L’importanza di Leonardo Vitale
di Giovanni Falcone
Dalla sentenza del maxi ter, istruito dal pool di Giovanni Falcone riportiamo alcuni stralci riguardanti la posizione processuale del primo collaboratore di giustizia che denunciò le collusioni tra mafia, politica e appalti. L’allucinante odissea umana e giudiziaria di Leonardo Vitale, uomo d’onore della famiglia di “Altarello di Baida”, dapprima delegittimato dalla magistratura di regime e rinchiuso in un manicomio psichiatrico, nel tentativo di screditare le sue precise rivelazioni, eppoi condannato a morte dallo Stato massomafioso.
All’epoca delle sue dichiarazioni Leonardo Vitale, che tra gli altri aveva accusato l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e il Principe Vanni Calvello di San Vincenzo, non venne creduto, nonostante i molteplici riscontri investigativi, e dietro pressioni politiche fu spedito nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto. All’uscita dal manicomio fu ucciso per mano della massomafia.
Fino a tempi non molto lontani le conoscenze dell’apparato strutturale – funzionale di “Cosa Nostra” sono state frammentarie e parziali e, correlativamente, episodica e discontinua è stata l’azione repressiva dello Stato, diretta prevalentemente a colpire, con risultati ovviamente deludenti, le singole manifestazioni criminose, viste in un’ottica parcellizzante e disancorata dalla considerazione unitaria del fenomeno mafioso. Solo in tempi più recenti, un rinnovato impegno investigativo, assistito da una professionalità più qualificata e da tecniche di indagine più sofisticate, ha prodotto un corretto approccio al fenomeno mafioso, ispirato dalla riconosciuta necessità di inquadrare gli specifici episodi criminosi nella logica e nelle dinamiche dell’organizzazione criminale di cui sono espressione. In questo contesto si è inserita la collaborazione di alcuni imputati di estrazione mafiosa che ha consentito di verificare la validità dei risultati già raggiunti, offrendo al contempo una chiave di lettura dall’interno del fenomeno mafioso ed imprimendo ulteriore impulso alle indagini. Il primo collaboratore della Giustizia era stato, nell’ormai lontano 1973, Vitale Leonardo, un modesto “uomo d’onore” che, travagliato da una crisi di coscienza, si era presentato in Questura ed aveva rivelato quanto a sua conoscenza sulla mafia e sui misfatti propri ed altrui. Oltre dieci anni dopo, Buscetta Tommaso, Contorno Salvatore ed altri avrebbero offerto una conferma pressoché integrale a quelle rivelazioni; ma nessuno, allora, seppe cogliere appieno l’importanza delle confessioni del Vitale Leonardo e la mafia continuò ad agire indisturbata, rafforzandosi all’interno e crescendo in violenza ed in ferocia. Il Vitale veniva tratto in arresto dalla Squadra Mobile di Palermo il 17.8.1972 perché ritenuto coinvolto nel sequestro di persona, a scopo di estorsione, dell’ing. Cassina Luciano, ma veniva scarcerato il successivo 30 settembre per mancanza di sufficienti indizi; senonché, il 30.3.1973, dopo di essere stato interrogato dal giudice istruttore di Palermo, si presentava spontaneamente alla Squadra Mobile di Palermo e svelava tutto ciò che sapeva su “Cosa Nostra”, di cui ammetteva di far parte, autoaccusandosi anche di gravi fatti delittuosi, tra cui alcuni omicidi, commessi in correità con numerosi personaggi. Le confessioni di Vitale Leonardo sortivano un esito sconfortante: gran parte delle persone da lui accusate venivano prosciolte, mentre lo stesso Vitale, dichiarato seminfermo di mente, era pressoché l’unico ad essere condannato. Tornato in libertà, veniva ferocemente assassinato dopo pochi mesi e precisamente il 2/12/1984.
Vediamo adesso che cosa aveva a suo tempo raccontato … il “pazzo” Vitale Leonardo (che è stato poi indicato da Buscetta Tommaso come “uomo d’onore” della “famiglia” di Altarello di Baida, secondo quanto aveva appreso da Scrima Francesco, appartenente alla sua stessa “famiglia” di Porta Nuova):– era divenuto “uomo d’onore” dopo di avere dimostrato il proprio “valore” uccidendo, su commissione di suo zio Vitale Giovanbattista, certo Mannino Vincenzo, reo di avere acquisito delle gabelle senza avere chiesto il “permesso”. Suo zio, “rappresentante” della “famiglia” di Altarello, lo aveva messo alla prova chiedendogli, prima, se si sentiva capace di uccidere un cavallo; indi, gli aveva dato incarico, unitamente ad Inzerillo Salvatore (nato nel 1922) ed a La Fiura Emanuele, di studiare le abitudini del Mannino Vincenzo per ucciderlo. Egli aveva eseguito gli ordini e, alla fine, a bordo di una autovettura guidata da Ficarra Giuseppe, aveva atteso il Mannino nei pressi della via Tasca Lanza e lo aveva ucciso con un fucile, caricato a lupara, fornitogli dallo zio. Superata la prova, aveva prestato giuramento di “uomo d’onore” in un casolare del fondo “Uscibene”, di proprietà di Guttadauro Domenico, alla presenza dello zio, dello Inzerillo Salvatore e di altri, secondo un preciso rito: gli avevano punto un dito con una spina di arancio amaro e avevano bruciato un’immagine sacra facendogli ripetere il “rito sacro dei Beati Paoli”; quindi, l’avevano invitato a baciare in bocca tutti i presenti. Era entrato così a far parte ufficialmente della “famiglia” di Altarello di Baida di “Cosa Nostra”. – Per effetto del suo ingresso nella “famiglia”, aveva cominciato a conoscere i componenti della propria e di altre famiglie ed aveva cominciato ad operare come membro di Cosa Nostra. Lo zio lo aveva adibito alla acquisizione di guardianie di cantieri edili siti nel viale della Regione Siciliana ed egli, per espletare il suo incarico, aveva cominciato a compiere diversi danneggiamenti a fini estorsivi ai danni di costruttori e proprietari terrieri. … Già da queste dichiarazioni balza in evidenza l’uso sistematizzato dell’intimidazione e della violenza a fini di lucro come attività tipica della mafia. Bisogna a questo punto ricordare che taluni degli imprenditori, indicati dal Vitale Leonardo come vittime di estorsioni mafiose, si sono poi organicamente inseriti in “Cosa Nostra”. Ci si intende riferire ai costruttori Marchese Salvino e Pilo Giovanni, imputati, nel procedimento n.2289/82 R.G.U.I. (definito con sentenza-ordinanza 8.11.1985), di associazione mafiosa, a Costanzo Giuseppe, la cui posizione viene definita con questa sentenza-ordinanza, ed a Prestifilippo Domenico, titolare del ristorante “La ‘ngrasciata”, che risulta (vedasi il Vol.8 della citata sentenza-ordinanza) aver prestato attività di copertura a Spadaro Tommaso nel riciclaggio di danaro di provenienza illecita; tutti esempi della capacità espansiva e di infiltrazione della mafia nel tessuto sociale, che, forse, un più incisivo intervento repressivo statuale avrebbe potuto impedire.
– Accanto ad imprenditori sicuramente mafiosi, ne sono stati individuati tanti altri, contigui con ambienti mafiosi, che, interrogati, si sono mostrati estremamente reticenti, costretti in una situazione insostenibile per la paura, da un lato, delle ritorsioni mafiose e, dall’altro, della criminalizzazione del loro operato. … Del resto, il settore dell’edilizia, sia per gli elevati utili che consente, sia per l’inevitabile riferimento al territorio, è quello che forse ha risentito maggiormente della presenza mafiosa; ed anche in questo procedimento è stato accertato che tutti i maggiori esponenti di “Cosa Nostra” sono interessati alla realizzazione di attività edilizia sia in proprio che per il tramite di imprenditori vittime o collegati, a vario titolo, con “Cosa Nostra”.
– Il racconto di Vitale Leonardo è proseguito con la descrizione di altri gravi delitti. Egli, in particolare, ha ammesso di avere ucciso Bologna Giuseppe su mandato di suo zio, Vitale Giovanbattista … Ha ammesso inoltre l’omicidio di Di Marco Pietro, avvenuto il 26.1.1972. Quest’ultimo, a detta del Vitale, era stato ucciso personalmente da Rotolo Antonino su mandato di Calò Giuseppe … Significativo è infine che già allora esisteva, fra Rotolo Antonino e Calò Giuseppe, uno stretto legame, che sarebbe stato in seguito confermato da altre indagini. Vitale Leonardo ha parlato, poi, dell’omicidio di Traina Vincenzo, consumato in Palermo il 17.10.1971. … Il racconto del Vitale trova un impressionante riscontro nelle indagini di Polizia … Da tale episodio emerge come già a quei tempi Scrima Francesco ed il suo capo, Calò Giuseppe, fossero coinvolti nei sequestri di persona, attività che il Calò non ha dismesso, tanto che, secondo quanto dichiarato da Buscetta Tommaso, egli regalò al figlio di quest’ultimo, Buscetta Antonio, la somma di lire 10 milioni proveniente dal sequestro Armellini, consumato in Roma nel 1980. Un’altra vicenda riferita dal Vitale Leonardo chiama nuovamente in causa il Calò ed il suo gruppo di “amici”. Si tratta della spedizione punitiva contro Adelfio Salvatore, proprietario del bar “Rosanero” nonché fratello del cognato di Spadaro Tommaso, ordinata da Calò Giuseppe a richiesta dello stesso Spadaro. Il Vitale aveva agito, a suo dire, con gli immancabili Scrima Francesco e Rotolo Antonino e con due sconosciuti.
Il Vitale Leonardo ha ancora riferito di avere appreso da Scrima Francesco che “uno da Villabate che aveva partecipato all’uccisione di Cavataio Michele si era montata la testa ed era stato fatto sparire” … . Ebbene, il “pentito” Buscetta Tommaso ha affermato che Caruso Damiano, macellaio di Villabate appartenente alla famiglia di Di Cristina Giuseppe (Riesi), era uno degli autori dell’omicidio di Cavataio Michele, specificando che in seguito il Caruso stesso era stato fatto scomparire dai Corleonesi in odio al Di Cristina (Vol.124 f.108) – (Vol.124 f.110). Da fonti, quindi, assolutamente diverse ed a distanza di parecchi anni, lo stesso omicidio viene riferito in maniera identica, anche nei motivi. Anche stavolta, la fonte della notizia, per Vitale Leonardo, è Scrima Francesco, della “famiglia” di Calò Giuseppe. Se si tiene conto che l’omicidio era stato voluto soprattutto dai Corleonesi, la tesi dell’alleanza del Calò con i corleonesi ne esce confermata. Un altro episodio significativo riferito dal Vitale riguarda una riunione, presieduta da Riina Salvatore, in cui si era stabilito a quale famiglia (Altarello o Noce) sarebbe spettata la tangente imposta all’impresa Pilo, che stava iniziando lavori edilizi nel fondo Campofranco. Alla riunione, organizzata da Spina Raffaele (“rappresentante” della famiglia della Noce), avevano partecipato anche Calò Giuseppe, Cuccia Ciro, Anselmo Vincenzo, D’Alessandro Salvatore e lo stesso Vitale Leonardo. Era prevalsa la “famiglia” della Noce per ragioni “sentimentali” (il Riina Salvatore aveva detto “Io la Noce ce l’ho nel cuore”). Il Vitale, quindi, era andato ad informarne lo zio, al soggiorno obbligato a Linosa, e quest’ultimo, nell’accettare la decisione, aveva incaricato il nipote di far presente al Calò che bisognava, comunque, attribuire parte della tangente alla famiglia di Altarello. L’episodio sopra riferito ha notevole rilevanza, perché offre un puntuale riscontro a quanto avrebbe dichiarato, oltre dieci anni dopo, Buscetta Tommaso sulle vicende di “Cosa Nostra”. Invero, secondo Buscetta, per effetto della prima “guerra di mafia” (1962-1963), e della accresciuta pressione da parte degli organismi di Polizia, “Cosa Nostra” si era disciolta, nel senso che era venuto meno quel coordinamento fra le “famiglie” assicurato dalla “commissione”. Nei primi anni ’70, essendosi conclusi favorevolmente (per la mafia) i processi contro le organizzazioni mafiose palermitane, era stata decisa la ricostituzione di “Cosa Nostra” sotto la direzione protempore di un “triumvirato” composto da Bontade Stefano, Riina Salvatore e Badalamenti Gaetano. Ebbene, la presenza ed il ruolo di Riina Salvatore, riferiti da Vitale Leonardo, nella controversia fra le due “famiglie” della Noce e di Altarello, all’epoca del triumvirato, confermano in pieno le dichiarazioni di Buscetta. Infatti, la questione relativa alla spettanza di una tangente ad una famiglia anziché ad un’altra, è un “affare” di pertinenza della “commissione”; il fatto che la controversia sia stata decisa, invece, dal Riina Salvatore – membro del triumvirato, secondo le dichiarazioni del Buscetta – conferma appieno che ancora la “commissione” non era stata ricostituita e che il Riina aveva la potestà di emettere decisioni che dovevano essere rispettate dai capi famiglia. Ma l’episodio raccontato dal Vitale vale anche a confermare indirettamente il sistema delle alleanze facente capo ai Corleonesi e l’atteggiamento prevaricatore di questi ultimi. Invero, tenendo conto della zona in cui doveva essere realizzata la costruzione del Pilo, la tangente sarebbe dovuta spettare, secondo il rigido criterio di competenza territoriale adottato da “Cosa Nostra”, alla “famiglia” di Altarello; ma, ciononostante, il Riina Salvatore, ergendosi ad unico arbitro della controversia, l’aveva attribuita a quella della Noce solo perché “ce l’aveva nel cuore” ed il fido Calò Giuseppe, rappresentante della “famiglia” di Porta Nuova che aveva partecipato alla riunione, si era ben guardato, come d’abitudine, dal dissentire dalle opinioni del Riina (proprio tale atteggiamento di acquiescenza, secondo Buscetta, era stato rimproverato al Calò Giuseppe da Inzerillo Salvatore e da Bontate Stefano, nel corso di un incontro in cui si era cercato di evitare la frattura coi corleonesi). …
Quasi tutti i personaggi … indicati [da Vitale] come “uomini d’onore” sono stati in seguito accusati da Buscetta Tommaso e da Contorno Salvatore, che li hanno indicati perfino con gli stessi soprannomi … Nel marzo 1985 il Rotolo è stato arrestato, a Roma, proprio con Calò Giuseppe, più potente e pericoloso che mai, senza che, nel frattempo, gli organismi di Polizia si fossero granché interessati di loro. Numerosi sono i riferimenti del Vitale a personaggi insospettabili quali “uomini d’onore”; valga, per tutti, l’indicazione dell’assessore del Comune di Palermo, Trapani Giuseppe (ormai deceduto), come appartenente alla “famiglia” di Porta Nuova, e del principe Vanni Calvello Alessandro di San Vincenzo, imputato nel procedimento-stralcio definito con sentenza-ordinanza del 16.8.1986. Nei confronti del Trapani Giuseppe, del principe di San Vincenzo e degli altri insospettabili indicati dal Vitale allora non vennero compiuti accertamenti di sorta … [Ma Vanni Calvello] coinvolto in Inghilterra in una vicenda di traffico internazionale di eroina … ha riportato recentemente condanna alla pena di anni venticinque di reclusione. Non risulta nemmeno che sia stata in alcun modo vagliata, allora, la posizione di Ciancimino Vito, nei confronti del quale il Vitale Leonardo aveva riferito fatti veramente gravi ed inquietanti … Sia Vitale che Buscetta, poi, hanno riferito di avere appreso dei rapporti fra Riina e Ciancimino proprio dal Calò. Le rivelazioni di Vitale Leonardo sono state in buona parte sottovalutate e passate nel dimenticatoio, benché sorrette da numerosi riscontri, e lo stesso Vitale è stato etichettato come “pazzo” (seminfermo di mente) e comunque da non prendere sul serio. Ma l’asserita malattia mentale che lo affliggeva, non comportando, come accertato dal perito, né allucinazioni, né deliri di persecuzione né altre gravi alterazioni psichiche, non esludeva [sic.] la sua capacità di ricordare e di raccontare fatti a sua conoscenza. Si tratta quindi di valutarne l’attendibilità, che, alla luce dei riscontri già allora esistenti e di quelli emersi successivamente, soprattutto attraverso le dichiarazioni di Buscetta e di Contorno, appare indubbia. Il Vitale, come si evince da un memoriale scritto di suo pugno, trasmesso a questo Ufficio dalla Squadra Mobile …, si era indotto a collaborare con la Giustizia perché aveva subito una vera e propria crisi di coscienza per i delitti compiuti e si era rifugiato nella fede in Dio. Si segnalano i seguenti passi del memoriale perché ognuno possa valutare le motivazioni del suo pentimento: “Io sono stato preso in giro dalla vita, dal male che mi è piovuto addosso sin da bambino. Poi è venuta la mafia, con le sue false leggi, con i suoi falsi ideali: combattere i ladri, aiutare i deboli e, però, uccidere; pazzi! I Beati Paoli, Coriolano della Floresta, la massoneria, la Giovane Italia, la camorra napoletana e calabrese, Cosa Nostra mi hanno aperto gli occhi su un mondo fatto di delitti e di tutto quanto c’è di peggio perché si vive lontano da Dio e dalle leggi divine” …; “bisogna essere mafiosi per avere successo. Questo mi hanno insegnato ed io ho obbedito” …; “La mia colpa è di essere nato, di essere vissuto in una famiglia di tradizioni mafiose e di essere vissuto in una società dove tutti sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono disprezzati …; “(i mafiosi) sono solo dei delinquenti e della peggior specie” …; “coloro che li rispettano e li proteggono e che si lasciano corrompere o, peggio ancora, si servono di essi (hanno dimenticato Dio)” …; “Si diventa uomini d’onore (seguendo i Comandamenti di Dio) e non uccidendo e rubando e incutendo paura” …; “La mafia in sé stessa è il male; un male che non dà scampo per colui che viene preso in questa morsa” …; “il mafioso non ha via di scelta perché mafioso non si nasce, ma ci si diventa, glielo fanno diventare” …; “la mafia è delinquenza e i mafiosi non vanno rispettati o ossequiati perché sono mafiosi o perché sono uomini ricchi e potenti …”. Ed ancora: “Seminfermità mentale=male psichico; mafia=male sociale; mafia politica=male sociale; Autorità corrotte=male sociale; prostituzione=male sociale; sifilide, creste di gallo ecc.=male fisico che si ripercuote nella psiche ammalata sin da bambino; crisi religiose=male psichico derivato da questi mali. Questi sono i mali di cui sono rimasto vittima, io, Vitale Leonardo risorto nella fede nel vero Dio” …. Certamente è possibile che questa crisi mistica sia effetto delle sue alterate condizioni psichiche: ma ciò non sposta di una virgola il giudizio sulle sue dichiarazioni. Vitale Leonardo, escarcerato nel giugno 1984, è stato ucciso dopo pochi mesi (2 dicembre 1984), a Palermo a colpi di pistola, mentre tornava dalla Messa domenicale. Non dovrebbero esservi dubbi circa i mandanti di tale efferato assassinio, specie se si considera che il delitto è stato consumato in un contesto in cui Buscetta Tommaso, Contorno Salvatore ed altri “pentiti” avevano imboccato la strada della collaborazione con la Giustizia. Con Vitale Leonardo, e in un brevissimo arco di tempo, sono stati uccisi Coniglio Mario (fratello di Coniglio Salvatore, anch’egli collaboratore della Giustizia), Anselmo Salvatore (ucciso mentre si trovava agli arresti domiciliari dopo avere reso importanti dichiarazioni sul traffico di stupefacenti) e Busetta Pietro, inerme ed onesto cittadino reo soltanto di avere sposato una sorella di Buscetta Tommaso. Questo Ufficio, pertanto, ha emesso il 12.5.1986, per l’omicidio di Vitale Leonardo e degli altri, mandato di cattura contro Greco Michele, Greco Ferrara Salvatore, Greco Giuseppe n.1952, Riina Salvatore, Provenzano Bernardo, Brusca Bernardo, Riccobono Rosario, Scaglione Salvatore, Calò Giuseppe, Motisi Ignazio, Di Carlo Andrea, Madonia Francesco, Picone Giusto, Anselmo Vincenzo ed Anselmo Francesco Paolo (detto mandato di cattura ha positivamente superato l’esame di legittimità da parte della Corte di Cassazione: vedasi – per tutte – la sentenza emessa dalla Sez. I, in camera di consiglio, in data 1.12.1986 sul ricorso proposto da Greco Michele avverso ordinanza 26.5.1986 del Tribunale di Palermo, ed acquisita in copia al presente processo ( (Vol.IV f.63) – (Vol.IV f.65) ).
A differenza della giustizia statuale massomafiosa, la Mafia ha percepito l’importanza delle propalazioni di Vitale Leonardo e, nel momento ritenuto più opportuno, lo ha inesorabilmente punito per avere violato la legge dell’omertà. È augurabile che, almeno dopo morto, Vitale trovi anche tra i tanti Santi della Chiesa il credito che meritava e che merita.
Articolo pubblicato sul numero di ANTIMAFIA duemila giugno 2003