Archivio Autore: Palau Giovannetti Pietro - Pagina 17
TRIESTE NEL MIRINO DELLA COMMISSIONE EUROPEA: VIOLAZIONE DELLA DIRETTIVA SEVESO
APPELLO A TUTELA DELLE MINORANZE ROM
al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
al Consiglio Superiore della Magistratura,
all’Associazione Nazionale Magistrati,
al Tribunale e alla Procura di Pesaro,
al Primo Ministro,
al Ministro della Giustizia,
ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica
Pesaro. Rischi di persecuzione contro i difensori dei diritti umani del Gruppo EveryOne.
“Con questa lettera, chiediamo alla magistratura, ai vertici delle autorità di forza pubblica e della classe politica del nostro Paese di prodigarsi affinché i difensori dei diritti umani del Gruppo EveryOne, che si sacrificano ogni giorno per proteggere i gruppi sociali e gli individui più vulnerabili, non siano considerati un “problema di sicurezza”, ma un baluardo preparato e responsabile contro i rischi diviolazioni dei diritti umani. La pressione e la repressione che accompagnano i nostri operatori umanitari e che durante un anno di permanenza a Pesaro hanno raggiunto punte acute e insopportabili, tanto da costringerli ad abbandonare la città dopo aver messo in salvo le famiglie Rom e migranti più fragili ed escluse, non sono un segno di “forza” e “risolutezza” da parte delle Istituzioni, ma di scarsa conoscenza dell’opera dei difensori dei diritti umani e della delicatezza della loro missione quotidiana, da cui dipendono vite umane e dignità di individui e comunità di persone…”.
Il Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i diritti umani con sede in Italia, è un insieme di persone che coopera con istituzioni e organismi europei e internazionali per la salvaguardia delle minoranze nel mondo e dei loro diritti fondamentali.
In particolare, in Italia si occupa della tutela dei diritti umani e civili di Rom e Sinti, di migranti e profughi.
Il 13 febbraio 2010 è stato notificato a Roberto Malini e Dario Picciau, co-presidenti con Matteo Pegoraro di EveryOne, un decreto penale di condanna (n. 1153 D.P., emesso dal G.I.P. della Procura di Pesaro), in cui gli venivano contestati i reati 110 e 340 del codice penale (interruzione di pubblico servizio), relativamente all’identificazione, il pomeriggio del 20 dicembre 2010, di tre persone di etnia Rom all’esterno di un bar del centro di Pesaro. Secondo due agenti della Sezione Volanti, Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso, Malini e Picciau avrebbero turbato un’operazione di polizia. A tali accuse, Malini e Picciau hanno provveduto a proporre formale opposizione in tribunale, assistiti dagli avvocati Silvano Zanchini e Valeria Novelli del Foro di Pesaro. L’8 ottobre prossimo si svolgerà l’udienza per l’opposizione al decreto penale di condanna, presso il Tribunale di Pesaro.
I difensori dei diritti umani di EveryOne, e in particolare i suoi co-presidenti, hanno sempre operato con serenità e controllo, in situazioni spesso delicate e difficili. A Pesaro, città in cui quattro componenti dell’organizzazione si erano trasferiti per vivervi, EveryOne, in linea con la sua mission, si è occupato della tutela di diritti umani e civili, e in particolar modo della condizione dei Rom, dei profughi, dei senzatetto e degli omosessuali presenti sul territorio cittadino e provinciale. Abbiamo dialogato sempre con le istituzioni, le autorità e i media locali, per trasmettere loro una migliore informazione riguardo alla presenza in Italia del popolo Rom, alle normative e agli accordi europei e internazionali che tutelano i profughi, gli omosessuali e in genere le minoranze etniche e sociali. Purtroppo, abbiamo incontrato una situazione assai difficile, con molti episodi di discriminazione e un atteggiamento a nostro parere ostile, sia da parte del Comune di Pesaro che da parte della Questura, verso i gruppi sociali vulnerabili ed emarginati. Dopo il respingimento, nel 2008, avallato dall’allora Questore di Pesaro, di un gruppo di profughi afgani, che ha dato luogo ad un’interrogazione parlamentare su nostra segnalazione, presentata al Senato dagli onorevoli Marco Perduca e Donatella Poretti, l’atteggiamento della Questura di Pesaro è divenuto ancora meno amichevole, soprattutto nei confronti degli attivisti per i diritti umani che si presentavano o venivano identificati quali componenti di EveryOne. In particolare, quando il co-presidente Roberto Malini, oggetto del decreto penale di cui sopra, si è recato in Questura in seguito alla deportazione di afgani (con sottrazione di minori su ordine dell’autorità giudiziaria, nonostante nel gruppo vi fossero genitori e fratelli maggiori che li accompagnassero), è stato ricevuto nell’ufficio del questore Benedetto Pansini non per essere ascoltato riguardo alla segnalazione del mancato rispetto dei diritti dei profughi, ma per essere oggetto di un avviso orale, riportato dallo stesso Malini con la seguente motivazione: “Siccome i Rom sono notoriamente delinquenti, ravviso nella vostra attività a favore dei Rom gli estremi per un’associazione per delinquere”.
Successivamente, mentre il Gruppo EveryOne instaurava un rapporto di collaborazione con i Carabinieri della stazione di Pesaro, si inaspriva l’atteggiamento della Polizia di Stato – in particolare della Sezione Volanti – nei confronti dei difensori dei diritti umani. Gli agenti di polizia fermavano gli attivisti di EveryOne e controllavano loro i documenti ogniqualvolta li vedevano impegnati nella quotidiana attività di assistenza e tutela alle famiglie Rom stanziate in città.
La Questura, secondo quanto riferito dalla maggior parte di loro, li convocava per il minimo pretesto, sempre con atteggiamento poco disposto a un dialogo sereno e chiedendo loro ragione di articoli apparsi sulla stampa locale o nazionale riguardanti casi curati da EveryOne, nonché di dimostrare i rapporti con il Parlamento europeo, cui presentavamo regolarmente relazioni sulla condizione dei Rom, dei migranti e delle altre minoranze. L’onorevole Viktoria Mohacsi, parlamentare europea ALDE (Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa) e fra le massime autorità continentali riguardo alla condizione dei Rom nell’Unione europea, faceva recapitare dai suoi uffici di Bruxelles una lettera di incarico al Questore di Pesaro, ove si specificava che i sigg. Malini, Pegoraro e Picciau, in qualità di co-presidenti EveryOne, agivano per conto dell’on. Mohacsi riportando rapporti e segnalazioni di abusi alle autorità e agli organismi dell’Unione europea. Dopo la ricezione della lettera (allegata alla presente), la pressione della polizia diminuiva, ma solo temporaneamente. Né le istituzioni comunali, né la Polizia di Stato, sembravano comprendere che l’attività dei difensori dei diritti umani non va “contro le autorità” ma fa parte degli equilibri di una democrazia, di una società civile. Secondo quanto riferito dagli attivisti di EveryOne stanziati a Pesaro, gli stessi venivamo nuovamente redarguiti in Questura per nuove interrogazioni parlamentari scaturite da nostre segnalazioni e presentate da deputati e senatori al Parlamento italiano aventi come oggetto anche il territorio pesarese.
Tuttavia, sembrava impossibile spiegare che la tutela di chi soffre esclusione sociale e persecuzione è la missione di un’organizzazione per i diritti umani come EveryOne e che era (ed è) proprio lo scrupolo e la serietà con cui il Gruppo svolge tale attività ad aver fatto guadagnare allo stesso la fiducia e la cooperazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, del Parlamento europeo, della Commissione Ue e del Consiglio d’Europa, nonché di diversi parlamentari italiani ed europei (di schieramenti diversificati) che credono nella civiltà dei Diritti Umani. Il pomeriggio del 20 dicembre 2008 non è accaduto nulla di insolito: gli attivisti di EveryOne hanno semplicemente svolto la loro attività di difensori dei diritti umani: avevano appuntamento di fronte al bar Harnold’s, in piazza Matteotti a Pesaro, con tre giovani Rom romeni che seguivano da tempo e che, fra l’altro, sono stati testimoni per la Commissione europea riguardo alla discriminazione dei Rom in Italia.
Ecco la testimonianza di Roberto Malini e Dario Picciau riguardo all’accaduto:
“Nico Grancea, Americano Grancea e Ionut Ciuraru ci attendevano davanti al locale e, come avveniva a un ritmo assai frequente, sono stati fermati dalla polizia. Quando abbiamo raggiunto il luogo dell’appuntamento, abbiamo notato una volante ferma fuori dall’Harnold’s e un agente che attendeva all’interno della vettura che il barista gli portasse panini e bibite (sarebbero arrivati poco dopo). L’altro agente era sceso e, con fare molto autoritario, chiedeva ai tre ragazzi perché si trovassero a Pesaro, affermando più volte che i Rom non lavorano e rubano, e che a lui non piaceva vederli in giro. Abbiamo salutato i tre giovani, dicendo all’agente che li conoscevamo e che vivevano a Pesaro con le famiglie in edifici dismessi, in attesa che il Comune di Pesaro, come dichiarato pubblicamente dal sindaco Ceriscioli e dagli assessori Pascucci e Savelli, attuasse il programma di integrazione promesso, che viene richiamato anche in due interrogazioni parlamentari.
Poi abbiamo chiesto all’agente se potesse usare parole meno dure, visto che i tre ragazzi stavano passando un momento difficile (familiari stretti dei tre avevano gravi problemi di salute, in quel periodo, e Nico Grancea aveva avuto da poco un bambino, dovendo far fronte a condizioni socio-economiche assai precarie) ed erano molto provati. Abbiamo detto all’agente che avremmo atteso i tre nel bar. Tuttavia, l’agente ci fermava, chiedendoci i documenti. Intanto gli chiedevamo perché avesse fermato i tre giovani. ‘Quando vediamo certe facce,’ rispondeva, ‘sappiamo per esperienza che nel 90% dei casi sono dei criminali’.
Con molta civiltà e pacatezza, gli facevamo presente che non è giusto valutare gli esseri umani in base alla loro faccia.
Allora l’agente cominciava a chiederci, in tono aspro: ‘Ah, volete dire che siamo razzisti?’. Evitavamo di entrare nella discussione, anche perché la polizia fermava con frequenza le persone di etnia Rom a Pesaro e da parte nostra abbiamo sempre cercato di evitare di esagitare gli animi degli agenti, per evitare ripercussioni sulla comunità Rom. Quando l’agente ci chiedeva di allontanarci di tre metri da lui, lo assecondavamo senza fiatare. A differenza di quanto scritto dagli agenti nel loro rapporto, trasmesso alla Digos e successivamente alla Procura della Repubblica, non vi era nessuno nei pressi, oltre a noi, ai tre giovani Rom, all’agente in piedi davanti al bar e a quello seduto nell’auto. Lo può confermare un altro attivista EveryOne che ha potuto osservare la scena passando contemporaneamente dall’altro lato della piazza. Riguardo allo svolgersi dei fatti, può confermare la loro dinamica il sig. Ionut Ciuraru, uno dei tre giovani fermati dall’agente e poi condotto, per l’ennesima volta, in Questura.
Al link http://www.everyonegroup.com/downloads/testimonianza.mov
una dichiarazione video che Ionut Ciuraru ci ha gentilmente rilasciato da un Internet point, dopo aver appreso del decreto penale con cui siamo stati colpiti. E’ per accertarci che lo rilasciassero e potesse tornare ad assistere la madre, malata di cancro, che ci siamo diretti in Questura, quella sera, non certo per scusarci con l’agente, come invece da lui riferito. Avendolo incontrato lì, tuttavia, lo salutavamo con gentilezza e civiltà, come è nostro costume”.
Riteniamo utile e importante, da parte nostra, riferire alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro e al Giudice per le Indagini Preliminari lo svolgersi dell’episodio che ha condotto gli agenti di Polizia di Stato a scrivere il loro rapporto da cui è derivata la condanna penale a due dei co-presidenti di EveryOne, visto che la Procura non ha avuto modo di ascoltare né le loro testimonianze né quelle dei tre giovani Rom fermati né quelle del barista o dei passanti. Siamo molto amareggiati di tutto ciò, in considerazione del fatto che – al di là di come andrà a finire questo procedimento giudiziario – la nostra organizzazione, che si autofinanzia e utilizza ogni fondo economico (sempre derivante da donazioni private dei suoi membri) per aiutare i poveri e gli esclusi, sia stata costretta, solo per aver svolto la propria missione, ad affrontare consistenti spese legali, togliendo risorse a casi umanitari drammatici e sicuramente più urgenti.
Desideriamo farvi notare, infine, l’importanza dell’attività dei difensori dei diritti umani e le innumerevoli difficoltà che incontrano quando si impegnano per tutelare la vita e la dignità di esseri umani che una cultura deviata considera “asociali” e meri “problemi di sicurezza”, e non – come in realtà sono – persone in grave disagio, prede di mancate assistenze, di discriminazione, di odio e di violenze. Quando accade che le autorità decidano di liberarsi dei gruppi sociali vulnerabili, combattendo anche le organizzazioni che cercano di tutelarne i diritti, si verifica un fenomeno pericoloso, che in genere è tipico dei regimi in cui i diritti umani non trovano posto. Ecco perché, dopo un anno difficilissimo e dopo aver messo in salvo le famiglie più deboli, i difensori dei diritti umani del Gruppo EveryOne che vivevano a Pesaro sono stati costretti a trasferirsi altrove. Ed ecco perché il caso del nostro Gruppo viene monitorato dagli uffici di Ginevra dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, nonché direttamente seguito dallo Special Rapporteur ONU sulla condizione dei difensori dei diritti umani Mrs. Margaret Sekaggya,poiché emblematico della necessità di evitare che in Italia e in Europa si verifichino gravi episodi di persecuzione dei difensori dei diritti umani.
Il Gruppo EveryOne è inoltre seguito con preoccupazione da Front Line, la principale organizzazione che tutela gli attivisti per i diritti umani a rischio di vita nel mondo, e recentemente EveryOne (unica organizzazione umanitaria dell’Unione europea invitata al meeting) ha preso parte alla 5th Dublin Platform for the protection of Human Rights Defenders dove, rappresentata dal co-presidente Matteo Pegoraro, ha potuto incontrare Mrs. Navanethem Pillay, Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Con questa lettera, chiediamo alla magistratura, ai vertici delle autorità di forza pubblica e della classe politica del nostro Paese di
prodigarsi affinché i difensori dei diritti umani del Gruppo EveryOne, che si sacrificano ogni giorno per proteggere i gruppi sociali e gli individui più vulnerabili, non siano considerati un “problema di sicurezza”, ma un baluardo preparato e responsabile contro i rischi di violazioni dei diritti umani. La pressione e la repressione che accompagnano i nostri operatori umanitari e che durante un anno di permanenza a Pesaro hanno raggiunto punte acute e insopportabili, tanto da costringerli ad abbandonare la città dopo aver messo in salvo le famiglie Rom e migranti più fragili ed escluse, non sono un segno di “forza” e “risolutezza” da parte delle Istituzioni, ma di scarsa conoscenza dell’opera dei difensori dei diritti umani e della delicatezza della loro missione quotidiana, da cui dipendono vite umane e dignità di individui e comunità di persone.
Oltre all’opposizione al decreto penale di condanna, presto i tre co-presidenti del Gruppo EveryOne, Malini, Pegoraro e Picciau, dovranno difendersi in un altro procedimento penale, sempre presso il Tribunale di Pesaro, accusati dalla locale Procura di calunnia (art. 368 c.p.) nei confronti di un assessore del Comune di Pesaro e di un responsabile dei Servizi Sociali locali, con il rischio di una condanna penale fino a sei anni di detenzione, per aver dichiarato che la sottrazione di bambini Rom a genitori indigenti ed emarginati da parte dei Servizi Sociali è un abuso: la stessa conclusione tratta dall’eurodeputata Viktoria Mohacsi e da tutte le organizzazioni internazionali per i diritti umani, in base alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia, alle Carte sui diritti umani e alle Costituzioni nazionali degli stati membri dell’Unione europea.
Anche riguardo a questo caso, vi è sconcerto e preoccupazione da parte dell’organizzazione Front Line e delle Nazioni Unite, che seguono da vicino lo sviluppo di questo caso, che non ha precedenti nell’Unione europea, con timore di un ritorno a politiche persecutorie nei confronti dei difensori dei diritti umani, come avvenne solo in epoche buie, da cui l’Unione europea ha preso da tempo le distanze. Dietro richiesta delle autorità cui è rivolta nell’intestazione la lettera aperta, il Gruppo EveryOne è disponibile a metterle in contatto con il Dipartimento delle Nazioni Unite, a Ginevra, che si sta occupando dei casi giudiziari che colpiscono i suoi co-presidenti.
Chiediamo al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al Consiglio Superiore della Magistratura di vigilare sui procedimenti in corso nei confronti dei difensori dei diritti umani del Gruppo EveryOne, affinché non siano emessi verdetti ingiusti che colpirebbero senza ragione la loro legittima missione umanitaria; chiediamo inoltre ai rappresentanti del Parlamento e del Governo di valutare attentamente la serie di episodi sopra descritti, che pongono gli operatori umanitari del Gruppo EveryOne in una condizione di persecuzione e intimidazione che mal si addice alle basi giuridiche della democrazia e della civiltà, in cui la difesa dei diritti umani è una componente essenziale e basilare; chiediamo infine alla Procura della Repubblica di Pesaro e ai suoi magistrati di non trasformare evidenti errori giudiziari in una questione di principio o di orgoglio e di accogliere i nostri ricorsi, ovvero di archiviare le accuse pendenti nei confronti degli attivisti di EveryOne. Accuse che a nostro avviso non trovano ragioni nel diritto e colpiscono senza alcun motivo persone che dedicano le loro vite a proteggere le classi sociali più deboli ed escluse, agendo fra mille difficoltà.
La missione degli operatori umanitari, d’altronde, è espressa in una sintesi chiara e concisa dalla Dichiarazione Universale sui Difensori dei Diritti Umani, che all’articolo 1 afferma:
“Tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale” e, successivamente, all’articolo 6 “di pubblicare liberamente, comunicare o distribuire ad altri opinioni, informazioni e conoscenze su tutti i diritti umani e le libertà fondamentali”.
RingraziandoLa dell’attenzione che vorrà dedicare al nostro caso, cogliamo l’occasione per porgerLe i nostri migliori saluti.
Gruppo EveryOne
Roberto Malini Matteo Pegoraro Dario Picciau
Per conoscere i dettagli del caso è importante analizzare i documenti giuridici, le posizioni delle Nazioni Unite, del Parlamento Europeo e di Front Line, i report scaricabili a questo link:
http://www.everyonegroup.com/downloads/casoeveryone.zip
Link correlati:
http://www.everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/Entries/2009/6/1_La_fabbrica_della_morte.html
http://everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/Entries/2009/11/4_Pesaro_e_il_razzismo_rosso.html
http://www.everyonegroup.com/it/2008/EveryOne/MainPage/Entries/2008/8/23_Festa_di_Pesaro_2008.html
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Aldrovandi. “E’ stato morto un ragazzo”.
La denuncia-intervista del regista Filippo Vendemmiati.
Nel processo per la morte di Federico Aldrovandi, la Polizia di Stato dovrebbe costituirsi parte lesa contro i responsabili insieme alla famiglia per rispetto verso tutti i poliziotti onesti che rischiano la loro vita per la sicurezza dei cittadini. Invece, sembra una beffa, i responsabili del pestaggio condannati in primo grado sono ancora in servizio.
Cosa ne pensa di questo il dottor Manganelli, capo della Polizia? Filippo Vendemmiati ha girato un film: “E’ stato morto un ragazzo” sulla vicenda di Federico sulla quale rimane una domanda oscura: “Perché?”. Si sa ormai tutto della fine di un ragazzo, ma non delle cause. Quali sono le vere cause? E, se non si rimuovono, quanti altri Federico ci saranno in futuro?
“E’ stato morto un ragazzo”
“Mi chiamo Filippo Vendemmiati, sono un giornalista, lavoro dal 1987 alla RAI nella sede regionale dell’Emilia Romagna e faccio quello che si dice l’inviato di cronaca, l’inviato di cronaca che a un certo punto della sua carriera professionale ha deciso di scendere dal treno, di dire: adesso basta,adesso mi fermo, scendo dal treno in corsa delle notizie mordi e fuggi che il giorno dopo non si sa più quello che si è fatto il giorno prima e decido che per una volta quello che vale la pena raccontare non è una notizia, ma una storia e quindi approfondire quello che raramente noi riusciamo a fare, quello che raramente i giornalisti in questo sistema dell’informazione malato riescono a fare e mi sono fermato su un caso che è successo nella città dove sono nato e dove ho vissuto a lungo, Ferrara e che sembra incredibile possa essere successo in questa città, una città civile di tradizioni democratiche, come si diceva una volta, e è il caso della morte di un ragazzo di 18 anni che si chiamava Federico Aldrovandi che il 25 settembre 2005 durante un incontro con la Polizia, usavamo sempre questi termini perché non si poteva dire “scontro, pestaggio” perché ancora la sentenza non c’era stata, non si potrebbe dire neanche adesso perché ancora non è passata ingiudicato, ma dopo un pestaggio con la polizia è morto a Ferrara.
Federico Aldrovandi è morto due volte, è morto sotto i colpi dei manganelli e per lo schiacciamento del torace ed è morto perché dopo questi tragici fatti si è cercato di negare l’evidenza e si è costruito un alibi fasullo, ci sono state due inchieste quella sulla morte e quella sui depistaggi, entrambe hanno portato a due sentenze di condanna di primo grado per 7 uomini in divisa, in servizio alla Questura di Ferrara.
Definisco il caso di Federico Aldrovandi un omicidio quasi perfetto perché non solo quella mattina ci furono 4 agenti che sbagliarono e poi mentirono, ma poi ci furono altri agenti in servizio alla Questura di Ferrara che coprirono quelle bugie, costruendo un alibi quasi perfetto che stava per avere successo basato sul favoreggiamento, sul depistaggio delle indagini e sulla falsificazione dei documenti, questo non lo dico, ma lo dicono due sentenze e due motivazioni dei giudici di Ferrara. Trovo che questa sia una storia emblematica che ha molto a che fare sia con il sistema dell’informazione che con il sistema della giustizia, questa era una storia ormai archiviata dalla giustizia ma anche dall’informazione, se non fosse stato per un paio di giornalisti e io non ero tra quelli allora, una trasmissione televisiva e soprattutto la tenacia e la determinazione della Famiglia Aldrovandi, dei suoi legali che il 2 gennaio, 4 mesi dalla morte di Federico decisero di aprire un blog, pubblicando la foto del cadavere del figlio, il volto sfigurato del figlio, quindi violentando in qualche modo i propri sentimenti, il proprio dolore, quell’inchiesta molto probabilmente sarebbe stata archiviata, questa è un po’ la storia, il filo conduttore di questo film documentario che abbiamo presentato in anteprima a Venezia e che adesso stiamo tentando di far vedere a quanta più gente possibile in accordo con la Famiglia Aldrovandi.
Per uno Stato trasparente.
Il mio obiettivo e spero di esserci riuscito, è quello di non limitarmi a una semplice denuncia, sarebbe stato molto facile agire sui sentimenti, sulle mozioni, sui filmati che la Famiglia Aldrovandi ci ha messo a disposizione per una denuncia molto forte, molto potente, violenta anche nei confronti della Polizia, non che non ci sia questa denuncia, poi il giudizio spetta a chi vede il film, ma ho tentato soprattutto di lanciare un messaggio positivo che è poi il messaggio che solo la forza di questa famiglia straordinaria poteva trasmettermi, non si chiede allo Stato e ai rappresentanti dello Stato di essere infallibili, anche i rappresentanti delle istituzioni possono sbagliare, anche se le loro responsabilità sono enormemente più gravi di quelle degli individui, si chiede allo Stato però di essere trasparente quando i propri rappresentanti sbagliano, invece c’è un filo conduttore in qualche modo inspiegabile, un vizio di origine delle forze dell’ ordine in questo paese che accomuna il caso Aldrovandi a altri casi avvenuti in circostanze simili, ma che hanno tutti lo stesso comune denominatore e penso ai Di Giuliani, a Cucchi, a Uva, a Gabriele Sandri, che un conto sono i fatti da accertare, gli approfondimenti, le perizie e su questo poi ognuno può dimostrare giustamente in un contraddittorio quello che succede, un conto invece è l’operato delle forze dell’ ordine che in tutti questi casi hanno avuto lo stesso comportamento che è stato quello prima di tutto di negare, in secondo luogo di coprire depistando le indagini, in qualche modo strumentalizzando le testimonianze, evitando quindi la trasparenza, questo è un filo conduttore che qualcuno dovrà spiegarci perché, perché questo non è un film contro le forze dell’ ordine, anzi è un film a difesa delle forze dell’ ordine e di chi nelle forze dell’ ordine si comporta in modo onesto, ma qua non è successo questo, così come negli altri casi, c’è l’Avvocato Anselmo che difende altri casi simili che mi dice: ma qua succede sempre la stessa cosa, non ci fanno fare le fotografie, falsificano le autopsie, questo è avvenuto anche nel caso di Cucchi, le modalità di difesa della giustizia quando è la giustizia italiana, i suoi rappresentanti a essere indagata e messa sotto processo è sempre lo stesso, la copertura e l’omertà, pure in circostanze che i fatti dimostrano essere anche diverse .
I responsabili condannati in primo grado nelle due inchieste lavorano ancora, sono ancora uomini in divisa e questo per la giustizia italiana ancora non sono dei pregiudicati perché le condanne non sono definitive, però per esempio alcuni di loro continuano a svolgere servizi normali, alcuni anche sulla strada, chiedo alle forze dell’ ordine: perché questo succede? La risposta è: abbiamo avviato un’inchiesta interna, in realtà le inchieste interne della polizia o dei ministeri si cominciano ma non finiscono mai, noi non sappiamo mai quali sono i risultati di queste inchieste interne, così succede che ancora oggi a Ferrara per esempio gli amici di Federico che hanno subito un vero e proprio processo, sono stati accusati, le ore successive dalla morte dell’amico di averlo scaricato in macchina, di essere dei drogati, possono tranquillamente imbattersi nelle persone che in qualche modo hanno provocato la morte del loro amico, questo succede a Ferrara, in una città civile!
Patrizia Aldrovandi ha subito delle querele per diffamazione dagli Avvocati di 3 agenti condannati perché Patrizia ha definito delinquenti questi poliziotti, questa querela Patrizia Aldrovandi l’ha vinta e è stata archiviata dal Tribunale di Mantova, ciò non toglie che altre persone per dichiarazioni rilasciate dalla stampa siano state querelate.
A colpi di querela
Questo va detto, si inserisce in un meccanismo credo che non ha eguali in altri paesi d’Europa, ormai la querela è diventata un’arma per intimidire i giornalisti, il meccanismo è semplicissimo, pensiamo che questa professione ormai è fatta in buona parte da giornalisti che non svolgono ufficialmente questo lavoro, che sono sottopagati, che sono precari, giovani, che sono all’inizio del loro lavoro, se sono in questa condizione e ho notizie delicate da pubblicare nei confronti di un personaggio eccellente, la prima cosa che faccio è accertare i fatti, poi scrivo queste cose, cosa succede in Italia? Che parte immediatamente una querela a prescindere che le cose che ho scritto siano vere o false, ormai le querele si fanno da un milione di Euro in su, uno può dire: ma sono sicuro di avere detto la verità, cosa mi importa? No, non è vero perché questo di obbliga per 4 o 5 anni, questa è la durata minima di una querela per diffamazione a pagarti gli avvocati, a partecipare alle udienze, è chiaro che è una sorta di intimidazione, un’arma che immediatamente diventa operativa, un’arma preventiva che i personaggi eccellenti si dotano attraverso i loro avvocati, in questo modo cosa ottengono? Che magari tra 5 anni vinco anche questa causa, però in questi 5 anni non ho più scritto niente delle cose che avevo accertato, questo è il meccanismo veramente perverso che blocca anche la libertà dell’informazione in Italia, qui siamo ben al di là dei rischi di libertà, siamo già in uno stato in cui la libertà è negata se questo è il meccanismo, se la querela è diventata un’arma contro la libertà di informazione, un meccanismo è veramente molto semplice.
La speranza dei familiari di Federico è che dopo questo caso non solo e non tanto non succeda più, ma che a chi potesse succedere, sia fornito uno strumento che prima non c’era, il 25 settembre sarà il quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi, a Ferrara si riuniranno le famiglie dei casi simili, sopraccitati e fonderanno un’associazione, un’associazione non contro qualcosa, ma per la tutela dei diritti delle persone che hanno subito abusi di potere per offrire sostegno psicologico e legale perché le modalità di oppressione e di pressione contro queste famiglie sono sempre state lo stesso e questo credo sia anche un segnale di speranza, un modo per guardare avanti, se il documentario, il film ha contribuito minimamente a questo processo, credo che l’obiettivo in buona parte sia stato raggiunto.
Spero che questo succeda e il tentativo è quello di, proprio per questo, far vedere il film a quante più persone possibile, devo dire che le risposte fino adesso sono state quello sorprendenti e è questa anche la testimonianza di come oggi l’informazione si sia estesa, passi attraverso canali non ufficiali, attraverso la rete che un tempo erano impensabili, oggi c’è una raccolta di firme per chiedere al servizio pubblico di trasmettere in orario non da dalle 2 alle 3 di notte questo documentario, non so se questo accadrà, non sono io a doverlo dire, fosse per me lo trasmetterei 24 ore su 24 su tutte le reti, ma non sono io a dover dire questo.
Spero che questo serva a formare delle coscienze e a contribuire un minimo a un processo di trasparenza che ancora in Italia non c’è all’interno degli apparati dello Stato e delle forze dell’ ordine. Trovo che le dichiarazioni e le cose dette da Bondi negli ultimi giorni siano paradossali e fortemente sottovalutate dal mondo politico italiano, abbiamo un Ministro della Cultura, non un privato cittadino, che prima decide di non andare al Festival di Cannes perché dice che c’è un film, quello della Guzzanti che non gli piace, un bambino isterico che punta i piedi e dice: no, non ci vado perché è un film che non mi piace, ma cosa c’entra? Non vado a una mostra perché c’è un quadro che non mi piace, ma tu sei un Ministro della cultura, non sei un cittadino, poi il film ti può piacere o non piacere… succede di peggio, non va neanche a Venezia, un Ministro della Cultura che non si presenta alla mostra del cinema di Venezia mi sembra il Papa che non celebra la messa di Natale perché c’è un cardinale che non gli sta simpatico, dopodiché dichiara il Ministro che il prossimo anno deciderà lui, il Presidente della Giuria, quindi a quel punto propongo al Ministro Bondi che si faccia il Festival di Venezia a casa sua, che si scelga i film, sicuramente non questo, che si premi quello che vuole che vinca il Leone d’Oro perché credo che queste cose in Italia siano veramente incredibili, adesso non so se il Ministro Bondi sia capace di emozionarsi, se potrà mai vedere questo film, glielo auguro, se lo guardi poi mi dica se mi dà finalmente questo visto di censura, grazie Ministro!”
http://www.beppegrillo.it/2010/09/aldrovandi_in_l/index.html?s=n2010-09-23
ATTIVITA' DI LOBBYNG PER CONDIZIONARE LA VITA POLITICA ITALIANA. TUTTO AFFOSSATO!
Le indagini insabbiate 14 anni fa dal Procuratore di Aosta Del Savio sono tornate alla ribalta con il caso P3.
Il nuovo titolare dell’inchiesta romana, il P.M. Dott. Capaldo, ha definito la P3 in maniera non dissimile da quella dell’ex P.M. di Aosta, David Monti, scippato 14 anni dal suo Procuratore capo di due importanti inchieste sui santuari dei poteri occulti: “Una società occulta devastante che condizionava le istituzioni”. Manovre sulla Corte costituzionale per far promuovere il Lodo Alfano e sulla Cassazione in favore dell’azienda del premier. Telefonate nelle quali si fa riferimento a Cesare, beneficiario e terminale delle trame della P3, nomignolo che secondo i carabinieri è riferito a Berlusconi. Manovre dell’ex ministro Nicola Cosentino per infangare il suo rivale di partito Caldoro nella corsa a governatore della Campania. Pressioni sul Csm per favorire l’ascesa alla presidenza della Corte di Appello di Milano (che deve occuparsi delle cause che riguardano Berlusconi e le sue aziende) di Alfonso Marra. E ci sono anche le vicende dell’energia eolica in Sardegna con le prove che gli inquirenti ritengono di avere trovato dei passaggi di denaro da Carboni a una società editoriale di Denis Verdini.
Insomma tutte attività di lobbyng per condizionare la vita politica italiana, riportando alla ribalta le inchieste “Phoney Money” e “Operazione Lobbying“, insabbiate dalla Procura di Aosta, che crediamo oggi istruttivo ricordare e ricostruire per i nostri attenti lettori.
Per gli investigatori della Procura di Aosta era ‘l’amerikano’, lo scomodo P.M. David Monti fautore delle inchieste denominate “Phoney Money” e “Operazione lobbyng” su una misteriosa associazione segreta in grado di condizionare la vita politica italiana, che tanto segreta non è visto che oggi ritornano alla ribalta vecchi personaggi della disciolta P2.
Come riportava un circostanziato articolo del quotidiano la Repubblica, dal titolo “l’AMERICANO ACCHIAPPA-POTENTI“, dopo quello di Gianmario Ferramonti, l’ex consigliere della Pontidafin, la finanziaria della Lega Nord, finito in galera nell’aprile 1996 insieme a 17 complici per una megatruffa internazionale con titoli rubati e falsificati e con obbligazioni emesse dalla Repubblica di Weimar negli anni Venti è il nome di Enzo De Chiara quello che ricorre sempre più frequentemente nella inchiesta di Monti. Italoamericano, così addentro la politica statunitense da poter vantare una stretta amicizia con Bill Clinton ed esibire lettere scritte di pugno dal presidente, De Chiara è l’ uomo che accompagnò l’ allora capo della polizia Vincenzo Parisi e Ferramonti alla cena in cui si tentò di convincere Bossi a scegliere per Maroni il ministero della Difesa al posto di quello dell’ Interno. Ed era De Chiara il destinatario del fax inviato a Washington il 25 novembre ‘ 93 da Ferramonti per segnalare un ‘ pericolo mortale’ : la possibile nomina di Pino Arlacchi a supervisore dei servizi segreti italiani. De Chiara, il cui nome è iscritto nel registro degli indagati, è irreperibile. “Probabilmente è negli Stati Uniti” spiegano gli investigatori, che però sono riusciti a mettere le mani sulla sua agenda. Ed è proprio seguendo l’ indice dell’ agenda che il pm David Monti continua a convocare nel suo ufficio personaggi eccellenti. Ieri mattina il magistrato aostano ha sentito Paolo Berlusconi, finito nel mirino della gang dei truffatori. Berlusconi jr. ha ammesso di essere stato contattato dal marzo e l’ aprile scorso da Girolamo Scalesse detto il professore, e considerato la mente della truffa e da Domenico Presacane, ex ufficiale della Finanza ed ex funzionario delle Partecipazioni statali, entrambi finiti in carcere con Ferramonti. “Volevano propormi uno strano investimento. Rifiutai dopo aver chiesto consiglio alle banche” ha spiegato Berlusconi, aggiungendo che i due erano riusciti a fissare un appuntamento con lui tramite un prete, un certo don Aquilante. L’ interrogatorio di Paolo Berlusconi è però durato poco meno di tre quarti d’ ora. Una specie di formalità sbrigata in fretta da David Monti che ormai ha ben chiaro l’ intreccio della mega truffa portata alla luce da “Phoney Money” e che è ben più interessato alla seconda inchiesta, denominata lobbyng sulla misteriosa associazione segreta in grado di suggerire nomi per gli incarichi di governo e di determinare nomine e promozioni nell’ empireo della burocrazia statale. Per questo il pm continua ad interrogare personaggi di spicco della vita pubblica italiana. “Si tratta di capire se Ferramonti è un millantatore o un pericoloso lobbista con collegamenti internazionali” spiega il magistrato. E mentre Roberto Maroni ieri ha smentito ogni suo coinvolgimento nella vicenda (“idiozie, tutte barzellette”), ieri pomeriggio Monti ha interrogato per un’ ora e mezza l’ ex direttore del Tg1 e ora direttore della Stampa Carlo Rossella il cui nome compariva sia nell’ agenda di Ferramonti che di De Chiara. Rossella ha spiegato al magistrato di aver conosciuto occasionalmente entrambi. Questa mattina il magistrato dovrebbe sentire Lorenzo Necci ex amministratore dell’ Ente Ferrovie e Giuseppe Tatarella di An.
Poi venerdì toccherà ad Ernesto Pascale amministratore della Stet e infine a Mirko Tremaglia.
Ma i nomi di spicco nel carnet del magistrato sono altri: quelli di Antonio Di Pietro e Umberto Bossi.
da: la Repubblica – L’ “Amerikano” Acchiappa – Potenti
AOSTA. L'INDAGINE SULLA NUOVA P2 INSABBIATA GIA' NEL 1996.
“PHONEY MONEY“. Così era stata denominata la scottante inchiesta sulla nuova P2 del coraggioso P.M. David Monti, insabbiata già nel 1996 dalla mafia giudiziaria di stampo politico-istituzionale, sempre pronta – come la storia degli ultimi anni insegna a chi è in grado di leggere i fatti – a mobilitare gli Ispettori ministeriali per indagare su chi indaga, ricattando, intimidendo e mettendo definitivamente a tacere chi prende seriamente l’attività giurisdizionale e crede ingenuamente di potere svolgere le proprie funzioni investigative, senza guardare in faccia nessuno.
Anche ad Aosta, oltre 14 anni fa, le cose andarono esattamente così, come per Cordova, Di Pietro, Forleo, De Magistris e tanti altri onesti P.M., senza collare e padrini, rei di avere indagato sui poteri occulti che controllano le istituzioni dello Stato.
Da Roma scattò prontamente l’inchiesta ministeriale sul P.M. di Aosta David Monti.
A pretesto: “i presunti contrasti e conflitti” sorti in relazione ad “alcune modalità di conduzione delle indagini denominate “Phoney Money” e “Operazione Lobbying“. Ma, l’unico vero scopo era quello di scippare l’inchiesta allo scomodo P.M. Davide Monti che, sin da allora, stava ficcando il naso negli affari delle cricche, mettendo in luce, come denunciato alla stampa dallo stesso P.M.: “relazioni occulte di potere, a tutti i livelli, che rendono visibili grandi aggregati, sempre occulti, di interessi economici, finanziari e politici. E, su cui sarebbe possibile pervenire a ben più importanti risultati se mi fosse permesso di investigare ancora“. (La Repubblica 14 novembre 1996 pag. 10).
Nel comunicato stampa pubblicato da Repubblica Monti, ex massone e buon conoscitore dei santuari del potere inoltre afferma: “Sono un magistrato solo, solo con la mia coscienza e con la serenità di avere agito con la dovuta perizia professionale e nel rispetto dei principi di garanzia del processo penale”. Un magistrato solo che non ci sta. Sono costretto, contro la mia volontà e il mio costume, a dire pubblicamente che è in corso un tentativo di sottrarmi le complesse investigazioni che sto conducendo e che, in un breve arco di tempo, hanno portato alla luce fatti di estrema gravità, su cui è doveroso fare piena chiarezza”. Articolo stranamente censurato e irreperibile anche nell’archivio storico dell’aggiornato quotidiano che, prima d’ora, ha sempre evitato di affrontare e approfondire il tema del rapporto tra mafia, politica, massoneria e affari, alla base delle deviazioni del sistema sociale.
Con la solita malizia che contraddistingue gli uffici giudiziari e ministeriali nelle mani della mafia politico-istituzionale, da via Arenula precisavano che l’inchiesta sarebbe stata “estranea al merito delle indagini in corso“, con le quali il Ministero “non avrebbe inteso in alcun modo interferire“, affermando poco credibilmente che intendevano solo accertare se esistevano “profili di rilevanza disciplinare, ovvero ipotesi di incompatibilita’ ambientale o funzionale“, per il pm Davide Monti e per il Procuratore capo Maria Del Savio Bonaudo.
Ma la verità è venuta presto a galla, rivelando la vera natura dell’intervento del Ministero di Giustizia.
Ad epilogo di questa aperta aggressione all’indipendenza della magistratura, il P.M. David Monti è stato costretto a chiedere il trasferimento al C.S.M. e il Procuratore capo, pur avendo illegittimamente scippato l’inchiesta al P.M. naturale, è rimasta al suo posto, insabbiando tutto e mettendo a tacere due importanti inchieste che avrebbero potuto fare luce sui legami occulti tra politica, massoneria e istituzioni deviate.
Le dichiarazioni contenute nell’esposto del dr. Monti al Csm, secondo il quale la sua sostituzione nell’indagine era “strumentale” e “pericolosa”, per le inquietanti analogie con il caso De Magistris e il preteso scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro, ci riportano con prepotenza all’attuale inchiesta romana sulla P3 e all’intervista rilasciata al settimanale Panorama anni fa dallo stesso Monti in relazione alla sua estromissione dall’inchiesta, in cui il P.M. affermava che “a quindici anni dalla scoperta della loggia P2, i poteri occulti sono vivi e vegeti e sono loro ad organizzare, se non veri e propri complotti, pericolose interferenze, per esempio riuscendo a bloccare inchieste considerate scomode“.
Nessuno volle ascoltare la ferma e coraggiosa denuncia del P.M. italo-americano amico di Bill Clinton che indagava sulla misteriosa associazione segreta in grado di suggerire nomi per gli incarichi di governo e di determinare nomine e promozioni nell’empireo della burocrazia statale.
Fatti per cui il pm aveva interrogato personaggi di spicco della vita pubblica italiana, tra cui pericolosi lobbisti con collegamenti internazionali del calibro di Pacini Battaglia e importanti politici, tra cui Roberto Maroni (che smentiva ogni suo coinvolgimento nella vicenda), l’ ex direttore del Tg1 Carlo Rossella, Lorenzo Necci ex amministratore di Ferrovie dello Stato, Giuseppe Tatarella di An, Ernesto Pascale amministratore della Stet, Mirko Tremaglia, Antonio Di Pietro, Umberto Bossi, e vari altri politici di spicco.
Sia nella Prima che nella Seconda Repubblica, secondo le indagini della Procura di Aosta sarebbero sempre stati operanti poteri occulti (magari in sonno quando le indagini riguardano fatti semplicemente corruttivi), ma pronti a intervenire quando la magistratura sonda i meccanismi segreti del potere>.
Chissà se qualche altro magistrato coraggioso vorrà raccogliere il testimone dell’amerikano David Monti?
A riguardo, è utile ricordare ai magistrati romani che indagano sulla nuova P3 la definizione di potere occulto, data dal P.M. in un’intervista a Panorama: <Un intreccio di membri di associazioni segrete e di appartenenti a istituzioni perfettamente legali che si incontrano in punti off shore, cioè territori al di fuori della giurisdizione italiana. Non esislono solo le società off shore che proteggono i flussi finanziari illegali, ma anche le off shore massoniche, veri punti nevralgici, con il ruolo precipuo di interferenza e condizionamento>.
TRIESTE. PERCHE' LA PROCURA INSABBIA LE MINACCE MAFIOSE CONTRO GIURASTANTE?
La domanda è ovviamente retorica e la risposta potrà venire facilmente trovata nell’insabbiamento sistematico da parte della procura triestina di ogni inchiesta che riguardi i poteri forti che controllano il territorio scaturita dalle coraggiose denunce di Roberto Giurastante, coraggioso leader ambientalista (N.d.R.).
NUOVA AGGRESSIONE CONTRO ROBERTO GIURASTANTE
Trieste 27.09.2010 – L’ambientalista triestino Roberto Giurastante è stato oggetto di una nuova aggressione. Nella giornata di domenica 26 settembre ignoti presentatisi davanti alla porta di casa della abitazione della sua famiglia hanno cercato di scardinare e sfondare la porta di ingresso distruggendo anche la pulsantiera del campanello. Giurastante, responsabile dell’associazione Greenaction Transnational e portavoce per l’Italia dell’associazione Alpe Adria Green, aveva subito il 6 aprile scorso una pesante e macabra intimidazione di stampo mafioso trovando davanti alla porta della propria abitazione una testa di capra. Ma le indagini dei carabinieri per conto della Procura della Repubblica di Trieste erano state chiuse infruttuosamente in un tempo record di appena un mese, ed il PM incaricato (Pietro Montrone) aveva pure ordinato la distruzione del corpo del reato (la testa dell’animale ucciso) precludendo così ogni accertamento successivo (la richiesta di archiviazione della Procura è stata infatti impugnata davanti al GIP).
Nonostante le minacce continuate Giurastante non ha ricevuto alcun tipo di protezione da parte delle autorità di pubblica sicurezza italiane. Non si può quindi che esprimere la massima preoccupazione per quanto sta accadendo. Se dopo l’intimidazione mafiosa (la prima di questo tipo a Trieste) l’inchiesta della Procura non fosse stata bloccata e se fossero state adottate quelle minime misure di sicurezza che il caso avrebbe consigliato, probabilmente sarebbero già emersi elementi utili per individuare i responsabili, scoraggiando inoltre ulteriori aggressioni.
Roberto Giurastante è autore di rilevanti denunce all’Unione Europea sul sistema di smaltimento illecito dei rifiuti nel Nord Est, sulla violazione delle norme sugli appalti, sulle carenze della legislazione italiana in materia di prevenzione dei rischi degli incidenti agli impianti industriali (Legge Seveso), sul nucleare (violazione delle norme Euratom) e sugli inquinamenti transfrontalieri. E’ anche uno dei principali oppositori dei progetti dei terminali di rigassificazione nel Golfo di Trieste. E’ autore del libro denuncia “Tracce di legalità” inchiesta sugli affari sporchi e sui disastri ambientali nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia.
LA NUOVA TANGENTOPOLI? NASCE IN VALSUSA.
MARCIA NO TAV RIVALTA – RIVOLI
23 settembre 2010 LA NUOVA TANGENTOPOLI? NASCE IN VALSUSA.
Negli ultimi giorni qualcosa di nuovo ha cambiato gli equilibri.
L’europarlamentare Vito Bonsignore, ha dichiarato: «Così com’è oggi la proposta Tav è diversa da quella di anni fa, e quindi è un’altra cosa. Le merci saranno poche, molti di più i passeggeri. Diversamente da come sostiene Virano». Ed è scoppiato un macello. Chi si è agitato però non ha notato che già Tremonti alcuni giorni prima aveva chiesto di ridurre i costi troppo alti (1.300 euro al cm oggi), ipotizzando di utilizzare una sola galleria.
Pochi sapevano in quel momento ciò che invece preoccupava il Ministro:
1) mancano i soldi e quei 671 milioni di Euro di finanziamento UE rischiano di far accendere le luci nel buco delle finanze italiane (se lo Stato italiano ricevesse richiesta di “mettere sul piatto” la sua parte di finanziamento, scoppierebbe probabilmente il bubbone da parte della UE;
2) probabilmente Tremonti sapeva già ciò che invece è apparso sui giornali solo domenica 19 settembre, ovvero che il Portogallo aveva appena annullato le gare d’appalto per la tratta Madrid-Lisbona, a causa aumento costi e crisi economica. Si noti bene che per 50 km di una tratta i costi erano 1,9 miliardi di Euro, ovvero 38 milioni a km, non certo 130 come per la Torino-Lyon… eppure il Portogallo ha deciso di sospendere tutto!
A questo punto chi ci legge comincerà ad interrogarsi sulla stranezza di questi dati così difformi, ed allora non ci resta che indicare alcune istruttive letture.
Una scheda su chi questa opera in valle di Susa la progetta: la Tecnimont, un articolo di Gianni Barbacetto, che parla proprio della linea TAV in valle di Susa, intitolato: La nuova tangentopoli? Nasce in Valsusa.
Naturalmente ognuno si farà la sua personale idea su ciò che succede, appare però indiscutibilmente chiaro a questo punto che sono saltate tutte le regole del gioco, che manca il senso della misura come dice il giudice Imposimato.
20 settembre 2010: LA VALLE DI SUSA? COME UNA PENTOLA A PRESSIONE.
La Valle oggi è una pentola a pressione, con il gas acceso al massimo. Si intervallano nei vari centri valsusini le serate informative sul progetto LTF. Gli amministratori che hanno letto i progetti, provano a spiegarli ai cittadini.
Ci sono gli esperti della Comunità Montana, di Habitat e dei vari Comitati No TAV che hanno riletto, sempre più allarmati, i dati di questo ennesimo progetto, il quinto (ufficiale) della serie. E dopo che da Firenze e dal Mugello sono saliti in valle a spiegare cos’è successo in Toscana, i valsusini sono ancora più preoccupati.
Ci sono i giornali locali che prendono nota e trasferiscono tre volte a settimana i dati del possibile scempio a tutti i cittadini. Si susseguono iniziative di mobilitazione, incontri, marce; riunioni tra esperti, ambientalisti, comitati. Presidi No Tav nascono come funghi, dopo quello di Maddalena, l’ultimo è quello di Vaie.
Poi ci sono i partiti regionali e nazionali affaccendati a garantire agli industriali che gli appalti si faranno. Il PD torinese si dice imbarazzato da una semplice marcia tra le vigne. Mentre il PD in modo puerile prova a pensare di isolare il presidente della Comunità Montana Plano, l’immagine del PD all’estero è ai minimi storici se perfino il quotidiano spagnolo El Pais scrive: PD? En coma y sin respirador… solo in Valle di Susa c’è un po’ d’aria?
La situazione si può ben inquadrare riassumendo alcune frasi apparse sui giornali:
Plano, presidente Comunità Montana: “No Tav e amministratori di nuovo uniti: «E’ solo l’inizio»
«Restiamo uniti. Ora e sempre resistenza». Ezio Paini, sindaco di Giaglione.
Davide Bono (Movimento Cinque stelle) la «Valsusa è un esempio di responsabilità e libertà».
Chiamparino, sindaco di Torino e possibile candidato alla leadership del PD: “vincere i congressi per isolare Plano”, e non sarà un caso se La Stampa titolava in questi giorni: “Blitz nelle sezioni contro i No Tav del Pd”.
Le “prove tecniche di resistenza” a Chiomonte sono stae un successo: siamo alle pendici del Rocciamelone e altri luoghi storici per la Lotta di Liberazione, siamo in un imbuto, un territorio di montagna, stremato dalla disoccupazione come gran parte del Paese, ma che ha sempre rifiutato compensazioni ed accordi sottobanco di svendita del territorio. I pochi amministratori che hanno provato a fare il “salto della quaglia” o che si vantano di aver fatto spostare dai loro paesi il tracciato della linea vengono pubblicamente contestati e non c’è da stupirsi, visto che cinque anni fa sulle barricate rifiutavano l’appellativo di “Nimby”.
Decine di persone sono al lavoro in ogni paese, amministrazione, Comitato e associazione ambientalista. Leggono i 12 scatoloni di carte dei progetti, fanno osservazioni, cercano di capire quale sarebbe il loro futuro se un progetto del genere si realizzasse. Più leggono, più sentono il bisogno di organizzarsi per opporsi con tutti i metodi legali e non violenti conosciuti.
La pentola è bollente, c’è bisogno di tanto buon senso da parte di tutti. C’è bisogno che ognuno faccia bene il proprio lavoro, nel rispetto delle leggi, delle proprie dirette responsabilità, per il bene, non tanto della Valle di Susa ma di tutto il Paese.
MA SARA’ DURA! (ma per loro)
info@ambientevalsusa.it
Modulo segnalazione casi online
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Guida alla separazione
“LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI
…NEPPURE PER CHI SI VUOLE SEPARARE!
Nonostante il nostro ordinamento preveda, espressamente, il diritto dei cittadini di presentare personalmente le domande di separazione e divorzio consensuale (secondo lo stesso indirizzo interpretativo delle vigenti norme in materia, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, e in osservanza all’art. 6 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, che prevede il diritto di autodifesa legale), nei Tribunali italiani vige la più assoluta anarchia, per cui non vi è uniformità applicativa in merito alla possibilità di presentare il ricorso per separazione e divorzio congiunto senza il patrocinio di un avvocato, come ci si dovrebbe aspettare in uno Stato di Diritto.
Con la conseguenza che i Tribunali di una stessa regione, quali ad esempio Milano, Torino, Genova, Roma e Agrigento si muovono in maniera del tutto opposta a quelli di Sondrio, Asti, Savona, Civitavecchia, Palermo, Firenze, Trento e tutti gli altri sottoelencati, dando prova che in questo Paese non esiste alcuna sovranità della Legge e del Diritto. I cittadini vengono così costretti a rivolgersi agli avvocati-stregoni del divorzio, vedendosi ingiustamente gravare di pesanti quanto inutili spese legali.
Ciò, nell’evidente proposito di favorire le lobbies di pressione affaristico-giudiziaria, che fanno capo ai locali Consigli dell’Ordine Avvocati e agli Uffici di Presidenza dei rispettivi Tribunali e Corti di Appello.
LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE
Viene pronunciata dal Tribunale su richiesta di uno dei coniugi. Può essere richiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare pregiudizio all’educazione della prole.
In caso di separazione consensuale, ex art. 711 c.p.c., non è necessaria l’assistenza tecnica di un legale, seppure in genere giudici, cancellieri e avvocati tendano a scoraggiare l’autodifesa personale delle parti.
IL PROCEDIMENTO DI SEPARAZIONE GIUDIZIALE
La competenza in materia è affidata al Tribunale del luogo in cui risiede il convenuto. La fase iniziale si svolge davanti al Presidente del Tribunale, al quale spetta la fissazione della data in cui dovranno comparire entrambi i coniugi: in questa sede egli tenterà di conciliarli, sentendoli prima separatamente e poi insieme; se la conciliazione riesce o se il coniuge che ha proposto ricorso rinunzia al giudizio, il presidente ordina la redazione del verbale di conciliazione o di rinuncia all’azione. Nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione o di mancata comparizione del coniuge convenuto, il presidente provvede anche d’ufficio con ordinanza inoppugnabile a regolare gli atti provvisori e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e dei figli. Si tratta di provvedimenti temporanei emessi in attesa della sentenza, che riguardano soprattutto l’autorizzazione a vivere separatamente, l’obbligo dell’assegno di mantenimento, l’affidamento dei figli, l’assegnazione dell’uso dell’abitazione familiare anche qualora questa appartenga all’altro coniuge. Il presidente nomina poi il giudice istruttore dinnanzi al quale proseguirà la causa secondo il rito ordinario fino all’emissione della sentenza: questi può decidere di revocare o modificare il contenuto dell’ordinanza del tribunale. A seguito della separazione i coniugi decadono dal dovere di coabitazione; per quanto riguarda il dovere di fedeltà, la giurisprudenza ritiene che sia da considerare estinto, ma viene fatto divieto di comportamenti lesivi della dignità dell’altro coniuge. La legge disciplina le conseguenze della separazione solo in relazione alla prole, all’aspetto patrimoniale e al cognome della moglie.
I PROVVEDIMENTI VERSO I FIGLI
Qualora vi siano figli minorenni, il giudice deve emettere tutti i provvedimenti necessari nei loro confronti con esclusivo riferimento al loro interesse morale e materiale. Innanzitutto, dichiarare a quale dei coniugi essi saranno affidati. Potrà, in presenza di gravi motivi, ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nell’impossibilità, in un istituto di educazione. Inoltre, stabilirà la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi: ciò significa che dovrà quantificare l’assegno di mantenimento a favore del coniuge affidatario e le modalità del diritto di visita riguardanti il non affidatario. In ogni caso deve tener conto di quanto pattuito tra le parti senza però che ciò vincoli in alcun modo la decisione del tribunale. Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi e , salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni giornaliere e ordinarie sono di competenza del genitore affidatario; per le scelte determinanti nella vita del figlio occorre il consenso di entrambi i coniugi. Qualora il coniuge affidatario decida su una questione di maggiore interesse senza rispettare quanto pattuito da entrambi è ammissibile il ricorso al giudice. Il coniuge cui i figli non sono affidata conserva sempre il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e conseguentemente può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
L’ABITAZIONE NELLA CASA FAMILIARE
Per quanto concerne l’abitazione nella casa familiare, esso spetta di preferenza, e ove ciò sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, anche se la casa non è di sua proprietà. Questa disposizione, volta a consentire al figlio di vivere nel luogo in cui è cresciuto, si ritiene estendibile anche al coniuge affidatario di figli maggiorenni, e riguarda solo la prima casa. Il giudice dà inoltre disposizioni circa l’amministrazione dei beni dei figli e, nell’ipotesi che l’esercizio della potestà sia affidata a entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell’usufrutto legale. Infine i coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di esse e le disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
GLI EFFETTI SUI RAPPORTI PATRIMONIALI TRA I CONIUGI
L’obbligo di contribuzione al mantenimento dell’altro coniuge sussiste solo se la separazione non sia in alcun modo addebitabile al richiedente e a condizione che quest’ultimo non possegga adeguati redditi propri. In caso di pronunzia di addebitabilità è applicabile l’assegno alimentare e non quello di mantenimento. Il giudice può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale, se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento dell’obbligo, e , in caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto. Tutti i provvedimenti emessi in relazione ai rapporti patrimoniali tra i coniugi e ai figli possono essere revocati o modificati, anche quando la sentenza sia passata in giudicato, qualora sopravvengono giustificati motivi.
SUCCESSIONE A SEGUITO DI SEPARAZIONE
Qualora muoia uno dei coniugi separati, l’altro è ammesso a succedergli in qualità di erede legittimo o necessario, ma a condizione che non gli sia stata addebitata la separazione. Se si è invece in presenza di una pronunzia di addebito già passata in giudicato, il coniuge sopravvissuto decade dal diritto dell’eredità, tuttavia gli è dovuto un assegno vitalizio, se percepiva gli alimenti. Allo stesso modo, la separazione non estingue il diritto all’assistenza medica mutualistica, alla pensione di reversibilità e ai contributi dovuti in base al trattamento di fine rapporto, ma sempre a condizione che non sussista alcuna pronunzia di addebito a carico del coniuge richiedente.
USO DEL COGNOME DEL MARITO
Il giudice può vietarlo alla moglie quando tale uso sia gravemente pregiudiziale al marito e può parimenti autorizzarla a non usarlo, qualora possa derivarle grave pregiudizio.
LA RICONCILIAZIONE
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con un’espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione. Ciò si verifica, ad es., quando due coniugi separati riprendono a convivere e ristabiliscono la comunione spirituale e materiale tra loro; rapporti sessuali occasionali non comportano invece la riconciliazione. A seguito della riconciliazione cessano gli effetti della sentenza di separazione. Essa inoltre preclude che la separazione possa essere nuovamente pronunziata per fatti e comportamenti avvenuti prima della riconciliazione: una nuova separazione può essere dichiarata solo a seguito di fatti avvenuti dopo di essa. Quando la riconciliazione avviene prima della sentenza produce l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta.
LA SEPARAZIONE CONSENSUALE
Si svolge con un procedimento più rapido e permette ai coniugi di non sottoporre le proprie questioni private dinnanzi al giudice e di procedere con maggior economia: per tale ragione risulta essere più diffusa rispetto alla separazione giudiziale. Requisiti essenziali sono il consenso tra le parti e l’omologazione del giudice. L’accordo deve vertere su tutti i punti richiesti perché possa attuarsi lo stato di separazione: dunque i coniugi devono determinare a chi saranno affidati i figli, le modalità di contribuzione al mantenimento degli stessi e del coniuge legittimato, la disponibilità della casa familiare. Inoltre, qualsiasi clausola stabilita tra i coniugi che sia in contrasto con norme imperative è nulla: ad es., il coniuge cui spetti l’assegno alimentare non può rinunciarvi; allo stesso modo, non può esimersi dal mantenimento dei figli, a meno che non versi in stato di bisogno. Raggiunto l’accordo è necessario ricorrere al giudice affinché pronunci l’omologazione; il ricorso deve essere presentato da entrambi i coniugi o da uno solo; il presidente del tribunale deve ascoltarli e cercare di conciliarli: qualora la riconciliazione non riesca si dà atto nel processo verbale del consenso alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi e i figli.
TRIBUNALI CHE AMMETTONO IL DIVORZIO CONGIUNTO
SENZA L’ASSISTENZA DI UN AVVOCATO
ABRUZZO | LANCIANO, PESCARA, TERAMO |
CALABRIA | REGGIO CALABRIA |
CAMPANIA | BENEVENTO, S. ANGELO DEI LOMBARDI |
FRIULI VENEZIA GIULIA | TOLMEZZO, UDINE, GORIZIA |
LAZIO | CASSINO, CIVITAVECCHIA, FROSINONE, RIETI |
LIGURIA | IMPERIA, LA SPEZIA, SANREMO, SAVONA |
LOMBARDIA | CREMA, CREMONA, LODI, SONDRIO |
MARCHE | ANCONA, CAMERINO, FERMO, URBINO |
MOLISE | ISERNIA, LARINO |
PIEMONTE | ACQUI TERME, ALBA, ALESSANDRIA, ASTI, CASALE MONFERRATO, TORTONA, VERCELLI |
PUGLIA | BARI, FOGGIA, LECCE, TARANTO |
SARDEGNA | CAGLIARI, LANUSEI, ORISTANO, SASSARI |
SICILIA | AGRIGENTO, BARCELLONA POZZO DI GOTTO, ENNA, MARSALA, MODICA, PALERMO, RAGUSA, SCIACCA, SIRACUSA, TERMINI MESERE |
TOSCANA | FIRENZE, GROSSETO, MASSA, SIENA |
TRENTINO | TRENTO, ROVERETO |
UMBRIA | SPOLETO |
VENETO | ROVIGO |
Se il tribunale della tua città non è in questa lista puoi scriverci una mail a movimentogiustizia@yahoo.it, indicando, senza impegno, i comuni di residenza dei due coniugi già separati. Ove possibile, cercheremo di assisterti con un nostro avvocato fiduciario presente nella tua città, in base a tariffe convenzionate e assolutamente contenute.
Stiamo anche valutando l’opportunità di denunciare gli uffici giudiziari che non consentono ai cittadini di accedere al diritto di autodifesa, chiedendo accertarsi l’ordine di interessi che genera una simile disparità di comportamenti tra le diverse sedi giudiziarie.