esponenti delle forze dell’ordine e un avvocato (ex carabiniere) sono stati arrestati in Molise per associazione per delinquere, truffa e rivelazione di segreti d’ufficio. L’inchiesta, denominata «black hole» ha portato alla luce un vero e proprio «corpo separato» nella sezione della polizia giudiziaria presso la procura di Larino, un piccolo centro in provincia di Campobasso.
Stando alle accuse, gli arrestati avrebbero favorito alcuni indagati di un’altra inchiesta, quella che ha smantellato i vertici della sanità nel Basso Molise. Le indagini avevano preso avvio nel 2003 dopo il ritrovamento di un’ecografo dell’ospedale di Termoli nello studio privato del primario di ginecologia, Patrizia De Palma (moglie dell’allora sindaco, Remo Di Giandomenico, ex deputato dell’Udc). La donna era stata arrestata insieme ad altre dieci persone e altre 23 erano state indagate, in attesa della richiesta di rinvio a giudizio. Fra gli arrestati, allora, era finito anche un manager dell’Asl. A vario titolo, le persone finite nell’inchiesta sulla malasanità sono accusate anche di sfruttamento dell’immigrazione clandestina e pratica di aborti illegali.
Nel proseguire l’inchiesta, il procuratore di Larino, Nicola Magrone, si sarebbe accorto che poliziotti e carabinieri, da lui incaricati di svolgere indagini, avrebbero agito rivelando sistematicamente i segreti d’ufficio e occultando alcune prove degli illeciti nelle gestione della sanità molisana. In pratica, poliziotti e carabinieri avrebbero costituito una vera e propria “lobby” che lavorava, «non alle dipendenze, ma contro la procura». Il gruppo di arrestati, secondo il procuratore, era capace «di far propri interi comparti istituzionali, occupandone i gangli vitali, dalla Asl al Comune di Termoli, ed estendendo le proprie infiltrazioni in variegati settori, dagli appalti alle assunzioni presso uffici pubblici».
L’arresto più clamoroso è quello di Maurizio Coppola, comandante provinciale dei carabinieri di Campobasso. L’ufficiale non se l’aspettava, a dimostrazione che l’inchiesta a suo carico è stata condotta con la massima discrezione. Infatti è stato sorpreso nel cortile della caserma mentre era intento a coltivare il suo hobby, quello di riparare automobili di “modernariato”. Con lui sono finiti in carcere l’ex comandante dei vigili urbani di Termoli, Ugo Scarretta; l’avvocato Ruggero Romanazzi (carabiniere fino ad alcuni anni fa ed ex difensore di Remo Di Giandomenico); Raffaele Esposto, già maresciallo dell’Arma; Luigi Soccio, appuntato scelto presso la stessa compagnia; Michele Tenaglia, sovrintendente della polizia alla procura di Larino e altri appartenenti alle forze dell’ordine. L’esecuzione dell’ordinanza, firmata dal Gip Roberto Veneziano, è stata affidata sempre a polizia e carabinieri, a dimostrazione della fiducia che la magistratura di Larino continua ad avere verso queste istituzioni.

da espresso.it

I rischi dei trattamenti con le amalgame al mercurio

Riceviamo e pubblichiamo il caso di Adriana Battist che all’età di 40 anni inizio la sua battaglia per la vita e la verità, denunciando i rischi dei trattamenti odontoiatrici con le amalgame al mercurio e l’assenza di ricerca per la cura di altre sindromi quali la SINDROME FATICA CRONICA (CFS), SINDROME CHIMICA MULTIPLA (MCS), FIBROMIALGIA (FM).

www.tusei-adrianabattist.org

Al link sottostante si possono anche ottenere informazioni sulla manifestazione nazionale indetta dagli ammalati  di  CFS,  MCS,  FM, per  protestare e denunciare  la situazione  di totale  abbandono  in cui si trovano da anni i portatori delle predette sindromi invalidanti, nonostante petizioni e proposte  parlamentari.

Manifestazione a Roma per  tutti i malati di cfs fibromialgia e mcs sotto al ministero.

Il 1°OTTOBRE PIAZZA CASTELLANI ( zona Trastevere) si svolgera’ una MANIFESTAZIONE dalle ore 14,00 alle ore 20.00 di tutti i malati di me/cfs, fibromialgia e mcs, per protestare contro l’indifferenza dello stato e denunciare la situazione di totale abbandono in cui i suddetti malati si trovano da anni nonostante le numerose petizioni e proposte parlamentari.1) Si prega tutti i malati di partecipare e di chiedere ai propri familiari e amici di farlo e di cliccare su “partecipero'” solo se effettivamente ci sarete.

2) Di munirsi di striscioni e/o magliette con scritte di disappunto
ESEMPIO:
“Si al riconoscimento della cfs/me, mcs, fibromialgia”
” Non contate sul nostro silenzio ma solo sulla nostra rabbia”
“invalidi nella vita ma abili per l inps”
“no alla indifferenza del ministero”
” Lo stato viola l articolo 32 della costituzione italiana”
“Malati abbandonati e ignorati”……………

3) Chi avesse bisogno di un appoggio a Roma o nelle vicinanze, puo’ contattare via email tiziana.scotti@fatswebnet. it oppure v_vigano@hotmail.com

4) Chi abita a Roma o vicinanze e puo’ prestare ospitalita’ a chi viene da fuori
scriva a tiziana.scotti@fatswebnet. it o v_vigano@hotmail.com per dare la sua disponibilita’.

5) Chi conoscesse giornalisti e’ pregato di avvisarli della manifestazione

6) Mandare questo evento a tutti i gruppi di cfs(me fibromialgia e mcs che ci sono su facebook, a tutti i siti e a tutte le associazioni che si occupano delle suddette malattie.

7) Le associazioni che desiderano mandare materiale/volantini che verranno utilizzati per la manifestazione scrivere a v_vigano@hotmail.com per accordarsi.

RIMANIAMO TUTTI UNITI PER LOTTARE PER I NOSTRI DIRITTI!!!!

QUESTO IL COMUNICATO STAMPA CHE VERRA’ CONSEGNATO AI GIORNALISTI

– MANIFESTAZIONE 1°OTTOBRE 2010 PIAZZA CASTELLANI

Questa manifestazione è un’espressione del forte disagio e la disperazione di migliaia di malati di:
• ME /CFS – Encefalomielite mialgica/ sindrome da fatica cronica,
• MCS – sensibilità multipla chimica, e
• FM – Fibromialgia,

Questi pazienti sono completamente abbandonati dallo stato italiano!
La denuncia nei confronti dello stesso è di violazione dell’Art. 32 della Costituzione Italiana Art. 32: “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…..”

Anche se da numerosi anni si susseguono proposte parlamentari e petizioni per chiedere i giusti diritti a questi malati, il Sistema Sanitario Nazionale ancora non prevede alcuna forma di riconoscimento e assistenza per queste patologie croniche e invalidanti e non esistono per esse adeguati protocolli clinico-assistenziali.

Considerando che :
1. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità cataloga già da tempo:

• la CFS /ME con il codice ICD 10 G93.3 G93.3 = Postviral fatigue syndrome, Benign myalgic encephalomyelitis

• La MCS è inserita nell’aggiornamento tedesco dell’International Code of Disease (IDC l0-GM) , sotto il codice T 78.4.ed è classificata nell’elenco delle invalidità motorie del Ministro del Welfare Tedesco, mentre, dal 2005, grazie al lavoro dell’Agenzia per la Protezione Ambientale Europea, la Sensibilità Chimica è entrata a far parte delle patologie emergenti dovute appunto all’esposizione quotidiana ad agenti chimici.

• la Fibromialgia nell’International statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10) alle voci M79, Other soft tissue disorders, not elsewhere classified, e M79.O, Rheymathism, Unspecified-Fibromyalgia-F ibrositis.

2. Ancora non sono stati istituiti piani di lavoro epidemiologici in Italia per valutare l’esatto numero dei malati mentre:

• In EUROPA, secondo la Dichiarazione del Parlamento europeo sulla Fibromialgia, approvata il 13 gennaio 2009, circa 14 milioni di persone nell’Unione europea e l’1-3% della popolazione mondiale soffrono di Fibromialgia.

• Gli studi hanno segnalato i numeri sulla prevalenza del CFS che variano ampiamente, da 7 a 3.000 casi di CFS per ogni 100.000 adulti, ma le organizzazioni nazionali di salute hanno valutato più di 1 milione di americani e circa un quarto di milione di persone nel Regno Unito hanno CFS.

• Lo scorso anno il Ministero della Salute della Danimarca ha aperto un osservatorio sulla MCS stimando in 50.000 il numero delle persone sensibili alle sostanze chimiche presenti in prodotti d’uso comune ovvero il 10% della popolazione è suscettibile a tali prodotti d’uso comune con una minima percentuale resa invalida da tale condizione. Le statistiche USA indicano che il 15% della popolazione americana soffre di una qualche sensibilità chimica e che l’1,5-3% abbia MCS grave In Italia non solo 4000 come riporta una dichiarazione del Centro per le Malattie Rare dell’ISS all’ANSA nel 2004.

3. La MCS è riconosciuta come malattia in Germania, Austria, Giappone, USA (parzialmente) e Danimarca. La CFS /ME in USA Australia, Gran Bretagna, e Canada.

4. I malati hanno un alto grado di disabilità, che non gli consente di essere indipendenti sotto tutti i punti di vista.

5. Mancano centri di ricerca, strutture ospedaliere, linee guida per la diagnosi, informazioni per operatori sanitari, un programma di sensibilizzazione su scala nazionale, l’ assistenza domiciliare e psicologica.

6. Gli ultimi studi descrivono che le cause delle malattie derivano da cause organiche, virali,genetiche:
La ME/CFS, la FM e la MCS sono malattie fisiche gravi e debilitanti, le ricerche mediche dimostrano che sono patologie complesse che coinvolgono molteplici fattori (sistema immunitario, alti livelli di tossine, disfunzioni mitocondriali, sistema nervoso danneggiato, disfunzioni neurologiche e cardiache …).

7. I malati hanno subito diagnosi scorrette e tardive, terapie psicofarmacologiche errate da parte della maggior parte del personale medico sanitario impreparato a causa di una assente informazione al livello nazionale che le associazioni e i malati richiedono da anni al Ministero della salute nonché umiliazioni, soprusi, violenze psicologiche e abbandoni da parte del ambiente sociale e familiare sempre a causa di una mancanza di informazione sul territorio richiesta sempre da anni con petizioni e proposte parlamentari.

Si fa presente che i malati necessitano con urgenza di:

• Riconoscimento e classificazione delle malattie con inserimento nelle patologie croniche invalidanti con diritto ad una pensione data l’impossibilità di svolgere una normale attività lavorativa;
• un centro nazionale di ricerca e studio epidemiologico che sia gestito da medici PRIVI DI CONFLITTI DI INTERESSI cioe’ medici chiamati ad aiutare i pazienti con MCS/FM/CFS-ME non abbiano legami con l’ industria o le assicurazioni.
• una struttura clinica-assistenziale adeguata in ogni Regione con creazione di Unita’ ambientali controllate per i pazienti affetti da MCS. Esistono diverse ricerche mediche e cliniche specializzate all’estero che trattano con successo la ME /CFS , la FM e la MCS.
• l’istituzione di linee guida per strutture ospedaliere.
• Promozione di un piano per l ‘Informazione della Comunità medico-scientifica per evitare diagnosi tardive e scorrette con conseguente somministrazione di cure errate che comportano aggravamento della patologie e corsi di specializzazione per il personale sanitario con stages nei centri più qualificati al estero per il trattamento di tali patologie.
• Campagne di sensibilizzazione per evitare che la malattie vengano sottovalutate e non comprese dai familiari e amici che non capendo il reale stato di salute non supportano il malato e “torturandolo” psicologicamente scatenano litigi, incomprensioni che portano a rotture, separazioni familiari e abbandoni.
• Assistenza domiciliare (con personale opportunamente decontaminato per i malati di MCS ) in quanto i malati a causa dei numerosi sintomi invalidanti sono costretti a vivere nella propria casa.
• Assistenza psicologica e strategie per evitare l’ isolamento sociale in quanto a livello internazionale si registra un alto tasso di suicidi tra i malati di ME/CFS, FM e MCS a causa dell’isolamento sociale, alla frustrazione, alla mancanza di sostegno,ai sintomi invalidanti e alle difficoltà finanziarie .
• Soluzioni professionali “su misura” per i malati ancora in parte autosufficienti, anche da svolgere nella propria abitazione o in ambiente opportunamente bonificato per i malati di MCS .

SALVO ACCOGLIMENTO PARZIALE O TOTALE DELLE SUDDETTE PROPOSTE A VALLE DI QUEST’INIZIATIVA, IL PASSO SUCCESSIVO SARA’ UNA CAUSA COLLETTIVA PER IL GIUSTO RISARCIMENTO PER DANNI MORALI, FISICI, ED ESISTENZIALI CAUSATI DALL’INDIFFERENZA CONTINUA DELLO STATO.

LISTA DI SITI E CONTATTI PER EVENTUALI APPROFONDIMENTI:

Sito web dei malati : http://cfsfibromialgiamcs. sitiwebs.com/page8.php
Gruppi su facebook :
http://www.facebook.com/gr oup.php?gid=361265148841&r ef=ts

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  • Per garantire il diritto di difesa e l’accesso alla giustizia di tutti i cittadini, senza distinzione di razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni sociali.

 

DA OLTRE 25 ANNI

CONTRO TUTTE LE MAFIE

 

La mission di Avvocati senza Frontiere consiste nel far proprie le aspirazioni di giustizia delle parti più deboli e battersi con fermezza e coraggio civile contro tutte le mafie e la corruzione giudiziaria per l’affermazione dei diritti umani, usando tutti gli strumenti e i rimedi offerti dall’Ordinamento giuridico, senza lasciare nulla di intentato, sino all’accertamento della Verità.

L’Associazione che ispira la sua azione al pensiero <nonviolento> di Gandhi  è convinta non esistano “cause  impossibili”, ovvero che si possa far prevalere il bene e la ragione solo se si riesce a trasmettere ai giudici – a volte corrotti, impreparati e/o conniventi – l’etica della responsabilità e le aspettative di giustizia dei cittadini, facendo sentire il proprio cuore e la passione per il diritto e le giuste cause.

Il tecnicismo giuridico e la conoscenza delle leggi sono certamente importanti ma ciò che più conta è possedere e allenarsi a sviluppare un cuore coraggioso e l’amore per le giuste cause.

Solo così sarà possibile riuscire a far trionfare il grande bene della giustizia.

E’ fondamentale prendere coscienza che la debolezza dei più può essere trasformata in una forza non violenta a cui nessun potere forte o corrotto può resistere.

E’ fondamentale portare avanti senza timori con cuore puro i propri ideali, i propri sogni, la comune speranza di una società fondata sulla giustizia, andando fino in fondo, senza fermarsi di fronte ad ostacoli e persecuzioni.

“Veritas non auctoritas facit legem”.

Credere e vivere per la libertà, in modo da far germogliare ovunque, anche nei cuori più perfidi e corrotti, i valori di equanimità, umanità e solidarietà.

Solo così gli uomini e le donne di tutto il mondo riusciranno a vedere un futuro che non sia più disseminato da ingiustizie, sofferenza, guerra, distruzione, morte, desiderio di dominio e vendetta.

Come affermava il Mahatma Gandhi; “La sofferenza, e non la spada, è il simbolo della razza umana”… In Sud Africa […] La mia gente era eccitata – anche la pazienza ha un limite – e si cominciava a parlare di vendetta. Mi trovai di fronte all’alternativa tra aderire anch’io alla violenza o trovare un altro metodo per risolvere la crisi e far cessare l’ingiustizia […] Nacque così l’equivalente morale della guerra.[…] Da allora mi sono andato sempre più convincendo che la ragione non è sufficiente ad assicurare cose di fondamentale importanza per gli uomini, che devono essere conquistate attraverso la sofferenza.

La sofferenza è la legge dell’umanità, così come la guerra è la legge della giungla.

Ma la sofferenza è infinitamente più potente della legge della giungla ed è in grado di convertire l’avversario e di aprire le sue orecchie, altrimenti chiuse, alla voce della ragione.

Nessuno ha redatto più petizioni o difeso più cause perse di me, e posso dirvi che quando volete ottenere qualcosa di veramente importante non dovete solo soddisfare la ragione, ma toccare i cuori.

L’appello alla ragione è rivolto al cervello, ma il cuore si raggiunge solo attraverso la sofferenza. Essa dischiude la comprensione interiore dell’uomo. La sofferenza, e non la spada, è il simbolo della razza umana.

Mahatma Gandhi (Young India, 1931).

ANCONA. IL P.G. DRAGOTTO PERDE L'INCARICO E SE NE VA…

Il pg Dragotto lascia la magistratura: «combatto contro gli svarioni giudiziari»

Il procuratore blogger
perde l’incarico e se ne va

Ironizzò sugli errori dei colleghi. Punito dal Csm

ROMA — Su un blog anoni­mo metteva alla berlina le sen­tenze impresentabili. E per un titolo impresentabile il Csm non lo ha confermato procura­tore generale di Ancona. A di­spetto del parere unanime e al­tamente positivo inviato al Csm dal consiglio dei colleghi del suo distretto. Per questo Ga­etano Dragotto lascia la magi­stratura. Questione di stile è la moti­vazione che avrebbe spinto il plenum a silurarlo. A causa di un doppio senso, utilizzato per bacchettare una collega (non nominata) che sbagliava i cal­coli delle attenuanti e delle ag­gravanti regolati dall’articolo 69. Ma lui si difende: «Il blog era riservato a pochi amici. Era anonimo come le sentenze. Vir­golettava solo alcune perle. Co­me la sentenza di un collega della Cassazione sul barista che serve detersivo per lavastovi­glie nell’acqua minerale. Stabili­sce che se il liquido è puro il ba­rista non è punibile, se diluito sì: per contraffazione. Se il cliente morisse sarebbe omici­dio colposo. E il primo presi­dente della Cassazione e il pg hanno votato contro la mia ri­conferma», dice, amareggiato, Dragotto.

Contro gli svarioni giudiziari dei colleghi aveva combattuto a lungo, dando an­che giudizi negativi in sede di valutazione. «Non avevo otte­nuto nulla se non voci di una mia presunta cattiveria. Per di­fendermi avevo creato quel blog per gli amici. E ridevamo dei pasticci scritti nelle senten­ze ». Come quella sulla «prosta­ta salvifica». L’aveva fatta fran­ca un maniaco che aveva mo­strato la sua virilità a una bim­ba ferma in auto con il finestri­no aperto, giacché il giudice aveva attribuito l’esibizione al­la impossibilità di «trattenersi dall’urinare». Senza domandar­si perché non si fosse allora ri­volto verso il muro. Oppure le attenuanti generiche, concesse a un senegalese «perché l’impu­tato è africano e l’Africa è pove­ra ». O quella nella quale il com­puto di un terzo della pena di tre mesi faceva sempre tre me­si. E infine quella della giudice che applicava male l’articolo 69. «Lei deve essersi ricono­sciuta, forse avvertita da qual­che collega, si è offesa per il ti­tolo sarcastico e ha avvertito il Csm» racconta Dragotto. Ma la preistruttoria per incompatibi­lità ambientale a causa della ca­duta di stile si è subito chiusa. Ed è finita lì.

Al momento di va­lutare il rinnovo dell’incarico da pg però è risaltata fuori. «E pensare che proprio a seguito di quell’episodio c’era stata una riunione nella quale aveva­mo parlato finalmente di que­ste motivazioni impresentabi­li, e finalmente si erano ridotte quasi della metà». Il magistrato esclude un col­legamento della sua bocciatura con gli arresti appena firmati per l’ex sindaco pd e altri, nel­l’ambito dell’inchiesta sulle tan­genti per l’aera portuale. Non crede a chi sussurra che l’han­no voluto fare fuori da altri in­carichi direttivi ai quali concor­reva. E conclude: «C’è chi mi ha consigliato di fare ricorso. Ma come potrei continuare a fa­re il magistrato con le mani le­gate dietro la schiena?». Per questo lascerà la toga. Ma non il web.

03 luglio 2009

 http://www.corriere.it/cronache/09_luglio_03/procuratore_blogger_ancona_piccolillo_ba12a380-679a-11de-8836-00144f02aabc.shtml