Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 18

ORISTANO. MOBBING NELL'ARMA DEI CARABINIERI

L’ODISSEA del maresciallo dei carabinieri Antonio Cautillo. 

Una vicenda che si trascina da 3 legislature in cui sono state presentate ben 6 interrogazioni parlamentari “a risposta scritta” al Ministro della Difesa con richiesta di far luce sulla vicenda mediante “l’avvio di una indagine interna al fine di accertare motivazioni e responsabilità”. Nell’inerzia delle istituzioni sono state sporte una serie di querele allo stato senza esiti.

di Christian Fiore

Con questo post vorrei spostare l’attenzione verso l’Arma dei Carabinieri. Il “protagonista” di questa triste ed imbarazzante storia è il Maresciallo dei Carabinieri Antonio Cautillo. Questa volta si parla di mobbing tra colleghi (se così si possono chiamare) delle Forze dell’Ordine.
Il Maresciallo, in servizio a San Giusto (Oristano), racconta che i problemi iniziarono già nel 1990; Una serie di piccole umiliazioni, le divergenze di opinione o conflitti personali occasionali o questioni riguardanti il servizio lo portarono ad essere emarginato sino ad arrivare al boicottaggio o ad azioni illecite.

Per dirla chiara – afferma il Maresciallo – gli impedivano di svolgere il suo lavoro, almeno secondo quanto lui sostiene. E glielo impedivano, i superiori, con tutte quelle piccole vessazioni che vanno a nozze con un sistema particolarmente formale e burocratizzato come quello della forze dell’ordine, dove se sbagli mezza virgola in un verbale, sei rovinato.”

Emarginato dall’arma senza una spiegazione.
Il Maresciallo, molto provato dalla situazione e dalla risposta (pari a zero) di quello Stato che ha sempre servito con molta dedizione, stigmatizza così : “Che strano Paese: un generale dei cc viene condannato a 14 anni per reati da criminalità organizzata (ed in 10 anni di processi ha continuato tranquillamente a dirigere il ROS di tutt’Italia, comandare i poveri CC), il CGA si é già pronunciato riconfermandogli la fiducia (notizia TG3 di qualche giorno fa), ed uno di certificata onestà e rettitudine morale, si rivolge alle Istituzioni ma non ottiene nemmeno riposte. In un Paese rovesciato come questo in cui viviamo, pare che l’onestà stia diventando un disvalore”.

Facciamo una sorta di riepilogo:

  •  per 7 volte é stato ingiustamente chiamato in aula, sempre mandato assolto, sempre é riuscito a dimostrare l’estraneità alle accuse mossegli.
  • Sono stati chiesti chiarimenti al Ministro della Difesa Ignazio La Russa, con ben 6 interrogazioni parlamentari “a risposta scritta”, sia alla Camera che al Senato ma tutte, ad oggi, sono rimaste senza risposta.

Interrogazioni che hanno tutte per oggetto la “discriminazione sul posto di lavoro” che dal 1997 ad oggi sono state fatte ad Antonio.

  • una richiesta di risarcimento danni per discriminazioni sul lavoro pari a 1.200.000 euro, inviata direttamente al Ministero della Difesa.
  • ha presentato n.18 istanze per conferire col Ministro della Difesa, allo scopo di ottenere il riesame in autotutela delle illegittime discriminazioni (punizioni, trasferimenti d’autorità, denunce penali, dall’esito favorevole)in difesa della sua dignità professionale ed il proprio posto di lavoro, ma tutte, ad oggi, sono rimaste senza risposta;
  •  Date le mancate risposte tanto attese e considerato il prolungarsi del “mobbing”, si é rivolto alla competente A.G., con il deposito di 17 querele.
 Secondo quanto riportato dalle diverse interrogazioni al Maresciallo Cautillo gli sarebbe stato impedito di svolgere le mansioni inerenti il proprio grado e formazione rendendo “estremamente difficile la condizione di rapporto lavorativo”.
Da qui i numerosi provvedimenti disciplinari. Molte le punizioni: una di queste è dovuta al fatto di essersi rivolto al Presidente della Repubblica, poi trasferimento d’autorità, minacce di destituzione permanente dall’Istituzione ed infine una settima denuncia per disobbedienza al Tribunale Militare.
Di seguito amici, un intervista che chiarisce meglio i punti chiave della vicenda (fonte: radio radicale).

http://www.radioradicale.it/scheda/305472/cittadini-in-divisa

Tutti gli interroganti pongono infine la stessa domanda, quali siano i motivi per i quali il Ministro della Difesa non abbia ancora deciso di RISPONDERE al maresciallo che gli chiede verità e giustizia per 18 volte (con istanze scritte, sottoscritte e protocollate in caserme dei CC) e se questo non sia in qualche modo addebitabile alle convinzioni politiche dello stesso.
Dal canto suo Cautillo fa appello all’articolo 14 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo che garantisce “il godimento dei diritti e libertà riconosciuti deve essere assicurato senza distinzione (..) di opinione politica” e alla legge n. 382 ( 11.7.1978) “Norme di Principio sulla Disciplina Militare”, art. 17 dove si legge: “Nei confronti di militari (..) Sono vietate le discriminazioni per motivi politici o ideologici”.

Ideologie politiche a parte (indipendentemente dalla fazione alla quale “appartenete”), credo che, come minimo, meriti una risposta.

Fatto ciò, mi rendo disponibile per l’eventuale possibilità di pubblicare aggiornamenti in merito alla storia del Maresciallo dei Carabinieri Antonio Cautillo.

 

 

  

 

 
 

 

 

(da Articolo21) 6 interrogazioni parlamentari ( 4 nell’arco di quest’anno), 16 istanze per conferire con il Ministro della difesa, un appello al Capo dello Stato, una richiesta di risarcimento danni per discriminazioni sul lavoro pari a 1.200.000 euro, inviata direttamente al Ministero della difesa. Questi sono i dati “numerici” che correlano la vicenda del maresciallo dei Carabinieri Antonio Cautillo, in servizio presso la stazione di Santa Giusta, Oristano.

Tutte le interrogazioni hanno per oggetto la “discriminazione sul posto di lavoro” che il Maresciallo Cautillo avrebbe subito dal 1997 fino adesso. Secondo quanto riportato dalle diverse interrogazioni al maresciallo sarebbe stato impedito di svolgere le mansioni inerenti il proprio grado e formazione rendendo “estremamente difficile la condizione di rapporto lavorativo”. Il maresciallo è stato infatti sottoposto anche a numerosi provvedimenti disciplinari, unitamente a “varie punizioni, una per essersi rivolto al Presidente della Repubblica, trasferimento d’autorità, minacce di destituzione permanente dall’Istituzione, una settima denuncia per disobbedienza al Tribunale Militare”.

Nel corso degli anni, inoltre, e sempre all’interno del contesto lavorativo, ha subito numerose denunce con conseguenti processi presso la Procura militare dai quali risulta essere stato sempre assolto per insussistenza dei fatti addebitatigli.

Questo quanto si legge nelle diverse interrogazioni, che, nel corso di quest’anno non hanno ricevuto risposta alcuna, come non ha trovato risposta la richiesta di conferire avanzata al Ministro della difesa, come stabilito e garantito dall’articolo 39 del regolamento di disciplina militare, nel rispetto di quanto stabilito dal decreto ministeriale n. 603 del 1993.

Tutti gli interroganti pongono infine la stessa domanda, quali siano i motivi per i quali il Ministro della Difesa non abbia ancora deciso di incontrare il maresciallo, per cosentirgli così l’esposizione diretta dei fatti e se questo non sia in qualche modo addebitabile alle convinzioni politiche dello stesso.
Dal canto suo Cautillo fa appello all’articolo 14 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo che garantisce “il godimento dei diritti e libertà riconosciuti deve essere assicurato senza distinzione (..) di opinione politica” e alla legge n. 382 ( 11.7.1978) “Norme di Principio sulla Disciplina Militare”, art. 17 dove si legge: “Nei confronti di militari (..) Sono vietate le discriminazioni per motivi politici o ideologici”.

Le 4 interrogazioni parlamentari sono disponibili sul sito www.ficiesse.it

http://stopthecensure.blogspot.com/2010/08/mobbing-il-caso-del-maresciallo.html

http://christianfiore.wordpress.com/2010/08/24/antonio-cautillo-inerzia-istituzionale/

 

Signor giudice, un suo errore mi ha messo sul lastrico. Lo corregga!

E’ la denuncia accorata di un imprenditore di 44 anni di Chioggia vittima di un giudice veneziano che ci allega la lettera che ha scritto ad un magistrato del Tribunale di Venezia, rimasta senza risposta, seppure pubblicata con risalto dalla stampa locale.

La decisione del magistrato è ritenuta basata su un presupposto completamente errato e gravemente viziata da ultra-petizione.

Il silenzio del giudice chiamato in causa non depone ovviamente a suo favore, anche perchè il provvedimento ha di fatto decapitato ogni iniziativa imprenditoriale del soggetto passivo, provocando la vendita all’asta di tutti i suoi beni, nonostante le prove documentali e le perizie di due diversi tecnici che smentivano le pretese creditorie della controparte.

Ecco la lettera.

Le scrivo questa lettera di mia iniziativa, sconsigliato vivamente dal mio legale.

Ritengo di non arrecarLe alcun disturbo, di non ledere la Sua posizione di magistrato e di rispettare sostanzialmente le regole.
Sono l’amministratore, legale rappresentante e socio accomandatario di una società immobiliare.

Da inizio 2008 stiamo sostenendo una lite contro il titolare di una ditta (ed ora i suoi eredi) per un contratto di appalto mai onorato dal predetto e che mi vede soccombere a seguito di un decreto ingiuntivo (seguito da precetto e pignoramento) che Lei ha concesso a favore della controparte. E’ ormai chiaro nel giudizio di opposizione che sono state emesse fatture “stra” gonfiate, sono stati fatturati lavori inesistenti, sono state modificate ad arte le date di esecuzione dei lavori.
Tuttavia io soccombo davanti al decreto ingiuntivo “provvisoriamente” esecutivo da Lei concesso che troverà esecuzione il 30.06.2010 (con la vendita all’asta di tutti i beni della società – circa 540.000 euro il valore di perizia – contro un credito massimo accertato dal perito di euro 20.000 ca). Lei ha concesso quel decreto sul presupposto completamente errato che 96.000 euro di fatture non fossero mai state pagate. Tuttavia la controparte non ha mai richiesto il pagamento di quelle fatture.
Io ho compiuto 44 anni il 01.07.2010, il giorno successivo alla vendita coatta dei beni della mia società. Ho iniziato a lavorare a soli 13 anni per non gravare sulla mia famiglia con il primo dei miei vezzi (il motorino); da allora sono sempre stato finanziariamente autonomo. Ho acquistato la mia abitazione a soli 29 anni ed ho avviato varie attività con il solo intento di migliorare la situazione economica generale mia e della mia famiglia. Non sono certo un “bamboccione”. La mia fedina penale è pulita e non avevo mai messo piede in un’aula di Tribunale prima del gennaio 2008. Dopo circa 30 anni di duro lavoro, senza mai una lite di qualsivoglia natura, senza mai aver recato danno a chicchessia, trovo Lei che, a seguito di un banalissimo errore, mi porta via tutto quello che ho.
Sino ad oggi, tra perizie, avvocati, interessi passivi, ecc. questa lite nella quale Lei mi ha trascinato mi è costata oltre 80.000 euro; a questi vanno aggiunti i danni agli immobili ancora in possesso della controparte ed il minore valore delle valutazioni del perito (circa 170.000 euro in meno delle tre offerte di compravendita in nostro possesso sui cespiti di Canal di Valle). Il danno arrecatomi supera abbondantemente il mezzo miliardo delle vecchie lire. A questo va aggiunto il patrimonio dell’intera società (circa 300.000 euro), la perdita dei crediti di natura fiscale, l’impossibilità di continuare ogni attività, ecc.
Valuti nel Suo intimo se un minimo di onestà intellettuale e di volontà di ammettere i propri errori e un’eventuale accelerazione dell’iter della causa di opposizione al D.I. sarebbero stati o meno opportuni. Le ricordo che Lei ha respinto ogni nostra istanza di abbreviare i tempi e che tra l’ammissione di testimoni per accertare situazioni da noi mai contestate e rinvii continui per le più svariate motivazioni la causa è rimasta bloccata per oltre 12 mesi. Ritengo vergognoso che, dopo aver appurato un errore (compiuto in buona fede), un esponente della magistratura non si attivi per correggerlo. Non mi interessano riti, procedure, metodi, ecc., ritengo che un minimo di onestà intellettuale sia migliore di qualsiasi procedura. Ritengo dall’alto della mia ignoranza del codice di procedura civile, che la legge consenta di modificare una scelta che provoca grave pregiudizio ad una parte.
Le chiedo scusa per non essermi espresso in un “legalese” adatto alla circostanza; ritengo comunque che Lei già conosca la situazione e pertanto potrà tollerare qualche lieve difetto di forma. Non posso e non voglio chiederLe di ammettere un palese errore che mi vedrà impegnato per i prossimi dieci e forse più anni della mia vita in una causa contro lo Stato e poi presso la Corte dei Conti per verificare il recupero del danno erariale nei Suoi confronti. Le comunico semplicemente che nel mio più profondo intimo, dopo aver pregato Dio perché tuteli la salute della mia famiglia, gli chiedo semplicemente che un giorno Lei possa vivere la stessa esperienza di profonda e matura giustizia che sto vivendo io (spero Lei abbia percepito il sottile sarcasmo; nel dubbio mi permetto di evidenziarlo).
E’ maturata in me la convinzione che – visto il modo in cui viene amministrata la giustizia – rispettare le regole della vita civile (siano leggi o mere norme comportamentali) non serve a nulla quando si finisce in quei tritacarne che Voi chiamate aule di giustizia. Molto meglio delinquere e sperare che vada sempre tutto bene; se così non sarà ci saranno sempre condizionali, amnistie, grazie, riduzioni di pena, sconti per buona condotta, permessi premio, prescrizioni, ecc.
Al di là delle mie preghiere, considerazioni e convinzioni personali, la mia richiesta è semplicissima. Le chiedo formalmente di attivarsi presso l’Associazione Nazionale Magistrati, affinché per pura par condicio, nelle pagine del sito dove vengono ricordati i magistrati massacrati dalla malavita, siano anche aggiunti i nomi dei cittadini massacrati ingiustamente dai magistrati. Se volesse accedere al sito per meglio capire a cosa mi riferisco l’indirizzo è: http://www.associazionemagistrati.it/articolo.php?id=154.
Antonio Duse
Chioggia (Venezia)

(29 agosto 2010)

La copia di tutto il fascicolo processuale (alto ormai tre spanne) è a disposizione di chiunque voglia visionarla.

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=116591&sez=LADENUNCIADELGIORNO.

 

GORIZIA, IL NAUFRAGIO DELLA GIUSTIZIA

In tema di malagiustizia a Nordest segnaliamo questa interessante denuncia giornalistica sul naufragio delle inchieste per le morti dell’amianto di Stato (Fincantieri di Monfalcone). A completamento della quale occorre ricordare che il Procuratore della Repubblica di Gorizia Carmine Laudisio, principale responsabile dell’insabbiamento delle inchieste,  è stato trasferito e promosso alla Procura Generale di Trieste. Mentre, il  procuratore generale  Deidda (che non era intervenuto contro l’inerzia di Laudisio) è stato a sua volta promosso e trasferito (è il nuovo procuratore generale di Firenze). Si chiama progressione automatica di carriera a cui hanno diritto tutti i magistrati. Da parte sua, l’ex procuratore della Repubblica di Trieste Nicola Maria Pace (quello di Unabomber di cui abbiamo segnalato le gravi responsabilità nel relativo articolo) è stato pure promosso e trasferito. Ora è il nuovo Procuratore della Repubbliica di Brescia. Ma in cambio ha lasciato qui sua figlia che è sostituto procuratore a Udine. Tradizione di famiglia… (N.d.R.).

GORIZIA, IL NAUFRAGIO DELLA GIUSTIZIA.

Risultati sconcertanti dell’ultima ispezione ministeriale. Le responsabilità del procuratore della Repubblica e dei vertici di tribunale e corte d’appello. Ferme da 10 anni le indagini sugli operai morti per amianto nei cantieri di Monfalcone.

A cura di Roberto Ormanni

Una procura della Repubblica che si è fatta prescrivere tra le mani centinaia di casi di morte per amianto, un tribunale fermo da due anni, una corte d’appello dove presidente e procuratore generale stanno a guardare nonostante siano al corrente di quanto accade in tribunale e in procura. Questo in sintesi il quadro devastante della giustizia a Gorizia, dove da alcune settimane gli ispettori del ministero della Giustizia sono alle prese con una realtà raccapricciante, che supera di gran lunga anche la più fervida immaginazione.

Non è la prima volta che l’ufficio ispettivo di via Arenula si imbatte in “anomalie” (chiamiamole così) nella giustizia della città triestina. Ogni cinque anni il ministero manda gli ispettori a verificare il funzionamento degli uffici giudiziari: sono le ispezioni ordinarie. Iniziative di routine. Già cinque anni fa i funzionari ministeriali lasciarono Gorizia consegnando una serie di “prescrizioni”, ossia indicazioni ai responsabili degli uffici su cosa fare e come per rimettere in sesto, alla meno peggio, la baracca.

Poi, dopo qualche tempo, come prevede la procedura, un’altra nota del ministero chiedeva conto delle correzioni apportate all’organizzazione giudiziaria. A questo documento i capi degli uffici di Gorizia risposero: fatto, tutto a posto.

Invece non è stato fatto nulla anzi, la situazione è precipitata. La giustizia a Gorizia si trova, oggi, in fondo ad un baratro. Un buco nero nel quale ha cominciato a scivolare due anni fa, senza che nessuno abbia osato segnalare i problemi. Sa, qui siamo tutti amici, si sono giustificati alcuni magistrati interrogati dagli ispettori…

Magistrati e giudici onorari sono rimasti in silenzio, presidente del tribunale e procuratore della Repubblica non hanno aperto bocca (anzi, il problema principale è stato causato proprio dal procuratore della Repubblica) il presidente della corte d’appello e il procuratore generale non ne hanno parlato con nessuno. E neanche gli avvocati, di solito sempre pronti a protestare per il cattivo funzionamento della macchina giudiziaria, questa volta hanno detto nulla. Evidentemente faceva comodo, per diverse ragioni, a tutti.

Ma vediamo in cosa si sono imbattuti gli ispettori del ministero della Giustizia.

La procura della Repubblica di Gorizia sarebbe l’ufficio inquirente competente a indagare sulle morti per amianto verificatesi nei cantieri navali di Monfalcone.

Una lunghissima serie di decessi, verniciatori, costruttori, operai, meccanici: tutti riconducibili alle scorie di amianto. Per anni, prima che venisse accertato dagli studi scientifici quanto fosse nociva la sostanza, moltissimi cantieri hanno largamente fatto uso di amianto, lega utilissima, efficace, a basso costo e di facile lavorazione.

Le polveri, le scorie, i residui, i fumi si sono sedimentati per anni nei polmoni, sono filtrati nel sangue, hanno causato la morte. Lentamente, progressivamente, inesorabilmente.

Alla procura di Gorizia ci sono circa 750 fascicoli d’indagine per altrettante ipoesi di omicidio colposo. Indagini che, però, sono ferme da 12 anni. Nei fascicoli non c’è nulla oltre la denuncia, il certificato di morte dell’operaio, la causa di morte secondo i sanitari.

In alcuni casi i pubblici ministeri non hanno firmato nemmeno la delega d’indagine. In pratica, nessuno sta indagando. A dispetto delle centinaia di denunce, delle manifestazioni organizzate dalle associazioni di parenti delle vittime che si sono susseguite in questi anni. A dispetto, soprattutto, delle dichiarazioni pubbliche che sono state fatte, spesso, proprio da quei magistrati, come il procuratore capo di Gorizia o il procuratore generale di Trieste, secondo i quali sarebbe stato garantito il massimo impegno per ricostruire fatti e responsabilità. Ma quale impegno: nemmeno uno straccio di consulenza tecnica è stata disposta.

Come non bastasse, su nessuno di quei fascicoli c’è indicato neanche il nome di un presunto, ipotetico responsabile. Eppure quelle aziende avevano, tutte, un amministratore delegato, un responsabile della sicurezza. Ma i pubblici ministeri di Gorizia non sanno niente. Ufficialmente. Tutte le indagini sono ancora oggi, dopo anni, contro ignoti.

I fascicoli avrebbero potuto essere riuniti in un’unica indagine, o magari in due o tre tronconi, e procedere speditamente. Ma anche questo era troppo lavoro, evidentemente. Su 750 morti sono stati celebrati nemmeno una decina di processi, tutti diversi, qualcuno è ancora in corso, e in udienza non sono presenti neppure i pubblici ministeri togati, quelli che hanno svolto l’indagine. Il procuratore Laudisio ci spedisce giovani onorari, che hanno enormi difficoltà a ricostruire storie vecchie di anni.

E in decine di casi la strada seguita dalla procura di Gorizia è stata quella dell’archiviazione: “visto che la vittima ha lavorato per diverse aziende nel corso degli anni, e dal momento che non è possibile stabilire con precisione quando è cominciata la patologia che ne ha causato la morte, si archivia non essendo possibile individuare responsabilità certe per il reato di omicidio colposo”. Ecco come sono motivate le archiviazioni. Peccato che non si sia nemmeno tentato di trovarli i responsabili, non si è nemmeno provato ad affidare una perizia che potesse stabilire in quanto tempo la malattia ha portato l’operaio alla morte e dunque in che periodo della sua vita è insorta e, di conseguenza, in quale fabbrica – delle tante che facevano uso di amianto –  lavorara all’epoca.

Il pubblico ministero si è così sostituito al giudice: ha deciso che le prove sono insufficienti prima ancora di avviare il processo. Le sanno, queste cose, i familiari dele vittime? Chiedono verità da anni, ma l’unica verità è che nessuno fino ad ora l’ha cercata, la verità.

Da quando l’ispezione del ministero è in corso, qualche magistrato ha rilasciato interviste alla stampa locale: “certo, c’è qualche ritardo – ha detto in sostanza parlando dell’incredibile inerzia della procura – ma ora tutto è a posto e le indegini ripartiranno”. Non c’è nulla da far ripartire, nella maggior parte dei casi.

L’inefficienza degli uffici giudiziari di Gorizia non si ferma qui: due anni fa il procuratore Carmine Laudisio ha consegnato al presidente del tribunale, Matteo Giovanni Trotta, una comunicazione: finché non saranno coperti i posti di viceprocuratore onorario questa procura della Repubblica non invierà più magistrati a partecipare alle udienze in tribunale. Una singolare forma di protesta per la mancanza di magistrati, si potrebbe pensare. Un modo per poter avere uomini e mezzi necessari a far fronte alle esigenze di giustizia. Chi dovesse pensare questo sbaglia.

Il procuratore di Gorizia, Carmine Laudisio, ha in organico sei pubblici ministeri togati e 6 onorari. In servizio ce ne sono 6 togati e 2 onorari. A conti fatti, gli mancano quattro magistrati onorari. Questo è tutto. A fronte di otto pubblici ministeri la procura deve seguire tre udienze al giorno. E un carico di lavoro investigativo di circa duemila fascicoli l’anno, in tutto. A Napoli un pm, un solo magistrato, ne segue tremila all’anno. Da solo. A Roma siamo a circa duemila, come a Milano. A Gorizia ce ne sono duemila diviso otto. Anche se fossero quattromila…

Invece secondo il procuratore di Gorizia se non arrivano altri quattro magistrati onorari la procura non può seguire i processi. E per questo da due anni i processi vengono sistematicamente rinviati.

Proprio così: sono saltate tutte le udienze. Centinaia, migliaia di udienze. I giudici onorari aprivano l’udienza e la rinviavano “per assenza del pm”, quelli togati non l’aprivano nemmeno, la rinviavano a scatola chiusa. La ragione della differenza sta nel fatto che gli onorari se non aprono l’udienza non incassano i dieci euro o giù di lì previsti per l’udienza. Dunque, il ministero della Giustizia, le casse pubbliche, per due anni hanno pagato giudici onorari inutilmente.

Quei provvedimenti di rinvio “per assenza del pm” non sono mai arrivati oltre i confini della corte d’appello di Trieste. Nessuno, anche in questo caso, ha creduto di dover denunciare nulla. Peccato che da nessuna parte del codice di procedura pernale, o dell’ordinamento giudiziario, sia previsto un rinvio per assenza del pubblico ministero. Anche perché, è bene precisarlo, in questo caso i termini di prescrizione non si interrompono, perché il rinvio è colpa del sistema giudiziario, non dell’imputato o della difesa.

Il risultato è stata la cancellazione di decine di processi per prescrizione.

Almeno, intanto, la procura avesse utilizzato il tempo libero per svolgere indagini… nemmeno questo è accaduto, visto che i morti per amianto sono sempre in attesa di una giustizia che, a questo punto, non arriverà mai più.

Nonostante il folle provvedimento del procuratore Laudisio fosse stato trasmesso sia al presidente del tribunale, Trotta, sia al procuratore generale della corte d’appello di Trieste Beniamino Deidda, sia al presidente dela corte d’appello Carlo Dapelo, nessuno dei capi degli uffici giudiziari ha informato il ministero.

Ora spetterà agli ispettori decidere quali siano le responsabilità disciplinari.

Noi ci limitiamo ad osservare che se il dirigente di un ospedale interrompesse le prestazioni di pronto soccorso perché l’organico dei medici non è completo, verrebbe arrestato.

Basta, tutto questo, per avere un’idea della situazione della giustizia a Gorizia? No, non basta ancora.

Oltre alle indagini mai avviate, ai processi saltati, all’inerzia dei capi (il procuratore generale è il titolare dell’azione disciplinare) anche i processi, civili e penali, che sono riusciti miracolosamente ad arrivare a sentenza, hanno dovuto attendere tempi biblici per avere le motivzioni delle sentenze. In alcuni casi tra la decisione e il deposito della motivazione sono trascorsi oltre mille giorni. Di media, per avere la motivazione di una sentenza, a Gorizia, è necessario aspettare circa un anno. Contro i 90 giorni previsti dalla legge.

Per non parlare dell’esecuzione delle pene: le sentenze di condanna di primo grado sono state sistematicamente sospese quando anche uno solo degli imputati presentava appello. Una strana regola: uno per tutti, tutti per uno. Se un imputato impugnava la condanna in secondo grado bastava una richiesta della cancelleria al giudice del tribunale che aveva emesso la condanna: cosa dobbiamo fare con la sentenza per coloro che non hanno impugnato? E il giudice rispondeva: lasciate tutto fermo, vediamo l’appello come va. Anche in questo caso, una regola che non esiste: il codice, infatti, prevede che per gli imputati che non fanno appello la condanna passa in giudicato e deve essere eseguita. Se poi, al termine del processo d’appello avviato da uno degli imputati, la pena viene ridotta, allora la riduzione si applica anche a chi non ha fatto appello. Ma intanto la condanna deve essere eseguita.

La legge, però, a Gorizia conta poco. Ciò che conta è la follia e l’inefficienza. Questa volta l’ispettorato del ministero della Giustizia è deciso ad andare fino in fondo. Noi ci auguriamo che anche la procura della Repubblica di Bologna, competente a valutare eventuali reati commessi dai magistrati del distretto di Trieste, voglia verificare cosa è successo a Gorizia.
http://www.ilparlamentare.it/Articolo.aspx?id=1&idAr=108&lingua=I&super=Parlamentare&sender=elenco&time=all&idPag=6
 

27.9.2010. IL CORAGGIO DI DENUNCIARE. PROTESTA A MONTECITORIO DELLE VITTIME DEL SISTEMA POLITICO-GIUDIZIARIO MASSOMAFIOSO

 
In adesione alla richiesta del promotore del Comitato Francesco Carbone pubblichiamo il testo del comunicato stampa, dando il ns. pieno sostegno alla manifestazione e alle vittime di questo sistema politico-giudiziario massomafioso asservito agli interessi di poteri corrotti e criminali che, da parte nostra, abbiamo  continuamente denunciato, quale Associazione antimafia, in oltre 25 anni di continuo impegno sociale, in difesa dei soggetti più deboli.
Quale contributo alla migliore riuscita dell’iniziativa segnaliamo la possibilità per tutti gli aderenti vittime di abusi giudiziari di farci pervenire i loro casi che provvederemo alla tempestiva pubblicazione nella mappa della malagiustizia, onde rendere più visibili le singole vicende e meno vulnerabili e isolati i vari protagonisti.
Per segnalare il tuo caso: movimentogiustizia@yahoo.it
(Il sito di Avvocati senza Frontiere è uno dei primi siti giuridici in Italia con una media di 45.000 contatti al mese e 3000 utenti).
     
Comunicato Ufficiale della Protesta del 27.9.2010 indetta dal Comitato SpontaneoIl coraggio di denunciare“.
LA PROTESTA E’ APARTITICA E NON PERMETTEREMO A NESSUN MOVIMENTO O PARTITO POLITICO DI STRUMENTALIZZARE LE SOFFERENZE DI CHI HA SUBITO MALA GIUSTIZIA.

Si comunica che il giorno 27 Settembre 2010, a Roma in Piazza Montecitorio e’ stato programmato un Sit-In permanente per pretendere pacificamente e civilmente un dialogo con chi di dovere e istituzionalmente gia’ preposto, per esigere i nostri sacrosanti Diritti sanciti dalla Costituzione Italiana.

Tutti noi Pretendiamo un confronto ragionevole con il Ministro dell’Interno, con il Ministro della Giustizia, il Presidente della Camera e con la Commissione Giustizia per far si che si prendano i piu’ immediati provvedimenti per combattere la Malagiustizia in Italia, inquisendo e sospendendo immediatamente Giudici e Magistrati per le palesi e documentate scorrettezze Penali per favorire elementi con cui sono eventualmente collusi e facenti parte della stessa Casta Massonica Politico-Giudiziaria Mafiosa.

Bisogna mettere con le spalle al muro (in senso metaforico) i titolari dei suddeddi organi Istituzionali obbligandoli a far si che chiunque non faccia il proprio dovere, venga immediatamente allontanato, togliendogli quel potere che immeritatamente usa per favorire la crescita dell’attivita’ Criminosa Massonica Politica Forense e Giudiziaria a discapito di singoli cittadini onesti e denuncianti, all’erario dello Stato e all’Onorabilita’ dello Stato. Vogliamo che questo Sistema Tumorale venga estirpato da una vera Magistratura e noi siamo in grado attraverso le nostre denunce di localizzare tutti i Tumori presenti all’interno di Tribunali e Procure.

Pretendiamo che chi di competenza estirpi immediatamente questi Tumori prima di arrivare al Collasso Totale del Sistema.

Sistema colonizzato criminosamente dalla Casta Massonica Politico-Giudiziaria e Forense.

Voglio ricordare a tal proposito qualche articolo della Costituzione palesemente non attuato e palesemente scavalcato e raggirato criminosamente con la commissione di reati Penali da parte di Giudici, Magistrati, Avvocati e Forze Politiche.

ART. 1   La Sovranita’ appartiene al Popolo

ART. 2   La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo

ART. 3   Tutti i cittadini hanno pari dignita’ sociale e sono eguali davanti alla legge

ART. 21  Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione

ART. 24  Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi

ART. 25  Nessuno puo’ essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge

ART. 28  I Funzionari e i dipendenti dello Stato sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti

ART. 54  Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il Dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

ART. 111  La giurisdizione si attua mediante il Giusto Processo regolato dalla legge

ART. 112  Il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale.

Tali articoli sono inosservati quasi totalmente in quanto il Popolo, specialmente quello onesto e che ha il coraggio di denunciare, viene posto nelle piu’ misere delle condizioni e tartassato di vessazioni, minacce e denunce (spesso false), senza che il Popolo Italiano ne venisse a conoscenza a causa della quasi totalita’ di servilismo da parte di editori e giornalisti alla Mafiosa Casta Massonico Politico-Giudiziaria.

Tutto cio’ e’ dimostrato nelle nostre denunce e il nostro normale coraggio di renderle pubbliche e’ anche per far riflettere gli Italiani se la nostra Repubblica e’ una Repubblica la cui Sovranita’ e’ del Popolo o se e’ una mascherata Dittatura in cui il potere se l’e’ preso la Mafiosa Casta Politico-Giudiziaria Forense, truffando l’ingenuita’ e l’ignoranza del Popolo Italiano violando quasi tutte le norme democratiche sancite dalla Costituzione Italiana.

Premesso tutto cio’

Invito tutti gli uomini e donne di buona volonta’ che vogliono fare qualcosa per avere un paese realmente normale, rispettoso delle leggi e della Costituzione nel quale i diritti non si debbano supplicare ma pretendere, di far veicolare il piu’ possibile la diffusione di questo comunicato e invito tutti coloro che vorranno contribuire personalmente, con i loro preziosi suggerimenti e proposte o partecipazione personale alla protesta (giusta pretesa) del 27 settembre 2010 a contattarmi.

 Linee guida da adottare alla manifestazione concordate con la Digos e Questura di Roma da leggere…

http://www.facebook.com/notes/francesco-carbone-due/linee-guida-da-adottare-concordate-con-la-digos-protesta-del-27-settembre-contro/129887117059451

Francesco Carbone Via Giovanni Falcone 12 – 90030 Villafrati (PA) – 3470752136

francescocarbone996@alice.it

Pagina ufficiale Facebook

Francesco Carbone (il coraggio di denunciare)

http://www.facebook.com/pages/Francesco-Carbone-il-coraggio-di-denunciare/107453602609163

Profilo Facebook Francesco Carbone

http://www.facebook.com/profile.php?id=100001254702771

Francesco Carbone Due

http://www.facebook.com/profile.php?id=100001188001617

Evento tramite Facebook

http://www.facebook.com/event.php?eid=137534042950601&ref=mf

Chi e’ Francesco Carbone?

Tutta la vicenda su Poste Italiane denunciata da Francesco Carbone (il coraggio di denundiare)

http://www.facebook.com/note.php?note_id=117409504973879&id=100001188001617&ref=mf

Video su you tube su l’intervista Rilasciata a Tv Alfa Licata (Tv Locale Antimafia) leggete la descrizione

http://www.youtube.com/watch?v=U4wweaTf-yo

Intervista di Pino Maniaci (telejato) a Francesco Carbone

http://www.facebook.com/video/video.php?v=121360907915732&ref=mf%EF%BB%BF

 

 

 

SINDACO E CONSIGLIERI SI BEFFANO DI CITTADINI E MAGISTRATURA

Ci stanno trattando da scemi, noi cittadini e la magistratura.

Come abbiamo già denunciato e documentato, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza si è fatto una speculazione personale da 200.000 euro acquistando illegalmente e rivendendo a costruttori consapevoli un terreno del Comune, con la complicità attiva e passiva continuata di funzionari, assessori e consiglieri di maggioranza e di opposizione.

Continuano a coprire la speculazione personale illecita di Dipiazza.

Non succede neanche nelle regioni di mafia, dov’è accaduto qualcosa di simile l’autorità si è mossa subito, e i bandi d’asta immobiliare dei Comuni precisano tutti il divieto di acquisto per sindaco e consiglieri. E non rientra nella loro discrezionalità politica, ma tra gli illeciti commessi in veste di pubblici ufficiali, ed in ipotesi di reati associativi, pluriaggravati e continuati che vanno dall’abuso d’ufficio all’omissione d’atti, alla truffa. Greenaction Transnational ne ha fatta denuncia alla Procura della Repubblica già nel novembre scorso, con prove documentali complete e pubbliche (atti tavolari) che consentivano perciò di procedere immediatamente. Il quotidiano locale ne diede la notizia, ma poi tacque, come le istituzioni.

Abbiamo perciò lanciato noi, che siamo nati a maggio, la necessaria campagna giornalistica di indagine e denuncia, chiedendo le spiegazioni o dimissioni dei responsabili. Che hanno invece mantenuto compatti un silenzio omertoso, di fronte al quale abbiamo chiesto a Prefetto e Regione il commissariamento del Comune, ed io ho presentato personalmente nuove denunce alle Procure della Repubblica e della Corte dei Conti, alla quale si è rivolta anche Greenaction.

Quando noi siamo andati in pausa ferie Sindaco e consiglieri hanno finalmente reagito, ma con dichiarazioni menzognere al quotidiano locale che le ha pubblicate di nuovo senza verifica. Dipiazza ha infatti dichiarato falsamente che la compravendita era regolare, scaricandone comunque la responsabilità sul Consiglio comunale che l’aveva discussa ed approvata a maggioranza.

I consiglieri, pseudo-opposizione compresa, hanno scaricato la responsabilità sui funzionari, affermando falsamente che per legge sarebbero loro, e non il Consiglio, a decidere queste compravendite immobiliari, ed attribuendo simile tesi ai funzionari stessi, avvocatura comunale inclusa. I quali sembrano acconsentire tacendo, come gli assessori coinvolti, ed in particolare quelli al patrimonio di allora, il Giorgio Rossi che lasciò vendere illecitamente il terreno comunale al sindaco, e di adesso, il Claudio Giacomelli che dovrebbe agire per recuperarlo, ed è pure avvocato.

Ma con oggi usciamo di nuovo in edicola noi. E vi confermiamo che tutti costoro ci stanno prendendo per scemi.  Perché non possono non sapere tutti benissimo che la vendita al sindaco era ed è espressamente vietata dall’art. 1471 del codice civile, con precise conseguenze anche penali ed erariali. E che i poteri di decisione finale sulle compravendite immobiliari del Comune sono espressamente assegnati al Consiglio – il quale li ha infatti esercitati – dal Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000, art. 42, 2, l), in forza del quale gli illeciti da essi compiuti determinano anche l’impossibilità di ricoprire la carica di sindaco e di consigliere (artt. 77, 2 e 63).

Il Comune di Trieste ha 45 consiglieri, un vicesindaco, 9 assessori, e nove tra partiti e liste, il tutto di una mediocrità già disastrosa. Nessuno di essi, anche tra i non responsabili dell’illecito originario, ha mostrato sinora la dignità ed il coraggio di dissociarsene ammettendolo pubblicamente: né quando venne commesso, né dopo, e nemmeno di fronte alle denunce penali e di stampa. E così i loro politici e partiti di riferimento provinciali e regionali.

Questo scandalo pubblico non coinvolge perciò soltanto il Sindaco Dipiazza ed i suoi, ma tutto il potere politico locale. E la copertura concorde di un illecito così grave rivela tutto un sistema trasversale corrotto di complicità in spregio alla legge ed ai cittadini. Lo stesso che da decenni vediamo estendersi ancora impunito nel settore degli appalti, nei piani regolatori ed a quant’altro già oggetto di non poche indagini giudiziarie.

E questi politicanti, di maggioranza e opposizione, così indulgenti tra di loro sono anche gli stessi che mandano o lasciano mandare la polizia municipale in caccia empia ai più deboli: mendicanti, affamati che frugano nelle immondizie, vittime della prostituzione, miseri venditori di minuzie, poveri artisti di strada. Noi, da cittadini prima che da giornalisti, non siamo disposti a lasciarci ancora parassitare né prendere in giro da questo genere di prepotenti, quali che ne siano il colore o le cariche.  E la magistratura?

Paolo G. Parovel

4 Settembre 2010 

http://www.iltuono.it/A2010/10-09-04.pdf
 
 
 
 
 

 

UNABOMBER. UNA PERSECUZIONE TERRORISTICO-GIUDIZIARIA IN PIENA REGOLA. LO STATO CHIEDERA' I DANNI ALL'EX PROCURATORE CAPO NICOLA MARIA PACE?

Unabomber. Una persecuzione di stampo terroristico-giudiziario in piena regola. Adesso, dopo il proscioglimento, c’è da domandarsi se lo Stato Italiano chiederà i danni all’ex Procuratore capo di Trieste Nicola Maria Pace.

Ingiustamente accusato di essere il terrorista Unabomber e addidato al pubblico ludibrio, quale autore di ripetuti atti criminali, l’ingegnere aeronautico pordenonese Elvo Zornitta ha avuto vita e lavoro distrutti, ora dopo essere stato completamente scagionato da ogni pretstuosa accusa chiede giustamente allo Stato un adeguato risarcimento danni.

E lo Stato dovrebbe dunque chiederne ragione all’allora Procuratore capo di Trieste Nicola Maria Pace, che anticipò addirittura alla stampa di avere in mano il colpevole (Zornitta) in base a “prova certa”. 

La prova – un pezzo di lamierino tagliato con una forbice – si rivelò poi contraffatta in laboratorio di Polizia Giudiziaria. Le conseguenti inquietanti analogie con similari falsificazioni di prove della strage di Peteano hanno portato molti osservatori a supporre una preordinata azione di copertura e depistamento di indagini, deviando i sospetti sull’ignaro Ing. Zornitta, quale vittima sacrificale da dare in pasto all’opinione pubblica, al posto di soggetti criminali vicini ad ambienti politico-terroristici dei soliti servizi segreti deviati. 

4 settembre 2010

http://www.iltuono.it/A2010/10-09-04.pdf

 

 

INCHIESTA POLITICA SULLA GUARDIA DI FINANZA?

Finanzieri e manette

di Vincenzo Cerceo (Colonnello della Guardia di Finanza in congedo)

E’ di questi giorni l’arresto dell’ennesima “Fiamma Gialla”, questa volta a Trieste, per i soliti e ricorrenti fatti di corruzione. Soffocando la malinconia di ex appartenenti al Corpo che mai hanno infangato la divisa proviamo un po’ ad analizzare questo fenomeno, perché il considerarlo non serio e non grave equivarrebbe a volere sfuggire da una realtà spiacevole.

Per risalire all’epoca relativamente recente, fu nel 1980 che venne arrestato il Comandante Generale del Corpo, Giudice, il quale, col suo capo di Stato Maggiore, Loprete, e con una schiera di altri appartenenti al Corpo, aveva creato, al Comando Generale, una vera e propria associazione per delinquere finalizzata al contrabbando.

Il capo delle guardie che era anche il capo dei ladri: roba da repubblica delle banane. Ma il potere politico sorvolò sul fatto che tanti altri generali sapevano ed avevano taciuto, e tutto finì in gloria. Intanto, all’interno del Corpo si dava una caccia feroce ai finanzieri che, disgustati da tutto ciò, parlavano di riforma seria del Corpo. Tralasciamo la vicenda della Loggia P2 e delle altre logge coperte ed illegali, tutte con folta ed autorevole presenza degli altri gradi del Corpo (tranne ovviamente alcuni) e veniamo allo scandalo di Tangentopoli, a Milano ed altrove.

Almeno cinque anni prima che ciò fosse reso noto alla giustizia, all’interno del Corpo si sapeva, e se ne discuteva nelle caserme, del  sistema milanese, istituzionalizzato e verticalizzato, per cui il comandante di sezione, nell’affidare la pratica di servizio alle pattuglie, indicava anche la somma minima di tangente che quella pratica avrebbe dovuto fruttare; la somma poi andava all’Ufficio Operazioni, il quale ripartiva a secondo un vero e proprio manuale Cencelli delle mazzette, a Milano ed anche fuori di Milano. Non dimentichiamo queste cose.

Venne poi il caso Veneto del colonnello Petrassi, lasciato fino al giorno dell’arresto in importanti comandi; prima vi era stato il caso dell’ufficiale di Novara, e così via. Qualche anno fa un Magistrato di Pinerolo, parlò, in sentenza, di “tendenza genetica degli appartenenti alla Guardia di Finanza alla corruzione”.

A noi, che corrotti non eravamo, la cosa dispiacque, ma dopo analoghi episodi sono continuati alla spicciola così come quello di Trieste.

E’ possibile che quel modo di fare che abbiamo letto sui giornali sia un caso anomalo, un atto di follia? Vogliamo sperarlo, di cuore, ma nessuno ci prenda per ingenui. A quando una seria inchiesta politica sul Corpo?

Vincenzo Cerceo

Colonnello della Guardia di Finanza (in congedo)

Palermo. Mobbizzata da banca, famiglia e magistrati.

Chi scrive è una cittadina palermitana che, dopo aver fatto ricorso al Tribunale del Lavoro a causa di un mobbing ventennale subito e conclusosi con il licenziamento, oltre al danno esistenziale, ha subito la beffa di non vedere presa in considerazione dai Magistrati giudicanti, in nessuno dei 3 gradi di giudizio, la propria storia di mobbing, corredata da n. 102 documenti allegati a supporto della veridicità degli episodi denunciati.

Nessun giudice è mai entrato nel merito della mia storia di vittima di mobbing per far emergere la verità dei fatti accaduti. Infatti, sia nel giudizio di 1° grado, sia in sede di Corte d’Appello, non è stata presa assolutamente in considerazione la relazione dettagliata che ho allegato al mio ricorso, non mi è stata data l’opportunità di dire una sola parola, non è stato fatto alcun cenno alla “abbondante” documentazione di prova esibita e, addirittura, neanche l’avvocato della parte avversa si è preso la briga, nella sua memoria difensiva, di contestare gli episodi denunciati. Il racconto di 20 anni di vita lavorativa distrutta dal mobbing, corredato da n. 102 documenti a supporto di ogni singolo episodio denunciato, è stato ignorato e considerato come un frutto della fantasia!!! E anche la Corte di Cassazione, che avrebbe potuto fare Giustizia, rinviando ad altro Giudice per esaminare finalmente tali allegati, disattesi dai precedenti Giudici, ha preferito, in data 11/5/2010, con una semplice ordinanza, porre la parola fine alla mia vicenda umana.

Ciò premesso

Invito chi opera nel settore Giustizia a leggere la mia storia di mobbing, appurandone la veridicità, consultando il dossier intestato al mio nome e depositato in Corte di Cassazione: basta leggere i n. 102 documenti allegati, esibiti e ordinati in ordine cronologico!!!

Qui di seguito riporto i riferimenti occorrenti per rintracciare la mia pratica:

RICORSO ex art. 413 e segg. c.p.c. (previa reintegrazione urgente del posto di lavoro) e per violazione degli artt. 1175, 1375,2087, e 2119 c.c.(“Mobbing”) tra Silvana Catalano e IRFIS Mediocredito della Sicilia spa

Tribunale civile di Palermo Sezione lavoro – Giudice: Dr. Dante Martino Fascicolo inserito nella causa civile iscritta al n. 638/2005 R.G.

Corte d’Appello di Palermo : – Presidente: Dr. Antonio Ardito

Consigliere relatore – Dr.Fabio Civiletti.

Fascicolo inserito nella causa civile iscritta al n. 782 R.G.A. 2008,

Corte di Cassazione di Roma – Presidente: Dr. Bruno Battimiello

Consigliere relatore: Dr. Saverio Toffoli.

Fascicolo inserito inscritto al R.G. 11181/09.

In particolare, chiedo che “chi può” legga i n. 102 allegati, poiché dalla semplice lettura di questi documenti emerge inequivocabilmente la verità dei fatti per i quali avevo reclamato Giustizia, documenti che certificano in modo specifico e conducente quanto raccontato e che, invece, non sono stati presi assolutamente in considerazione dai Giudici, pur avendoli agli atti.

Sembra che da più parti esista una ritrosia a identificare il mobbing, (i cui effetti, oltre ad esplicarsi nell’ambito lavorativo, distruggono ogni aspetto dell’esistenza delle vittime), come un crimine pianificato dalla “mafia dei colletti bianchi”, mirante a liberarsi di un dipendente scomodo. Chi denuncia la violenza psichica subita, si ritrova “solo” a combattere una dura battaglia, abbandonato a se stesso da chi si proclamava paladino della giustizia, isolato, talvolta, dai suoi stessi familiari, con la consapevolezza che, per proteggere il silenzio omertoso su certe vicende, esiste chi sarebbe pronto ad usare qualsiasi arma!!!

E’ da 6 anni, da quando ho deciso di denunciare la mia esperienza di vittima di mobbing, che vivo disoccupata, separata in casa dal marito, con 2 figlie che mi considerano morta, senza mai avermi affrontato per dirmi ciò di cui mi accusano. E nessuno, (parenti, amici, conoscenti ecc.) è mai intervenuto per tentare di abbattere questo muro di silenzio, le cui cause “sembra” che siano a tutti sconosciute. Ma non è possibile che nessuno sappia i motivi di tale silenzio; non è “normale” che non si siano confidate con nessuno e tutto mi porta a pensare che esse, a loro insaputa, siano state “manipolate” ad hoc per indurmi, con il loro silenzio, a desistere dalla mia lotta contro il mobbing, divenuta causa, altresì, del clima omertoso che mi circonda.

E’ inquietante il silenzio assordante che aleggia sulla storia di una vita distrutta, ampiamente denunciata da una donna che chiede da anni Giustizia!!!

Auspico di trovare, tra i tanti a cui inoltro questa lettera, qualche persona interessata a dare un “autorevole” contributo al trionfo della Giustizia, portando la mia vicenda dinanzi alla Corte Europea e utilizzando tutti gli strumenti democratici, di cui non dispone un semplice cittadino. I Tribunali italiani mi hanno dimostrato come viene affondata facilmente la semplice “barchetta” con cui una persona comune reclama Giustizia; pertanto per invocare la Giustizia Europea cerco una “corazzata” con persone che abbiano iscritto nell’anima l’ideale di Giustizia!!!

La mia vicenda è un tipico caso di doppio mobbing (è stata distrutta anche la mia famiglia) ed è solo facendo emergere la verità dei fatti accaduti che potrò ricomporre il mio progetto di vita e riabbracciare le mie figlie!!!

Se credete veramente nella Giustizia,  aiutatemi…

Silvana Catalano

TRIESTE. CORRUZIONE ALLA GUARDIA DI FINANZA?

S.O.S. IN GUARDIA DI FINANZA (amianto e altri scandali)  

Non cessa, per vari motivi, la contraddizione all’interno del Corpo della Guardia di Finanza. Mentre le gerarchie del Corpo sembrano concentrate a negare alle Fiamme Gialle d’Italia i previsti benefici previdenziali per la pericolosa esposizione alla fibra killer dell’amianto, avvenuta in più luoghi di servizio, risaltano – tra le cronache di queste ore – episodi sconcertanti su presunti comportamenti illegali del personale; ne giunge circostanziata informazione in una nota (pervenuta in data odierna e a firma di Lorenzo Lorusso) della Presidenza dell’associazione Movimento dei Finanzieri Democratici, con sede a Trieste, di cui riportiamo un sintetico stralcio:

Oggetto: episodio di presunta concussione a Trieste, il caso del maresciallo della Guardia di Finanza Fabio Latini arrestato a seguito di una denuncia di due rigattieri. Non si è ancora spenta l’eco dei due sottufficiali della Guardia di Finanza indagati per corruzione a Vicenza lo scorso agosto che oggi si apprende di un nuovo caso di presunta concussione a Trieste. E purtroppo, nel Triveneto, è dagli anni Novanta che si verificano continui casi di corruzione e concussione, dai più eclatanti della Tangentopoli del Veneto, che videro coinvolti gli alti ufficiali del Corpo Petrassi e Guaragna, ai meno importanti ma pur sempre significativi episodi che toccarono finanzieri in servizio al Nucleo di Polizia Tributaria di Trieste e dell’allora 19^ Legione (ora denominato Comando Provinciale). Sarebbe proprio il caso di ripescare la celeberrima frase di Tito Livio “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”  per rimarcare che se da un lato ci sono stati, in questi ultimi anni, numerosi finanzieri che hanno chiesto a viva voce di percepire i diritti previsti dalla Legge 257/1992 (più comunemente conosciuta come benefici a favore degli esposti all’amianto) vedendoseli sistematicamente negare nonostante siano stati iscritti nel Registro Regionale degli esposti, dall’altro lato continuano a verificarsi saltuariamente episodi di presunta corruzione o concussione…”.

Per informazioni: Lorenzo Lorusso (Presidente del Movimento dei Finanzieri Democratici) – tel. 040-573881, cel. 347-5471026, e-mail: ilmovimentofd@yahoo.it.

Con preghiera di pubblicazione e/o divulgazione.

Fedele  Boffoli (in Facebook)

info@fedeleboffoli.it

www.Artepensiero.it/Fedele_Boffoli.htm

www.Anforah.Artenetwork.net

posted 9.9.2010

LA MAFIA ORDINATA DEL NORD EST: UN SISTEMA DI GOVERNO PERFETTO?

LA MAFIA ORDINATA DEL NORD EST: UN SISTEMA DI GOVERNO PERFETTO?

Mafia S.p.a.: la principale impresa italiana

 La criminalità organizzata in Italia è la principale impresa del Paese. La Mafia S.p.a. che raggruppa Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Stidda, ha un fatturato annuo stimato di 170 miliardi di euro (fonte Il Sole 24 ore). A questi si dovrebbero aggiungere i 250 miliardi dell’evasione fiscale spesso collegata alle mafie. Quattrocentoventi miliardi di euro. Un quarto della ricchezza prodotta ogni anno in Italia. Questi sarebbero i proventi delle attività illegali nel “bel paese”. Proventi che devono essere poi reinvestiti e fatti fruttare. E qui entrano in gioco le mafie dei colletti bianchi. Quelle delle acquisizioni societarie. Così la Mafia S.p.a. è riuscita negli anni ad estendere il proprio impero finanziario a livello planetario. D’altronde chi ha tanti soldi da investire non ha che da scegliere. Imprese commerciali, finanziarie, banche, organi di informazione, società ad alta tecnologia, energia, edilizia. Nessun problema. I denari arrivano a cascata, e i prestanome sono sempre disponibili. Così fioriscono nuove figure di imprenditori “illuminati”. Quelli che spuntano dal nulla. I cosiddetti “self-made men”. Miracoli della finanza creativa e della globalizzazione. Globalizzazione mafiosa però. 

Ma queste mafie polimorfi non si occupano solo – ed ai più alti livelli – di economia. In Italia sono pure riuscite, con un’avanzata inarrestabile frutto di un’accurata pianificazione, ad infiltrarsi in ogni ganglo vitale delle istituzioni e ad occupare la stessa politica. Questa imperiosa scalata al potere è stata eseguita con metodologia militare, mettendo sotto controllo le posizioni nevralgiche del Paese. Un sistema basato sulla corruzione sistematica ha consentito di consolidare rapidamente le conquiste. Nel libro paga della Mafia S.p.a. si trovano imprenditori, magistrati, poliziotti, giornalisti, medici, insegnanti, amministratori pubblici, politici, avvocati… Un’intera nazione sotto controllo e sotto ricatto.
 
 Mafie del cemento a Nord Est: Trieste un “sistema perfetto”?
Tra le più conosciute ed affidabili fonti di alimentazione di questo inossidabile sistema di corruttele vi è certamente quella che comunemente viene definita come mafia o partito del cemento. Lavori e appalti pubblici e privati sono uno dei principali collettori per le enormi masse di denaro riciclate dalla Mafia S.p.a.. E nel nostro Paese sono proprio le “ricche” regioni del Nord ad attrarre la “ricca” criminalità in necessità di investire i proventi delle attività criminose. Qui infatti si può operare in relativa tranquillità e con migliore reddittività rispetto all’ormai saturo  Meridione. Il colore dei soldi è quello della ricchezza, non quello del sangue e delle sofferenze che vi sono dietro.
Il Nord Est è ancora più interessante di questi tempi perché colpito duramente dalla crisi economica. Molte imprese da rilevare facilmente quindi. Molti buoni affari da concludere nel nome dello sviluppo e delle garanzie occupazionali. Ecco così che il vento della rivoluzione mafiosa ha investito impetuosamente queste zone spazzando via ogni ostacolo.
La piccola e degradata provincia di Trieste non fa eccezione nel deprimente panorama nazionale. Qui il partito del cemento si identifica in toto con la pubblica amministrazione ed è rappresentato da un potente cartello dei costruttori. La città giuliana è un caso speciale quanto esemplare di come la convivenza pacifica tra Stato e criminalità abbia anestetizzato ogni possibile difesa della società civile. Permettendo così la stratificazione dell’illegalità diffusa ad ogni livello ed entrata inconsciamente nella mentalità dei cittadini, privati dei loro diritti e ridotti sempre di più a sudditi. Una vera cultura dell’illegalità ora molto difficile da sradicare.
A Trieste la mafia esiste da tempo, ma è strettamente intrecciata alla potente massoneria locale e ai servizi segreti deviati. A Trieste la mafia non uccide perché tutti i picciotti sono inquadrati, disciplinati, obbedienti. Un sistema di governo “perfetto” quindi che ha consentito negli anni traffici di ogni tipo. Dalle armi, alla droga, ai rifiuti tossico nocivi. E il controllo completo degli appalti. Il settore prediletto dalle mafie del cemento, una delle travi portanti di questa economia criminale.
 
I filtri del “sistema”: come inattivare l’autorità giudiziaria.
 Cosa accade quando questo sistema “perfetto” viene minacciato? Ovvero quando qualche rappresentante della società civile ne contesta l’operato e chiede il rispetto della legalità fino in sede giudiziaria? Scatta l’allarme rosso, e tutti i componenti del sistema si attivano per bloccare l’aggressione. E chi ha osato mettere a repentaglio la “cosca” deve essere reso innocuo. E punito. La punizione pubblica in un simile sistema deviato è necessaria per dimostrare che il potere (mafioso) costituito è ben saldo, e che nessuno deve permettersi di contestarlo. E’ una necessità vitale: solo facendo vivere nel terrore i sudditi se ne può ottenere il rispetto. Ma la punizione da queste parti è in genere incruenta, o meglio dolorosa ma senza spargimento di sangue diretto (solo così può essere tollerata dalle istituzioni che del sistema fanno parte). Ed è una punizione che, paradossalmente, può anche passare indirettamente per l’autorità giudiziaria, il guardiano di questo “ordine”. Hai voluto denunciare gli illeciti? Ora finirai tu sotto processo come perturbatore dell’ordine (disordine) costituito. A me è capitato. A chi, nel nostro gruppo di ambientalisti, si è opposto a questo “sistema” è capitato. Le accuse vanno dal classico reato d’opinione (la famosa diffamazione che vale solo per te, non per i tuoi avversari che possono avviare nei tuoi confronti campagne di intimidazione e denigrazione pubblica rimanendo impuniti), all’interruzione di servizio pubblico (ad esempio se chiedi l’accesso a documenti pubblici ti possono pure denunciare perché con le tue richieste hai rallentato il lavoro dell’amministrazione pubblica…), al procurato allarme (se tu segnali un inquinamento esistente possono denunciarti per allarmismo), alla manifestazione non organizzata e sediziosa (in Italia vale ancora la legge fascista che non consente ai cittadini di ritrovarsi in luogo pubblico se superano il numero di tre). E poi il massacro continua con le cause civili per risarcimento dei danni.
Alla base dell’inertizzazione delle azioni degli ambientalisti (e in generale dei gruppi organizzati che sono considerati ovviamente più pericolosi rispetto ai singoli cittadini) ci deve comunque   essere una “struttura” che garantisca che le denunce presentate all’autorità giudiziaria vengano insabbiate, ovvero non portino ad alcun risultato. Questa struttura a Trieste è estremamente efficace e permette in tempi rapidi di risolvere casi anche complessi. Ma se le denunce degli ambientalisti sono fondate e basate su prove documentali inattaccabili come è possibile non procedere? Semplice, si applica una giustizia che potremmo definire “creativa”.  Ovvero una libera, o meglio disinvolta, interpretazione delle leggi che porta ad un unico risultato: l’archiviazione. Archiviazione che può avvenire con varie motivazioni basate sempre comunque sull’infondatezza della notizia di reato. Qualche volta, se non è sufficiente e per maggior sicurezza, si utilizza anche la formula della mancanza di legittimità ad agire nel caso specifico da parte dell’organizzazione non governativa e di chi la rappresenta, e non lo si avvisa quindi nemmeno della richiesta di archiviazione, che così passa tranquillamente senza opposizioni. Quindi se si vuole intervenire per bloccare un danno ambientale, le cui  conseguenze ricadono sulla collettività,  pur essendo portatori di interessi diffusi non si ha diritto a denunciare il reato. Solo l’amministrazione pubblica (che quasi sempre è direttamente partecipe a quel reato) può farlo. E  ovviamente questo non accadrà mai: chi sarebbe così stupido da autodenunciarsi? 
 Ma prima di questo filtro (utilizzato spesso dal GIP che decreta così l’archiviazione definitiva delle inchieste) ce n’è un altro a monte utilizzato direttamente in fase di indagine preliminare e che consiste nello svolgere le inchieste in maniera sbrigativa e superficiale già indirizzandole verso  l’archiviazione. Come può accadere questo? Entriamo più in dettaglio nei meccanismi della macchina della giustizia affrontando i casi che qui ci interessano relativi alla speculazione edilizia. 
Una delle particolarità della Procura della Repubblica di Trieste (organo inquirente) è di avere in organico un gruppo di P.G. (Polizia Giudiziaria) dei vigili urbani del Comune di Trieste con specifiche competenze in materia di polizia edilizia. Ed è a questo nucleo che vengono affidate quasi tutte le inchieste in materia di urbanistica. Ma come, direbbe chiunque, indagini così delicate su illeciti urbanistici nei quali sono direttamente coinvolti i comuni locali, vengono affidate a dipendenti delle stesse amministrazioni? Come è possibile questo? E l’esito è ovviamente scontato (c’è da dubitarne?): le denunce per illeciti urbanistici in cui siano coinvolte amministrazioni pubbliche non vanno avanti.  Basterebbe questo per far sorgere legittimi dubbi sul funzionamento di un siffatto apparato di giustizia. Ma non basta. Gli stessi ufficiali di P.G. dei vigili urbani hanno potuto svolgere anche il ruolo di P.M. (pubblico ministero) nel dibattimento in procedimenti in cui una delle parti in causa era un Comune direttamente collegato a quello da cui loro dipendevano. Anche qui ovviamente non ci sono dubbi su come sia andata a finire: ha vinto il Comune… 
Quando le inchieste devono essere archiviate ancora più sbrigativamente e non è nemmeno necessaria la “competenza” dei vigili urbani vengono affidate ai carabinieri. Stesso risultato in tempi ancora più rapidi. 
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Chi designa la P.G.? Il P.M. che dovrebbe stare assai attento alle più che evidenti incompatibilità. Proprio il nuovo Procuratore della Repubblica di Trieste Michele Dalla Costa (cognato del potente avvocato – nonché parlamentare – Niccolò Ghedini legale del premier Silvio Berlusconi) al suo insediamento aveva messo in evidenza che la P.G. doveva comportarsi con la massima correttezza. Evidentemente aveva ricevuto delle informazioni non proprio positive sull’operato di tale organo della Procura nella città giuliana all’epoca della conduzione del suo predecessore, Nicola Maria Pace. Quest’ultimo è relativamente noto per essere assurto all’onore delle cronache nazionali avendo ingiustamente accusato un cittadino innocente, l’ing. Elvo Zornitta di Pordenone, di essere il terrorista bombarolo Unabomber e rovinandogli l’esistenza (Pace dichiarò – ad indagini in corso – di avere individuato il colpevole su prova certa che si rivelò poi contraffatta dalla stessa Polizia Giudiziaria). Peccato che poi alle parole del nuovo Procuratore non siano seguiti i fatti. Dopo un lungo periodo di “rodaggio” di un anno e mezzo, si può tranquillamente affermare che nulla è cambiato sotto il cielo della Procura di Trieste. Con buona pace (in memoria del vecchio procuratore) dei poveri cittadini-peones.
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Ma certo il top in fatto di “sveltine” (intese come indagini rapide) è rappresentato da quelle inchieste che si svolgono senza indagini. In questo caso il P.M. ne chiede direttamente l’archiviazione de plano a “vista” accampando magari motivazioni contraddittorie, spesso incomprensibili e che magari non riguardano nemmeno il procedimento in esame. E se anche si presenta opposizione il solito GIP ne decreta l’inammissibilità in quanto l’operato del PM è “insindacabile”. Discorso chiuso. E il denaro che questi progetti si portano può così riprendere a scorrere.
 
Come il “sistema” punisce gli oppositori
Parlavo prima delle conseguenze per chi si espone in questa lotta contro questo “sistema mafioso”. Le ribellioni nel nome della legalità non possono infatti essere tollerate e devono quindi venire adeguatamente represse. Se i cittadini cominciassero ad associarsi in queste battaglie e la cultura della legalità si diffondesse il “sistema” sarebbe messo a serio rischio. E questa è una cosa che in una dittatura seppur imperfetta quale è l’Italia, non può essere permessa. Posso riportare in merito la mia esperienza personale essendo fresco di condanna riportata per avere denunciato e provato un illecito urbanistico.
Come già detto, la piccola provincia di Trieste è stretta nella morsa della cementificazione imposta dal potente cartello dei costruttori. Una delle maggiori valvole di sfogo per questa colata di cemento è rappresentata dalla gradevole, antica cittadina costiera di Muggia al confine con la Slovenia. Il Comune di Muggia vanta anche il triste primato dell’inquinamento essendo stato negli ultimi 50 anni uno dei principali recettori di quel vasto sistema di smaltimento incontrollato di rifiuti tossico nocivi che ne ha deturpato irrimediabilmente il territorio. Un Comune devastato quindi e facile preda  di imprenditori senza scrupoli e delle mafie associate.

In attesa che si sviluppi l’affare delle bonifiche con i lucrosi giri di finanziamenti pubblici e di riciclaggio di denaro che esse porteranno, gli interventi più redditizi rimangano quelli legati all’edilizia d’assalto, che qui significa centri commerciali: il nuovo Eden dello sviluppo economico. Almeno così vengono presentati. Ecco che quindi  che in pochi anni i centri commerciali spuntano come funghi, in un’area che non ne avrebbe proprio bisogno trovandosi a poche centinaia di metri dal confine con la Slovenia, dove esistono analoghe e più convenienti strutture. E infatti una volta realizzati si riveleranno fallimentari. Ma l’importante è fare girare denaro.

L’unica opposizione a questi mostri di cemento è stata quella della nostra associazione, all’epoca gli Amici della Terra di Trieste da me rappresentata. Nel 2003 presentavo numerosi esposti alla Procura della Repubblica di Trieste nei confronti dei due principali progetti, quello del centro commerciale Freetime e quello del centro commerciale MCC. Le violazioni erano molteplici andando dalla mancata predisposizione della Valutazione Ambientale Strategica, alla violazione dei vincoli ambientali e paesaggistici gravanti sulle aree, al mancato rispetto delle norme urbanistiche regionali. Ma tutto finiva nel nulla. Le indagini consistevano semplicemente nel chiamare a deporre  i funzionari dell’ufficio tecnico del Comune di Muggia – da ritenersi quindi indagati – che confermavano che le autorizzazioni concesse erano in regola; e sulla base di questa autocertificazione venivano archiviate le inchieste senza altre verifiche. 
I centri commerciali d’altronde erano un cospicuo affare. Il solo Freetime della Coopsette prevedeva un’investimento di 120 milioni di euro. E i soldi comprano tutto e spazzano via ogni ostacolo. Ma non poteva finire lì. L’ambientalista che aveva messo i bastoni tra le ruote e che con le sue denunce continuava a rappresentare un pericolo per il “sistema” doveva essere messo a tacere. Bisognava dargli una dura lezione. Così mi venne ritorto contro il mio stesso esposto sulla clamorosa irregolarità urbanistica dell’altro centro commerciale realizzato dalla società MCC (l’attuale centro Castorama di Muggia). L’accusa era di avere offeso la pubblica amministrazione ovvero il Comune di Muggia rappresentato dalla commissione edilizia. Venni rinviato a giudizio e condannato in primo grado al termine di un processo in cui il ruolo dell’accusa (P.M.) venne affidato dalla Procura ai vigili urbani di Trieste, cioè a dipendenti amministrativi del sindaco Dipiazza, già assuntore e amico del sindaco di Muggia (querelante) Gasperini, mentre il giudice risultava essere un avvocato ex candidato alle elezioni amministrative locali nello stesso partito dei querelanti (Forza Italia-Polo delle Libertà).
La condanna venne confermata in appello da un giudice monocratico, essendomi stata negata la possibilità di essere giudicato da un collegio come sarebbe dovuto avvenire vista l’accusa di offesa ad un corpo politico-amministrativo, nonostante riuscissi nuovamente a dimostrare l’illecito urbanistico commesso dai querelanti che era alla base della mia denuncia e origine della loro successiva querela. 
Nel corso del processo d’appello riuscii inoltre a dimostrare che i querelanti avevano reso falsa testimonianza collettiva al fine di ottenere la mia condanna. Ma il giudice ed il P.M. che avrebbero dovuto esercitare l’obbligatoria azione penale non lo fecero lasciando così impuniti i querelanti. L’apertura del procedimento penale contro i falsi testimoni avrebbe determinato il collasso delle accuse contro di me nel processo e l’avvio di indagini effettive sulla liceità della realizzazione del centro commerciale, ponendolo a rischio.
Ad una verifica successiva emerse che la mia opposizione alla richiesta di archiviazione dell’esposto sull’illegittimità urbanistica del centro commerciale era stata inserita in altro fascicolo relativo ad un altro mio esposto sulle irregolarità di un progetto di sviluppo turistico nello stesso Comune. Tale manipolazione degli atti si è rivelata poi determinante per gli sviluppi del caso. Infatti il GIP ha archiviato sia il procedimento relativo al centro commerciale in fittizia assenza di opposizione, sia quello relativo al progetto di sviluppo turistico poiché l’opposizione in atti non riguardava quel procedimento. Risulta inoltre che gli atti erano stati ritrasmessi al P.M. che pur in presenza della contestazione del GIP non provvedeva a disporre la reintegrazione dell’atto oppositivo al fascicolo di pertinenza per sanarne l’archiviazione illegittima. Dando così via libera al Comune di Muggia per presentare la querela nei miei confronti. Querela che veniva immediatamente recepita dalla Procura affidando l’inchiesta allo stesso P.M. e allo stesso ufficiale di P.G. dei carabinieri indaganti dunque su proprie indagini – i cui comportamenti omissivi avevano consentito sia l’archiviazione per l’illecito urbanistico, sia la presentazione della querela nei miei confronti.
La condanna è stata poi confermata rapidamente dalla Cassazione pur in presenza di elementi che avrebbero dovuto portare alla revisione dell’intero processo. La sentenza non è stata peraltro  ancora resa disponibile nonostante mia richiesta diretta motivata tra l’altro con la necessità di produrla quanto prima alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo dove ho presentato ricorso per violazione delle norme sull’equo processo, sul divieto di discriminazione, sulla libertà di opinione e di espressione.

Per avere denunciato nel pubblico interesse un illecito urbanistico grave e documentato commesso in forma associativa da personaggi influenti per consentire una grossa operazione speculativa sono stato processato e condannato su loro denuncia calunniosa al pagamento complessivo di circa 40.000 euro. Ecco quale è la risposta del “sistema”. Giustizia è fatta. Salvi gli interessi del partito del cemento e pubblica punizione per il contestatore che dovrà pure pagare i danni.

Devo dire che io ho denunciato queste situazioni aberranti di malagiustizia e privazione dei diritti fondamentali del cittadino agli organi disciplinari dell’autorità giudiziaria. Ma questo non è “gradito”  ai magistrati. Il suddito non deve permettersi di alzare la testa e nemmeno sfiorare con lo sguardo il potente padrone. Le sentenze devono sempre essere accettate e non si discutono (le possono contestare solo i potenti, ovviamente). E’ questo quello che si sente sempre ripetere il povero cittadino italiano nel corso di tutta la sua esistenza in virtù di quel principio (ormai ammuffito) di sacralità delle istituzioni. Ma se lo Stato è mafioso? Il cittadino deve subire supinamente e stare zitto? Scusate, ma io non ce la faccio. Anche se poi mi condannano.

Spesso mi sento chiedere (soprattutto dai giornalisti stranieri per la verità, visto che quelli italiani sono appiattiti sul sistema che li ha generati…) come se ne esce. Ovvero come l’Italia potrà – se potrà – uscire da questa oppressione controllata, da questo degrado che sembra inarrestabile. La risposta non può che essere una: la rivoluzione della Legalità. Una rivoluzione che deve partire dal basso. Non saranno certo le istituzioni corrotte (i gattopardi) ad autoriformarsi. Devono essere i cittadini ad esercitare i loro diritti e a smetterla di essere sudditi. Basta con la delega (il voto) ai partiti corrotti. I cittadini devono raggrupparsi nel nome della Legalità e lottare per la Legalità ogni volta che è necessario. E coloro che si trovano in prima fila per affermare questi diritti collettivi e che sono quindi facile bersaglio per i poteri deviati mafiosi, non possono essere abbandonati al loro destino. Attorno a loro deve essere eretto un muro insormontabile da parte dei cittadini onesti: un muro di Legalità. La rivoluzione della Legalità è la battaglia civile principale in questo nostro Paese. Ma per fare partire questa rivoluzione ognuno di noi deve trovare il coraggio dettato dalla dignità e vincere la paura. Nessuno allora potrà arginare questa piena.
E il nostro Paese potrà finalmente riconquistare la sua Libertà.
Roberto Giurastante (Presidente Greenaction transnational)
info@greenaction-transnational.org
da: www.lavocedirobinhood.it